MUSMECI, Sergio
– Nacque a Roma il 2 giugno 1926, da Mariano, funzionario della Banca commerciale italiana originario di Acireale (Catania), e da Elide Gadda, mantovana, laureata in lettere alla Sapienza, che si dedicò alla famiglia e ai tre figli: Sergio, Alberto e Alina.
Si diplomò presso il liceo classico Regina Elena di Roma a pieni voti a 17 anni. Durante l’occupazione tedesca, tra il 1943 e il 1944, quando per il pericolo delle retate si doveva passare gran parte delle giornate chiusi in casa, Musmeci studiò autonomamente le materie comuni al biennio delle facoltà scientifiche, appassionandosi all’astronomia, una disciplina che non abbandonò mai e che contribuì a formare la sua ampia e raffinata cultura, caratterizzata da una profonda competenza nell’ambito dell’ingegneria strutturale e che spaziava in universi paralleli: dalla musica, che amava profondamente (suonava il pianoforte), mentre la sua casa era frequentata dai jazzisti romani con i quali condivise viaggi per assistere a festival e concerti internazionali e notturne jam-sessions casalinghe; alla fisica e alla filosofia, che coltivava attraverso ostiche letture per addetti ai lavori; all’aeronautica. Discipline alle quali la matematica, che fu un’altra delle materie che Musmeci conosceva a fondo, fornisce risposte teoretiche e soluzioni pratiche. Nel 1944, appena finita l’occupazione tedesca, si iscrisse alla facoltà di ingegneria di Roma e superò tutti gli esami del biennio in un solo anno; si laureò in ingegneria civile nel 1948 discutendo una tesi sulle volte sottili, strutture resistenti per le quali evidenziava la particolarità di rispondere alle nuove esigenze formali dell’architettura. Questa tesi gli valse la medaglia d’oro della Fondazione Roberto Almagià come il miglior laureato dell’anno.
Iniziò quindi una breve collaborazione con lo studio di Riccardo Morandi, ove conobbe Zenaide Zanini, all’epoca studentessa della facoltà di architettura, che sarebbe stata la sua compagna per tutta la vita. Subito dopo, all’inizio del 1950, entrò nello studio dell’impresa Nervi & Bartoli. La loro prima collaborazione fu un progetto per un ponte sull’autostrada del Sole: gli elementi strutturali erano costituiti da superfici sottili a curvatura variabile formanti un sistema di archi che tracciavano con precisione il percorso delle forze. Per l’impresa Nervi & Bartoli produsse alcuni studi per coperture industriali su pilastri a fungo e solai nervati e un progetto di massima per il palazzetto dello Sport di Roma, la cui cupola già presentava quelle nervature incrociate costruite secondo la geometria della spira mirabilis (spirale logaritmica) che sarebbero poi state utilizzate nella realizzazione dell’edificio dieci anni dopo.
Nel 1953 fu chiamato al servizio di leva, che assolse come ufficiale dell’Aereonautica, e quindi si laureò in ingegneria aeronautica alla Sapienza con un progetto di una fusoliera per un aereo da trasporto civile.
Il 31 dicembre 1953 sposò la Zanini e con il nuovo anno avviò un suo studio professionale, prima con l’architetto Antonio Nervi, figlio di Pier Luigi, e poi con la moglie. Negli ambienti che Musmeci frequentò in questi primi anni di attività, gli incontri con i personaggi di spicco della cultura architettonica divennero occasioni di importanti collaborazioni. Con Adalberto Libera tra il 1954 e il 1962 realizzò le strutture per il palazzo della Regione a Trento. Collaborò ripetutamente con Giuseppe Vaccaro (chiesa del Sacro Cuore immacolato di Maria, Bologna 1951-1965; nucleo sud del quartiere di ponte Mammolo, Roma 1954-62; quartiere CEP, Bologna 1958) e con lo studio Calini e Montuori (Centro atomico di Bombay, 1960; palazzo per uffici in via Po, Roma 1960-64), con Ugo Luccichenti, con Annibale Vitellozzi, con Ludovico Quaroni e con Francesco Palpacelli, con il quale aveva un legame di sincera amicizia.
Musmeci pensava che la scienza delle costruzioni, così precisa nel verificare con il calcolo la sicurezza delle strutture, non fosse sufficiente per orientare le scelte sulla corretta soluzione strutturale; di conseguenza mise in atto un metodo di studio che gli consentisse di individuare la forma geometrica delle strutture partendo dall’analisi delle tensioni e degli sforzi. Le prime strutture alle quali si interessò furono le volte corrugate. Si tratta si solette di copertura sottili, piegate e modellate lungo precisi tracciati geometrici. Una delle prime realizzazioni fu la copertura della Scuola nazionale di atletica leggera a Formia, progettata con Vitellozzi nel 1954.
Appartengono a questa famiglia di strutture la copertura del cinema Araldo a Roma (con Carlo Ammannati, 1955); la copertura per uno stabilimento industriale a Pietrasanta (con Leo Calini ed Eugenio Montuori, 1956), quella per il ristorante dello stadio del nuoto al foro Italico di Roma (con Enrico Del Debbio e Annibale Vitellozzi, 1959) e nel 1966 la copertura del teatro Regio di Torino progettato da Carlo Mollino.
Parallelamente all’attività professionale, Musmeci aveva continuato a collaborare con la facoltà di architettura di Roma: assistente ordinario ai corsi di Statica e di meccanica razionale del professor Giuseppe Tedone dal 1956, nel 1968 ottenne l’incarico per l’insegnamento di Meccanica razionale e dal 1971 fu titolare del corso di Ponti e grandi strutture. In ambito accademico fu legato da profonda stima e amicizia a Bruno Zevi, che lo accolse nel suo Istituto di critica operativa dell’architettura all’Università di Roma (fondato nel 1970) e con il quale condivise l’esperienza dell’In/Arch (Istituto nazionale di architettura).
Musmeci è conosciuto, a livello internazionale, in particolare per due opere che si possono definire fuori dall’ordinario: il progetto per il ponte sullo stretto di Messina (1969-70) e il ponte sul fiume Basento (1967-69).
Il primo progetto, non realizzato, vinse il primo premio ex aequo al Concorso internazionale di idee per un progetto di attraversamento stabile stradale e ferroviario dello stretto. Lungo 3 km, consiste in una combinazione di un sistema sospeso con uno strallato. Musmeci aveva composto ordinatamente, in una chiarissima tavola riassuntiva, disegni schematici e riflessioni testuali per dimostrare che la scelta del ponte a campata unica risultava ottimale. Con i materiali di cui all’epoca si poteva disporre, era però impossibile concepire una luce libera maggiore di 2 km, perciò impostò una parte centrale sospesa che non superasse questa dimensione-limite e sostituì i piloni intermedi, che altrimenti avrebbero dovuto essere fondati in un tratto di mare caratterizzato dalla presenza di faglie sismiche, con una coppia di stralli. Tecnicamente si trattava di una tensostruttura stabilizzata sia verticalmente sia orizzontalmente da cavi pre-tesi, che partendo dalla sommità degli stralli trasferivano i carichi su piloni alti 600 m fondati sulla terraferma (della costa calabra e siciliana).
Il ponte sul Basento costituisce il principale accesso alla città di Potenza e si presenta come una sottile linea leggermente inclinata verso la città, sorretta da un’articolata forma tridimensionale che mentre sorregge il nastro stradale, ruota e si sagoma, e infine si posa al suolo quasi scomparendo nella vegetazione. La strutturadi cemento è modellata secondo un’alternanza di concavo e convesso a formare quattro archi che toccano lievemente o la terra o la soletta carrabile, appoggiandosi come sulla punta delle dita di una mano.
Per queste forme plastiche, che nella tecnica costruttiva sono assimilabili a delle tensostrutture, Musmeci coniò la definizione di «forme senza nome»: figure geometriche dotate di curvatura e orientamento diversi nello spazio in ogni loro punto «poiché nello spazio, in ogni punto saranno diversa l’intensità e la direzione delle forze» (Nicoletti, 1999, p. 23), che rispondevano al concetto di minimo strutturale, un problema scientifico che trattò compiutamente a conclusione del suo libro La statica e le strutture, pubblicato nel 1971.
Nel corso degli anni Settanta si interessò ai sistemi reticolari tridimensionali, costituiti da poliedri regolari e irregolari, e particolarmente della loro trasformazione gli uni negli altri. I risultati di questa ricerca furono esposti nel 1979 in una mostra promossa dall’In/Arch, allestita a Roma in piazza S. Salvatore in Lauro, ove Musmeci riuscì a far realizzare dall’Italcementi alcuni grandi prototipi di queste enigmatiche spaces frames, supercristalli spaziali che immaginava come strutture resistenti da costruire con un calcestruzzo impregnato con polimeri per aumentarne le prestazioni. Contemporaneamente pubblicò sulla rivista Parametro una loro dettagliata classificazione, ricca di formule geometriche e dimostrazioni di corrispondenze di questi reticoli spaziali con i rispettivi sistemi strutturali.
Dotato di capacità intuitive e analitiche, aveva una specie di rapporto empatico con le geometrie, che affrontava in solitarie e temerarieincursioni in quelle a più dimensioni e nella materia per configurarle, indagate attraverso spregiudicati sondaggi sui nuovi materiali, a loro voltastrumenti di controllo delle forme stesse. Un’occasione per verificare queste geometrie estreme fu, nel 1968-70, la collaborazione al progetto di Manfredi Nicoletti per un grattacielo elicoidale a New York. Musmeci studiò una configurazione matematicamente definita per questo edificio che era composto da vele svergolate sviluppate sul tracciato della spirale logaritmica.
Soleva dire che chi non rischia sta imitando, invece se si vuole invadere un campo nuovo, bisogna affrontare l’ignoto. Al contempo, però, riteneva che «le tensioni non sono incognite», come affermava in un articolo che scrisse nel numero di Parametro a lui dedicato (1980, n. 79, pp. 37-46), riassumendo il principio che fu alla base del suo lavoro di strutturista e che condivideva con gli studenti della facoltà di architettura. Sosteneva che nella progettazione strutturale la vera incognita è la forma, non le tensioni, che si calcolano a partire dalla sua individuazione.
Morì a Roma il 5 marzo 1981.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione MAXXI, Archivio S. M. e Zenaide Zanini; S. M., in Immaginazione megastrutturale dal futurismo ad oggi, a cura di E. Crispolti, Venezia 1979; S. M.odelle tensioni cognite, in Parametro, 1979, n. 80 (n. monografico); C. La Torre, S. M. Ponti, in Casabella, 1981, n. 469, pp. 40-43; B. Zevi, Genio delle tensioni incognite, in Cronache di architettura, XXIV (1981), pp. 165-167; R. Pedio, Progetti e realizzazioni di S. M., in L’architettura, cronache e storia, 1988, n. 387, pp. 6-27; Omaggio a S. M., in Il Nuovo Cantiere, 1998, n.1, n. speciale; M. Nicoletti, S. M. Organicità di forme e forze nello spazio, Torino 1999; I. Delizia, S. M., in Dizionario dell’architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, Torino 2000, pp. 398 s., s. v.; T. Iori, Un sogno lungo tre chilometri. La lunga storia del ponte sullo stretto di Messina, in Area, 2000, n. 59, pp. 6-19; F. Picarreta - L. Sguerri, I protagonisti della progettazione strutturale, S. M. Innovazione formale nelle grandi opere di attraversamento, in La facoltà di architettura dell’Università di Roma‘La Sapienza’ dalle origini al Duemila, a cura di V. Franchetti Pardo, Roma 2001, pp. 497-532; Il ponte e la città. S. M. a Potenza, a cura di M. Guccione, Roma 2004; R Capomolla, Le «forme organiche strutturali». Materia e spazio nelle opere di S. M., in Rassegna di architettura e urbanistica, 2007, nn. 121-122, pp. 135-148, 171 s.; F. Giovannardi, S. M. Strutture fuori dal coro, in: http://giovannardierontini.it/Pubblicazioni/ Sergio_Musmeci.pdf, gennaio 2010.