SERAFINI (o degli Ariberti), Serafino di Giovanni de'
SERAFINI (o degli Ariberti), Serafino di Giovanni de’. – Nacque a Modena, intorno al 1324, da Giovanni Serafini de Aribertis calzolaio, che fece testamento il 28 gennaio 1349.
Serafino è documentato a Modena dal 1346 (Gibbs, 1989, pp. 216, 242, doc. 12) fino al 1361 come «fornaxarius», ossia come fabbricante di mattoni, mestiere che svolgevano il nonno omonimo e lo zio Jacopo (Bertoni - Vicini, 1904, pp. 284-296). La data di nascita è stimata verosimilmente attorno al 1324, dal momento che nel 1349 fu nominato tutore dei suoi tre fratelli (e dunque aveva compiuto 25 anni; pp. 294 s., docc. V e VIII) e che risulta ancora in vita nel 1394 (Franceschini, 1993, doc. 95). A partire dall’agosto del 1361 egli risiedette a Ferrara «in contracta Sancti Gregorii» (Bertoni - Vicini, 1904, doc. XXI, p. 296, mentre solo dal 1373 viene esplicitamente nominato in qualità di «pictor», presenziando come teste a due atti di vendita (Franceschini, 1993, docc. 21-22). Allo stesso anno risale l’iscrizione «mille trecento con septanta trei» recensita nel Seicento da Marc’Antonio Guarini, e connessa alla decorazione della cappella de’ Petrati nella chiesa ferrarese di S. Domenico (Guarini, 1612, p. 90). Come ci tramanda lo storico Alessandro Luzio, nel 1375, rispondendo a Ludovico I Gonzaga, Bonagrazia Muratori da Ferrara, familiare di Nicolò II d’Este, rassicurava il marchese circa l’arrivo di Serafino a Mantova, non appena avesse assolto il compito che stava svolgendo nei palazzi estensi (Luzio, 1922, p. 199; Bazzotti, 1989, p. 212; Gibbs, 1989, p. 210). Una decina di anni dopo, nel 1385, Serafino appose la sua firma sulla predella del trono dell’Incoronazione della Vergine al centro del polittico eseguito per il duomo di Modena, mentre nel 1387 egli è chiamato «civis mutinensis» in un atto che riguarda la vendita di un terreno (Bertoni - Vicini, 1904, doc. XXIV, p. 296). Tuttavia, negli anni 1393 e 1394 Serafino è citato nuovamente a Ferrara, come attestano tre documenti, in due dei quali compare come testimone un suo figlio notaio, di nome Vitale (Franceschini, 1993, docc. 82, 86, 95). Di un altro figlio, Paolo, anch’egli pittore, abbiamo notizia grazie alla firma in calce alla tavola doubleface con la Madonna col Bambino e il Redentore benedicente della cattedrale di Barletta e a quella alla tela con la Madonna dell’umiltà della Galleria estense di Modena, datata 1370 (Gibbs, 1989, pp. 222 s.). L’11 giugno 1399, in un ultimo atto rogato sotto il portico del palazzo della Ragione di Ferrara, in cui il figlio Vitale compare di nuovo come testimone, Serafino risulta ormai morto (Franceschini, 1993, doc. 116).
A giudicare dunque dalle testimonianze d’archivio, Serafino approdò alla pittura solo in tarda età, quando aveva ormai una cinquantina d’anni. Appare tuttavia ragionevole pensare che egli vi si fosse dedicato già dagli anni precedenti, magari in maniera non costante, dovendo seguire l’attività di famiglia, e forse a partire dal suo trasferimento a Ferrara. Probabilmente egli si formò nell’ambiente bolognese degli anni Quaranta del Trecento, tra Vitale e l’«Illustratore». Alcune circostanze, soprattutto il primo documento del 1346, inducono inoltre a pensare che egli conoscesse Tommaso da Modena già prima che il conterraneo si recasse a Treviso, e di sicuro al suo rientro nella città natale verso la fine del sesto decennio, almeno a giudicare dall’impronta fortemente tommasesca delle opere centrali del suo percorso artistico.
Tra queste, occupa una posizione cardine la cappella di S. Ludovico in S. Francesco a Mantova, già sacello della famiglia Gonzaga a partire da Guido, secondo capitano della città (1360-69; Paccagnini, 1960, pp. 268-280; Bazzotti, 1993, pp. 277-281). La raffigurazione delle Storie di s. Ludovico di Tolosa all’interno del ciclo, che include anche frammentarie Storie della Passione sulle restanti pareti, avvalora l’ipotesi di un omaggio post mortem di Ludovico I, terzo capitano di Mantova (1369-82), probabile committente del ciclo e responsabile della destinazione funeraria della cappella, al capostipite della famiglia Luigi, il cui ritratto compare nell’episodio relativo alla Morte del santo, rappresentato sulla parete sud (De Marchi, 1988, pp. 129 s.; Id., 1999, pp. 25 s.).
A monte di questa impresa, databile probabilmente post 1375, considerando la lettera pubblicata da Luzio (ma si veda De Marchi, 1988; Id., 1999, che propende invece per una data 1370-72), vanno collocate la decorazione della cappella de’ Petrati in S. Domenico del 1373, di cui tuttavia non abbiamo sopravvivenze, se non forse un affresco frammentario con la Madonna dell’umiltà attorniata da angeli nella stessa chiesa (De Marchi, 1988, p. 128, nota 14; Id., 1999, p. 30; Guerzi, 2002, p. 103, figg. 23-24), e alcune opere su tavola da datarsi alla fine degli anni Sessanta, come un trittico di collezione privata milanese raffigurante la Crocifissione e la Madonna col Bambino, s. Giuliano, s. Giovanni Battista e s. Nicola assegnatogli da Andrea De Marchi (1988), l’Adorazione dei Magi e s. Girolamo (Milano, Pinacoteca nazionale di Brera; Zeri, 1996, p. 219, cat. 176; De Marchi, 1999, pp. 38, 44, nota 43) e il trittico del duomo di Piacenza con Storie della Passione (Longhi, 1934, 1956, pp. 8 s.; De Marchi 1988, pp. 121, 126, nota 14; Id., 1998, pp. 173-175, cat. 16; Id., 1999). In quest’ultima opera, più che altrove, si colgono, nelle estrose soluzioni compositive ricche di finezze naturalistiche e nell’«umanità florida, affettuosa» (Longhi, 1934, 1956, pp. 8 s.), gli esiti della formazione di Serafino a contatto soprattutto con il giovane Tommaso da Modena, ma anche con pittori bolognesi suoi coetanei come Simone e Cristoforo, cui deve aggiungersi tuttavia una prima adesione al neogiottismo padano, visibile nella costruzione spaziosa degli ambienti e nell’abbondante panneggiare delle figure.
Attorno al 1370 vanno invece collocati alcuni disegni acquerellati realizzati su di un rotulo contenente la Biblia figurata et depicta in forma arboris genealogicae cum explicationibus adjectis, dell’Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (Ms. series nova 3394, 5860×620 mm; De Marchi, 1998, p. 174; Id., 1999, pp. 38-40). Si tratta di un’opera che media il passaggio tra il periodo di formazione e la produzione matura dell’artista, rappresentata per l’appunto dalla cappella di S. Ludovico, con cui non mancano i confronti tipologici e stilistici, a dimostrazione della contiguità cronologica tra le due imprese (Guarnieri, 2012).
L’attribuzione del rotulo viennese a Serafino apre un capitolo importante sulla possibile attività del pittore nel campo dell’illustrazione. Massimo Medica ha proposto di assegnargli parte della decorazione dell’Offiziolo di Forlì (Forlì, Biblioteca comunale, ms. 853), redatto a Ferrara da Bartolomeo rettore di S. Croce nel 1385 (Medica, 1987, pp. 188 s., nota 7). Il codice, tuttavia, pur appartenendo al medesimo clima culturale, sembra da attribuire a una mano diversa, poiché l’attenzione per il dato naturalistico e botanico appare ancora più spiccata, mentre gli incarnati sono più lividi e i lustri hanno effetti metallici.
Se nulla ci è giunto purtroppo delle decorazioni dei palazzi estensi, diverse sono tuttavia le opere che del pittore rimangono a Ferrara, a testimoniare l’evoluzione del suo linguaggio in direzione della svolta neogiottesca che, nei maggiori centri della Valpadana, ma in particolare tra Verona e Padova con Altichiero e Jacopo Avanzi, travolse le persistenze gotiche e, nel caso emiliano, il pervasivo e talora svigorito linguaggio vitalesco. Oltre alla citata cappella de’ Petrati, il pittore attese alla decorazione della cappella fondata da Buonsostegno e Giorgio Marinetti nella soppressa chiesa agostiniana di S. Andrea (circa 1378), di cui si conservano il grandioso Trionfo di s. Agostino, opera dalla complessa organizzazione dottrinaria e dagli intenti didascalici (Lodi, 1981, pp. 3-34), e il lacerto con S. Dorotea condotta al martirio (entrambi a Ferrara, Pinacoteca nazionale), unico sopravvissuto di un ciclo dedicato alla santa, in conformità con l’intitolazione originaria della cappella (Longhi, 1934, 1956, pp. 7 s.; Lodi, 1992, pp. 24-28; D’Agostino, 2008; Pittiglio, 2011, pp. 248-251); e firmò l’assai rovinata Assunzione della Vergine proveniente dall’oratorio dei Battuti Bianchi (Ferrara, Museo di Casa Romei), la cui data venne letta come 1387 o 1388 (cfr. Varese, 1976, pp. 44 s., fig. 33b; si veda inoltre De Marchi, 1988; Guerzi, 2002, che argomentano su basi stilistiche una datazione più precoce). Infine andrà ricordato l’affresco con l’Adorazione dei Magi, già nella chiesa di S. Andrea, attribuitogli da Robert Gibbs (1989, p. 218, nota 65) e oggi perduto, definito da Roberto Longhi di «un maestro bellissimo, tipicamente ‘padano’, cugino spirituale di Tommaso da Modena, di Altichiero» (1934, 1956, p. 10; Bazzotti, 1993, pp. 277-281).
Alla fase finale del percorso dell’artista appartiene il citato polittico del 1385, raffigurante l’Incoronazione della Vergine al centro, la Crocifissione nella cimasa, l’Annunciazione e s. Onofrio e s. Caterina nel registro superiore, s. Cristoforo, s. Nicola, s. Geminiano, s. Antonio abate nel registro principale, Cristo benedicente e i dodici Apostoli nella predella, ormai indirizzato verso esiti più stanchi, di sottile calligrafismo tardogotico. Di più difficile collocazione, ma forse inseribili in una fase precedente, ancora nell’ottavo decennio, sono invece due tavolette di qualità meno alta, attribuitegli da Carlo Volpe (1979, pp. 24-27), con la raffigurazione di quattro Apostoli (Rimini, Musei civici), già parti di una predella di un complesso simile a quello modenese e provenienti dalla confraternita di S. Girolamo a Rimini (Pasini, 1983, pp. 62 s., nn. 10-11; Guerzi, 2002, p. 116, nota 119).
Fonti e Bibl.: M.A. Guarini, Compendio historico dell’origine, accrescimento e prerogative delle chiese e luoghi pii della città e diocesi di Ferrara, Ferrara 1612, p. 90; G. Bertoni - E.P. Vicini, S. S., pittore modenese del secolo XIV, in L’Arte, VII (1904), 6-8, pp. 287-296; A. Luzio, L’Archivio Gonzaga di Mantova, II, La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei Gonzaga, Verona 1922, p. 199; R. Longhi, Officina ferrarese, Roma 1934, riedito in Opere complete, V, Firenze 1956, pp. 7-10, figg. 1-9; G. Paccagnini, La pittura, in G. Paccagnini, Mantova. La storia, le lettere, le Arti, I, Il Medioevo, Mantova 1960, pp. 268-280; R. Varese, Trecento ferrarese, Milano 1976, pp. 44 s.; C. Volpe, in Pittura a Rimini tra gotico e manierismo. Recupero e restauro del patrimonio artistico riminese: dipinti su tavola (catal.), a cura di C. Volpe, Rimini 1979, pp. 24-27; L. Lodi, Problemi iconologici di un dipinto ferrarese del XIV secolo, in Cultura figurativa ferrarese tra il XV e il XVI secolo. In memoria di Giacomo Bargellesi, Venezia 1981, pp. 1-34; P.G. Pasini, La Pinacoteca di Rimini, Cinisello Balsamo 1983, pp. 62 s., nn. 10-11; M. Medica, Per una storia della miniatura a Bologna tra Tre e Quattrocento. Appunti e considerazioni, in Il tramonto del Medioevo a Bologna. Il cantiere di S. Petronio (catal.), a cura di R. D’Amico - R. Grandi, Bologna 1987, pp. 160-192; A. De Marchi, Un’aggiunta al catalogo di Serafino de’ Serafini, in Atti e memorie. Deputazione di Storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, X (1988), pp. 119-130; U. Bazzotti, in Pittura a Mantova dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Milano 1989, pp. 212 s.; R. Gibbs, Tomaso da Modena. Painting in Emilia and the March of Treviso, 1340-80, Cambridge 1989, pp. 203-224; L. Lodi, in La Pinacoteca nazionale di Ferrara, catalogo generale a cura di J. Bentini, Bologna 1992, pp. 24-28, nn. 31-32; U. Bazzotti, Mantova, in La pittura in Lombardia. Il Trecento, Milano 1993, pp. 265-294; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, I, Dal 1341 al 1471, Ferrara 1993, docc. 21-22, 82, 86, 95, 116; F. Zeri, in Pinacoteca di Brera. Addenda e apparati generali, Milano 1996, p. 219, n. 176; A. De Marchi, in Il gotico a Piacenza. Maestri e botteghe tra Emilia e Lombardia (catal.), a cura di P. Ceschi Lavagetto - A. Gigli, Milano 1998, pp. 173-175; Id., La Passione secondo Serafino, note tecniche di P. Ceschi Lavagetto, Piacenza 1999, passim; C. Guerzi, Frammenti di una decorazione confraternale trecentesca: l’oratorio dei Battuti Bianchi a Ferrara, in Bollettino d’arte, s. 9, LXXXVII (2002), 122, pp. 85-118; F. Varini, Serafino Serafini pittore modenese del Trecento: gli affreschi mantovani, in Atti e memorie. Deputazione di Storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XXVI (2004), pp. 3-31; S. L’Occaso, Fonti archivistiche per le arti a Mantova tra Medioevo e Rinascimento (1382-1459), Mantova 2005, pp. 10 s.; E. D’Agostino, Serafino de’ Serafini e il Trionfo di s. Agostino, in Arte attraverso i secoli. Annuario della Scuola di specializzazione in beni storici artistici dell’Università di Bologna, VII (2008), pp. 26-49; G. Pittiglio, Allegoria di s. Agostino maestro della sapienza, in A. Cosma - V. Da Gai - G. Pittiglio, Iconografia agostiniana, I, Dalle origini al XIV secolo, Roma 2011, pp. 248-251; C. Guarnieri, Serafino de’ Serafini e il Compendium historiae in Genealogia Christi di Petrus Pictaviensis dell’Österreichische Nationalbibliothek di Vienna, in Miniatura. Lo sguardo e la parola. Studi in onore di Giordana Mariani Canova, a cura di F. Toniolo - G. Toscano, Cinisello Balsamo 2012, pp. 140-150.