Comunicazione
La comunicazione interpersonale (o faccia a faccia) può essere considerata come l'insieme dei fenomeni che permettono lo scambio di informazioni fra due o più persone attraverso il linguaggio parlato (nei suoi aspetti verbali e non verbali) e attraverso i segnali non verbali che, inviati per mezzo di movimenti del corpo o di parti di esso, vengono ricevuti mediante il canale visivo. Si tratta quindi di un processo a spirale con evidenti caratteristiche di reciprocità, in cui le informazioni inviate da un emittente a un destinatario o ricevente producono in questo delle reazioni o risposte che ritornano, in quanto nuove informazioni, al primo dei due interlocutori, che viene messo pertanto nella condizione di inviare nuove informazioni, e così via.Nell'analisi della natura e della complessità del processo comunicativo consideriamo per semplicità l'unità minima di analisi, o 'atto comunicativo', di cui saranno presi in esame gli elementi costitutivi, le regole che presiedono alla sua produzione e le sue funzioni.
L'atto comunicativo è la più piccola unità, suscettibile di essere parte di uno scambio comunicativo, che una persona può produrre con un'unica e precisa intenzione. Può essere costituito dalla produzione di una sola parola, di un gesto, più spesso di una combinazione di elementi verbali e non verbali. Può rappresentare una domanda, un'affermazione, una minaccia, una promessa, ecc.
Per avere un atto di comunicazione sono essenziali almeno sei fattori: l'emittente, cioè chi produce il messaggio; un codice, che è il sistema di riferimento in base al quale il messaggio viene prodotto; un messaggio, che è l'informazione trasmessa e prodotta secondo le regole del codice; un contesto, in cui il messaggio è inserito e a cui si riferisce; un canale, cioè un mezzo che rende possibile la trasmissione del messaggio; un ricevente (o destinatario) che riceve e interpreta il messaggio. In prima approssimazione, quindi, la comunicazione è il processo che consiste nella trasmissione intenzionale di informazioni, tutte o in parte sconosciute al ricevente prima dell'atto comunicativo. È importante inoltre che emittente e ricevente condividano uno stesso codice, perché solo così può aver luogo il processo di decodifica, cioè di comprensione del messaggio.
Il momento dell'emissione di un messaggio (o di una informazione) è caratterizzato dalla necessità di trasformare un contenuto psichico in un fatto obiettivo, per trasmetterlo all'interlocutore: la produzione del messaggio è perciò l'atto finale che implica anche tutta l'attività interiore prelocutoria, le fasi cioè che precedono l'esteriorizzazione e nelle quali si realizza l'organizzazione interiore del materiale da esprimere, così da dare al messaggio una forma codificata.Il processo di codifica coinvolge una serie complessa di operazioni a livello cognitivo, emotivo, affettivo, interpersonale: questi aspetti si presentano nella realtà strettamente connessi e interdipendenti, anche se, per fini analitici, si possono discutere separatamente.I problemi di codifica che un soggetto incontra più di frequente possono riguardare aspetti del contenuto di una informazione e/o aspetti della relazione. Per quanto si riferisce al contenuto, le diverse strategie di cui il soggetto dispone per codificare una data informazione si basano sulla consapevolezza da lui posseduta a proposito del 'significato'. Si tratta prima di tutto della consapevolezza della pluralità di significati sottostante all'unicità del segno, pluralità legata ai diversi contesti oltre che ai diversi interlocutori. Ogni termine ha un'area più o meno ampia di incertezza o ambiguità, definita 'alone semantico'. È importante rendersi conto del fatto che c'è una variabilità soggettiva nel significato attribuito, per esempio, a una parola, una sorta di fluttuazione dell'alone semantico, che rende possibile attribuire interpretazioni diverse. Affinché il ricevente comprenda il messaggio trasmesso e lo decodifichi correttamente, occorre accettare implicitamente l'ipotesi che la comprensione di una frase avvenga solo quando il messaggio è collocato all'interno di un contesto, e che tale contesto possa variare a seconda degli interlocutori: esistono cioè schemi di riferimento diversi in funzione dei vari contesti, che possono essere evocati da uno stesso atto comunicativo.Il processo di codifica riguarda anche la 'qualità' del messaggio, lo stile del comportamento comunicativo, la presentazione di sé che viene offerta in ogni scambio interattivo. A questo proposito Goffman (v., 1959) distingue le espressioni che un individuo trasmette (che sono l'informazione in senso stretto) da quelle che lascia trasparire.
Occorre poi considerare l'intenzione dell'emittente di realizzare un atto comunicativo; ma occorre precisare che questo carattere dell'intenzionalità della comunicazione costituisce un grosso problema teorico, ancora oggi oggetto di discussione tra i ricercatori che hanno espresso posizioni differenziate. Watzlawick, Beavin e Jackson (v., 1967), ad esempio, definiscono 'comunicazione' qualsiasi comportamento tenuto in presenza di un'altra persona. Non occorre quindi l'intenzione di comunicare; secondo questo punto di vista non esiste all'interno del sistema di interazione la possibilità di non comunicare e non importa quindi che la comunicazione sia volontaria o meno, che i partecipanti se ne rendano conto o no: essi si influenzano tra loro inviando informazioni tramite il proprio comportamento.
Decisamente critico nei confronti di questa impostazione è Fraser (v., 1978), secondo cui non tutto ciò che una persona compie deve essere considerato come comunicazione. Bisogna anzi distinguere nettamente tra comportamento, che in certe situazioni può fungere da segnale per chi osserva ed essere interpretato come tale (come certi elementi idiosincratici di stile personale, ad esempio gli aspetti stabili della qualità della voce), e comunicazione, che comporta un sistema di segnali socialmente condivisi, o codice, e prevede un'azione intenzionale di codifica e decodifica.Altri autori assumono una posizione intermedia rispetto alle due, decisamente opposte, che abbiamo sopra indicato. Ekman e Friesen (v., 1969), e successivamente von Cranach (v., 1973), propongono una distinzione fra comportamento informativo, interattivo e comunicativo. P. Ekman e W.V. Friesen ritengono che si possa parlare di comportamento comunicativo tutte le volte che in un comportamento non verbale esista un consenso, un accordo nell'interpretazione che di esso danno diversi osservatori, senza che ciò implichi necessariamente che la persona che ha realizzato quel dato comportamento non verbale avesse intenzione di comunicare.
Non tutti gli studiosi sono dunque concordi nel ritenere l'intenzionalità un elemento discriminante in senso assoluto tra ciò che è comunicativo e ciò che non lo è. Il problema è complesso e investe soprattutto l'area del comportamento non verbale. A questo proposito oggi appare superata la posizione rigida di chi definiva elementi essenziali di un comportamento comunicativo l'esistenza di un codice e l'intenzione di comunicare un particolare messaggio in quel codice. Si tende piuttosto a prendere in esame varie situazioni di interazione che possono concretamente verificarsi e i vari elementi del problema: ad esempio l'emittente può, sì, avere l'intenzione di comunicare, ma può anche essere consapevole di usare oltre alle parole o ai gesti simbolici una serie di altri elementi posturali, gestuali, mimici. Nell'interazione possono cioè verificarsi diverse possibilità: l'emittente può essere consapevole o non esserlo; può avere l'intenzione di comunicare o non averla; il suo comportamento non verbale può essere di per sé significativo indipendentemente dalla consapevolezza o intenzione. Inoltre il significato che egli attribuisce a un gesto (significato all'emissione) può essere percepito e interpretato in modo diverso dal ricevente (significato al destinatario). Lo stesso Wundt (v., 1921⁴), a proposito dell'ambiguità di significato dei gesti e della possibilità di fraintendimento, aveva introdotto il concetto di 'scala di vaghezza'.
Secondo Dittmann (v., 1978) è possibile semplificare e ridurre tutti i tipi di segnali non verbali in categorie precise definite da significati condivisi. Ciò è possibile per alcuni gesti 'categorici' per loro natura, come quelli simbolici, ma risulta difficile per altri quali la gesticolazione che accompagna il discorso, e soprattutto per i movimenti di adattamento e per quelli che esprimono stati emotivi. Secondo Dittmann, infatti, i gesti simbolici, provvisti di significati condivisi dai membri di un gruppo sociale o di una comunità linguistica, possono essere analizzati con criteri simili a quelli adottati nello studio degli elementi verbali; ma altri segnali non seguono i processi di semplificazione, organizzazione e ristrutturazione in simboli e difficilmente possono venire consensualmente riconosciuti e riprodotti come le parole.Come si può constatare, si è ancora lontani dall'aver trovato un accordo in merito. A noi sembra comunque che ai fini del nostro discorso sia utile non insistere su una separazione netta tra comportamento comunicativo e non, ma piuttosto considerare il fatto che esiste una sorta di continuum, che potremmo definire 'scala di specificità comunicativa', a un estremo della quale si trovano i comportamenti prodotti intenzionalmente secondo un codice condiviso e all'altro i comportamenti puramente espressivi.
Un altro momento dell'atto comunicativo è costituito dalla ricezione o decodifica del messaggio trasmesso. Si tratta di un processo dinamico attivo e complesso che comporta una ricca attività cosciente, nonché attenzione e sforzo per raccogliere tutti i dati necessari alla comprensione di una espressione.Si ha prima di tutto la percezione del messaggio; una volta percepito un messaggio (sia esso orale, scritto o non verbale), sorge il difficile problema della ricostruzione da parte del ricevente del significato cui si mirava nell'atto di emissione. La ricezione, secondo questa impostazione, implica una continua creazione, consistente nel tentativo di ricreare, intorno a un nucleo, il significato inteso dall'emittente. Quindi, accanto alla percezione e al riconoscimento dei segni (che si basano sulla conoscenza della lingua) c'è anche un'operazione fondamentale, cioè l'interpretazione dell'espressione: questa si realizza col riportarsi al modo in cui l'espressione è organizzata e con l'integrazione in un ampio sistema, rappresentato dall'intero contesto.
Decodificare quindi significa conferire un senso ai dati informi dell'esperienza, operare il riconoscimento di un comportamento altrui.Persone diverse possono percepire in modo differente la stessa situazione e la stessa comunicazione: ciò in ragione del fatto che la decodifica comporta sempre un processo di selezione, organizzazione e interpretazione dei segnali forniti.Il modo in cui una persona decodifica è determinato dal contesto, dalle sue aspettative, dai suoi atteggiamenti e dalla sua personalità. Contesto e aspettative agiscono spesso in modo integrato facendo sì che percepiamo le cose e le persone come ci aspettiamo di trovarle: una stessa affermazione, proveniente da una persona che rispettiamo o da un'altra che consideriamo poco intelligente, può essere percepita in modo molto diverso. Anche i nostri atteggiamenti generano delle aspettative che a loro volta influenzano ciò che vediamo e udiamo: si tende così a interpretare i segni in modo che risultino compatibili con le nostre credenze. Se una persona è prevenuta nei confronti di un'altra, tenderà a considerare in modo negativo qualunque cosa essa faccia o dica. Se questa si comporta in modo amichevole, si privilegerà un'interpretazione che considera tale comportamento adulatorio e servile, oppure un camuffamento che nasconde in realtà un atteggiamento ostile.Anche la personalità del ricevente interviene nel processo di interpretazione, ad esempio mediante la disattenzione selettiva. Ignorando segnali e informazioni che comportano critiche o giudizi negativi sul nostro conto, possiamo continuare a nutrire fiducia e stima in noi stessi anche di fronte alla disapprovazione degli altri.
L'uso del concetto di 'canale' è molto frequente: tuttavia la sua definizione è spesso imprecisa. Si potrebbe definire canale il mezzo fisico-ambientale che rende possibile la trasmissione di un'informazione o di un messaggio; un'interpretazione restrittiva di tale definizione a proposito della comunicazione verbale dovrebbe farci considerare l'aria quale canale di trasmissione del segnale sonoro dall'emittente al destinatario. Usualmente si adottano invece definizioni molto più pragmatiche di canale, tanto da ingenerare in alcuni casi una certa confusione.
È possibile così trovare autori che parlano di canale verbale e di canale non verbale, quando l'emissione di una informazione si realizza attraverso comportamenti verbali o non verbali: in questo caso è il tipo di codifica dell'informazione che costituisce il criterio distintivo fra i due canali. In altri casi si trova la distinzione fra canale vocale e canale cinesico per indicare il fatto che l'emissione dell'informazione può realizzarsi attraverso l'apparato fonatorio (emissione di suoni) o attraverso comportamenti motori di altre parti del corpo; in quest'ultimo caso è possibile un'ulteriore distinzione in una molteplicità di canali (o sottocanali) coincidenti con la parte del corpo coinvolta nella produzione del messaggio: canale mimico, gestuale, visivo, ecc.
Resta da ricordare infine che il termine canale viene usato in certi casi anche per definire l'apparato sensoriale attraverso il quale il ricevente o destinatario raccoglie l'informazione: parleremo allora di canale uditivo, canale visivo, canale olfattivo, canale tattile (a proposito degli ultimi due occorre sottolineare l'importanza preponderante che essi rivestono nella comunicazione animale).
Un tentativo di sintesi fra le diverse possibilità sopra delineate è costituito dalla distinzione di Fraser (v., 1978) fra canale vocale-uditivo e canale visivo-gestuale, con la quale egli cerca di considerare tanto i processi di codifica/emissione che di ricezione/decodifica. Nel primo caso informazioni emesse attraverso l'apparato vocale vengono ricevute mediante l'apparato uditivo, nel secondo informazioni inviate attraverso movimenti (in senso lato) di parti del corpo vengono raccolte mediante l'apparato visivo. Occorre tuttavia ricordare che alcuni autori considerano in senso lato canale di comunicazione qualunque comportamento o insieme di comportamenti cui viene sistematicamente attribuito un significato da un osservatore o ricevente, e in cui lo stesso osservatore/ricevente ritiene di riconoscere un'informazione che può essere analizzata indipendentemente dagli altri comportamenti concomitanti (v. Wiener e Mehrabian, 1968).
Numerose ricerche hanno ampiamente dimostrato la grande influenza esercitata dalla situazione su tutti gli aspetti del comportamento comunicativo. Ambiente, partecipanti, scopo sono le tre categorie individuate da Brown e Fraser (v., 1979) come componenti fondamentali della situazione.
Ciò significa che lo scambio comunicativo è fortemente influenzato dalle mete che guidano l'attività dei soggetti nel corso dell'interazione, dalle aspettative, dagli atteggiamenti e dalle caratteristiche di personalità degli interagenti, e infine dalla 'definizione della situazione', dal fatto cioè che i partecipanti condividano o meno il significato della situazione in cui si trovano. A proposito di quest'ultimo aspetto si può dire che lo scambio comunicativo risulta favorito quando esiste una comune definizione della situazione, ossia quando i partecipanti non nutrono dubbi sui ruoli che ciascuno si accinge a svolgere e sui significati dei comportamenti comunicativi reciproci. Questo 'campo reciprocamente condiviso' o 'ambiente comunicativo comune' rappresenta il mondo intersoggettivo in cui si realizza la comunicazione.
Seguendo l'analisi della Slama-Cazacu (v., 1968), il contesto esercita numerose funzioni: determina la scelta di una data parola, precisandone il senso, cioè la direzione che l'interlocutore deve seguire per capire; contribuisce alla precisazione del senso e al completamento del significato; in alcuni casi può anche creare esso stesso il significato di una parola rendendo possibile una corretta comprensione, e può, infine, trasformare anche un significato.
La frequente distinzione fra comunicazione verbale e comunicazione non verbale, se utile da un punto di vista concettuale, rischia di condurre, sul piano dell'analisi dei processi comunicativi, a una rigida dicotomia - evidenziatasi peraltro in molti studi dedicati di recente all'interazione sociale - che non favorisce una piena comprensione della complessità della comunicazione interpersonale. Una separazione rigida fra ciò che è verbale e ciò che non è verbale è problematica in quanto condurrebbe alla separazione di due aspetti assolutamente intrecciati nel processo comunicativo. D'altra parte, l'attività non verbale del parlante è così intimamente connessa con l'attività verbale che risulta certamente difficile affermare che l'una dipende dall'altra o viceversa: parola e movimento del corpo appaiono entrambi manifestazioni dello stesso processo espressivo.Nella traduzione delle rappresentazioni mentali dell'emittente in comportamenti percepibili (aventi finalità comunicativa) vengono pertanto coinvolti tanto la produzione verbale quanto i movimenti del corpo, anche se i processi di codificazione coinvolti nei due casi si differenziano nettamente.
Lo stretto rapporto esistente tra verbale e non verbale è dimostrato anche dalle modalità con cui si sviluppa la competenza comunicativa nel primo anno di vita: prima dell'acquisizione della competenza linguistica, infatti, si può attribuire al bambino una competenza comunicativa fondata sulla possibilità di comunicare attraverso canali e modalità non verbali; si può anzi sostenere che i sistemi di comunicazione preverbale costituiscono la base per l'acquisizione del linguaggio. Quando tra adulto e bambino si instaura un rapporto strutturato con suddivisione di compiti, alternanza dei turni, complementarità dei ruoli, regole e convenzioni riconosciute da entrambi, siamo di fronte a un vero e proprio sistema di comunicazione che precede il linguaggio. È possibile cioè individuare un graduale passaggio tra comunicazione non verbale prelinguistica e linguaggio: le modalità utilizzate dal bambino per comunicare attraverso segnali non verbali vengono gradualmente trasferite alla competenza linguistica (v. Ricci-Bitti e Zani, 1983). D'altra parte, sempre in una prospettiva evolutiva, l'intima relazione tra discorso e movimenti del corpo è dimostrata da recenti osservazioni secondo le quali i movimenti delle mani, coordinati con i movimenti dell'apparato fonatorio, possono essere presenti fin dai primi sforzi comunicativi del bambino (v. Trevarthen, 1977). È pertanto preferibile considerare unitariamente le modalità verbali e non verbali che intervengono nei processi di comunicazione, per riaffermare la sostanziale interdipendenza esistente fra tutti gli aspetti del repertorio comunicativo.
Un approccio coerente con questa prospettiva 'unitaria' è pertanto rappresentato dall'individuazione dell'articolazione esistente fra elementi verbali ed elementi non verbali nei processi comunicativi.
Il sistema verbale in senso stretto non esaurisce tutto il linguaggio parlato, ma corrisponde a quegli aspetti del discorso che sono contenuti convenzionalmente nella forma scritta, in particolare le parole. Ma parlare significa anche usare costantemente sottolineature, congiunzioni, variazioni nel grado di intensità: non sono le parole da sole a far capire se una frase sia interrogativa o dichiarativa, ma una variazione del tono alla fine della frase.
Tali variazioni costituiscono insieme l'intonazione: cambiamenti sistematici nell'intonazione indicano cambiamenti sistematici nel significato delle frasi. Le parole e la loro intonazione sono strettamente interdipendenti, e insieme rappresentano le componenti principali del linguaggio; ma altri elementi non verbali del parlato, quelli paralinguistici, possono svolgere un ruolo significativo nel discorso. Quando parliamo, infatti, usiamo una serie di vocalizzazioni aggiuntive condivise nel loro significato dai membri di un gruppo sociale e usate a fini comunicativi: variazioni dell'intensità e del tono della voce, pause, fenomeni di esitazione, ecc. che, pur non essendo elementi linguistici, sono parte integrante del discorso.
Gli elementi cinesici, infine, sono rappresentati dalle posizioni e dai movimenti del corpo e di parti di esso, che assumono un chiaro significato comunicativo e che si manifestano in forme codificate sul piano culturale: ci si riferisce in particolare alle posizioni del corpo nello spazio, alla postura, ai movimenti delle mani e del capo, alle espressioni facciali e allo sguardo.Il sistema verbale e quello non verbale si differenziano in relazione ad alcune caratteristiche specifiche: il canale verbale, in virtù dell'elevato grado di specificità comunicativa, può essere usato per inviare un numero di messaggi molto più ampio di quanto possa fare il canale non verbale, che dispone di una gamma piuttosto ristretta di moduli comunicativi. Se tuttavia non consideriamo soltanto la ricchezza e la quantità di informazione del messaggio, ma anche la rapidità del passaggio dell'informazione, possiamo rilevare che in certi casi (ad esempio la comunicazione delle emozioni e degli atteggiamenti interpersonali) il canale non verbale è molto efficace: un velocissimo movimento mimico può informarci più rapidamente ed efficacemente sullo stato emotivo di un interlocutore di quanto possano fare le sue parole. Se vogliamo valutare l'efficacia relativa delle varie componenti verbali e non verbali di un messaggio dobbiamo tener conto cioè anche del tipo di comunicazione in atto: nel caso in cui si comunica un atteggiamento interpersonale (ad esempio simpatia), i segnali non verbali assumono un rilievo preminente (funzione 'interpersonale' della comunicazione); nel caso, invece, in cui si fornisce un'informazione neutrale rispetto al rapporto interpersonale (funzione 'rappresentazionale' della comunicazione) è la componente verbale ad avere il sopravvento. Gli elementi verbali e non verbali operano tuttavia in modo simultaneo, determinando in tal modo la complessità della comunicazione faccia a faccia. Durante l'interazione gli elementi verbali e non verbali del comportamento sono infatti interdipendenti e contemporaneamente attivi; per esempio, se assistiamo a una discussione aspra fra due interlocutori, possiamo contemporaneamente rilevare un clima di ostilità tanto dal contenuto delle loro affermazioni quanto dal tono di voce, dall'espressione mimica degli atteggiamenti e dai movimenti del corpo. In alcuni casi i segnali non verbali e le parole funzionano in modo coerente e ottengono un effetto di reciproco rafforzamento; in altri casi, invece, essi possono trasmettere informazioni contraddittorie e incompatibili fra loro, ponendo i soggetti che interagiscono nella necessità di 'disambiguare' tale contraddizione scegliendo a quali segnali dare maggiore importanza.
Le persone si differenziano fra loro per il comportamento sociale, per la capacità di instaurare e mantenere rapporti interpersonali soddisfacenti, per l'abilità nel comprendere gli interlocutori. Lo stesso individuo usa stili diversi di comportamento in momenti e situazioni diversi, e possiede un repertorio caratteristico di tecniche sociali la cui scelta si basa sulla specifica motivazione che guida il rapporto interpersonale in atto.
Nello studio dell'interazione sociale risultano evidenti, ma insieme difficili da indicare analiticamente, le componenti della competenza sociale: si tratta in sintesi delle modalità comportamentali che gli individui debbono adottare perché l'interazione sia efficace. Solitamente le persone che interagiscono si preoccupano non solo di fornire e raccogliere informazioni, ma anche dell'immagine di sé che evocano negli altri; il desiderio di vedere confermate la propria identità e la stima di sé costituisce una delle motivazioni più comuni negli incontri sociali della vita quotidiana. D'altra parte gli individui si preoccupano anche di cogliere e interpretare in modo accurato i processi psicologici che si realizzano nell'interlocutore; si chiedono cioè che cosa gli altri stiano pensando e quali sentimenti stiano provando (aspetti che nel loro insieme costituiscono la base del processo di 'assunzione del ruolo dell'altro'). In situazioni che richiedono un'abilità sociale professionale specifica è ancora più forte il rilievo delle informazioni retroattive, di quei comportamenti cioè che forniscono informazioni sulle reazioni altrui; l'insegnante, per esempio, dovrà preoccuparsi di prestare attenzione a tutti quei comportamenti che permettono di acquisire informazioni sulla comprensione e l'apprendimento degli allievi e anche sugli atteggiamenti che essi hanno nei suoi confronti.
Si potrebbe allora ipotizzare l'esistenza di una competenza comunicativa di base, richiesta nelle interazioni della vita quotidiana di tutti gli individui, su cui si innestano alcune abilità comunicative più tipicamente professionali, legate cioè al ruolo effettivamente svolto nella situazione professionale: sull'integrazione di tali dimensioni l'individuo costruisce una peculiare identità professionale e se ne appropria. Se può risultare relativamente facile comprendere il concetto di competenza comunicativa professionale, in quanto lo si può anche valutare in termini di efficacia reale dei comportamenti prodotti, è meno evidente l'individuazione delle componenti di quella che abbiamo definito competenza comunicativa di base. Possiamo sinteticamente affermare che la competenza comunicativa è l'insieme di quelle capacità che facilitano lo scambio di informazioni attraverso il linguaggio parlato (nei suoi aspetti verbali e non verbali) e attraverso i segnali non verbali che vengono ricevuti mediante il canale visivo e inviati tramite movimenti del corpo o di parti di esso. Tali 'capacità' vengono utilizzate prevalentemente nell'interazione faccia a faccia. Per semplicità potremmo individuare tre classi specifiche di capacità (per un'analisi più dettagliata della competenza comunicativa, v. Ricci-Bitti e Zani, 1983).
Una classe si riferisce in generale alla funzione di 'ricezione' dei segnali e delle informazioni che essi forniscono: avremo così una capacità di cogliere (attenzione) e decodificare i segnali non verbali che ci informano sulle intenzioni, sulle emozioni e sugli atteggiamenti dell'interlocutore, e ci forniscono i dati necessari per la regolazione del flusso dell'interpretazione; una capacità di interpretare i messaggi trasmessi verbalmente; una capacità di integrare le informazioni ricevute attraverso canali diversi, al fine di decodificare adeguatamente il messaggio nel caso esista incongruenza fra canali o in caso di metacomunicazione (modulazione di significati determinati dalla particolare interazione fra segnali verbali e non verbali); una capacità di comprendere i ruoli sociali e il contesto sociale dello scambio comunicativo.
Un'altra classe di capacità si riferisce all'insieme dei comportamenti che favoriscono un 'invio' efficace dei messaggi o, in senso più lato, un modo adeguato di 'agire verso gli altri': possiamo considerare la capacità di produrre/inviare segnali non verbali, che forniscono informazioni sulle proprie intenzioni, emozioni e atteggiamenti interpersonali e che permettono una regolazione delle sequenze interattive (alternanza dei turni, sincronizzazione, ecc.); la capacità di esprimere verbalmente opinioni, sentimenti, richieste, ecc.; la capacità di integrare e coordinare in modo appropriato i segnali emessi attraverso il canale verbale e quello non verbale; la capacità di agire in modo adeguato rispetto ai ruoli reciproci e al contesto sociale dello scambio comunicativo (assunzione del ruolo dell'altro, regole della situazione, ecc.).
Una terza classe di capacità è più propriamente 'intraindividuale' e potrebbe essere indicata da concetti quali consapevolezza, congruenza interna, feedback interno: tutti concetti che si riferiscono alla possibilità di operare un costante 'monitoraggio' nei confronti dei propri comportamenti comunicativi e dei sottostanti atteggiamenti, sentimenti, intenzioni.Come si può vedere da quanto sopra affermato, il concetto di competenza comunicativa permette innanzitutto un approccio più rigoroso alle componenti cognitive e affettive delle relazioni interpersonali; favorisce inoltre l'assunzione di un modello esplicativo dinamico che supera le analisi basate su tratti comportamentali; permette di focalizzare infine la propria attenzione sui processi dell'interazione sociale e non solo sugli effetti. La nozione di competenza comunicativa permette poi di affrontare il comportamento interpersonale attribuendo un particolare rilievo alle differenze individuali nelle capacità 'socioemozionali'. (V. anche Apprendimento; Comunicazioni di massa; Interazione sociale; Linguaggio; Semiotica).
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