SEBENICO (in croato Šibenik; A. T., 77-78)
Città della Dalmazia settentrionale, sul lato orientale del vallone omonimo percorso dal corso inferiore del Cherca. Questo vallone, uno dei più interni e diramati della Dalmazia, è dovuto all'ingressione postpliocenica del mare entro una valle longitudinale del flysch, già occupata dal corso subaereo del fiume. L'ingresso al vallone avviene attraverso lo stretto e articolato Canale di S. Antonio, aperto, prima della sommersione, dal corso trasversale del fiume, entro una stretta piattaforma calcarea alta 13 m. s. m., e che separa il mare aperto dal bacino interno. La città è situata sulla stessa piattaforma calcarea di fronte all'ingresso del vallone e alle sue spalle s'innalza, per 150 m., un antico terrazzo costiero di calcare cretacico. Il clima dei dintorni, compresi fra i varî bacini del vallone e la breve piattaforma di NE., ha temperature miti in inverno (gennaio media 6°,8), elevate nell'estate (luglio 25°,6), con bora assai debole e maestrale predominante. Le precipitazioni annue non sono elevate (mm. 859), con due massimi in maggio e in ottobre, e con un accentuato minimo in agosto.
Il carattere della flora dei dintorni di Sebenico è essenzialmente mediterraneo, soprattutto sui lembi di arenarie del flysch, che circondano la città. Le colture predominanti sono quelle degli olivi e delle viti, insieme a numerosi fichi, che sembrano essere stati introdotti ancora al tempo romano; attorno alla città, nelle rocce eoceniche, non mancano orti e anche campi di granturco, con gelsi.
La città raggruppata a scaglioni, attorno al suo vecchio castello in rovina, è disposta a gradinata, per cui fu anche detta "la piccola Genova" e conta oggi circa 15.000 ab. (27.000 nel comune). Essa è un dedalo di strette calli, mentre la parte nuova, a SE. fra i giardini, è ampia e moderna. Sebenico deve la sua prosperità all'industria italiana del carburo di calcio, ottenuto dai calcari dei dintorni e alla forza elettrica, ivi condotta dalle vicine cascate del Cherca. V'è pure una fabbrica di concimi chimici, e un'altra di pesce conservato a Rogoznica, a NE. della città.
Porto frequentato dalla navigazione a vapore italiana e croata, il suo bacino antistante, chiuso e riparato, rappresenta un'ottima base navale per la marina da guerra iugoslava, come già per quella austro-ungarica. La città è in comunicazione col retroterra di Tenin attraverso la ferrovia che unisce la città a Spalato e alla rete ferroviaria iugoslava.
Sede di tribunale e di circondario, fa parte del banato del Primorje del regno di Iugoslavia.
Monumenti. - All'imbocco del canale di S. Antonio s'erge dalle onde il forte veneziano S. Nicolò (1546), bella e, allora, formidabile opera militare, classica, di G. G. Sanmicheli, nelle cui umide casematte languirono i patrioti italiani del 1821. Il maestoso leone di S. Marco, sovrastante al portale del forte, lavoro dello spalatino maestro Doimo, demolito dai Francesi nel 1805 e restituito dagli Austriaci nel 1824, fu distrutto dai Serbi nel 1932. Le mura veneziane, in parte ancora visibili, con qualche leone sfuggito ai vandalismi del 1932, salgono dal mare e racchiudono la città quasi in un triangolo. Sul vertice di questo è l'antico forte S. Anna, oggi nella parte inferiore camposanto; inizialmente si chiamava S. Michele (il protettore e stemma della città) fino al 1221, quando i cittadini lo distrussero cacciandone il signorotto slavo Domaldo e affermarono la libertà del municipio. Poi, contro i Turchi, si costruirono più alti i forti veneziani S. Giovanni e "Il Barone". Fuori le mura la città si estese con i borghi, cinti poi di altre mura, abitati da contadini slavi, rifugiatisi dai Turchi. Le porte Marina e di Terraferma, scomparse alla fine del secolo XIX, erano sormontate da artistici leoni (ora nel museo di Zara).
Nel dedalo delle viuzze (calli e rue, da rughe, venezianamente) arrampicantisi sul colle, strette e spesso a scale, e nella "calle larga" congiungente le due porte della città e terminante verso Porta Marina nella bella Piazza dei signori oppure del duomo, si ammirano palazzi patrizî in stile veneziano (notevoli la Ca' d'oro, ossia palazzo Foscolo e il palazzo di Giorgio Orsini, con le insegne di questo sommo architetto scolpite sul portale) e alcune chiese, fra cui, importantissimo punto di partenza nella storia artistica e il più bel capolavoro di transizione dall'ogivale nel primo Rinascimento italiano, il duomo: un gioiello di architettura e di scultura tutto in marmo. Subito dopo la dedizione delle città dalmate a Venezia (1409-20), nell'era di pace e di benessere, Sebenico gareggia con le città vicine a progredire e ad abbellirsi: il comune ordina la selciatura della piazza e della calle larga, di pietre bene squadrate le facciate dei palazzi prospicienti, l'acquedotto con la sua Cisterna Magna (le 4 vere di pozzo con il leone di S. Marco presso la Piazza del duomo); e d'accordo con il vescovo affida la ricostruzione della vecchia basilica di S. Giacomo, duomo, nel 1431, ai maestri veneziani Francesco di Giacomo, Lorenzo Pincino e Ant. Busato, che fanno il primo piano del corpo anteriore in elegante stile ogivale, con due portali a tabernacoli cuspidali (vi sono adoperate alcune sculture della primitiva basilica romanica: un leone, Adamo ed Eva, alcune colonnine; una di queste, rifatta nel 1850-60, riproduce in due medaglioni le teste di Vittorio Emanuele II e di G. Garibaldi); ma nel 1441 la città, non soddisfatta dei lavori, vuole riaperto il concorso per farli continuare da altri; lo vince Giorgio Orsini da Zara (lavorava allora a Venezia con i Bon), il quale sul primo piano anteriore veneziano, innesta mirabilmente lo stile nuovo, da lui appreso nello studio delle opere dioclezianee di Spalato, con la crociera, il corpo absidale, l'originale copertura delle navate e della crociera in nobilissime forme ormai classiche. Caratteristico il fregio di 76 teste umane lungo la cornice del basamento absidale esterno. Morto Giorgio, continuarono la sua opera i discepoli Niccolò Fiorentino (molte sue sculture ornamentali nell'interno) e Andrea Alessi (suoi lavori nel battistero e in sacrestia), ma sempre sui progetti e sui modelli lasciati da Giorgio; qui fecero i primi passi anche i Laurana (v.) e Giovanni Dalmata (v.). La chiesa di S. Maria di Valverde della confraternita della misericordia è opera di Niccolò Fiorentino (1502). Zuane di Pribislao, pure allievo di Giorgio, costruisce la bella scalea aperta della chiesa di S. Giovanni Battista già della Trinità (l'orologio sulla torre è dono del procuratore veneziano Leonardo Foscolo dopo la vittoria sui Turchi, 1648) e una cappella nell'antica chiesa della confraternita dei Ss. Nicola e Benedetto, ora S. Barbara, ricostruita con parte delle antiche sculture immurate. La chiesa di S. Francesco e il convento, fondato nel 1229, distrutti nel 1321 dal bano croato Mladino, ricostruiti subito dal vescovo di Traù, Grisogono dei Fanfogna, poi rifatti nei tempi barocchi, conservano alcuni resti architettonici e sculture del sec. XIV. Interessante il soffitto barocco di legno a cassettoni, rosoni e lacunari con buoni dipinti della scuola del Tintoretto. Ricordiamo le chiese di S. Domenico e di S. Salvatore. Belle croci processionali e oreficerie sono nelle Chiese di S. Spirito e di S. Croce. L'episcopio è in massima parte rifatto. La loggia grande in Piazza del duomo (1542), bell'opera di G. G. Sanmicheli, è ora la Casa degli Italiani. Della loggetta a mare e dei palazzi del comune, del conte e del camerlengo (sec. XV) e del Fondaco del grano rimane qualche resto negli stemmi sulle case nei pressi del duomo. Fuori Porta Terraferma: il teatro Mazzoleni, fino a dopo il 1920 proprietà degli Italiani di Sebenico, e i giardini con la sobria e bella statua di N. Tommaseo dello scultore E. Ximenes (1896).
Storia. - Sebenico sorge nell'alto Medioevo come agglomerato di Latini della vicina Scardona romana e di popolazione rustica slava, dedita in parte alla navigazione. Nella seconda metà del sec. XI è già abbastanza fiorente e costituisce un castrum. Agl'inizî del sec. XII, passa all'Ungheria e in questo secolo incominciano anche a maturare i germi dai quali a poco a poco si sviluppa il comune. È evidente in questo tempo un'autonomia di azione che si esplica particolarmente sul mare concretandosi anche nell'esercizio della pirateria. Si manifestano contemporaneamente resistenze alla dipendenza ecclesiastica da Traù. L'autonomia è realizzata finalmente nel 1221, quando, dopo il rovesciamento del conte Domaldo (1200 circa-1220), Andrea re d'Ungheria (il diploma del 1167 di re Stefano non è certamente autentico), riconosce a Sebenico le prerogative degli altri comuni dalmati. L'ultimo perfezionamento è dato dalla costituzione della diocesi sebenicense, eretta da Bonifacio VIII con bolla del 1° maggio 1298. Lo sviluppo del comune avviene in forme schiettamente italiane, sull'esempio degli altri comuni dalmati, che a Sebenico non solo irradiano leggi e istituti, ma ne trasformano completamente la vita. Nel sec. XIV Sebenico è una città tutta italiana.
Nella lotta sviluppatasi al principio del Trecento fra i conti Subich, feudatarî croati, e i comuni italiani della Dalmazia, Sebenico è dalla parte dei comuni. Quando la lotta si acuisce a tal segno da costringere i comuni a scegliere tra i Subich e Venezia, Sebenico sceglie Venezia, alla quale si dà il 1° marzo 1322, e sotto la quale rimane sino al 1357, distaccandosi il 14 dicembre, quando Lodovico d'Angiò era in atto di strappare la Dalmazia a Venezia. Durante la guerra di Chioggia, il 4 ottobre 1378, fu attaccata ed espugnata da Vettor Pisani, rimanendo tuttavia, in base alla pace di Torino (24 agosto 1381), sotto l'Ungheria. Morto Lodovico (11 settembre 1382), nel turbinio di lotte che si sviluppò, conobbe successivamente la sovranità o il dominio di Elisabetta e Maria regine d'Ungheria (1382-1390), di Tvarco re di Bosnia (1390-91), di Sigismondo d'Ungheria (1391-1402), di Ladislao di Napoli (1402-1408), nuovamente di Sigismondo, sino a che, per rinnovata dedizione, non tornò durevolmente a Venezia il 30 ottobre 1412. Il dominio veneziano, durato ininterrottamente sino alla caduta della Repubblica (1797), apportò pace, benessere e rigogliosa fioritura d'arte, di studî e di pensiero. Particolarmente splendido fu il Rinascimento: ricorderemo soltanto la costruzione del duomo (v. sopra), e, nel campo degli studî, gli umanisti Giorgio Sisgoreo e Ambrogio Micheteo. Nella seconda metà del sec. XV incomincia la pressione turca, che si aggrava verso il 1500 e diventa una continua minaccia dopo il 1522, quando i Turchi s'insediano durevolmente nella vicina Scardona. Ha inizio allora la trasformazione di Sebenico in munitissima piazzaforte, alla quale lavorano i più insigni condottieri e ingegneri militari di quel tempo: Malates'ta Baglioni e i due Sanmicheli. Così fortificata, pure subendo danni ingenti nell'agro, Sebenico resistette a tutti gli assalti turchi, particolarmente a quello sferratole nel 1647 dal pascià di Bosnia. Dopo il 1797 e sino al 1805, passò, con la restante Dalmazia all'Austria, che nel 1799-1800, nei forti eretti dai Sanmicheli, deportò un numeroso gruppo di patrioti cisalpini; dal 1806 al 1809 fece parte del Regno d'Italia napoleonico; dal 1809 al 1813 del governo delle provincie illiriche. Iniziatasi nel 1813 la seconda dominazione austriaca fu pronta quant'altre mai, anche per l'orgoglio che le derivava dall'esser patria di Niccolò Tommaseo, ad accogliere ed elaborare gli spiriti del Risorgimento nazionale e a parteciparvi intensamente. Ciò affrettò e rincrudì la reazione austro-croata che, violentemente, tolse nel 1873 il comune agl'Italiani. Dopo la grande guerra, in forza del patto di Londra, fu occupata dalle truppe italiane, ma nel trattato di Rapallo fu ceduta alla Iugoslavia e consegnata il 13 giugno 1922. (V. tavv. XLIX e L).
Bibl.: Volumen statutorum, legum et reformationum civitatis Sibenici, Venezia 1608; G. Lucio, Historia di Dalmatia er in particolare delle città di Traù, Spalatro e Sebenico, Venezia 1674; D. Farlati, Illyricum sacrum, IV, Venezia 1769, p. 449 segg.; F. A. Galvani, Il Re d'Armi di Sebenico, voll. 2, ivi 1883-1884; U. Inchiostri, Sul diritto statutario di Sebenico durante la dominazione veneta, in Ateneo veneto, gennaio-marzo 1893; V. Miagostovich, Per un diario sebenicese (doc. dal 1348 al 1519), in Rivista dalmatica, IV (1907), fasc. 1°, pp. 9-25 e fasc. 2°, pp. 161-189; V. fasc. 1 pp. 25-51 e fasc. 2°, pp. 255-95; id., Per una cronaca sebenicese (doc. dal 1442 al 1486), in Nuovo archivio veneto, n. s., XXV, Venezia 1913; A. Alacevich, Pagine della storia di Sebenico, Sebenico 1920; U. Inchiostri, Codici inediti di storia sibenicense, in Archivio storico per la Dalmazia, III, fasc. 29 (agosto 1929), pp. 211-28. Molti articoli di storia municipale sono inseriti in Il nuovo cronista di Sebenico, voll. 5, Trieste 1893-98, redatto da V. Miagostovich, e nel Folium dioecesanum organon Curiae episcopalis Sibenicensis, Sebenico 1882 segg., redatto da G. A. Fosco; T. G. Jackson, Dalmatia, the Quarnero and Istria, voll. 3, Oxford 1887-1889; A. Venturi, Storia dell'arte ital., Milano 1901 segg., passim; A. Dudan, La Dalmazia nell'arte italiana, Milano 1921, volumi 2; Dalmat. Bau- und Kunstdenkmale. Sebenico, Vienna 1927.