SEMANTICA (fr. sémantique; ted. Bedeutungslehre; ingl. sematology)
Parola foggiata, dal gr. σημαντικός, attraverso una σημαντική [τέχνη] (M. Bréal), per indicare lo studio degli elementi significativi del linguaggio, in contrapposto a quelli fonici. Il termine venne presto, ed è tuttora, usato comunemente, come equivalente di semasiologia (A. Reisig): designa cioè lo studio della funzione significativa della parola in contrapposto a quella morfologica e sintattica (analogamente semantema indica l'elemento di ciascuna parola cui è affidata questa funzione significativa in opposizione a fonema, morfema). La semantica fa parte della linguistica generale e trae i suoi materiali dalla lessicografia delle singole lingue.
Si dice significato il fatto che la materia fonica del linguaggio, per un fondamentale processo di obiettivazione, acquisti la capacità d'indicare ciò che il soggetto esprime intorno alla realtà che lo circonda, quasi simbolo, o segno di essa. Il pieno e concreto significato espressivo si ha soltanto entro la sintesi della frase, unità irreducibile del linguaggio umano. In questa sintesi, subordinati in vario grado all'unità espressiva di essa, l'individuo distingue analiticamente singoli elementi del pensiero cui, per la natura collettiva del linguaggio, fa corrispondere altrettanti elementi colti dal linguaggio altrui, che di volta in volta riconosce come adatti a determinarsi nella sintesi del suo discorso. Ne segue che il linguaggio in generale è significativo non in quanto rappresenti, ma in quanto evochi il pensiero, e che analiticamente un "segno" non ha un significalto determinato, ma un campo significativo che lo rende capace di assumere un valore concreto volta a volta entro l'espressività della frase. Questa capacità esiste linguisticamente, quando essa sia riconosciuta dall'uso (arbitrarietà dei segni), anche se nel segno sia andato obliterato ogni tratto (p. es. descrittivo) che direttamente evochi il pensiero significato.
L'antinomia fra sintesi e analisi si rispecchia in quella tra frase e parola: ora quanto più un elemento della frase è sentito come legato al tutto, tanto più la sua capacità significativa si riversa sul resto della frase e l'elemento tende a indicare semplicemente una relazione formale (il valore di suffisso che assume -mann (uomo) in Landsmann, Handelsmann); ciò nei nostri linguaggi grammaticalmente organizzati è accaduto, p. es., a tutti gli elementi i quali hanno una funzione morfologica. Inversamente quanto più un elemento è isolabile dalla frase, e ciò accade solitamente ai segni indicatori di una nozione, tanto più autonoma e piena mostra la sua capacità significativa. Queste premesse, mentre giustificano l'uso di semantica in senso ristretto, ci spiegano la difficoltà, sentita da tutti quelli che se ne occuparono, di trovare confini precisi alla semantica. Donde da una parte la confusione di problemi prettamente linguistici con altri prevalentemente filosofici, dall'altra la riduzione continua di problemi morfologici a problemi semantici (W. Porzig), nonché lo studio delle categorie semantiche (Marty, P. Meriggi), cioè il tentativo di graduare le parti del discorso secondo l'attitudine che esse hanno ad assumere una funzione significativa, massima nel nome, minore nel verbo e nell'aggettivo, minima nei pronomi e nelle congiunzioni.
In sede di semantica statica il significato fu studiato secondo il "valore" che ogni segno assume nel sistema linguistico, cioè nel complesso degli infiniti altri segni che costituiscono una lingua (F. De Saussure). Perché un segno sia significativo, oltre alla qualità sua fondamentale di simbolo, deve avere quella di essere distinguibile da qualsiasi altro segno. Un segno è distinguibile in quanto i confini della sua capacità significativa siano negativamente determinabili dalla sua opposizione ad altri segni che tra tutti quelli di una lingua possano venire particolarmente richiamati alla coscienza del parlante da una qualche affinità delle nozioni in essi denominate (albero è ciò che non è pianta, pioppo, pino..., cespuglio, erba..., fusto, tronco...; associazioni mnemoniche del De Saussure), mentre il campo significativo è precisato ulteriormente per mezzo di associazioni che il corpo stesso della parola susciti con altre a essa legata da rapporti di ordine funzionale (albero, alberello, alberata, inalberare), o da analogie di ordine fonetico (lat. praesul è semanticamente legato a consul con cui rima), determinato infine col far parte di un sintagma, cioè di quei frammenti di frase più o meno fissi (albero verde, albero alto, foresta di alberi, l'albero fiorisce, ecc.), che si estraggono per analisi dalla viva continuità del discorso altrui, lasciando cadere da questo tutti quegli elementi direttamente soggettivi (ritmo, complesso della frase, gesto, situazione, mentalità del parlante), che di volta in volta determinano concretamente l'unicità espressiva del significato. A un'ulteriore analisi, che a rigore è fuori dell'attività linguistica, i significati sintagmatici (padre di famiglia, padre cappuccino, buono come un padre), legati da una catena di associazioni, permettono l'estrazione di un elemento (padre) che prende impropriamente il nome di significato principale, perché pare contenere quelli sintagmatici come significati parziali corrispondenti a nozioni secondarie rispetto a quella comune di cui è segno. Entro un sistema, l'uso funziona infine da elemento discriminante del segno in quanto fra segni analoghi (sinonimi) determina la scelta su quello che corrisponde alla particolare tradizione linguistica (tono, stile) in cui il parlante intende di esprimersi (vacca e mucca, cefalalgia e mal di testa). Nei rapporti con la nozione il segno fu studiato in quanto la rappresenti (parole onomatopeiche, simbolismo fonetico: tin tin, bau bau; tintinnare, abbaiare), o ne contenga un'immagine descrittivamente evocatrice (lucciola, lat. luna "quella che splende", asciugamano, Wanduhr "orologio a muro"), oppure, la sua funzione sia puramente indicativa. Si mostrò pure che, con l'accumularsi dei significati sintagmatici, il segno raggiunge un massimo d'indeterminatezza (cosa, fare) che nell'uso vivo lo rende atto a esprimere valori prevalentemente sentimentali (le formole di cortesia: come stai?; tanto piacere!); se invece si restringe a un massimo di determinatezza (parole tecniche), giunge a sfiorare i limiti dell'attività linguistica e perdere ogni capacità significativa, riducendosi a indicare semplicemente l'esistenza di un individuo o di una cosa determinata (nomi proprî, titoli, annunci: ufficio imposte, negozio commestibili; F. Stenzel, F. Brunot).
La semantica è di preferenza evolutiva, studia cioè i mutamenti semantici cercandone le condizioni e le cause. Ogni ricerca evolutiva si fonda sul principio che il solo elemento costante del segno è una correlazione fra la parola significante e la nozione significata, e che quindi ciascun termine del segno può mutare indipendentemente dal suo correlativo (De Saussure). Ogni mutamento semantico può studiarsi come un mutamento di significato dal punto di vista della parola, o come un mutamento di denominazione dal punto di vista della nozione (le varietà di denominazioni che corrispondono a una nozione sono oggetto particolare della onomasiologia). I mutamenti della nozione riflessi nella parola portano a considerarle di ordine culturale (i significati che, nel latino tardo e medievale, il cristianesimo e il feudalesimo aggiunsero a quello classico di fidelis; penna di volatile che diviene penna d'oca, penna metallica, penna stilografica) difficilmente ordinabili nei quadri della semantica a meno che non siano ridotte a una grande generalità; p. es., l'obliterarsi di una nozione porta a un'indeterminatezza di significato (schiavo: le sono schiavo) e alla sparizione totale di parole e viceversa. Con maggior rigore sistematico la semantica tentò una classificazione e un' interpretazione del mutamento che riflette una diversa attitudine del soggetto parlante verso la nozione. Si cercò dapprima un criterio di ordine prevalentemente logico, si studiarono cioè i restringimenti e ampliamenti di significato (A. Darmesteter H. Paul, Kr. Nyrop) e si analizzarono logicamente le tradizionali figure retoriche. Andò poi prevalendo una considerazione psicologica (W. Wundt, A. Delacroix, G. Stern, A. Carnoy, con tentativi di una nomenclatura sistematica, H. V. Velten), fondata sul fatto che il parlante tra le varie connotazioni associate in una nozione ne senta una più importante dell'altra, ne aggiunga qualcuna di nuova, o passi a una nozione avente qualche tratto principale o secondario comune con l'antica, ecc. (καῦμα "calore": calma "bonaccia"; impiombare un dente: impiombarlo in oro; lat. villa "agglomerato di edifizî rustici": fr. ville "città"; paniere "canestro del pane": canestro; lat. albus "bianco": it. alba; catena: catena di monti; miele dolce: ricordo dolce). Lo studio di queste possibilità semantiche fu facilitato con l'ordinare le nozioni in gruppi associativi (Bedeutungssysteme di R. M. Meyer, Bedeutungsfelder; p. es. i numeri; nomenclatura della gerarchia militare, le parti del corpo umano), entro i quali i trapassi singoli delle rispettive denominazioni sono più probabili e suscettibili di una certa uniformità. Altri mutamenti dipendono da un cambiamento nella natura stessa del segno (p. es., pipio, segno onomatopeico, quindi rappresentativo in latino, non è che designativo nell'it. piccione, fr. pigeon), e particolarmente da questo punto di vista si studiano i trapassi da nome proprio a nome comune (B. Migliorini) e viceversa (v. onomastica; toponomastica). - Dal punto di vista della parola un mutamento di significato si ha quando subentri un mutamento nel suo valore entro il sistema, o per il variare di rapporti mnemonici (lat. paganus "borghese", contrapposto a fidelis "militare", quando fidelis diventa "cristiano" viene a significare "non cristiano"; il fr. polir significando gergalmente "rubare", fourbir viene a dire pure "rubare" [questo tipo di estensione per parziale identità di significato, quando avviene per influsso di termini alloglotti si dice calco: p. es., lat. dominus "signore", prende il significato di "Signore" perché traduce κύριος che aveva l'uno e l'altro]), o per l'agire di rapporti associativi diretti (etimologia popolare), o per il variare di rapporti sintagmatici: il formarsi di un sintagma costante segna in generale una diminuzione nel valore significativo di uno dei termini a profitto dell'altro o dell'insieme (cinematografo: cine; lat. rem: "cosa": fr. rien: "nulla"). Le associazioni formali entro il sistema sono poi il mezzo con cui si provvede per solito alla creazione di vocaboli nuovi (derivazione: autista da auto, come macchinista da macchina); infine eccessive interferenze di combinazioni sintagmatiche che nascano in forza di qualche mutamento di significato favoriscono la sostituzione di una delle due parole divenute omonime. - All'elemento sentimentale fu riconosciuta una parte importante in questi mutamenti (H. Sperber, K. Jaberg), perché acuisce le facoltà associative attraverso cui essi avvengono (ciò è particolarmente visibile nei mutamenti gergali), o perché, conducendo, per ragioni di convenienza, di superstizione, di attenuazione a evitare certi vocaboli (parole tabu; A. Meillet), conferisce ai loro sostituti (eufemismi) un valore peggiorativo (εύμενίδες "le benigne": le Furie; mancare "morire"), o viceversa, spingendo all'iperbole, conduce ad attutire il valore significativo (meravigliosamente bello: molto bello), o appunto perché si accentui il lato sentimentale di un significato (il senso peggiorativo di facchino, borghese, filisteo; quello laudativo di I Pezzenti, Les Misérables). Accanto a queste cause di carattere psicologico, altre se ne allinearono di carattere sociale, cioè derivanti dalla natura collettiva del linguaggio (Meillet): non solo una lingua provvede a rifornirsi di termini nuovi da altre lingue (riflettendo correnti di civilizzazione - gli americanismi delle lingue europee: cacao, patata - e di cultura - i grecismi del latino cristiano), ma un rifornimento e uno scambio continuo si ha fra strati sociali diversi di una stessa lingua; è un continuo fluire e rifluire di parole che segnano particolari vicende culturali, come l'adozione di termini tecnici da un determinato ceto, o la preponderanza di un ambiente sociale in un dato momento (sostituzioni come quella del lat. dicere con termini più concreti ed espressivi del lat. volgare come parabolare [it. parlare], fabellare, narrare [sardo: nárrere], sono segno di un prevalere nella lingua di ambienti più popolareschi). Ora gran parte dei mutamenti fin qui esemplificati avvennero in questi scambî interni, ciascun ambiente corrispondendo a una caratteristica differenza di nozioni e di valori linguistici. A questo proposito, anzi, si formularono osservazioni generali: una parola passando da un ambiente ristretto a uno più largo, allarga la sua capacità semantica, e nel caso inverso la restringe; più un ambiente è ristretto, e quindi forte la sua tradizione linguistica, più facilmente un mutamento di senso è comprensibile e vi ha corso (di qui l'audacia metaforica della lingua gergale).
La semantica, nata nella ricerca di una legge generale (M. D. Whitney) che le prestasse una base obiettiva, conserva ancora oggi un resto di questo intento (Meyer, Meriggi); assunse poi un indirizzo nettamente psicologico, come tutta la linguistica generale, e come questa risente di un ibridismo congenito, classificando empiricamente come oggetto di scienza un materiale avulso dalla storia particolare di ciascuna lingua e di ciascun individuo storicamente concreto. Conseguenza di questo ibridismo è l'impossibilità di una trattazione sistematica e l'eterogeneità confessata (Stern, Meillet) delle "cause" del movimento semantico, ora di carattere psicologico e puramente linguistico, ora di carattere culturale e sociale. Ma alcuni tentativi, come quello di concepire tutti i movimenti semantici sotto un principio unico (che è: le possibilità psicologiche del mutamento hanno un limite nella comprensibilità, cioè diminuiscono quanto più si allontanano dal sistema linguistico corrente), o i tentativi di graduare i mutamenti linguistici secondo la coscienza che ne hanno i parlanti (Jaberg, Carnoy), che va dal grado nullo di chi non si accorge di innovare, sino alla volontà di innovare (come in chi foggia una parola nuova) per un bisogno di chiarezza concettuale o espressiva (il cui mezzo solitamente, ma non necessariamente, è un'immagine; di qui il colorito pittoresco di certe parole e la possibilità che esso venga direttamente sfruttato nella viva sintesi del discorso a fini estetici), portano a concepire il movimento semantico, al pari di tutto il movimento linguistico, come il risultato di successivi momenti di adesione fra l'individuo e la lingua, in quanto l'individuo componga la sua libera espressione linguistica con elementi che egli trae dalla tradizione perché li sente in quel momento come suscettibili di una perfetta equivalenza con elementi del suo pensiero in base a uno di quei processi associativi qui descritti come "cause" psicologiche del mutamento. Nella continuità della tradizione una parola è quindi vecchia e nuova a un tempo, e il sentimento di usare una parola nuova (innovazione) si ha quando per ragioni culturali si determina nella personalità del parlante il bisogno di staccarsi dalla comune tradizione. Ma a questo modo, in sede di linguistica storica, la semantica s' identifica con la storia della parola (v. etimologia) e si riduce a pura storia, vista attraverso la lingua.
Bibl.: A. Darmesteter, La vie des mots, 4ª ediz., Parigi 1893; M. Bréal, Essai de sémantique, 5ª ediz., ivi 1911; J. M. Rozwadowsky, Wortbildung und Wortbedeutung, Heidelberg 1904; R. M. Meyer, Bedeutungssysteme, in Zeitschrift f. vergleichende Sprachforschung, XLIII (1910), pp. 352-68; R. Meringer, in Wörter und Sachen, III (1911), pp. 2-56, VII (1921), pp. 21-32; A. Meillet, Comment les mots changent de sens, in Linguistique historique et ling. générale, Parigi 1921; B. Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Roma 1927; H. Sperber, Einführung in die Bedeutungslehre, Bonn 1923; A. Carnoy, La science du mot, Lovanio 1927; G. Stern, Meaning and change of meaning, in Göteborg Högskolas Arsskrift, XXXVIII (1932), pp. 1-456; H. V. Velten, in PMLA (Publications of the modern language Association), XLVIII (1933), pp. 608-22, e in Indogermanische Forschungen, LIII (1935), pp. 1-21; P. Meriggi, Sulla Semantica, in Archivio glottologico italiano, XXVI (1934), pp. 65-103; W. Porzig, in Atti del III Congresso int. dei linguisti, Firenze 1935, pp. 291-301; M. D. Whitney, The life and growth of Language, Londra 1872; H. Paul, Prinzipien d. Sprachgeschicte, 2ª ed., Halle 1886; W. Wundt, Völkerpsychologie, I-II, Lipsia 1904; F. De Saussure, Cours de ling. théorique, 2ª ed., Parigi-Losanna 1921; J. Vendryes, Le langage, Parigi 1921; F. Brunot, La pensée et la langue, ivi 1928; A. Delacroix, Le langage et la pensée, 2ª ediz., ivi 1930; Ch. Bally, Ling. générale et ling. franåaise, ivi 1932; J. Jespersen, Linguistica, Copenaghen 1933; J. Schrijnen, Handleiding bij de studie der veregl. Taalwetenschap, Leida 1924; A. Pagliaro, Sommario di ling. arioeuropea, I, Roma 1930; A. Reisig, Lateinische Semasiologie, 3ª ed.; M. Leumann e J. B. Hofmann, in F. Stolz e J.-H. Schmalz, Lateinische Grammatik, 5ª ed., Monaco 1928; I. B. Greenough Kittredge, Words and their ways in English Speech, New York 1901; K. O. Erdmann, Die Bedeutung d. Wortes, 2ª ed. 1910; Kr. Nyrop, Grammaire d. la langue franåaise, IV, Copenaghen 1913; K. Jaberg, Pejorative Bedeutungsentwicklung im Französischen, in Zeitschrift f. romanische Philologie, XXV, XXVII, XXIX. Larghi riferimenti bibliografici in Carnoy, Jaberg, Nyrop, Stern e in C. Collin, Bibliogr. Guide to Sematology, Lund 1915.