SEMANTICA (XXXI, p. 334; App. III, 11, p. 692)
L'elaborazione di una teoria complessiva del significato linguistico aveva trovato, ai principi del Novecento, un notevole contributo da parte di F. de Saussure nel Cours de linguistique générale (pubblicato per la prima volta dai suoi allievi Ch. Bally e A. Sechehaye, Parigi 1916), in cui, mentre da un lato si approfondisce l'indipendenza del signifié dal signifiant all'interno del segno linguistico (indipendenza tutta ontologica, ché anzi sul piano storico dei parlanti la connessione è di necessità), dall'altro è chiarito il carattere precipuamente linguistico del significato - inteso come "valore" di una parola rispetto a tutte le altre che con essa possono entrare in rapporto -, quale segmentazione e strutturazione del dato del continuum percettivo dell'esperienza nelle forme assunte dai lessici delle singole lingue storiche.
Così lo studio del significato viene rivendicato, tanto in generale che al livello di ciascun momento linguistico, come di per sé valido, in quanto sganciato sia dalla controparte fonetica che dal referente esperienziale.
Da queste posizioni si muoveranno quanti, nella linguistica dell'ultimo cinquantennio, vorranno approfondire il problema semantico: anche se già negli anni Trenta è possibile assistere a una notevole divaricazione tra gli studiosi più importanti (e le correnti o scuole che ad essi si rifaranno).
Oltre oceano, la scuola strutturalista americana, soprattutto nell'opera del suo massimo esponente, L. Bloomfield, sovrappone alle acquisizioni saussuriane i canoni più rigidi del modello behavioristico di provenienza psicologica, giungendo a identificare il significato di un atto linguistico qualsiasi con la stessa situazione in cui vengono a interagire la persona che produce il messaggio e la persona che lo riceve. Ma poiché tale situazione muta in continuazione (anzi in concreto non si dà la possibilità di trovare due atti linguistici perfettamente uguali, come aveva già rilevato Saussure a proposito della distinzione tra langue e parole), un'analisi del significato che non voglia essere approssimativa o impressionistica diventa presso che impossibile: è il cosiddetto "rifiuto" di parte bloomfieldiana" di occuparsi del significato, di cui non si può "fare scienza", per limitarsi invece a quello di cui si può (la fonologia e la morfosintassi: siffatto rifiuto causerà non poche incomprensioni al riguardo tra gli studiosi americani, se un'opera del 1923, The meaning of meaning di C. Ogden e I. Richards, dove la lezione saussuriana non è del tutto recepita, riporterà del pari un così largo successo da avere ancora una 10ª edizione nel 1949).
In Europa invece, posizioni meno rigidamente precostituite permettono una serie di acquisizioni talora anche di notevole portata. È il caso della teoria dei campi semantici (che vengono distinti in campi più propriamente linguistici, o campi lessicali, e campi concettuali), cioè il sottoinsieme di quei significati, legati a specifiche aree concettuali, tra i quali la lingua viene a stabilire, all'interno del proprio "lessico", particolari reciproche interconnessioni: così è per il campo semantico della "conoscenza" nel vocabolario tedesco del sec. 13° studiato da J. Trier nel 1931. È ancora il caso dei tentativi di analisi del significato - come si era già fatto per il significante - in unità minime: le basi teoriche sono state lucidamente espresse per la prima volta dal danese L. Hjelmslev (in Omkring sprogteoriens grundlaeggelse, Copenaghen 1943, e poi, nel 1959, nell'articolo Pour une sémantique structurale), ma le applicazioni non sono state numerose, e anche le divergenze terminologiche ne sono una spia: come accade per la denominazione della stessa unità minima di significato, chiamata prima semantema, poi, nell'uso più recente, ora semema ora sema (e non sempre sinonimicamente).
Il più cospicuo tentativo è quello di L. J. Prieto (1964) che vuole "gettare le fondamenta della teoria funzionale del significato, vale a dire d'una teoria che parta da quel fatto concreto che è il senso e lo studi dal punto di vista del contributo della fonia al suo stabilirsi": teoria che egli chiama noologia (dal termine noema con cui si designa un insieme massimo di tratti componenti il significato di un enunciato e in rapporto, nella lingua data, di reciproca implicazione).
Sempre in Europa, nell'ambito più generale della linguistica storica, veniva portato avanti, autonomamente anche se spesso parallelamente a quanto avveniva per la teoria semantica sincronica, l'approfondimento dell'indagine teorica in campo semantico anche a livello diacronico (si ricorderà che proprio per definire lo "studio delle trasformazioni del senso" attraverso la storia M. Bréal aveva coniato nel 1883 il termine semantica). Basterà citare uno dei più cospicui contributi fra quelli apparsi di recente, quello di S. Ullmann (1962) che, riassumendo e approfondendo le ricerche dei suoi predecessori (tra i quali illustri comparativisti come il Meillet), arrivava a centrare problemi come quello della "motivazione" del significato delle parole all'interno di un dato sistema linguistico (concetto già adombrato dal Saussure nell'idea dei "rapporti associativi" fra famiglie di parole), con interessanti collegamenti ai problemi della ricerca etimologica (notevoli approfondimenti anche in E. Coseriu [1964]).
Negli Stati Uniti, a partire dagli anni Cinquanta, lo sviluppo della corrente generativa trasformazionale, tendente a porsi sin dall'inizio come teoria complessiva della capacità (competence) linguistica, porta a notevoli risultati anche nel campo della ricerca semantica.
Non ci si vuol riferire qui agli studi "prototrasformazionali" di Z. S. Harris, per altro essenzialmente sintattici, ancora tutti in pieno ambito (post)bloomfieldiano, né a quelli del primo Chomsky (soprattutto in Syntactic structures, L'Aia 1957), nei quali si rinvia l'approfondimento della teoria del significato a "una teoria più generale del linguaggio che includerà come sue parti una teoria della forma linguistica e una teoria dell'uso della lingua" (con però il rischio di far ricadere la s. nella "linguistica della parole", proprio quello che stava alla base del ("rifiuto" di Bloomfield).
Bisogna arrivare al 1963-64, con l'articolo di J. J. Katz e J. A. Fodor, e al volume dello stesso Katz con P. M. Postal, per avere una prima sistemazione dell'elemento semantico all'interno della teoria generativo-trasformazionale standard (pienamente accolta da Chomsky in Aspects of the theory of syntax, Cambridge, Mass., 1965). La grammatica risulta così distinta in tre parti: un componente sintattico di base, un componente fonologico, e uno semantico che "determina l'interpretazione semantica di una frase; cioè mette in relazione una struttura generata dal componente sintattico con una certa rappresentazione semantica". Per far ciò si utilizzano le voci lessicali - presentate nel "dizionario" in "forma normale" (quella che "deve permettere che il dizionario rappresenti semanticamente tutta l'informazione semantica coinvolta nel significato di qualsiasi entità lessicale", cioè "deve decomporre il significato di tale entità lessicale nei suoi componenti più elementari e stabilire tra loro le relazioni semantiche" mediante l'uso di indicatori sintattici, indicatori semantici differenziatori e restrizioni di selezione) -, assegnando così "letture" agli elementi lessicali presenti nella struttura profonda. Su queste letture intervengono le regole di proiezione che assegnano un'interpretazione semantica a tutta la stringa, "amalgamando" il significato delle singole voci con l'informazione fornita dalla descrizione sintattica della stringa stessa.
Come si è visto, nella teoria standard la struttura profonda risulta equivalente alla rappresentazione sintattica più astratta di una frase data, con in più tutti gli elementi necessari per l'interpretazione semantica. Dalla critica sempre più serrata a tale concetto, portata avanti da linguisti come G. Lakoff, J. R. Ross, C. J. Fillmore, J. D. McCawley, E. Bach, ha origine verso la fine degli anni Sessanta la corrente postchomskyana che assume il nome di "s. generativa".
Anche se le posizioni dei singoli non sempre convergono, comune a tutta la corrente è appunto l'assunto che il dato astratto più "profondo" sia quello semantico, dal quale procedono poi gli altri, e che alla base del fatto linguistico sia quindi un'interrelazione di rapporti semantici generalissimi (quelli che per Fillmore sono per es. i "casi"). Su questa linea si pongono anche i notevoli contributi del gruppo romano dell'Istituto di psicologia del CNR.
A tali critiche Chomsky e i suoi allievi più ortodossi (in particolare R. S. Jackendoff) hanno replicato con la "teoria standard estesa", per cui all'ingresso del componente semantico non può esserci solo la struttura profonda (sintattica): quest'ultima infatti viene ricondotta (come agl'inizi della grammatica generativa) a una stretta rappresentazione sintattica, mentre gli aspetti semantici ne vanno radicalmente distinti.
Secondo Jackendoff il componente semantico (che viene chiamato "interpretativo" per distinguerlo da quello della vecchia teoria standard) sarà composto di una struttura funzionale che lo collega alla struttura profonda sintattica (mediante regole di proiezione come quelle ipotizzate da Katz e Postal), di una struttura modale che "specifica a che condizioni una frase corrisponde a situazioni nel mondo reale" (compresa la forza illocutiva delle frasi), di una tavola di coreferenza per siffatte relazioni; infine, per esprimere quanto riguarda il rapporto tra "dato" e "nuovo" nella frase (o "tema" e "rema"; cioè l'informazione data per assodata e quella che si vuole comunicare come nuova), Jackendoff parla di focus ("l'informazione nella frase che è assunta dal parlante come non condivisa da lui e dall'ascoltatore") e di presupposizione ("l'informazione nella frase che il parlante assume come condivisa da lui e dall'ascoltatore").
Tanto nel caso della s. generativa che in quello della s. interpretativa si tratta comunque di teorie in rapida evoluzione, e che, se hanno realizzato nuove acquisizioni, sono purtuttavia ancora alla ricerca di sistemazioni globali che ne chiariscano le caratteristiche metodologiche in modo non esclusivamente propositivo.
Bibl.: Opere citate (anche sommariamente): F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Losanna, Parigi 1916 (trad. it. a cura di T. De Mauro, Bari 19712); L. Bloomfield, Language, New York, Londra 1933 (19352, su cui la trad. it., Milano 1974); C. K. Ogden, I. A. Richards, The meaning of meaning. A study of the influence of language upon thought and the science of symbolism, Londra 1923 (194910; trad. it., Milano 19752); J. Trier, Der deutsche Wortschatz im Sinnbezirk des Verstandes: die Geschichte eines sprachlichen Feldes, Heidelberg 1931; il vol. di L. Hjemslev, Omkring, ecc., è apparso in 2ª ed. riveduta col titolo Prolegomena to a theory of language, Madison Wisc., 1961 (trad. it., I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino 1968); Pour une sémantique structurale è invece apparso in Essais linguistiques, in "Travaux du Cercle Linguistique de Copenhague", XII (1959), pp. 96-112; L. J. Prieto, Principes de noologie, L'Aia 1964 (trad. it., Roma 1967); S. Ullmann, Semanties. An introduction to the science of meaning, Oxford 1962 (trad. it., Bologna 19754); E. Coseriu, Pour une sémantique diachronique structurale, in Travaux de linguistique et de littérature, 2 (1964), pp. 139-86 (trad. it., in Teoria del linguaggio e linguistica generale. Sette studi, Bari 1971, pp. 225-86). Il principale lavoro di Z. S. Harris cui si fa riferimento è il vol. Methods in structural linguistics, Chicago 1963.
Buona parte degli studi di N. A. Chomsky sono tradotti in italiano: soprattutto in Le strutture della sintassi, Bari 1970; Saggi linguistici, voll. 3, Torino 1969-70; Problemi di teoria linguistica, ivi 1975. L'art. di J. J. Katz e J. Fodor, The structure of a semantic theory, in Language, 39 (1963), pp. 170-221, è apparso in italiano in La linguistica: aspetti e problemi, a cura di L. Heilmann, E. Rigotti, Bologna 1975, pp. 217-67; il vol. dello stesso Katz e di P. M. Postal, An integrated theory of linguistic description, Cambridge, Mass., 1964, non è invece tradotto. Per la semantica generativa si ricorderanno: E. Bach, Nouns and noun phrases, in Universals in linguistic theory, a cura di E. Bach, R. T. Harms, New York, Londra 1968, pp. 91-124 (trad. it., Gli universali nella teoria linguistica, Torino 1975, pp. 132-73); C. J. Fillmore, The case for case, nello stesso vol. di Bach e Harms, pp. 1-88 (trad. it., pp. 27-131; cfr. anche le pp. 271-300); Studies in linguistic semantics, a cura di C. J. Fillmore, T. D. Langendoen, New York 1971; J. D. McCawley, The role of semantics in a grammar, nel vol. di Bach e Harms, cit., p. 125-69 (trad. it., pp. 174-231); id., Grammar and meaning. Papers on syntactic and semantic topics, Tokyo 1973. Qui anche D. Parisi, Il linguaggio come processo cognitivo, Torino 1972; D. Parisi, F. Antinucci, Elementi di grammatica, ivi 1973; F. Antinucci, Fondamenti di una teoria tipologica del linguaggio, Bologna 1977.
Sulla "teoria standard estesa" e sulla "semantica interpretativa" da vedere, soprattutto: N. A. Chomsky, Deep structure, surface structure and semantic interpretation, in Studies in general and oriental linguistics. Essays presented to Shirō Hattori, a cura di R. Jakobson, S. Kawamoto, Tokyo 1970, pp. 52-91, poi in Studies in semantics in generative grammar, L'Aia 1971, pp. 62-119 (trad. it. parziale nel vol. di Heilmann-Rigotti, cit., pp. 269-300); R. S. Jackendoff, Semantic interpretation in generative grammar, Cambridge, Mass., 1972; id., Toward an explanatory semantic representation, in Linguistic inquiry, VII (1976), pp. 89-150 (sulle varie vicende della scuola generativo-trasformazionale, di notevole utilità il vol. di A. R. Puglielli, La linguistica generativo-trasformazionale, Bologna 1977, da cui si traggono alcune delle citazioni).