GRASSI, Serafino
Nacque ad Asti, in data controversa: la maggior parte delle fonti la pone nel 1763 (De Rolandis, Nouvelle Biographie générale, altri repertori biografici), mentre la Biographie universelle la colloca nel 1769.
Ricerche nelle biblioteche e archivi astensi non hanno dato risultati; solo uno spoglio degli innumerevoli archivi parrocchiali di Asti e del contado e dei 44 volumi manoscritti del Giornale sincrono di Giuseppe Stefano Incisa conservati nell'Archivio del Seminario (che dà minuziose informazioni sulla vita della città e sui suoi abitanti dal 1776 al 1814) potrebbe risolvere il dubbio, e forse chiarire anche altri punti della biografia del Grassi.
Della famiglia si sa solo che era "figlio unico di genitori poco favoriti dalla fortuna" (Biographie universelle, p. 378). Svolse i primi studi nella città natale; essendo stato nel 1787 (data che, considerando l'età regolare per l'inizio di tale ciclo di studi, rende molto probabile la nascita nel 1769) indetto un concorso per due borse di studio spettanti alla provincia di Asti nel collegio reale di Torino, il G. ne ottenne una, che gli permise di seguire gratuitamente per cinque anni i corsi di diritto di quell'Università. Sembra però che l'amore per le lettere e per la poesia, italiana e latina, lo impegnasse più degli studi giuridici, ai quali si dedicava solo quanto era necessario per superare gli esami. Nel 1792, comunque, per compiacere il padre si laureò inutroque iure con una discussione finale brillante. Da allora, grazie agli aiuti finanziari di alcuni ricchi zii, pur esercitando (senza troppo impegno) l'avvocatura, si applicò con crescente entusiasmo alla poesia, esprimendosi in apprezzati sonetti e canzoni. Nel 1794, ottenuto solo per distrazione dei censori il "nulla osta", pubblicò a Torino una raccolta di poesie erotiche d'ispirazione catulliana dal titolo I baci (alcune fonti forniscono quello storpiato Li bacci), di cui furono molto ammirate la grazia e la facilità d'espressione, nonostante la licenziosità.
Dell'edizione, stampata in un limitatissimo numero di copie andate subito a ruba, fu vietata la ristampa e proibita la diffusione, per cui divenne rarissima, e oggi introvabile anche nelle biblioteche di Asti. Tuttavia nel 1795 uscì una ristampa clandestina con l'indicazione di Londra (I baci dell'avvocato Grassi da Asti), anch'essa rarissima (una copia si trova a Torino nella Biblioteca storica piemontese, un'altra a Londra nella British Library). Curiosamente, ai contemporanei parve singolare il contrasto fra lo stile elegante e appassionato di quei versi e l'aspetto assai poco favorito della natura del G., che sembra avesse forme "contrefaites et repoussantes" (Biographie universelle, p. 378).
Divenuto ricco grazie alla cospicua eredità di uno zio, egli prese a trascorrere parte del suo tempo a Torino, abbandonando del tutto l'avvocatura per dedicarsi alle lettere, ai viaggi e al collezionismo di quadri e oggetti curiosi, raccolti specialmente in un soggiorno nell'Italia meridionale. A Torino il G. si accostò, sia pure in modo non troppo impegnato, al mondo delle accademie. Quella degli Unanimi cercava nel 1791 di continuare l'attività della Sampaolina, interrotta dagli avvenimenti politici: egli dovette farne parte, visto che alcune sue odi metriche sono inserite nei Voti della torinese Accademia degli Unanimi a Luigi Giulio Maffoni e Maria Teresa Bruno (Parma 1797). Inoltre fu tra i soci ammessi dopo il 1794 nella Patria Società letteraria, e nel 1796 era fra i sei a cui si era ridotto il suo nucleo centrale (Calcaterra, 1943, p. 311). Durante la dominazione francese, quando Asti divenne il capoluogo del Dipartimento del Tanaro, egli prese parte attiva alla vita pubblica e fu nominato consigliere di prefettura, ciò che gli offrì l'opportunità (rilevantissima per la successiva attività di storiografo) di accedere ad archivi e documenti locali che sotto l'ancien régime sarebbero stati per lui inaccessibili. Quando nel 1806 il dipartimento del Tanaro fu soppresso, il G. rifiutò con fermezza altri impieghi pubblici e si dedicò a una storia della sua città, cui lavorava da tempo. L'opera era già pronta nel 1814 ma la censura sabauda sollevò alcune difficoltà che fecero slittare la pubblicazione di tre anni: la Storia della città di Asti (due voll. in 4° grande, con due tavole), oggi anch'essa assai rara, apparve finalmente in Asti nel 1817, con dedica al sindaco e ai consiglieri della città.
Divisa in 10 libri, si arresta ai trattati di Worms e di Aquisgrana. Suscitò subito grande interesse per le informazioni e la documentazione con cui rettificava o cancellava leggende, miti e falsificazioni tramandati da secoli nella storiografia astense, anche se non mancarono critiche, specialmente sull'economia dell'opera, che non osserva le proporzioni fra le parti, come quando non approfondisce l'analisi delle dominazioni longobarda e franca o trascura il periodo comunale. Comunque, ancora quasi due secoli dopo si è potuto affermare che l'opera "è la più ragguardevole della letteratura storica astigiana" e concludere che "resta una delle migliori storie de' municipii italiani", anche per la piacevolezza dello stile (Gorrini, pp. 463, 465). Speciale apprezzamento meritano dettagli preziosi, sfuggiti ai censori, sulle guerre civili del XVI secolo, quando Asti dopo innumerevoli disordini passò sotto gli Orléans. In appendice al secondo volume è inserito un Discorso delle famiglie nobili sia antiche che moderne, le quali fiorirono nell'Astigiano. Studi recenti hanno però messo in luce come di gran parte del materiale più interessante il G. fosse debitore (come peraltro egli stesso vagamente accenna alle pp. 3 s. del primo volume) "all'erudito avvocato G.S. De Canis suo pregevolissimo amico" (Bordone, p. 19), ed effettivamente il confronto con i manoscritti del De Canis mostra un'indubbia dipendenza, pur senza nulla togliere ai meriti del Grassi. È comunque certo che egli non si occupò altrimenti di storiografia, né prima né dopo questo lavoro, e che non compare mai tra gli eruditi che, sulla scia del rinnovamento muratoriano, si dedicarono alla raccolta di fonti; tuttavia egli apportò "un fondamentale contributo di sintesi che trasforma i dati in un discorso organico" (ibid., p. 20). In seguito si ventilò che egli avesse scritto l'opera per acquistare meriti agli occhi dei governi della Restaurazione e far dimenticare i suoi trascorsi napoleonici.
Trasferitosi ormai a Torino per la maggior parte dell'anno, il G. condusse un'agiata vita privata intercalata da viaggi in Italia e in Francia e da soggiorni invernali a Pisa e Nizza per motivi di salute. Grande ammiratore del concittadino Vittorio Alfieri, partecipò al concorso indetto dal marchese L.G. Arborio Gattinara di Breme, nell'ambito dell'Accademia delle scienze di Torino, per un saggio su quell'autore. Del premio non fu ritenuto degno nessun lavoro: quello del G. risultò "fuori tema", perché vi era introdotto un trattatello su natura e origine della tragedia allo scopo di "sbandire gli errori dall'arte drammatica", confutando F. von Schlegel. Indispettito dalla bocciatura, egli volle ricorrere al giudizio del pubblico, facendo stampare a sue spese l'operetta (Milano 1819), forse in più ristampe, visto che sono documentati diversi titoli: Dissertazione indiritta alla R. Accademia torinese di scienze e belle lettere in lode di Vittorio Alfieri da Asti; Dissertazioni in lode di Vittorio Alfieri da Asti; Dissertazione di Vittorio Alfieri da Asti (tutte apparse nello stesso anno a Milano). Questo lavoro occasionò una piccola querelle nel Conciliatore, per una recensione di P. Borsieri nel numero di luglio-ottobre 1819, che suscitò la gelosia del drammaturgo S. Marchisio (che ne pretendeva una anch'egli), il quale se la prese col Pellico che reagì. Da allora il G. (che pare scrivesse anche una tragedia e vari componimenti poetici, di cui s'ignora la sorte) si occupò solo di belle arti, incrementando le sue collezioni. Mentre rientrava a Torino da uno dei suoi soggiorni invernali in Riviera, a Ventimiglia fu colto da un malore; morì poco dopo a San Remo, ma la data di morte è tanto controversa quanto quella di nascita: si va dal 26 febbr. 1832 (Enc. Italiana) al 26 febbr. 1834 (De Rolandis) al 12 maggio 1835 (Biographie universelle). La più probabile è la prima, visto che nel 1833 G. Casalis (p. 483) afferma che il G. "è morto non è guari".
Fonti e Bibl.: Non risultano manoscritti del G. nella Biblioteca Astense e nell'Arch. di Stato di Asti. Le carte relative al dipartimento del Tanaro sono conservate presso l'Arch. di Stato di Alessandria. Il Conciliatore, a cura di V. Branca, III, Firenze 1954, pp. 418-425 (articolo di G. Borsieri e lettera di S. Pellico; alla nota 1 della p. 418 breve nota biografica sul G.); G. Casalis, Diz. geografico degli Stati di s.m. il re di Sardegna, I, Torino 1833, p. 483; G. De Rolandis, Notizie sugli scrittori astigiani di G.M. De Rolandis di Castell'Alfero, a cura di V. Ratti, Asti 1912, p. 34; G. Gorrini, Il Comune astigiano e la sua storiografia, Firenze 1884, pp. 463-465; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, p. 615 n. 28; Id., Le adunanze della Patria Società letteraria, Torino 1943, p. 311; R. Bordone, Lo storico G.S. De Canis e la sua descrizione statistica della provincia d'Asti, Asti 1976, pp. 19 ss., 77 ss.; J.-F. Michaud, Biographie universelle, XVII, p. 378 (la fonte che fornisce maggiori dettagli); Nouvelle Biographie générale, s.v.; Enc. Italiana, XVII, p. 751 (A. Tallone).