Semiotica
Tutti gli esseri viventi, sia gli organismi interi sia le parti che li compongono, sono interrelati in un modo altamente organizzato. Quest'ordine, o organizzazione, è garantito dalla comunicazione. La comunicazione o semiosi, pertanto, può essere considerata quella proprietà essenziale della vita che ritarda gli effetti di disorganizzazione legati alla seconda legge della termodinamica: in altre parole, la comunicazione tende a diminuire l'entropia a livello locale. Nel senso più generale, la semiosi può essere considerata come la trasmissione di una qualsiasi influenza da una determinata parte di un sistema vivente a un'altra, tale da produrre una modificazione. Ciò che viene trasmesso è un messaggio o un insieme di messaggi.
La formazione dei messaggi costituisce l'oggetto della semiotica, che studia i processi attraverso i quali essi vengono codificati, trasmessi, decodificati e interpretati.
La semiotica studia altresì l'evoluzione dei sistemi di comunicazione sia nell'individuo (ontogenesi), sia nella specie (filogenesi).Come abbiamo accennato, la comunicazione o semiosi è una proprietà indispensabile di tutte le forme di vita sulla terra. È proprio questa capacità di produrre, riprodurre, trasmettere e interpretare messaggi la principale caratteristica che distingue gli esseri viventi dalla materia inorganica - fatta eccezione per quelle macchine, come i computer e i robot, che possono essere programmate per simulare la comunicazione. Lo studio dei processi affini della comunicazione e della significazione può essere considerato in ultima istanza come una branca della biologia: si tratta infatti di processi che appartengono all'ambito della natura non meno che a quello della cultura - la quale peraltro è essa stessa parte della natura. Tutta la biosfera, il sistema organizzato di materia ed energia che costituisce la totalità della vita animale e vegetale sulla terra, appare pervasa da flussi di messaggi, una volta che questi siano scomposti nei loro costituenti elementari.
Un'importante conseguenza di questo modo di concepire la comunicazione è che la capacità di generare e interpretare messaggi, considerata in genere una prerogativa esclusiva degli esseri umani, risulta estesa a tutte le forme di vita, anche le più elementari (dai batteri, ai funghi, alle piante e agli animali), nonché alle loro parti costituenti - unità subcellulari (ad esempio mitocondri), cellule, organelli, organi, e via dicendo. Lo stesso codice genetico può essere proficuamente analizzato (come di fatto è accaduto) in termini semiotici: il messaggio ha origine in una molecola, quella dell'acido desossiribonucleico o DNA, e il suo punto d'arrivo è una proteina. La complessa interazione di acido nucleico e proteina, che è alla base della vita sulla terra, costituisce un modello prototipico per ogni forma di comunicazione.
Passando all'ambito più specifico della comunicazione umana, i messaggi possono essere distinti in due categorie: verbali e non verbali. Il linguaggio - termine che designa l'intera gamma dei messaggi verbali - sinora è risultato essere una prerogativa esclusiva del genere Homo, di cui solo la nostra specie, Homo sapiens sapiens, è ancora esistente. I biologi direbbero che il linguaggio costituisce un tratto 'specie-specifico'. Lo studio del linguaggio, questa proprietà dell'uomo e tuttavia 'specie-universale', costituisce l'oggetto della linguistica, una delle branche più sofisticate e in parte formalizzata della semiotica.
I messaggi sono definibili in termini di segni, o di sequenze di segni. Secondo una definizione classica, il segno è "qualcosa che sta per qualche altra cosa" (aliquid stat pro aliquo), ed è costituito da due elementi: un significante concreto - o un impatto percepibile da almeno uno degli organi sensoriali dell'organismo che interpreta il messaggio - e un significato, ossia il contenuto intellegibile veicolato o significato dal significante. Il significato (detto anche designatum) può essere tradotto, laddove il significante (o veicolo segnico) non può esserlo.
Diversamente da quanto è accaduto per il linguaggio, il ricco repertorio di messaggi non verbali nella comunicazione umana non ha mai costituito un campo di studi unificato, e di conseguenza manca un termine collettivo che, al pari di 'linguaggio', ne designi l'insieme. L'unico elemento che accomuna tutti i messaggi non verbali è la loro natura non linguistica. Questa caratterizzazione in negativo ha dato luogo a una notevole confusione terminologica nelle scienze della comunicazione, confusione che si aggrava ulteriormente quando si prendono in considerazione i molteplici sistemi di comunicazione impiegati da milioni di specie viventi prive di linguaggio, nonché i processi comunicativi che si svolgono all'interno dell'organismo.
I messaggi non verbali, tuttavia, possono essere classificati in base a vari criteri semiologici. Una distinzione classica è quella fornita da Ippocrate allorché descrive l'interazione medico/paziente. Il medico, basandosi da un lato sui 'sintomi', ossia sui messaggi espressi in forma verbale o non verbale dal paziente (ad esempio quando questi afferma "mi fa male la pancia!", oppure indica la parte dolente gemendo e assumendo un'espressione sofferente), dall'altro sui 'segni' osservati direttamente (attraverso la palpazione, l'auscultazione, l'ispezione visiva, o la misurazione mediante strumenti dei 'segni vitali' quali la pressione, la temperatura, ecc.) è in grado di identificare una malattia (ossia di formulare una diagnosi), e di prevederne il decorso (prognosi). I sintomi sono segni 'soggettivi' e rientrano nella categoria dei segni 'indessicali' (come le orme, le tracce, i gesti ostensivi, e, nel linguaggio, i nomi), laddove i 'segni' - nell'accezione in cui il termine è usato in un contesto clinico - sono manifestazioni oggettive individuate mediante l'osservazione diretta. Per pervenire a una diagnosi corretta è necessario associare i sintomi riferiti dal paziente, i segni 'soggettivi', ai segni 'oggettivi', ossia quelli derivati dall'osservazione diretta.Questa classificazione binaria dei segni (in senso generale) in sintomi soggettivi e segni oggettivi (in senso specifico) non è che una tra le tante possibili. Il filosofo neokantiano Ernst Cassirer (1874-1945), ad esempio, ne ha proposta un'altra di tipo diverso in cui viene operata una distinzione tra segni e simboli; questi ultimi sarebbero una prerogativa esclusivamente umana. Attualmente, tuttavia, gli studiosi tendono a privilegiare la tipologia proposta dal filosofo americano Charles S. Peirce (1839-1914), in cui i segni sono divisi non più in due ma in tre categorie: icone e indici da un lato, e simboli dall'altro. Si tratta, in realtà, di differenti aspetti di un unico segno generico: è il contesto a determinare quale di tali aspetti risulterà dominante. Consideriamo ad esempio la bandiera americana a 'stelle e strisce': si tratta di un segno in cui prevale l'aspetto iconico quando l'interprete focalizza l'attenzione sul numero delle stelle (che rappresentano i cinquanta Stati attualmente membri dell'Unione), o sul numero di strisce (che rappresentano i tredici Stati originari). Quando invece la bandiera viene usata come segnale, ad esempio nel contesto di una gara, o per indicare il paese in cui risulta registrata un'imbarcazione, a emergere in primo piano sarà l'aspetto indessicale. Quando infine la bandiera è issata o ammainata in una cerimonia, ad esempio un funerale, l'aspetto dominante sarà quello simbolico.
La tesi di Ippocrate - che gli storici della medicina hanno talvolta definito con reverenza 'padre e maestro di tutta la semiotica' - si basa su una distinzione antica ma tuttora ampiamente diffusa tra segni (o messaggi) 'naturali' e segni 'convenzionali'.
In quest'ultima categoria rientrano i messaggi la cui capacità di significazione dipende da un qualche accordo stipulato in un dato momento del passato e da allora in poi accettato per consuetudine. Sono di questo tipo i messaggi linguistici, sia verbali che scritti, ma anche particolari espressioni gestuali che sono usate e comprese da una comunità specifica, ma non necessariamente da altre. Il significato di un messaggio convenzionale, sia verbale che non verbale, è invariabilmente legato a un determinato contesto spazio-temporale.
I cosiddetti messaggi naturali, d'altro canto, possono veicolare gli stessi significati indipendentemente da un contesto spazio-temporale specifico, proprio in quanto la loro comprensione non presuppone la conoscenza delle convenzioni di un particolare gruppo. Come osserva Ippocrate a proposito di alcuni sintomi non verbali, essi "risultano avere lo stesso significato in Libia, a Delo e nella Scizia". Dato il carattere pressoché universale di quella classe di messaggi non verbali rappresentati dai sintomi, secondo Ippocrate il medico che impara a riconoscerli, a valutarli e a interpretarli correttamente quasi sempre arriverà a formulare una diagnosi giusta.
Per contro i gesti convenzionali, che vengono talvolta definiti 'multimessaggi', hanno una varietà di significati totalmente diversi, e la scelta dell'interpretazione varia a seconda del tempo e/o del luogo. Così, ad esempio, tutti gli Americani conoscono il gesto della mano alzata con l'indice e il pollice uniti a formare un cerchio, che significa che qualcosa è 'OK'. In altri paesi, tuttavia, lo stesso gesto può avere un significato completamente diverso - ad esempio in Giappone vuol dire 'denaro', nella Francia meridionale 'zero' o 'di nessun valore', nell'antica Grecia era un gesto osceno o insultante - oppure può non avere alcun significato.
Questi esempi illustrano solo un aspetto per il quale i messaggi non verbali umani
I messaggi vengono generati in una sorta di 'scatola nera', che viene designata 'sorgente' o 'emittente'. Un messaggio può essere allora provvisoriamente definito come il frutto di una selezione da un codice attuata dalla sorgente/emittente. Sul concetto di codice ci soffermeremo in seguito, ma va osservato subito che molte delle regole di probabilità che governano questo atto di selezione sono tuttora avvolte nell'oscurità.
L'immagine della scatola nera non è che un modello formale usato per facilitare la comprensione di costrutti ipotetici: dato un certo input, si tratta di formulare delle congetture sui processi cui si ricollega la produzione dell'output. L'espressione 'scatola nera' usata dagli psicologi indica che non sappiamo nulla su ciò che avviene dentro l'organismo, o sul funzionamento, ad esempio, del sistema nervoso centrale. Tuttavia, in base alle correlazioni tra input e output è possibile trarre inferenze - se non sul meccanismo all'interno della scatola nera - perlomeno sul modo in cui questo opera. Il processo di input viene definito di solito 'formulazione' (o, in una particolare teoria linguistica, 'generazione') del messaggio. Si dice allora che una fonte o emittente 'formula' un messaggio, ma in che modo esattamente ciò avvenga negli esseri umani resta avvolto nell'oscurità, ed è destinato a restare un enigma fino a quando non disporremo di conoscenze di gran lunga più approfondite sulla struttura elettrochimica infinitamente complessa del cervello/mente. Sembra lecito postulare che, in generale, l'uomo segue determinate regole generative per creare un numero immenso di nuovi messaggi appropriati a una varietà indefinita di contesti, ma in che modo egli sia in grado di fare ciò resta ancora avvolto nel mistero. Costruire una mappa dettagliata dei circuiti estremamente intricati all'interno di quella massa di tessuto di circa un chilo e mezzo racchiuso nella scatola cranica che costituisce il cervello resta un compito del futuro.
Nella fig. 1 sono indicate le possibili sorgenti di segnali. A volte viene operata una distinzione tra sorgenti discrete e sorgenti continue. Le prime producono un messaggio ('lettere') selezionato da un insieme numerabile di possibilità ('alfabeto'); una fonte di questo tipo potrebbe produrre, ad esempio, una comunicazione linguistica in forma scritta. Un brano musicale o una comunicazione verbale, invece, sono tipicamente prodotti da una fonte continua.
Nelle scienze della comunicazione, così come in quelle biologiche, è inevitabile e anzi necessario sollevare questioni di tipo teleonomico. È quindi del tutto lecito chiedersi per quali scopi i messaggi vengano formulati. Le funzioni dei messaggi sono di vario tipo; essi sono teleologicamente orientati nello stesso senso oggettivo a cui tutto il comportamento animale è finalizzato: un animale ingerisce cibo per acquistare nutrienti ed energia; il suo apparato digestivo e gli enzimi esistono e operano in un dato modo per realizzare il fine della sopravvivenza. I messaggi veicolano informazioni biologicamente o sociologicamente rilevanti per gli organismi; essi vengono formulati, tra le altre cose, per essere 'trasferiti' ad altre entità, che ne rappresentano la 'destinazione' (o il 'destinatario').
La 'destinazione' è l'area alla quale giunge il flusso di informazioni trasmesso dalla sorgente. Anche qui si possono postulare due processi che si succedono nel tempo, ma in ordine invertito rispetto a quanto accade nel caso della sorgente: un processo iniziale, le cui caratteristiche ci sono più o meno chiare, e uno terminale - consistente nell'interpretazione del messaggio - che resta avvolto nel mistero (per questa ragione la porzione inferiore del rettangolo che rappresenta la destinazione della fig. 3 risulta ombreggiata). La sorgente di norma non è in grado di inviare il suo messaggio nella forma elettrochimica in cui si suppone sia stato inizialmente formulato. La ragione di questo fatto è che ogni sorgente è collegata all'area di destinazione per mezzo di un medium, il cosiddetto canale, attraverso il quale può essere avviato e portato avanti lo scambio comunicativo. Si pensi ad esempio a due indiani d'America che comunicano attraverso il sistema dei segnali di fumo: il primo (la sorgente) sventola una coperta su un fuoco acceso, e il secondo (il destinatario) osserva il messaggio risultante formulato, o codificato, in fumo (una forma di energia elettromagnetica). Qualunque forma di propagazione di energia, di fatto, può essere sfruttata per trasmettere messaggi. Nella fig. 2 sono illustrati i possibili tipi di canale.
È importante tener presente che il messaggio non giunge a destinazione così come viene formulato, ma deve essere previamente sottoposto a una serie di trasformazioni. I messaggi sono, per così dire, trasmessi da una stazione di posta alla successiva e, prima di raggiungere la destinazione finale, devono essere riorganizzati - ossia filtrati e adattati in vario modo - per rispondere ai requisiti del canale prescelto.Non sappiamo in che modo, specificamente, i messaggi vengano costruiti e ordinati in una gerarchia, o in che modo il loro significato venga 'concordato' (vale a dire, codificato). I neurofisiologi ipotizzano che, a prescindere dalla realtà esterna cui può corrispondere il messaggio, internamente esso sia collegato da scambi chimici che probabilmente avvengono simultaneamente in varie regioni, ravvicinate oppure molto distanti le une dalle altre - sulla corteccia cerebrale bidimensionale degli animali superiori, compreso l'uomo. La trasformazione di questo processo parallelo di elaborazione che si svolge al di sotto del livello della coscienza in una sequenza seriale esteriorizzata - quale si ha nel linguaggio verbale, nella scrittura o nel linguaggio gestuale - deve essere effettuata da sistemi di organi esterni (nell'uomo, ad esempio, dai cosiddetti organi del linguaggio).
Questa trasduzione di cruciale importanza viene chiamata codificazione. La codificazione avviene nell'interfaccia tra il sistema interno e quello esterno del messaggio, che, in senso ampio, stanno in un rapporto speculare, in una omologia di probabilità di transizione spazio-temporale.Quando il messaggio codificato - il quale, a causa dell'entropia (il grado di disordine nel sistema), non può mai essere identico a quello formulato e trasmesso dalla sorgente - raggiunge la destinazione, deve essere effettuata un'altra trasduzione, seguita da una serie di ulteriori trasformazioni prima che esso possa essere interpretato. I fondamentali processi di riconversione costituiscono la cosiddetta decodificazione.
Il termine 'trasduzione' designa la trasmutazione neurobiologica da una forma di energia a un'altra - ad esempio quella subita da un fotone quando colpisce la retina dei vertebrati: gli impulsi convogliati nel nervo ottico trasformano la rodopsina (un pigmento dei bastoncini della retina) da uno stato a un altro attraverso quattro stadi chimici intermedi. Si dice che un messaggio è 'codificato' quando la sorgente e la destinazione 'concordano' su un insieme di regole di trasmutazione usate nel corso dello scambio. Il tipo di codice selezionato dall'emittente dipende in modo essenziale dal sistema sensoriale globale di cui esso dispone. Ad esempio, sarebbe impossibile per un animale privo di organi di fonazione inviare messaggi codificati in forma acustica ai suoi consimili che potrebbero essere privi di organi uditivi. Gli organi sensoriali di un uomo normale sono in grado di registrare solo una piccola parte degli stimoli acustici ambientali; in genere la nostra recettività è limitata a frequenze tra i 16 e i 22.000 Hz, e sotto questo profilo le nostre capacità sono assai inferiori a quelle di innumerevoli animali, dai pipistrelli, ai cani, ai roditori, ecc.Anche la capacità visiva varia notevolmente nelle diverse specie animali: l'uomo, incapace senza ausili meccanici di percepire il campo delle radiazioni ultraviolette (il cui limite verso i raggi X è a 100 A), campo che è invece agevolmente distinto dalle api e da altri insetti, non codificherà i suoi messaggi nello spettro - per lui - invisibile, in quanto essi potrebbero essere decodificati dai suoi simili solo con l'ausilio di strumenti speciali. Lo stesso vale per gli infrarossi: mentre alcuni animali notturni possono vedere e comunicare al buio, poiché sono dotati di un organo speciale (il tapetum lucidum) il quale riflette i raggi verso l'esterno, facendo apparire fosforescente l'interno dell'occhio, l'uomo può farlo solo servendosi di dispositivi speciali messi a punto recentemente.
Un'escursione nel campo degli organi sensori si rende necessaria per comprendere la varietà di codici utilizzati in natura, e dall'uomo, per assicurare la comunicazione.Lo schema presentato nella fig. 3 sintetizza gli elementi essenziali del processo semiotico sin qui discussi. È opportuno sottolineare che tale modello non deve essere considerato un semplice assemblaggio di elementi isolati che può essere rappresentato come la somma delle proprietà dei suoi vari componenti; al contrario, nel processo comunicativo ogni elemento è interrelato a tutti gli altri.
Nel modello del processo semiotico presentato nella fig. 3 manca una componente estremamente importante, ossia il contesto in cui si svolge l'intero scambio. Il contesto in cui qualunque messaggio viene emesso, trasmesso e ricevuto ne influenza sempre in modo decisivo l'interpretazione, e viceversa: il contesto stesso viene costantemente modificato dal processo di interpretazione dei messaggi. Detto in altri termini, i messaggi sono 'reattivi al contesto'. Si tratta di un fenomeno ben noto, e tuttavia non sappiamo esattamente in che modo un organismo tenga conto del suo ambiente. Il concetto di contesto è stato utilizzato in modi molto diversi dai vari studiosi, ma in generale con esso si indica la conoscenza da parte dell'organismo delle condizioni e delle modalità di un uso appropriato ed efficace dei messaggi. Fanno parte del contesto i sistemi cognitivi dell'animale (ovvero la 'mente'), tutto ciò che accompagna il flusso dei messaggi, nonché la memoria dei messaggi precedenti elaborati o percepiti, e le anticipazioni di eventuali messaggi futuri.
Secondo alcuni autori lo studio dei contesti rientrerebbe in una nebulosa area di indagine detta 'pragmatica', i cui campi complementari, secondo la distinzione proposta da Charles Morris, sono la 'sintattica' e la 'semantica'. In base a tale teoria, la sintattica è la branca della semiotica che studia il modo in cui i segni vengono combinati per formare sequenze; la semantica, che presuppone la prima, studia il significato dei segni, mentre la pragmatica, che presuppone entrambe, ha per oggetto le origini, gli usi e gli effetti dei segni.Il contesto ha spesso un ruolo cruciale nel determinare il significato di un messaggio. Ad esempio, i messaggi codificati nelle sostanze chimiche acido isolaverico e metilmercaptano sono tra i componenti, rispettivamente, dei cattivi odori del corpo umano e dell'alitosi, ma sono anche responsabili dell'aroma del formaggio.
In molti casi, inoltre, è il contesto a decidere se il destinatario accetterà o meno come credibile il messaggio ricevuto. Se ad esempio un bambino corre dalla madre annunciandole che c'è una tigre nel cortile, è assai probabile che questa non presti fede a tale affermazione, giudicandola frutto della fantasia. Ma supponiamo che la famiglia viva a Venice, in Florida, nei pressi della residenza invernale di un circo famoso che, come ben sa la madre, ha nel suo repertorio un numero con i grandi felini. In questo caso la dichiarazione del bambino avrà maggiori probabilità di essere presa per vera.Talvolta il contesto assume un'importanza privilegiata a scapito della forma e del contenuto effettivi della comunicazione, come dimostra il seguente 'esperimento' informale attuato da un noto psicologo. Ogni mattina, entrando nell'ascensore dell'edificio in cui lavorava, questi era solito salutare i colleghi con un affabile "buon giorno!", cui faceva eco, in una sorta di piccola cerimonia, il medesimo saluto stereotipato ripetuto in coro dagli astanti. Una mattina, in modo altrettanto affabile e sorridente, al posto del saluto di rito egli disse invece: "andate al diavolo!", ricevendo in risposta l'usuale "buon giorno!" corale. Il contesto di routine crea determinate aspettative sulla probabile gamma di messaggi che saranno ricevuti; anche quando il messaggio effettivamente trasmesso esula da tale gamma, come nell'esempio in questione, i destinatari tendono a interpretarlo in base alle loro aspettative anziché adattare le loro risposte al suo significato reale.
Il diagramma presentato nella fig. 3 potrebbe erroneamente suggerire l'idea che i sistemi siano statici. Tutti i sistemi di comunicazione, al contrario, sono non soltanto dinamici ma anche adattivi, ossia sono autoregolati per adattarsi sia al contesto esterno (le condizioni ambientali), sia al contesto interno (circostanze inerenti al sistema stesso, come l'insieme di presupposizioni e di implicazioni che caratterizzano gli enunciati). In diversi momenti, i meccanismi dell'intelligenza intervengono per controllare lo status del sistema che, conseguentemente, può attivare e produrre risposte adeguate, in quello che viene definito in genere 'processo di reazione' ('feed process').
I processi di reazione procedono tipicamente, in modo complementare, sia in avanti che all'indietro, e tendono a formare circuiti chiusi (loops). Così l'emittente di norma verifica costantemente se il messaggio emesso abbia raggiunto il destinatario conformemente alle aspettative (la cosiddetta 'reazione anticipativa' o feedforward), mentre il destinatario tende costantemente a confermare o a smentire questo fatto al mittente ('retroazione' o 'feedback').
La reazione anticipativa può essere paragonata a una previsione di tendenza che influenza la percezione, consentendo nello stesso tempo all'emittente di adattare il proprio comportamento in previsione di un mutamento della situazione. Essa può quindi contribuire a evitare errori. La retroazione dal canto suo introduce informazioni relative all'efficienza del sistema stesso, informazioni che vengono poi 'risomministrate' al sistema, consentendo in tal modo di effettuare le modifiche opportune sulla base dei risultati ottenuti.La pianificazione di bilancio in un'organizzazione quale un istituto universitario costituisce un esempio di reazione anticipativa. Supponiamo che il preside di facoltà (l'emittente) informi X (il destinatario) inviandogli un promemoria (il messaggio) su quale sarà il tetto massimo di spesa previsto per le attività della sua unità nell'anno successivo: X di conseguenza programmerà o riprogrammerà tali attività sulla base di questa 'conoscenza anticipata'. Per fare un altro esempio, questa volta attinente al mondo animale, molti predatori (emittenti) catturano le proprie prede (destinatari) con una manovra detta 'intercettazione' (il messaggio). Ciò significa che il predatore non mira il punto in cui la sua preda si trova effettivamente, ma quello in cui con tutta probabilità si troverà in seguito, al momento dell'impatto, ossia un punto preciso davanti alla vittima nella sua traiettoria calcolata.
Un esempio familiare di retroazione ci è dato ancora una volta dall'ambiente universitario. Quando un professore (l'emittente) tiene una lezione (il messaggio) alla classe (il destinatario), controlla di tanto in tanto le variazioni nel livello di attenzione o di distrazione degli studenti sulla base di una serie di messaggi acustici o visivi che gli vengono trasmessi, volontariamente e/o involontariamente, mediante un circuito di retroazione (feedback loop); egli modificherà e adatterà la presentazione della lezione lasciandosi guidare dall'espressione degli studenti.Per fare un altro esempio, attinto questa volta dal campo della fisiologia, il battito cardiaco di un individuo (il mittente) è rallentato o accelerato da un complesso amalgama di fattori umorali e neurali (il messaggio) attraverso le terminazioni cardiache dei nervi vago e simpatico (canali); le alterazioni rispetto al ritmo normale sono trasmesse (retroazione) da determinati recettori interni (altri canali) al cervello (destinatario), specificando fattori quali il ritmo, il volume e la pressione del polso (altri messaggi). Il circuito di retroazione tra cuore e cervello fornisce un input oscillatorio al sistema nervoso centrale in base al quale vengono effettuati gli adattamenti essenziali.
Il messaggio ricevuto (e successivamente interpretato) dal destinatario, in pratica, non è mai identico a quello formulato e inviato dalla sorgente. In altri termini, l'output del canale non è affatto equivalente all'input. Questa discrepanza può essere dovuta a disturbi casuali ma persistenti che intervengono in qualche modo nel sistema compromettendo la chiarezza o la qualità della comunicazione o annullandone interamente la comprensione. Anche in un canale può essere introdotto, ad esempio per motivi di sicurezza, un dispositivo che crea disturbo. Tali interferenze, che rendono l'output imprevedibile anche quando si conosce l'input, costituiscono il fenomeno noto come rumore.
Un messaggio è sempre costituito da un amalgama di segnale e di rumore. Se nel rapporto quantitativo tra i due elementi la quota del segnale (la parte 'intenzionale' del messaggio) è superiore a quella del rumore (ossia la parte del messaggio che interferisce con la trasmissione), la comprensione è in misura maggiore o minore assicurata; se per contro il rumore prevale sul segnale, per ripristinare una recezione in qualche modo accurata occorre utilizzare tecniche speciali.
Per eludere il rumore e diminuire di conseguenza la probabilità di errori di trasmissione si ricorre in genere alla ridondanza, che consiste nell'introdurre nel messaggio un eccesso di informazioni rispetto a quelle strettamente necessarie alla comprensione. Esistono vari tipi di rumore e molte tecniche per eliminarlo, che però comportano sempre un prezzo, come ad esempio il rallentamento della trasmissione del messaggio da parte della sorgente e quindi dell'intero scambio comunicativo.
Immaginiamo, ad esempio, un controllore del traffico aereo (il mittente) che cerca di trasmettere istruzioni precise per l'atterraggio (il messaggio) a un pilota (il destinatario) via radio (il canale) durante un temporale (contesto ambientale che crea rumore). Il sistema probabilmente più semplice attraverso cui il controllore di volo può inserire un certo grado di ridondanza per assicurare una recezione ragionevolmente priva di errori in una situazione altamente rischiosa quale quella descritta è quello di ripetere integralmente o in alcune sue parti il messaggio originario, anche a costo di rallentarne sensibilmente la trasmissione - e di conseguenza il processo di atterraggio. Dopo l'invio di ogni singola ripetizione del messaggio, il controllore può chiedere al pilota se questi l'abbia o meno ricevuto (reazione anticipativa), e il pilota dal canto suo ripeterà quelle che pensa siano le istruzioni comunicate (retroazione). Se egli ritiene che sia stata raggiunta un'intesa soddisfacente, può darne conferma al controllore - ad esempio ripetendo il proprio nome in codice e concludendo con la formula "passo".
Il fenomeno della ridondanza si osserva anche nella comunicazione verbale. Ad esempio un individuo, quando pronuncia una frase, compie simultaneamente una serie di movimenti con il corpo, alcuni percepibili uditivamente (segnali 'parafonetici'), altri visivamente (segnali non vocali e non verbali). Questi flussi comunicazionali paralleli sono sempre in parte reciprocamente ridondanti, cosa che, in presenza di rumore, riduce la probabilità di fraintendimento tra i comunicanti. Chiunque può verificare questa circostanza eliminando l'audio nell'apparecchio televisivo o, in alternativa, l'immagine.Il fenomeno della ridondanza è stato rilevato dai genetisti anche nella relazione tra il codice (di quattro lettere) dell'acido nucleico e il codice (di venti lettere) delle proteine, ossia il codice genetico, in quanto numerosi gruppi di tre nucleotidi, o triplette, lungo la catena degli acidi nucleici definiscono gli stessi aminoacidi lungo la catena della proteina (ossia, tali gruppi sono sinonimi).
Poiché la questione dell'esistenza di altre forme di vita nell'universo resta tuttora ampiamente aperta, si assume che la comunicazione sia limitata alla biosfera terrestre, e che sia una proprietà universale della vita sulla terra. Le prime tracce di vita, e dunque la filogenesi della comunicazione, risalgono all'Archeano (da 3.900 a 2.500 milioni di anni fa). Il mondo organico primitivo era costituito da Procarioti, come ad esempio i batteri-microrganismi formati da cellule in cui i geni non sono racchiusi in un nucleo avvolto da membrana. Questi microrganismi erano gli unici a popolare la terra sino a circa 800 milioni di anni fa.
Secondo una teoria attualmente condivisa da molti biologi, differenti specie di microbi avrebbero formato tra loro unioni simbiotiche, che successivamente si sarebbero coevolute in associazioni perfettamente integrate e permanenti di forme di vita superiori, composte dagli organismi eucariotici unicellulari e multicellulari che li ospitano. Le varie forme di unione simbiotica - parassitismo, mutualismo, commensalismo, ecc. - dipendono in modo cruciale dalla comunicazione che si instaura tra gli individui di due o più specie che vi partecipano per tutta la durata del loro ciclo di vita; tali unioni alla fine diventano comunità interrelate in modo permanente, armoniosamente coordinate attraverso un flusso ininterrotto di segnali elettrochimici.
Ciascuno dei tre principali gruppi di organismi eucariotici (oltre ad un quarto, costituito dai Protisti unicellulari) ha sviluppato proprie forme specifiche di comunicazione, designate rispettivamente fitosemiotica, zoosemiotica e micosemiotica. Gli animali formano un superphylum intermedio tra le piante (di cui si nutrono) e i funghi (dai quali sono in ultimo dissolti). Data la loro posizione chiave quali trasformatori dei messaggi, i loro processi comunicativi sono i più elaborati, e sono anche quelli meglio studiati.Tutti gli animali, incluso l'uomo, comunicano attraverso uno scambio di segni non verbali. Un sistema di segni verbali, ossia il linguaggio, si è sviluppato solamente nel genere Homo, e sembra sia comparso per la prima volta nella specie ominide Homo habilis, vissuta da 2, 4 a 1,5 milioni di anni fa, cui fecero seguito Homo erectus (1,5 milioni di anni fa) e due sottospecie di cui sopravvive solo un discendente che ha le caratteristiche dell'uomo moderno, Homo sapiens (circa 100.000 anni fa). Nei primi Ominidi il linguaggio non era usato per comunicare, bensì per registrare determinate esperienze, ossia per effettuare un'analisi accurata dell'ambiente; all'inizio, dunque, il linguaggio non aveva funzioni essenzialmente sociali, ma i suoi vantaggi individuali per la sopravvivenza devono essere stati cruciali.
Tuttavia la nostra specie alla fine trasformò il linguaggio in una serie di manifestazioni lineari, dapprima la parola e poi altri sistemi come la scrittura, che integrarono quelli più antichi e basilari tuttora usati per comunicare. I mezzi di comunicazione verbali dell'uomo sono ora così strettamente intrecciati a quelli non verbali di vario tipo che solo un'attenta analisi scientifica è in grado di separarli.Passando dalla filogenesi all'ontogenesi, si può osservare che il bambino possiede una serie di dispositivi non verbali che può utilizzare naturalmente per comunicare con gli adulti nel suo ambiente immediato. L'apprendimento del contesto avviene assai prima dell'apprendimento di qualunque strumento linguistico, tuttavia le forme primitive (sguardo, gesti, ecc.) non vengono perdute, ma diventano semplicemente contingenti e facoltative. Nell'età senile e in altre situazioni di deterioramento psichico, la competenza linguistica si attenua e viene perduta prima che si dissolva la gamma di pratiche prelinguistiche più antiche.
Il XIX secolo e i primi decenni del Novecento sono stati caratterizzati dallo sviluppo esplosivo di gran parte delle tecnologie della comunicazione tuttora in uso: la fotografia e la telegrafia, la rotativa e la macchina per scrivere, le comunicazioni transoceaniche via cavo, il telefono, il cinematografo, il telegrafo senza fili, la registrazione su nastri magnetici, la radio e la televisione. Questi rapidi mutamenti nei mass media e nelle tecnologie delle telecomunicazioni (recentemente il satellite), come la televisione interattiva, la posta e i trasferimenti di fondi elettronici, le fotocopiatrici, ecc., sono stati considerati da alcuni studiosi (v. ad esempio Beniger, 1986) come manifestazioni di una 'rivoluzione del controllo'. Data la centralità del concetto di comunicazione nella civiltà contemporanea, e in considerazione dell'impatto sociale della tecnologia nonché degli interessi commerciali a essa legati, l'epoca contemporanea è stata definita come 'era dell'informazione'.
Gli studi sulla comunicazione sinora si sono occupati prevalentemente del passato e del presente, ma non sono mancate le estrapolazioni speculative verso il futuro. È chiaro che tali studi sono inevitabilmente connessi al destino biologico dell'umanità. Nel 1980, ad esempio, il Dipartimento per l'energia degli Stati Uniti creò un'unità operativa con il compito di esplorare i problemi connessi alla segnalazione dei confini di una discarica nucleare; si trattava in altri termini di escogitare un segnale che avvertisse le generazioni future, da qui a 10.000 anni, dei pericoli cui sarebbe andato incontro chiunque avesse scavato o trivellato l'area in cui si trovava la discarica sotterranea. Uno dei principali problemi che si poneva ai ricercatori era quello di trovare il modo di comunicare con l'umanità di un lontano futuro. Tra le soluzioni proposte vi era quella di utilizzare un sistema a relè di ricodifica dei messaggi, e di aumentare al massimo il grado di ridondanza di questi ultimi. In tutti i casi, nel futuro la comunicazione dipenderà in misura cruciale dagli sviluppi della biotecnologia e dell'informatica, che forniscono già all'umanità l'opportunità di riprogettare se stessa.
(V. anche Comunicazione; Linguaggio).
Argyle, M., Bodily communication, Madison, Conn., 1975.
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