RICCI, Sebastiano
Pittore, nato a Belluno nel 1659, morto a Venezia il 15 maggio 1734. Inizia il rinascimento settecentesco della pittura veneziana con larghissimo successo in Italia e all'estero e primeggia sin che vive, pur già grandi il Piazzetta e il Tiepolo. Venuto da Belluno a dodici anni, ha maestro a Venezia Federico Cervelli milanese, manierista seguace del Giordano, al quale si vorrebbe aggiungere più vigoroso Sebastiano Mazzoni; ma più che da maestri, apprende con la pratica, lavorando in una pubblica bottega a Rialto. Focoso, anzi turbolento in gioventù, fugge da Venezia a Bologna per un delitto d'amore, come di qui più tardi, per altro illecito amore, scappa a Torino. Tutta la sua vita, a chi da vecchio la raccontava dicesi paresse un romanzo di avventure. Una Decollazione del Battista, di cui rimane solo la stampa, dipinta a Bologna nel 1682, il Santo vescovo ad Innsbruck al Ferdinandeum datato 1684, a Parma alle Cappuccine nuove, una sua Pietà, più che derivazioni da tenebrosi e manieristi veneziani, palesano lo studio dei Carracci e soprattutto di Lodovico. Lo introduce a Parma il bolognese Carlo Cignani ed è preso a ben volere da Ranuccio Farnese, che lo sussidia perché studi a Firenze e a Roma, sì che allarga a tutta Italia conoscenze e modelli da imitare e da copiare. Si afferma pittore di largo potere, ma del tutto barocco, su esempî romani, a Milano nel 1695 nel soffitto della cupola di S. Bernardino dei Morti, col volo in cielo delle anime beate. Già in questo primo soggiorno in Lombardia (a Pavia dipinse ai Carmini l'Angelo custode) il R. conosce e frequenta Alessandro Magnasco, il singolare pittore che ebbe su di lui innegabile potere, come mostrano disegni e quadri, quali le Tentazioni di S. Antonio di Monaco di Baviera e un Miracolo ora alle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Dopo circa un ventennio di formazione eclettica, lontano da Venezia dal 1680, celebra a Belluno il ritorno in patria, sui primi anni del Settecento, nella sala di palazzo Fulcis ora Bertoldi, di decorazione barocca, con le tele dei fatti di Apollo, di Fetonte e di Ercole (il Bivio è tratto interamente da Annibale Carracci) e vi rivela già il suo colorire frizzante, ma su esempî correggeschi più che veneziani. L'Ascensione di Cristo, per la sacrestia di Ss. Apostoli a Roma, è stata fatta eseguire dal Coronelli al R. a Venezia nel 1701, ed era forse ripetizione di quella per l'Ascensione di Venezia, chiesa poi soppressa. La rifece con ancora maggiore slancio e contorcimenti alla Magnasco, nella bella tela ora a Dresda. Se l'imitazione del Correggio, attraverso il Carracci, riesce forzata negli affreschi delle semicupole di S. Giustina a Padova, pur qui nella pala imponente del San Gregorio la pesantezza barocca comincia a essere ravvivata dalla chiara luminosità di Paolo; ma pur sempre un'impetuosa forza barocca agita nei bellissimi tondi del soffitto di S. Marziale a Venezia, sotto le infocate prospettive, gli angeli che scolpiscono l'immagine della Vergine e la trasportano in barca per i canali. Nella vita molto movimentata di quegli anni (fra il 1701 e il 1703 il R. lavora probabilmente anche a Vienna per Schönbrunn) lo troviamo in amichevoli relazioni con Ferdinando di Toscana (ne rimangono le lettere dal 1705 al 1708), che gli affidò le decorazioni, ora perdute, della sua Villa di Pratolino e, possiamo credere suggerite dal gusto raffinato del mecenate toscano anche quelle che ci restano nelle cinque sale di palazzo Maroncelli (Fatiche d'Ercole) e nella sala di Pitti (Diana e Atteone). Qui affreschi e tele, unite dentro stucchi su fondi oro, raffigurano, con arte tratta da Piero da Cortona sino al Solimena, leggiadri gruppi volanti nei cieli e piacevoli storie alle pareti (anche quelle di storia antica dell'università di Parma non sono forse di molti anni prima), per modo che a Firenze si può dire nata la decorazione nuova, rococò, dell'ambiente signorile italiano, portato a Venezia a tanta perfezione dal Tiepolo. Di questo tempo è l'autoritratto del R. agli Uffizî, di signorile anzi provocante imponenza. Del 1708, non prima, l'episodio della pala del Crocifisso col San Carlo di S. Francesco dei Macci dipinto dal R. di passaggio a Firenze in sole quattordici ore. Quando col 1708 il R. segna la pala della Vergine di S. Giorgio Isola e innalza a S. Stae nello stesso anno il soffitto con l'Allegoria della Virtù, egli ha ormai, dopo tanto estraneo ecclettismo, rifatto veneziana sugli esempî di Paolo Veronese la sua pittura vivace, chiara, luminosa. Porta allora la sua arte alla conquista della ricchezza a Londra, dove la Resurrezione per la cupola dell'ospedale di Chelsea e parecchi soffitti a Burlington-House attestano la considerazione in cui era nel mondo ufficiale artistico, ma conquista il grande successo finanziario con i quadri di storie bibliche e profane per la gaia libertà del suo pennello impreziositosi sempre più anche su esempî fiamminghi. Nel 1717 ritorna attraverso i Paesi Bassi; e, a incoronarsi di gloria a Parigi (anche il rococò francese poté non poco su di lui), ottenne, patrocinato da Jean Jouvenet, col saggio della Francia che onora le scienze, ora al Louvre, il titolo d'accademico; nel 1723 divenne accademico della Clementina di Bologna. Rende onore alla sua Belluno dipingendo una grande sala nel Belvedere per il vescovo Bembo, della quale resta solo qualche frammento di gustosissimo affresco al museo (a Belluno a S. Pietro dipinse poi anche la pala e gli affreschi della cappella Fulcis). A Venezia si stabilisce a lungo in un lussuoso appartamento della Procuratia (passò poi in Calle Selvadego) a vivere "alla grande" e, quasi ritornati i tempi di Tiziano, principi e signori l'assediano di commissioni. Il re di Sardegna aveva da lui (1724-27) le pale per la Veneria reale e per Superga e i quadri per il palazzo reale a Torino; il reggente di Francia Filippo d'Orléans gli commetteva i due quadri dei Sacrifici antichi, "i più disegnati e morbidi che mai dipingesse", che l'Algarotti fece comprare per Dresda. Il console Smith, poiché davano tanto nel genio ai suoi Inglesi, si era fatto preparare una sceltissima raccolta delle più dilettose opere del maestro. Abbiamo della sua perfezione luminosa, a Venezia, il grande soffitto dell'Apoteosi delle scienze nella Libreria dei somaschi, ora Seminario patriarcale; mentre purtroppo dei tre dispersi e logorati immensi dipinti commessigli verso il 1729 per Ss. Cosma e Damiano alla Giudecca (Salomone che parla al popolo è nel duomo di Thiene, il Trionfo dell'Arca nella chiesa della Somaglia) solo il Mosé che fa scaturire l'acqua, celeberrimo un tempo, anche per il paesaggio di Marco Ricci, ricuperato alquanto, è alle Gallerie di Venezia.
I procuratori di S. Marco incaricarono il R. del cartone vivacissimo, ancora in Palazzo ducale, del doge che venera il corpo del Santo, eternato in musaico da Leopoldo del Pozzo sulla facciata della basilica d'oro. Nel 1727 si dichiara che solo al R. sarebbe stato concesso restaurare con qualche ritocco i capolavori di Paolo e del Tintoretto in palazzo, dove pure dipinse. Per qualche parte Giambattista Pittoni, e in tutto Gasparo Diziani, il Guarana, Francesco Polazzo e altri derivano dal R., e se la sua assenza da Venezia nel secondo decennio del Settecento può aver reso più indipendente la formazione del Piazzetta e del Tiepolo, tuttavia nel suo trionfo influì su di loro, sia pure che a vicenda se ne giovasse. Composizioni larghe, ariose, sempre di più prezioso colore, della sua maturità, come la Comunione di Santa Lucia a Parma, il San Gregorio che libera le anime a S. Alessandro a Bergamo, l'Assunta in S. Carlo a Vienna sono fra le più splendide creazioni del Settecento veneziano. Dei suoi ultimi anni, le pale del Miracolo di San Francesco e di Sant'Elena a S. Rocco e i Tre santi domenicani ai Gesuati portano ancora del nuovo in chiarezza, in morbidità, in scintillio, con una portentosa resa di ogni particolare, dove il R. vecchio mostra di non disertare ancora la gara con i giovani maestri in una continua capacità di rinnovamento. (V. tavv. LIII e LIV).
Bibl.: Manoscritto da autografo di Camillo Sagrestani della Biblioteca degli Uffizî, Vita di Bastiano R.; A. Longhi, Compendio delle Vite dei pittori veneziani, Venezia 1762. Fondamentale: J. v. Derschau, S. R., Heidelberg 1922; G. Fiocco, La pittura veneziana del seicento e settecento, Verona 1929; M. Goering, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934.