SANTI, Sebastiano
– Nato a Venezia, in una famiglia di origini muranesi, il 6 agosto 1789, sull’esempio del padre Marco intraprese la professione di gioielliere, che abbandonò definitivamente nel 1826 in favore della pittura (Zanetti, 1871, p. 7).
Già da bambino, per via di una naturale inclinazione al disegno, si era accostato alla pratica artistica, ricevendone i rudimenti dall’incisore Francesco dal Pedro. A garantirgli un reale avanzamento, in ogni caso, furono i tirocini presso Francesco Maggiotto, scomparso nel 1805, e Lattanzio Querena, maestri, ancorché legati alla tradizione settecentesca, appieno partecipi della temperie neoclassica. In quel mentre, avendo per compagni, fra gli altri, Odorico Politi, Giovanni Demin e Francesco Hayez, grazie allo studio dei gessi della raccolta Farsetti assimilò i canoni di bellezza degli antichi (pp. 8 s.). La fase formativa si chiuse con l’iscrizione all’Accademia, dove fra il 1806 e il 1811 frequentò la scuola del nudo, il corso di pittura tenuto da Teodoro Matteini e le lezioni di prospettiva (L’Accademia..., 2015; Venezia, Archivio dell’Accademia di belle arti, Accademia di belle arti, 1: Matricole generali degli studenti).
L’esordio in pubblico, all’età di circa vent’anni, avvenne con due ambiziosi quadri storici, perduti, rappresentanti Il ferimento della regina Zenobia e La morte di Nerone. A darne notizia è la biografia stesa dall’abate Vincenzo Zanetti (1871, pp. 11 s.), fonte imprescindibile per ricostruire la carriera e l’opera dell’artista. Capace di affrontare brillantemente, in piccolo come in scala monumentale, temi sacri e profani, padrone delle tecniche a olio, tempera e fresco, Santi fu tra i più prolifici pittori della sua epoca; principalmente attivo in Veneto e Friuli, assolse un numero «svariatissimo e appena credibile» di commissioni, prestandosi a decorare «dall’insigne architettonica cattedrale all’umile chiesetta [...], dall’aule fastose dei sovrani alle sale teatrali ed ai ricchi palagi delle città e delle ville» (pp. 13 s.).
La priorità, per cronologia, spetta all’impegno nell’abbellimento interno dei teatri, a cominciare dall’Accademico di Bassano del Grappa, nel quale lavorò nel 1811, in veste di figurista, a fianco di Francesco Bagnara. Talvolta dedito all’esecuzione del solo sipario, nel corso degli anni operò non di rado in équipe: con lo stesso Bagnara al Sociale di Badia Polesine (1814), al S. Benedetto di Venezia (1833), al Sociale di Belluno (1835), al Filarmonico (1838) e al Nuovo di Verona (1846) e all’Accademico di Castelfranco Veneto (1855); con Tranquillo Orsi al Sociale di Mantova (1822), dove intervenne pure Hayez, al Sociale di Este (1835) e alla Fenice di Venezia (1836-37); con Giuseppe Borsato al Sociale di Udine (1824) e all’Apollo, già S. Luca, di Venezia (1833-34). All’elenco vanno poi aggiunte le chiamate a Feltre (1844), a Vicenza per l’Eretenio (1847-49), a Rovigo (1851) e a Ravenna (1852; Zanetti, 1871, pp. 18, 31, 35 s., 46-49; Mancini - Muraro - Povoledo, 1985, 1988, 1994, 1995, 1996; De Feo, 2016, p. 301).
Fu comunque nell’affresco, essendo in grado di operare «con la celerità del fulmine e con buona dottrina» (Zanotto, 1837, p. 416), che Santi riuscì a esprimere al meglio le proprie doti. Molteplici risultano gli incarichi ottenuti dall’artista per procedere all’adeguamento ornamentale di case aristocratiche e borghesi, nelle quali, per lo più in associazione ad altri affermati colleghi (i citati Bagnara, Borsato, Demin e Orsi, ma anche Giovanni Carlo Bevilacqua, Pietro Moro, Giovanni Picutti e Tommaso Viola), dispiegò prevalentemente iconografie ispirate al mito e ai classici – Iliade ed Eneide – della letteratura epica. Tra le sue maggiori prestazioni in terraferma occorre menzionare quelle nei palazzi Cortellotti-Remondini e Remondini (1810-20 circa), Baggio-Compostella (1820-30 circa) e Regona (1831) a Bassano del Grappa; Duse Masin (1819) a Padova; Capra-Querini (1815-19 circa) e Franceschini-Folco (1821-22) a Vicenza; Florio (1824) a Udine; Camerini (1844) a Rovigo (Poli, 2002, p. 132; Pranovi - Rigon, 2002, pp. 262, 264, 272 s.; Romagnolo, 2002, p. 386; De Feo, 2016, pp. 545 s.). Venezia, invece, lo vide attivo tanto in Palazzo Reale, dove collaborò alla decorazione della Sala da Pranzo (1824-25), e nel soffitto dello scalone dipinse, con fare neoveronesiano, il Trionfo di Nettuno (1838), quanto nei palazzi Barbarigo della Terrazza, Giovanelli a S. Fosca, Grimani a S. Polo, Manin a Rialto, Marcello-Pindemonte-Papadopoli a S. Marina, Morosini a S. Giovanni Laterano, Nani a Cannaregio e a S. Trovaso, Persico a S. Tomà, Pisani-Gritti a S. Maria del Giglio, Treves de Bonfili, Vendramin-Calergi, Venier-Gabrini a S. Maria Formosa e Zen ai Frari. Di gusto più aggiornato, rispondente ai dettami dello storicismo romantico, erano invece le scene monocrome, poi perdute, con episodi delle vite di Gaspara Stampa e Veronica Franco eseguite dopo il 1834, entro architetture neogotiche, in una sala di palazzo Papadopoli ai Tolentini (Pavanello, 2002, pp. 26, 32; Id., 2003, pp. 436, 439, 447 s., 458, 460; De Feo, 2016, pp. 428-431, 440 s., 456-458, 530-536, 558-561).
Maestro, giusta l’opinione di Leopoldo Cicognara, «se non fra i primarj, almen fra i pittori che lor siedono a lato» (1825, cit. in Pavanello, 2003, p. 439), Santi si dimostrò ancor più infaticabile, emulando in questo l’amico Bevilacqua, nel nobilitare con ampie rappresentazioni sacre le aule di quasi un centinaio di chiese. Guadagnatosi rapidamente «il nome di artista e innumerevoli commissioni» grazie ai soffitti affrescati nelle parrocchiali di Fietta e di Nove tra il 1824 e il 1826 (Zanetti, 1871, pp. 12 s.), negli anni a seguire fu convocato a dar prova della propria abilità nel Veronese (Bussolengo, Castagnaro), nel Vicentino (Arzignano, Bassano del Grappa, Camporovere, Canove, Gambellara, Montorso, Piovene), nel Bellunese (Fonzaso, Rasai, Vas), nel Trevigiano (Altivole, Bessica, Castelcucco, Cornuda, Coste, Galliera Veneta, Lancenigo, Levada, Mogliano, Monastier, Paderno del Grappa, Paese, Ponzano Veneto, Porcellengo, Riese, Rosà, Sala di Campagna, Saletto di Breda di Piave, Sant’Ambrogio di Fiera, Sant’Andrea oltre il Muson, Santa Bona, San Pietro di Feletto, Zerman), nel Padovano (Abano, Bertipaglia, Camposampiero, Loreggia, Luvigliano), nel Polesine (Adria, Canda), nel Veneziano (Cavarzere, Salzano) e nell’Udinese (Artegna, Cervignano, Fagagna, Gemona, Paderno di Premariacco, Pavia di Udine, Ruda, Terzo d’Aquileia; Zanetti, 1871, pp. 15, 17 s., 31-50; Manzato, 2002, p. 179; Pranovi - Rigon, 2002, pp. 298 s.; Romagnolo, 2002, p. 386; Visentin, 2004, pp. 180 s.).
Le vaste proposizioni figurali, immerse in atmosfere luminose assicuranti il risalto dei valori disegnativi e cromatici, talvolta celano rielaborazioni di famosi prototipi, come nel caso del soffitto della parrocchiale di S. Michele a Cervignano (1846), scopertamente ispirato all’Assunta di Tiziano.
A Venezia, Santi dipinse i cieli delle chiese di S. Luca nel 1832 (altri lavori nel 1835 e nel 1848) e di S. Maria del Pianto nel 1845 (Zanetti, 1871, pp. 14, 31 s., 35 s.; Pavanello, 2002, p. 34). Non meno importanti furono le prove murali che lasciò a Trieste, in S. Antonio nel 1836 (affresco dell’abside, «colossale e di difficile esecuzione», con l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme), in S. Maria Maggiore nel 1841 e in S. Giusto nel 1855-57 (Zanetti, 1871, pp. 15-17, 33 s., 37 s.; Firmiani, 1989).
Dedito alla ritrattistica, sia in miniatura sia in grande (singolare l’Autoritratto giovanile, «in bizzarro costume e in atto di beffarsi di chi lo guarda», oggi al Museo Correr; Zanetti, 1871, p. 12; Pavanello, 2002, p. 29), come pittore a olio realizzò quasi esclusivamente soggetti devoti; un’eccezione è costituita dall’immagine patriottica di Venezia repubblicana e guerriera, tela, non più reperibile, celebrativa delle vicende del 1848 (Zanetti, 1871, pp. 20, 36). Nelle chiese del capoluogo lagunare rimangono le pale d’altare con l’Incredulità di s. Tommaso ai Ss. Apostoli (1828), la Crocifissione a S. Geremia (1830) e il Battesimo dell’imperatore Costantino a S. Silvestro (1844). Frequentissime, in ogni caso, furono le spedizioni nei centri della provincia veneta, annoveranti, ad esempio, la neotizianesca Madonna col Bambino e i ss. Pietro e Paolo del duomo di Cittadella (1820-26 circa) e la neogiorgionesca Vergine del Carmelo con i ss. Anna e Francesco della parrocchiale di Borgoricco (post 1850; Pavanello, 2002, p. 34; Poli, 2002, p. 148).
All’artista, che per un quarantennio ricoprì il ruolo di consigliere accademico, la conoscenza dell’opera dei grandi maestri veneti del Cinquecento derivava, oltre che dagli studi del periodo formativo, anche da una continuativa applicazione nel campo del restauro, documentata fra il terzo e il quinto decennio del secolo (Zanotto, 1837, p. 416; Zanetti, 1871, p. 22). Di particolare difficoltà fu l’intervento, svolto nel 1834-36, sul celebre Martirio di s. Lorenzo di Tiziano (Venezia, chiesa dei Gesuiti), che lo portò a dissentire dal giudizio della commissione preposta, favorevole a estesi rifacimenti, svelandone l’innovativa posizione circa i criteri e i metodi della reintegrazione pittorica (Sarti, 2013, pp. 174-183).
Solerte fino all’ultimo nel mestiere, riuscì a terminare una Via Crucis per la chiesa padovana di S. Daniele poco prima che la morte lo cogliesse, a Venezia, il 18 aprile 1866 (Zanetti, 1871, p. 26).
Grazie alle premure dell’abate Zanetti, il Museo di Murano ottenne dalla vedova oltre cinquecento suoi bozzetti su tela, tuttora nelle raccolte dei Musei civici veneziani.
Ebbe numerosi allievi, fra i quali si distinse il bassanese Francesco Antonibon (1809-1883).
Fonti e Bibl.: F. Zanotto, Storia della pittura veneziana, Venezia 1837, pp. 415 s.; V. Zanetti, Degli studi, delle opere e della vita del pittore S. S., Venezia 1871; F. Mancini - M.T. Muraro - E. Povoledo, I teatri del Veneto, II, Verona, Vicenza, Belluno e il loro territorio, Venezia 1985, pp. 85, 90, 120, 123, 264, 295, 299, 361, 363, III, Padova, Rovigo e il loro terriorio, 1988, pp. 249, 252, 395, 403; IV, Treviso e la Marca trivigiana, 1994, pp. 139, 142, 148-150, 154-156, I, 1, Venezia: teatri effimeri e nobili imprenditori, 1995, pp. 218, 236 s., 293, I, 2, Venezia e il suo territorio: imprese private e teatri sociali, 1996, pp. 185, 198, 221, 243 s.; F. Firmiani, Arte neoclassica a Trieste, Trieste 1989, pp. 138 s., 141, 199, 237 s.; E. Manzato, Treviso, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, I, a cura di G. Pavanello, Milano 2002, pp. 171-210; G. Pavanello, Venezia: dall’età neoclassica alla ‘scuola del vero’, ibid., pp. 13-94; G. Poli, Padova, ibid., pp. 127-170; A. Pranovi - F. Rigon, Vicenza, ibid., pp. 261-310; A. Romagnolo, Rovigo, ibid., pp. 377-407; G. Pavanello, La decorazione degli interni, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano 2003, pp. 421-498; S. Visentin, Appunti per una storia della pittura murale negli spazi sacri, in Tra Venezia e Vienna. Le arti a Udine nell’Ottocento (catal., Udine), a cura di G. Bergamini, Cinisello Balsamo 2004, pp. 175-191; M.G. Sarti, Il Martirio di San Lorenzo di Tiziano: per una storia dei restauri, in La notte di San Lorenzo. Genesi, contesti, peripezie di un capolavoro di Tiziano, a cura di L. Puppi - L. Lonzi, Crocetta del Montello 2013, pp. 164-197; L’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il Settecento, II, Documenti, a cura di I. Mariani, Crocetta del Montello 2015, p. 454; R. De Feo, Giuseppe Borsato, 1770-1849, Venezia-Verona 2016, pp. 301, 428-431, 440 s., 456-458, 530-536, 545-555, 558-561.