Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il processo di secolarizzazione, che coinvolge l’Europa del XIX secolo, segna in profondità la sua storia, trasformando la società in maniera decisiva. Lo Stato, nella maggior parte dei casi, si rende autonomo dalla religione e dalla sua morale, passando da uno Stato confessionale a uno Stato neutro, anche in quei casi, come la Gran Bretagna, in cui rimase fermo il concetto di religione di Stato. Allo stesso tempo le diverse religioni e confessioni protagoniste della storia europea sono costrette a confrontarsi con questo processo reagendo con politiche di intransigente rifiuto di ogni compromesso con la modernità o aprendosi a essa in cerca di una mediazione possibile: tutte (conservatrici e progressiste) però mutano radicalmente il proprio volto.
L’inizio dell’“età secolare”
Il XIX secolo è per l’Europa il principio di quella che è stata definita “età secolare”. Il processo di secolarizzazione, infatti, che non prende in realtà avvio in quest’epoca, vive una improvvisa e decisiva accelerazione alla fine del Settecento per poi estendersi e stabilizzarsi nel corso dell’Ottocento.
Il 26 agosto 1789 l’Assemblea Costituente francese approva la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino il cui articolo 10 recita: “Nessuno può essere molestato per le sue opinioni, anche religiose”. Al di là di alcune difficoltà interpretative, l’introduzione di questo articolo nel documento rivoluzionario apre una “breccia”: “riducendo le convinzioni religiose al livello delle opinioni ed estendendo alle confessioni il beneficio della libertà di scelta ammessa per quelle, la Dichiarazione scioglieva il legame storico tra cattolicesimo e la società politica” (Remond).
Il processo di secolarizzazione innescato dalla Rivoluzione francese non è immediato, ma le idee si diffondono in tutta Europa al seguito degli eserciti rivoluzionari prima e napoleonici poi. La Restaurazione post-napoleonica, che cerca di ristabilire le condizioni politiche precedenti, non riesce però a sradicare i principi racchiusi nella Dichiarazione, che, se non rappresentano un vero e proprio inizio della laicità, minano le fondamenta su cui si fonda la relazione tra religione e società.
Agli inizi del XIX secolo l’Europa si presenta profondamente divisa da un punto di vista religioso: la mappa religiosa dell’Europa vede dunque Paesi cattolici (Francia, Italia e Spagna), luterani (Svezia e gran parte delle regioni della Germania), riformati (i Paesi Bassi), anglicani (l’Inghilterra), ortodossi (Russia, Grecia e regioni balcaniche). Le politiche di secolarizzazione che coinvolgono l’intero continente a partire dall’Ottocento sono diverse nelle varie aree sia per gli effetti che per i tempi, a seconda non solo delle distinte condizioni politiche, ma anche delle diverse confessioni professate, così come diverse saranno le reazioni a questo processo da parte delle autorità religiose.
Il processo di secolarizzazione si sviluppa comunque progressivamente in tutta Europa parallelamente all’emergere e all’affermarsi delle idee liberali, che vedono nella religione e nelle diverse confessioni un aspetto della vita privata dei cittadini degli Stati.
La fine delle discriminazioni religiose
La trasformazione dello Stato confessionale comincia, in particolare, con l’attenuazione delle discriminazioni politiche e sociali di coloro che professano fedi diverse da quella ufficialmente riconosciuta dall’autorità politica.
Le discriminazioni confessionali erano presenti in tutti i Paesi europei, dalla Gran Bretagna anglicana, dove i protestanti radicali, i cattolici e gli ebrei sono esclusi da ogni partecipazione politica e sociale, alla Francia cattolica, dalla Prussia luterana alla Russia ortodossa. L’apertura verso il riconoscimento delle minoranze religiose si sviluppa in modi diversi: attraverso un lento processo legislativo, guidato per la maggior parte dai partiti liberali, come in Gran Bretagna, o in modo più immediato e quasi brutale, come nella Francia di Napoleone. Il risultato comunque è l’affermazione di una progressiva e stabile tolleranza verso tutti i culti professati dai cittadini nei singoli Stati, senza alcuna preclusione. Ai cattolici, nei Paesi protestanti, ai protestanti nei Paesi cattolici e agli ebrei in tutta Europa, viene concessa una piena partecipazione alla vita politica e sociale del Paese in cui risiedono, partecipazione che consiste non solo nel pieno godimento dei diritti politici senza l’obbligo di convertirsi alla religione ufficiale, ma anche nella possibilità di frequentare le istituzioni statali come scuole e università.
Il passo successivo è l’abolizione dell’obbligo legale delle disposizioni legate ai culti e alle pratiche della religione dello Stato. Avendo concesso libertà di culto a tutte le fedi presenti nello Stato si pone il problema di come attribuire a tali culti un valore legale pari a quelli ufficiali, questione che per esempio riguarda il matrimonio o i funerali. Gli Stati affrontano il problema imboccando due strade differenti: o istituendo registri particolari per ciascuna fede, o introducendo registri validi per tutti, al di là della specifica fede, e di pertinenza esclusiva dello Stato. Un registro unico per tutti i matrimoni di tutte le fedi, per esempio, apre la strada all’istituzione di un matrimonio civile, a cui tutte le religioni presenti nello Stato devono aderire. Paesi come la Francia prendono questa seconda via, sancendo di fatto una separazione tra gli atti religiosi e gli atti amministrativi, che registrano i momenti più importanti della vita di un individuo, nascita, matrimonio, morte. Tale separazione indebolisce naturalmente anche il ruolo che l’establishment religioso ha nella vita dei cittadini di uno Stato.
Il cattolicesimo
Il cristianesimo, nelle sue diverse forme e confessioni, reagisce alla perdita di centralità nella vita sociale e politica dei singoli Stati in modo diverso. La Chiesa cattolica risponde violentemente contro quelle idee e filoni di pensiero che, fin dal secolo precedente, avevano contribuito a scardinare definitivamente la struttura ecclesiastica figlia della Controriforma. A livello del dibattito intellettuale e filosofico, numerosi sono i pensatori cattolici che rifiutano integralmente i presupposti sui quali si fondano i processi di secolarizzazione, e ribadiscono la centralità della Chiesa, dei suoi dogmi e della sua morale nella vita della società. In alcuni casi è la modernità nel suo complesso che viene scelta come obiettivo polemico, contrapponendole invece la tradizione. Il papato, in particolare nella figura di papa Pio IX, attraverso il Sillabo (1864) e le decisioni prese al Concilio Vaticano I, ribadisce da parte sua la centralità di una Chiesa cattolica fondata sulla sua tradizione millenaria e sulla infallibilità della sua guida, il pontefice.
Nelle diverse comunità cattoliche sparse per l’Europa si reagisce in modo differente al progressivo avanzare dello Stato. Una prima modalità, che trova convinti sostenitori sia in Germania che in Francia, è l’ultramontanismo, vale a dire l’idea che le comunità cattoliche del continente debbano dipendere in modo più diretto dal papa e da Roma. In alternativa all’intransigenza di coloro che tendono a puntellare il ruolo della Chiesa di Roma negli Stati che si vanno secolarizzando, altre correnti sono più inclini ad accettare un confronto con la modernità. Una prima posizione intende ricostruire la legittimità della Chiesa all’interno della società attraverso la fondazione di partiti politici capaci di fronteggiare le nuove formazioni liberali e socialiste. Altri, invece, organizzano associazioni capaci di affrontare i disagi sociali provocati dall’impetuoso sviluppo della rivoluzione industriale, anticipando le posizioni che il papa Leone XIII assumerà nel 1891 con l’enciclica Rerum Novarum.
Il protestantesimo
Il protestantesimo, dati i peculiari vincoli che lo legano al potere politico negli Stati nei quali è maggioritario e dato il rapporto che dalla sua fondazione ha istituito tra l’autorità divina e la morale, compie un percorso diverso. In Francia, per esempio, i protestanti, dopo la parentesi di intolleranza seguita all’abrogazione dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV, nel 1685, con la rinnovata legittimazione del loro culto durante la Rivoluzione, sono impegnati in primo luogo a ricostruire le istituzioni della loro comunità. Diverso è il discorso in Stati dove il protestantesimo è la religione di Stato e dove le politiche di secolarizzazione della società minano la sua autorità. In questi casi la resistenza in difesa delle proprie prerogative è più forte. Un elemento comune a tutte le aree protestanti è però il fenomeno dei “risvegli”. Tali nuove forme di religiosità, che si contrappongono alle Chiese istituzionalizzate (considerate “dormienti”), cercano non solo di adattare la loro fede alla modernità, ma anche e soprattutto di reagire alle nuove sfide che la modernità stessa sta ponendo. Sviluppatesi in modi e tempi diversi in tutta Europa, i risvegli sono caratterizzati da “un intenso fervore religioso accompagnato da numerose conversioni e profondi cambiamenti di vita” (Rubboli). Ma i movimenti nati all’interno di questi fenomeni, che fanno riferimento più alle Chiese riformate non conformiste e ai metodisti, si impegnano anche a fronteggiare i nuovi disagi sociali che l’industrializzazione porta con sé, interesse che viene accompagnato da un’intensa attività di evangelizzazione.
L’ebraismo
Per la religione ebraica, la seconda per importanza in Europa, il processo di secolarizzazione costituisce un’occasione storicamente unica. Per la prima volta, infatti, gli ebrei non solo vengono riconosciuti al pari dei fedeli al cristianesimo, ma viene data loro piena legittimità giuridica come cittadini, senza l’obbligo della conversione. La sfida che l’ebraismo si trova ad affrontare nella modernità, senza più le porte del ghetto come confine che lo separa dal resto della società, provoca al suo interno un dibattito lacerante che porta a profonde divisioni. È in questo periodo, infatti, sotto la progressiva azione delle politiche secolarizzatrici, che alcuni intellettuali ebrei, come Moses Mendelssohn, pongono la questione della necessità per la loro religione di aprirsi alla modernità. Questa posizione, che abbraccia le idee illuministiche di libertà, tolleranza e individualismo e rifiuta la superstizione, sorge nel secolo precedente, ma acquista progressivamente sempre più forza quando la Rivoluzione francese prima e le politiche napoleoniche poi, tramutano tali idee in concrete pratiche politiche. Date tali premesse la riforma della religione ebraica incide su tutti gli aspetti dell’ebraismo tradizionale: abbandona le preghiere per la venuta di un Messia personale, si avvicina alle moderne tecniche di critica alla Bibbia, ripensa il suo rapporto con la legge (l’halakhah), rifiutandone la cristallizzazione e sostenendo la sua adattabilità al tempo presente (rivelazione progressiva).
Conclusioni
L’ebraismo riformato si sviluppa in tutta Europa, seguendo le direttrici attraverso le quali la secolarizzazione avanza, provocando la durissima reazione degli ebrei che vogliono rimanere fedeli alla tradizione. Anche questa parte dell’ebraismo, che a partire dal 1806 viene definito ortodosso, ripensa la propria fede e il proprio culto in opposizione alla modernità. Pur non costituendo un movimento unitario, date le molteplici appartenenze in cui è diviso l’ebraismo europeo, esso riafferma la centralità della Torah, “data dal cielo”, e della halakhah, derivata da una rivelazione a cui gli ebrei si devono conformare secondo l’interpretazione datane dall’autorità rabbinica. Anche all’interno di questa corrente, però, non mancano contrasti e divisioni, come quella che oppone i chassidim, nati nell’Europa orientale nel XVIII secolo e sostenitori di pratiche di meditazione mistica, e i mitnaghenim, al cui centro c’è la yeshivah (collegio talmudico), in cui si studiano i testi giuridici del Talmud e la letteratura rabbinica.