SERAPIDE (Σέραπις, la forma Σάραπις è più antica ma meno frequente)
Divinità egizio-greca il culto della quale, istituito nei primordî dell'età tolemaica, dopo essere riuscito a penetrare nel mondo egiziano pur nelle forme ellenizzate, si diffuse e divenne popolare anche fuori della valle del Nilo e, più tardi, in quasi tutto il mondo romano. Varie e contrastanti sono le opinioni intorno alla sua origine e alla sua natura. Comunque, provenga il dio da Babilonia attraverso la pontica città di Sinope o derivi e si sia sviluppato dal menfitico dio del mondo sotterraneo Osiris-Apis, o debba essere considerato una libera creazione di teologi, è indubitabile che il sorgere del culto fu determinato dalla personale iniziativa e dalla politica religiosa di Tolomeo I, ed è, nello stesso tempo, intimamente legato con Alessandria. Qui Serapide ebbe il suo massimo e famoso tempio; qui per prima venne offerta all'adorazione dei fedeli la statua che lo rappresentava; qui il cristianesimo ottenne su di lui l'ultima definitiva clamorosa vittoria.
I sostenitori dell'origine sinopitico-babilonese si basano su un racconto di Tacito (Hist., IV, 83-4) e su di un passo di Plutarco (Iside e Osiride, 28), dai quali si può dedurre l'ignoranza del dio da parte dell'Egitto e della Grecia e l'introduzione, dell'imagine per lo meno, da Sinope. In questa antica colonia assira ellenizzata sarebbe stato venerato da tempo il semitico Baal o Bel o Ea detto anche Sar-Apsi (signore delle profondità marine), dio oracolare che in Babilonia i generali d'Alessandro avevano consultato durante l'ultima malattia del conquistatore. In Sinope il dio non avrebbe conservato puro il carattere babilonese e avrebbe assunto anche qualità e poteri proprî di divinità greche, formandosi una mescolanza greco-semitica la quale avrebbe condotto all'identificazione di Bel-Ea-Sar-Apsi, con Zeus-Hades-Pluto: Sarapide. L'imagine adorata a Sinope presentava grandi analogie con quella di Pluto. La consonanza del nome Sarapis con quello di Wśr-ḥ'p = ‛Οσορᾶπις, 'Οσερᾶπις, avrebbe offerto la spinta alla scelta del dio introdotto da Tolomeo I e avrebbe costituito l'elemento principale dell'accettazione da parte degli Egiziani. Sebbene questa teoria sia sostenuta con molti argomenti da valorosi orientalisti, l'origine sinopitica, già definita "assurda" dal Letronne, è considerata dai più autorevoli storici dell'età ellenistica una leggenda nata da una omonimia: a Menfi la collina su cui sorgeva il Serapeo si chiamava Sen-Ḥapi che i Greci trascrissero Σιγώπιον. D'altra parte l'equivalenza Wśr-h'p - Sarapis è tanto poco impossibile che la si trova in tutti i testi bilingui. Ma v'ha di più. A Menfi Osorapis era venerato nelle grotte sepolcrali como toro morto, nei santuarî sopra suolo come astrazione, come dio del mondo sotterraneo: orbene Σάραπις non indica mai il toro morto ma con questo nome, in un unico grande santuario (τὸ μέγα Σαράπαιον), era adorato tanto il nuovo dio ellenistico quanto il vecchio dio degli egiziani. In conclusione sembra preferibile ritenere che Serapide non è stato introdotto dall'estero e che Tolomeo I e i suoi consiglieri lo hanno creato sviluppando le caratteristiche del dio menfitico e fondendo, con le sue, le caratteristiche di analoghe divinità greche. Senza dubbio il Serapide dei primi tempi era molto più semplice della divinità che conosciamo in tempi più tardi, fattasi straordinariamente complessa per uno sviluppo secolare, verificatosi in Alessandria col favore dei Tolomei prima, degli imperatori poi. Ciò spiega perché in Menfi, per accogliere la nuova immagine, fu costruita una semplice cappella: il nuovo dio altri non era che Osorapis trasformato, tornato da Alessandria.
La dinastia dei Tolomei fu molto devota a Serapide e ne favorì l'importanza e la diffusione. Da dio principale di Alessandria Serapide divenne dio principale di tutto il regno e man mano assunse il carattere di una divinità supernazionale e superstatale: di una vera e propria divinità cosmopolita. Papiri ed epigrafi e monumenti figurati offrono numerose prove di questa propaganda e di questo sviluppo. Se per la sua origine e nella sua essenza Serapide era anzitutto un dio del mondo sotterraneo, egli proteggeva anche ogni sorta di fecondità, particolarmente quella della terra; dettava e compiva miracolose guarigioni. Fin dal sec. III si stabilì l'equivalenza Serapide-Dioniso. Per effetto di un'evoluzione verificatasi in Alessandria divenne Sotere o Salvatore, derivando probabilmente il titolo e il potere da Asclepio. Anche più sicuramente alessandrina è la sua qualifica di "Salvatore dai pericoli del mare" che lo fa associato dei Dioscuri; "Signore dell'Universo" e, come tale, identificato con Zeus, Serapide divenne certo in Alessandria. L'equivalenza Serapide-Elios si attua soltanto durante l'impero. Nelle epigrafi e nei papiri il suo nome è spesso accompagnato da epiteti (buono, benefattore, signore, grande, grandissimo, ecc.) che non sono titoli del culto ufficiali ma particolari invocazioni dei devoti.
Naturalmente, come già Osorapis a Menfi, è associato con Osiride a cui viene anche sostituito, e con gli dei della famiglia d'Osiride, in particolare con Iside e Anubi; inoltre con Oro, Arpocrate, Nephtys, Bubasti, Ammone, e con Astarte. Tuttavia Serapide ha sempre la precedenza su tutti e nelle scene figurate occupa il posto d'onore. Animale a lui sacro è il toro Apis, ciò che costituisce una nuova conferma dell'origine menfitica.
L'immagine canonica di Serapide è quella, opera di Briasside (v.) di Caria, che era venerata nel Serapeo di Alessandria. Su questa immagine siamo eccezionalmente ben informati, sia per la minuzia delle descrizioni lasciateci dagli scrittori antichi - tanto pagani quanto cristiani - sia per le numerose copie a noi pervenute. Il dio, la cui testa si ispirava al tipo tradizionale del Zeus barbato, era rappresentato seduto sul trono, coperto di chitone e manto, il modio sul capo. L'anima della statua era di legno, ma le vesti eran coperte d'oro, e le parti nude di una lega di diversi metalli che davano un colore azzurro, che ben si addiceva al carattere sotterraneo del dio: pietre preziose di ogni genere rifulgevano quasi astri nella notte su questo fondo cupo e cangiante, sì come lo sguardo mite e pensoso del dio usciva da sotto la cupa ombra delle sopracciglia. L'idolo così, con le sue sole fattezze, esprimeva i tre concetti di potenza, di mistero e di benignità, proprî del dio che garantiva l'immortalità agl'iniziati nell'oltretomba, che largiva agli uomini il pane e assicurava il dominio sulla terra d'Egitto. P. Min.
Dall'immagine di Briasside deriva la maggior parte delle altre figure del dio. Questi di solito nella mano sinistra sollevata regge verticalmente un alto scettro; la destra tiene abbassata sul capo d'un Cerbero di tipo speciale, che ha cioè tre differenti teste - di lupo, di leone, di cane - e ha il corpo avvolto nelle spire d'un serpente. Questo tipo di Cerbero descritto da Macrobio, e rappresentato su parecchi superstiti monumenti, induce anch'esso a pensare a una creazione alessandrina su fondamenti egiziani. Meno frequente è un'immagine assai simile ma rappresentata in piedi, talora senza Cerbero talora col corpo avvolto da lunghe pesanti ghirlande di fiori, in atto di reggere con la destra una patera. Alcune monete lo mostrano in piedi sopra una nave; altre come divinità panteistica. Non mancano immagini con attributi militari. Innumerevoli sono i monumenti che riproducono il solo busto: molti di tali busti, quando sono di piccole dimensioni e specialmente se di terracotta, hanno una funzione decorativa di oggetti d'uso (lucerne, ecc.) ispirata a religiosità; parecchi altri di varia materia (marmo, terracotta) hanno per base un piede e sono certamente votivi. Non meno del bue Apis era sacro a Serapide il serpente e perciò non solo questo animale figura spesso in qualche modo accanto a lui, aderente alla sua persona, ma si hanno anche numerosi esemplari di serpenti a testa di Serapide.
La statua creata per il culto nel primo grande tempio d'Alessandria era essenzialmente, per non dire esclusivamente, greca, e il Weber ritiene che fosse collocata in un tempio di puro stile greco. Per la più antica originaria costruzione eiò deve rispondere al vero tanto più che un greco, Parmenisco, è stato l'architetto del Serapeo, ma è probabile che con l'andar del tempo molti elementi egiziani abbiano alterato il primitivo carattere ellenico del complesso di edifici costituenti il Serapeo. Gli scavi potuti compiere soltanto quando tutta la zona era già devastata e sconvolta, non permettono un giudizio reciso, ma l'impressione generale che si ricava dai ritrovamenti è quella d'una notevole mescolanza e coesistenza di caratteri ellenici e di caratteri egizî, tanto nell'architettura, quanto nella statuaria e nel culto.
Se a Menfi anche dopo il viaggio di ritorno compiuto da Osiris-Apis come Serapide, pure costruendo una particolare cappella per la nuova imagine e pure accettando gli sviluppi della nuova divinità, il culto rimase prevalentemente egizio e forse esclusivamente egizio il sacerdozio, in Alessandria sacerdoti ellenici ed egizî dovettero essere rappresentati entrambi in equa misura, sotto la molto probabile guida di un grande sacerdote greco. È logico tuttavia ammettere che anche in questo campo le condizioni originarie non siano rimaste invariate e che abbiano mutato a seconda dei tempi e delle circostanze, conformemente all'evolversi della politica e della civiltà nell'Egitto ellenistico e romano.
Bibl.: C. F. Lehmann-Haupt, in Roscher, Lexikon der griech. u. röm. Mythol., IV, col. 338 segg. (l'autore è decisamente in favore della tesi babilonese-sinopitica); Roeder, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, col. 2394 segg., elenca la bibliografia anteriore registrata anche da G. Lippold, in Festschrift für P. Arndt, Monaco 1925, p. 115. Essenziale, ora, U. Wilcken, Urkunden der Ptolemärzeit, I, i, Berlino 1922, pp. 7-95; E. Kornemann, Aus der Geburtstunde eines Gottes, in Mitteil. schles. Ges. f. Volkskunde, XXVII (1926), p. 5 segg.; J. Vogt, Die alexandrinischen Münzen, Stoccarda 1924.