Ordinanza, Scritti sull’
L’esortazione conclusiva del primo Decennale – «ma sarebb’el cammin facile e corto / se voi el tempio riaprissi a Marte» (vv. 549-50) – esterna la profonda convinzione machiavelliana che «sanza forze, le città non si mantengono, ma vengono al fine loro» (Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, § 10), e che potere politico, giudiziario e militare sono inscindibili. Quando M. venne assunto in cancelleria, l’Italia stentava da quattro anni ad assorbire i devastanti contraccolpi della calata di Carlo VIII – «quando la discordia aperse / la via a’ Galli» (Decennale I, vv. 16-17) –, e Firenze si stava sempre più impantanando nella riconquista di Pisa e di «quelli stati / che dette lor la Medica famiglia» (vv. 23-24). Fu proprio in quegli anni che maturò nel Segretario l’idea di creare una milizia fiorentina. Incaricato saltuariamente di reclutare guastatori e marraioli per spalleggiare varie operazioni militari nel contado, inviato in missioni diplomatiche sul territorio italiano e all’estero, M. ebbe numerose occasioni di appurare l’inaffidabilità di truppe mercenarie «disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele, gagliarde in fra gli amici, in fra ’ nimici vile», nonché di valutare i pregi e i difetti degli eserciti stranieri presenti nella penisola: gli svizzeri, «armatissimi e liberissimi» (Principe xii 5, 13); le truppe tedesche, «assai ben montate di cavagli, [...] ottime gente di campagna a fare giornata» (Ritratto delle cose della Magna, §§ 45, 48); i fanti francesi, «tutti ignobili e gente di mestiero; e stanno tanto sottoposti a’ nobili e tanto sono in ogni azione depressi che sono vili» (Ritratto di cose di Francia, § 15), ma soprattutto furono l’efficienza e la disciplina dei soldati di Cesare Borgia a fornirgli modelli di milizia idonea a difendere il territorio fiorentino.
Anticipando la Cagione dell’Ordinanza a proposito dell’arruolamento di sudditi – «A tenerli ordinati, bisogna che questo Magistrato abbi autorità di punirli e facultà da farlo, e che la legge lo necessiti a fare tutto quello che è in sustanzia della cosa» (§ 26) –, M. già avvertiva, in una missiva datata 21 luglio 1498, che tutti i soldati sono «fatti ad uno modo», «più tosto volti al far male che ad altra buona operazione», e che «bisogna, a chi ha con loro a conversare o a chi è di loro guida, usare prudenzia grandissima e molte cose dissimulare, molte acremente gastigare, secondo che el tempo, el modo e el luogo richiede» (M. a Simon Guiducci, 21 luglio 1498, LCSG, 1° t., p. 20). Mirante a rimediare alla screditata reputazione dei soldati – «se alcuno non ha voluto ubbidire al padre, allevatosi su per li bordelli, diverrà soldato; ma, uscendo dalle scuole oneste e dalle buone educazioni, potranno onorare sé e la patria loro» (Cagione, § 40) –, il progetto di ordinanza comportava il ripensamento del concetto di cittadino armato, tramite una forma di educazione civica e militare non più basata sul mito antico del milite virtuoso, ripreso poi dagli umanisti – si pensi soprattutto al Momus di Leon Battista Alberti, al Della vita civile di Matteo Palmieri o alla Riforma sancta et pretiosa di Domenico Cecchi (cfr. Mazzone 1978) –, ma temprato per una realtà storica concreta e convalidato da una rigorosa cornice giuridica destinata a generare trasformazioni nella gerarchia dirigente e nel tessuto sociale del contado.
Consapevole degli intralci tecnici e soprattutto politici cui il progetto sarebbe andato incontro, M. dovette affrontare sin dall’inizio non solo il conservatorismo di cittadini che «per aver già il capo bianco e avere i sangui ghiacciati adosso, parte sogliono essere nimici della guerra, parte incorreggibili, come quegli che credono che i tempi e non i cattivi modi constringano gli uomini a vivere così» (Arte della guerra I 48), ma anche i timori e la riluttanza, per altro «largamente giustificati dalla concreta realtà delle cose», come ricorda giustamente Gennaro Sasso (1993, p. 197), di ottimati insicuri di fronte a un esercito di contadini armati in grado di minacciare la libertà e l’autorità della città. Poté in compenso contare sul consenso del gonfaloniere Piero Soderini e sull’appoggio del fratello Francesco non solo per la milizia in sé stessa – «siamo nella medesima opinione, ma dubitiamo che chi dite essersi raffreddo, non lo abi fatto per levare occasione a chi vuol dire e fare male, e interpetrare che il ben publico sia ben privato» –, ma soprattutto per la necessità di una rigorosa disciplina: «Né si vole credere che le altre nazione a questi tempi siano superiore al nostro peditato, se non perché loro retengono la disciplina, quale già gran tempo è sbandita de Italia» (lettere di Francesco Soderini a M. del 26 ott. 1504 e 4 marzo 1506, Lettere, pp. 105, 119). A livello istituzionale, Biagio Buonaccorsi, dopo una prima nota laconica – «Dètti la vostra a Bernardo Nasi, aggiunsi qualcosa ancora, ebbela carissima: fa il dovere circa l’ordinanza, ché non bisognava manco, tante querele ci viene ogni dì» (lettera a M. del 19 sett. 1506, Lettere, p. 138) –, rallegrandosi della nomina di Nasi fra i Dieci, poco meno di un mese dopo scrisse a M., allora in missione presso Giulio II a Forlì «o dove diavolo elli è», che l’avviamento del progetto si stava facendo strada con successo tra il ceto dirigente:
non fu stato Bernardo in officio sei dì, che si fe’ una deliberazione in favore dell’ordinanza che vi satisfarà: e così la cosa va con assai buon favore; ma le querele ogni dì sono infinite: pure si va riparando (lettera a M. dell’11 ott. 1506, Lettere, p. 150).
E il 15 dicembre Francesco Soderini confermava a M. che il piano stava addirittura vincendo l’ostilità dei detrattori più agguerriti: «Parci veramente che cotesta Ordinanza sit a Deo, perché ogni dì cresce, non ostante la malignità etc.» (Lettere, p. 157). Alla metà del 1507 erano già arruolati più di cinquemila uomini.
Minutamente dispiegati negli scritti politici minori, l’ideazione e il varo dell’Ordinanza vengono ampiamente esemplificati nella corrispondenza cancelleresca del Segretario. Data la vaga spartizione dei poteri giudiziari e delle rispettive responsabilità fra le tre magistrature (Otto, Ottanta, Dieci), l’Ordinanza fu promulgata e infine votata dal Consiglio maggiore il 6 dicembre 1506. L’intitolazione La cagione dell’Ordinanza, dove la si trovi e quel che bisogni fare è apposta da M. a un testo di poche pagine composto su istanza delle autorità, in cui l’autore, dopo considerazioni generali sulle istituzioni politiche – «chi dice imperio, regno, principato, repubblica, chi dice uomini che comandono, cominciandosi dal primo grado e descendendo infino al padrone d’uno brigantino, dice iustizia e armi» – addita polemicamente due carenze maggiori in seno all’esecutivo fiorentino: «Voi della iustizia ne avete non molta, e dell’armi non punto». Viene di conseguenza visualizzato un rigoroso e progressivo piano, modellato sulla configurazione sociopolitica del dominio, distinguendo per prima la città; poi il distretto, composto di «nidi grossi», tra cui Arezzo, Borgo San Sepolcro, Cortona, Volterra, Pistoia, Colle Val d’Elsa o ancora San Gimignano, da non armare per non mettere a rischio l’autorità della città: «li umori di Toscana sono tali che, come uno conoscessi potere vivere sopra di sé, non vorrebbe più padrone, trovandosi massime lui armato e il padrone disarmato». Infine, e da lì sarebbe iniziata la graduale messa in opera del progetto, il contado, dove «è più facile introdurre milizia a piè che a cavallo, e è più facile imparare ad ubbidire che a comandare». L’imprescindibile coesione tra gli arruolati, a costo pure di «mescolarci qualche cosa di religione per farli più ubbidienti», sarebbe poi vincolata non solo ai vari statuti dei borghi del dominio, ma alla promulgazione di una legge che desse facoltà a una magistratura ad hoc di arbitrare risse e dissidi tra i paesani armati, punire gli insubordinati o i trasgressori, dando loro in compenso facoltà di riconoscere «chi li tenga a casa ordinati, chi li comandi nella guerra, e chi li remuneri» (§§ 2-3, 11, 9, 26, 34).
In una lettera datata 29 dicembre 1506, M. scrisse al vicario di Firenzuola Lorenzo Guidetti a proposito di una lite:
puoi fare una delle due cose: o aspectare che ’l Magistrato sia creato et rimettere questo caso in loro, o riconoscerlo tu. Ricordiamoti bene che, volendolo tu riconoscere, facci quanto ricercha la iustitia et non altro (cit. in Fachard 2009, p. 131).
Preceduta da una prima stesura autografa di M. (Provisione della Ordinanza), la legge sulla milizia fiorentina intitolata Ordinatio militiae florentinae proponeva la creazione dei Nove dell’Ordinanza e milizia fiorentina con lo scopo di gestire l’ordine pubblico e la giustizia militare. Vengono così specificati e attribuiti i vari incarichi, l’arruolamento, gli stipendi e l’armamento dei contadini armati, l’organizzazione, lo schieramento e lo spaziamento delle «mostre» (le rassegne); viene decretata la proibizione di «militare con alcuno, né per alcun tempo senza licenzia delli eccelsi Signori, sotto pena del bando del capo a chi contrafacesse» (Provisione, § 55), o ancora vengono decisi il modo di elezione dei connestabili, i limiti delle loro competenze e la loro sottomissione alla Signoria e ai Dieci di libertà e pace per qualsiasi decisione relativa alla guerra. Avvalendosi di capitani, vicari, podestà, commissari di fortezze o borghi del dominio fiorentino, i Nove avrebbero dovuto sovrintendere al reclutamento, all’addestramento e al pagamento dei fanti, garantire l’immunità degli «iscritti» cancellando condanne pecuniarie anteriori alla leva, evitare il favoritismo e la vendita di promozioni, inventariare armi e armature, raggruppare gli arruolati in «bandiere» o compagnie distinte da insegne di colori diversi con l’insegna del Marzocco, allestire riviste ed esercitazioni militari secondo criteri territoriali ben definiti, esercitare i sudditi dall’età di diciassette anni fino a trenta, poiché «passato quel tempo li uomini mancano di essere docili, e non vogliono ubbidire» (Sentenze diverse viii 1, in N. Machiavelli, Opere letterarie, 2° vol., Scritti in poesia e in prosa, coord. di F. Bausi, a cura di A. Corsaro, P. Cosentino, E. Cutinelli-Rendina et al., 2012, p. 399).
Tra le numerose responsabilità assegnate al cancelliere della nuova magistratura, la cruciale questione della disciplina occupava un posto di rilievo. I soldati, aveva avvertito M. nella Cagione, «possono nuocere in dua modi: o fra loro, o contro alla città» (§ 27): nel primo caso toccava arbitrare conflitti nati da liti commerciali, risse da osteria, vendette familiari e addirittura drammi coniugali, evitando di infliggere ai colpevoli pesanti pene pecuniarie, per non «impoverirli né perderli», nonché «gastigare con la penna», procedura perniziosa «perché si perdono li huomini, fannosi inimici al paese, insegnono disubbidire ad li altri et sono la pietra dello scandolo di tucti e mali che naschono nel nostro contado» (cit. in Fachard 2009, p. 138). Inclemente accanimento era invece riservato a chi disubbidiva «contro alla città»; a tale scopo, cassette a forma di tamburo e ornate dall’effigie di san Giovanni erano poste in luoghi pubblici per incitare alla delazione anonima. A livello politico, la misura più impopolare per garantire l’ordine nel contado e distretto di Firenze fu l’assunzione nel 1506, d’intesa con il gonfaloniere, del famigerato ed efferato «ministro del sangue» del Valentino, Miguel Corella (don Micheletto; B. Cerretani, Storia fiorentina, a cura di G. Berti, 1994, p. 345); mossa che suscitò incomprensione e sospetto presso le famiglie ottimatizie, nel timore che tale «instrumento non avessi a servire o per desiderio di occupare la tirannide o, quando fussi in qualche angustia, per levarsi dinanzi e’ cittadini inimici sua» (F. Guicciardini, Opere, 1° vol., Storie fiorentine. Dialogo del reggimento di Firenze. Ricordi e altri scritti, a cura di E. Lugnani Scarano, 1983, p. 226). A distanza di quasi mezzo secolo dai pareri discordanti di due insigni studiosi, Carlo Dionisotti (1967) e Sasso (1969 e 1988), circa le motivazioni prevalentemente politiche o disciplinari dell’assunzione del Corella quale «capitano di guardia», appare oggi indubbio, con Sasso, che M. non intendesse favorire una qualsiasi forma di dittatura soderiniana, bensì irrobustire, per mezzo di un’estrema severità, una forza militare minacciata dall’insubordinazione e dalla disunione.
La creazione, parallelamente all’Ordinanza delle fanterie, di un corpo di cavalieri armati alla leggera, ideato da M. sin dal 1505, fu notevolmente ritardata.
M. dovette aspettare l’evenienza di un quasi certo scontro fra Luigi XII e Giulio II per vincere la miope resistenza dei fiorentini. Scritta tra ottobre 1510 e marzo 1511, l’Ordinanza de’ cavalli descrive con minuzia l’organizzazione logistica, l’addestramento e la disciplina di una milizia mirante a «rendere più securo el dominio fiorentino e presente stato e libertà; mossi massimamente dalle cose che al presente corrono e dalle qualità de’ potenti che oggi maneggiono gli stati d’Italia» (§ 1), ma fu operativa soltanto alla fine del 1511, troppo tardi per ergere uno scudo efficace contro le truppe spagnole nell’imminente sacco di Prato.
Le due carte intitolate Ghiribizzi d’Ordinanza furono redatte dopo il maggio 1514, quando, soppressa la milizia fiorentina all’indomani del ritorno dei Medici, la Balìa ideò un nuovo progetto di Ordinanza sul modello machiavelliano; esse riportano il breve resoconto di un colloquio con un concittadino, verosimilmente Paolo Vettori. Sulla falsariga della dichiarazione liminare della Cagione – «Io lascerò stare indreto el disputare se li era bene o no ordinare lo stato vostro alle armi» (§ 2) – trapela, nel contesto politico urgente di quegli anni, l’amara delusione di M. di fronte al fallimento dell’ampio dispositivo difensivo della Repubblica: «Io lascerò indreto el disputare se questo ordine è utile o no, e se fa per lo stato vostro come per un altro, perché voglio lasciare questa parte ad altri» (Ghiribizzi, § 2).
Sul pregio e sulla novità delle lezioni politiche enunciate in questi testi concordano ormai tutti gli studiosi; è soltanto nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, che la pubblicazione di numerosi inediti autografi redatti da M. in veste di cancelliere dei Nove ha messo in luce un aspetto peculiare della sua scrittura. Nella Cagione M. adattò brillantemente la propria prosa argomentativa alla lingua e al modo di pensare dei responsabili politici; nella Provisione la struttura suasoria del discorso si voleva più rassicurante; nei numerosi dispacci conservati nei registri Missive e Notificazioni e querele il tono risulta complessivamente meno conciliante. Pare in effetti di potervi scorgere, in mezzo a schizzi di realtà cittadina e di cronaca contadina, la risoluta volontà di rifinire insufficienze accertate nell’apparato predisposto, nonché di biasimare la negligenza e correggere l’imperizia di comandanti e reclute. Nella mente del suo ideatore, il modello delle armi proprie nel prosieguo del tempo avrebbe dovuto estendersi ben oltre i confini del contado.
Bibliografia: F. Guicciardini, Opere, 1° vol., Storie fiorentine. Dialogo del reggimento di Firenze. Ricordi e altri scritti, a cura di E. Lugnani Scarano, Torino 1970, 19832; B. Cerretani, Storia fiorentina, a cura di G. Berti, Firenze 1994; N. Machiavelli, Opere letterarie, 2° vol., Scritti in poesia e in prosa, coord. di F. Bausi, a cura di A. Corsaro, P. Cosentino, E. Cutinelli-Rendina et al., Roma 2012.
Per gli studi critici si vedano: G. Canestrini, Documenti per servire alla storia della milizia italiana dal XIII secolo al XVI raccolti negli archivi della Toscana e preceduti da un discorso di Giuseppe Canestrini, «Archivio storico italiano», 1851, 15; G. Canestrini, Scritti inediti di Niccolò Machiavelli risguardanti la storia e la milizia (1499-1512), Firenze 1857; F. Gilbert, Machiavelli: the renaissance of the art of war, in Makers of modern strategy, ed. E. Mead Earl, Princeton 1943, pp. 11-31; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 1952; C.C. Bayley, War and society in Renaissance Florence. The De Militia of Leonardo Bruni, Toronto 1961; C. Dionisotti, Machiavelli, Cesare Borgia e don Micheletto, «Rivista storica italiana», 1967, 79, pp. 960-75 (poi in Id., Machiavellerie, Torino 1980, pp. 3-59); G. Sasso, Ancora su Machiavelli e Cesare Borgia, «La cultura», 1969, 7, pp. 1-36; J.-J. Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici (1499-1512). Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova 1975; U. Mazzone, “El buon governo”. Un progetto di riforma generale nella Firenze savonaroliana, Firenze 1978; G. Sasso, Machiavelli, Cesare Borgia, don Micheletto e la questione della milizia, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 2° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 57-117; A. Zorzi, L’amministrazione della giustizia penale nella Repubblica fiorentina. Aspetti e problemi, Firenze 1988; F. Chabod, Il segretario fiorentino, in Id., Scritti su Machiavelli, Torino 1993, pp. 241-368; G. Sasso, Niccolò Machiavelli, 1° vol., Il pensiero politico, Bologna 1993; B. Wicht, L’idée de milice et le modèle suisse dans la pensée de Machiavel, Lausanne 1995; Niccolò Machiavelli politico, storico, letterato, Atti del Convegno, Losanna 27-30 sett. 1995, a cura di J.-J. Marchand, Roma 1996 (in partic. D. Fachard, Implicazioni politiche nell’Arte della guerra, pp. 149-73; B. Wicht, Les Suisses comme révélateur du projet machiavélien de milice, pp. 235-45); P.J. Jones, The Machiavellian militia: innovation or renovation?, in La Toscane et les toscans autour de la Renaissance. Cadres de vie, société, croyances. Mélanges offerts à Charles-M. de la Roncière, Aixen-Provence 1999, pp. 11-52; D. Fachard, Gli scritti cancellereschi inediti di Machiavelli durante il primo quinquennio a Palazzo Vecchio, in La lingua e le lingue di Machiavelli, Atti del Convegno internazionale di studi, Torino 2-4 dic. 1999, a cura di A. Pontremoli, Firenze 2001, pp. 87-121; J.-L. Fournel, J.-C. Zancarini, La politique de l’expérience. Savonarole, Guicciardini et le républicanisme florentin, Alessandria 2002; C. Vivanti, “Iustitia et armi” nell’Italia di Machiavelli, in Storia d’Italia, coord. R. Romano, C. Vivanti, Annali 18, Guerra e pace, a cura di W. Barberis, Torino 2002, pp. 339-65; Machiavelli senza i Medici (1498-1512). Scrittura del potere/potere della scrittura, Atti del Convegno, Losanna 18-20 nov. 2004, a cura di J.-J. Marchand, Roma 2006 (in partic. A. Guidi, L’esperienza di governo di Machiavelli e l’Ordinanza fiorentina, pp. 149-59; D. Fachard, L’esperienza del 1505, pp. 231-49); J.M. Najemy, «Occupare la tirannide»: Machiavelli, the militia, and Guicciardini’s accusation of tyranny, in Della tirannia: Machiavelli con Bartolo, Atti della Giornata di studi, Firenze 19 ott. 2002, a cura di J. Barthas, Firenze 2007, pp. 75-108; A. Guidi, Un Segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna 2009, pp. 159-450 (in partic. cap. III: La milizia. Componenti culturali, amministrative, militari e politiche nell’Ordinanza di Machiavelli); D. Fachard, “A maggiore vostra cognizione, mi farò un poco da lato, e voi arete pazienza a leggerla”. Appunti su inediti machiavelliani riguardanti l’attuazione dell’Ordinanza, «Filologia italiana», 2009 [ma 2010], 6, pp. 129-45.