Frontino, Sesto Giulio
, Scrittore latino, nato verso il 40 d.C.; morì nel 103 o 104. Meritò l'elogio di Tacito che lo definì " uomo grande fin quanto lo permettevano i tempi " (Agric. XVII) e la stima di Plinio il Giovane. Ci resta uno scritto d'interesse archeologico, legato alla sua attività di curatore delle acque, De Aquaeductu urbis Romae libri II, e una raccolta di aneddoti sull'arte della guerra, Strategematon libri III, cui va aggiunto un quarto libro, ritenuto apocrifo e probabile opera di un tardo cultore di discipline militari. Dei Gromatica, un'opera di agrimensura in almeno due libri, ci restano solo estratti.
F. ebbe nel Medioevo scarsa fortuna. Nei cataloghi delle biblioteche del basso Medioevo il suo nome non è nemmeno accennato, come c'informa il Manitius (III 292); per gli Strategemata può dirsi solo che furono noti a Stablo e Canterbury: li conobbero perciò Wibald di Stablo (cfr. Manitius III 291) e Giovanni di Salisbury (III 255, 258) oltre a Petrus Blesensis (III 292) e Paolo Diacono (II 262, III 291 ss.). Pietro Diacono trascrisse, nel sec. il Codice Cassinese 361, che contiene il De Aquaeductu urbis Romae (I 792). L'opera di F. fu nota inoltre a Sedulio Scoto. Citato nella Summa theologiae (II II 40 3) di s. Tommaso, F. fu familiare al Petrarca, che segnò l'inizio di una sua notevole fortuna.
D. ricorda F. in un passo del De vulg. Eloq. che contiene un'idea centrale per la sua teoria linguistica. Egli indica agli altri e a sé stesso la via attraverso la quale il volgare può acquistare altezza e nobiltà espressive: Et
fortassis utilissimum foret ad illam [la costruzione] habituandam regulatos vidisse poetas, Virgilium videlicet, Ovidium Metamorfoseos, Statium acque Lucanum, nec non alios qui usi sunt altissimas prosas, ut Titum Livium, Plinium, Frontinum, Paulum Orosium, et multos alios, quos amica sollicitudo nos visitare invitai (II VI 7). Si tratta quasi di un canone degli autori latini da prendere a modello di stile. Tra i ‛ regulati poetae ' sono ricordati Virgilio, Ovidio nelle Metamorfosi, Stazio e Lucano, dei quali si può dire che sermone et arte regulari poetati sunt (VE II IV 3). Avviene perciò che quantum illos proximius imitemur, tantum rectius poetemur (§ 3); sicché la lingua del poeta deve essere modellata su quella dei poeti latini e deve perseguire un costrutto d'arte che rispecchi le leggi tradizionali della poetica e della retorica latina. D. passa quindi a indicare qui usi sunt altissimas prosas e nomina Livio, Plinio, F., Orosio et multos alios. La serie dei quattro scrittori stupisce per più motivi: non si spiega perché D. taccia di scrittori come Cicerone, Seneca, s. Agostino, Boezio, ecc., che finiscono con l'essere compresi tra i ‛ multi alii ', e nomini insieme con Livio e Orosio Plinio e F., i cui nomi non vengono più ricordati in tutto il corpus dantesco.
Che D., quando scriveva questo passo, avesse già letto gli Strategemata e il De Aquaeductu urbis Romae, non si può affermare con certezza. Fanno difficoltà le caratteristiche delle opere, che, prive di ricchi ornamenti retorici e obbedienti alle esigenze di uno stile tecnico, erano quindi lontane dal gusto e dagl'interessi letterari della cultura medievale, e insieme, in qualche modo, lo stesso contesto dantesco. Secondo il Marigo (ad l.) D. avrebbe fermato la sua attenzione sul IV libro apocrifo degli Strategemata, dov'è tratteggiata la figura ideale del condottiero, attraverso esempi raggruppati, per specie; nelle seguenti rubriche: De Disciplina, De Effectu discipline, De Continentia, De Iustitia, De Constantia, De Adfectu et moderatione, De Variis consiliis. A parte l'interesse che D. poteva avere per questo libro nel primo periodo del suo esilio, pare tuttavia difficile accogliere l'ipotesi del Marigo, che egli ritenesse il libro " formativo per chi volesse apprendere il costrutto d'arte ". La realtà sembra essere diversa, se ben si guarda il pensiero dantesco. Sulle orme del Renucci (p. 72), si può dire che qui non si tratta di un elenco di opere che D. era solito leggere. Lo esclude l'espressione et fortassis utilissimum foret... vidisse, che non ha nulla di affermativo, ma vuole essere solo un suggerimento della somma utilità che si può ricavare dallo studio di quelli che sono ritenuti i più perfetti poeti e prosatori latini e che sono indicati come modello per chi voglia acquistare un determinato abito mentale (ad illam habituandam). Inoltre, con amica sollicitudo nos visitare invitat, D. intende significare non di essere occupato nello studio degli autori, che subito dopo nomina, ma solo invitato a farlo (sollicitudo ha non il senso classico di " cura angosciosa ", " preoccupazione ", ma quello scritturale di " affettuosa premura ", corrente nel Medioevo), in considerazione di qualità e pregi, che egli non aveva avuto modo di constatare direttamente. Probabilmente egli " s'è visto consigliare e forse offrire da un amico la lettura degli scrittori che sta per nominare " (Renucci, p. 72). Tuttavia il problema della presenza di F. fra i grandi modelli della prosa antica è così più spostato che risolto, anche se indubbiamente troviamo in questo modo una giustificazione per Dante. Occorre però non considerare il passo soltanto come un generico ammonimento a quanti hanno sensibilità e gusto poetico, ma come la manifestazione di un proposito mirante al raggiungimento dell'eccellenza dello stile attraverso lo studio e l'assimilazione dei poeti e prosatori latini ritenuti, per principio, più perfetti. Certo è impossibile ammettere che F. potesse essere consapevolmente proposto a modello, se si considera col Marigo (p. 222) " il gusto che nei secoli XII-XIII si era formato coi precetti dell'Ars dictaminis per una prosa impreziosita di artifici poetici, enfatica e ritmata, di cui Dante stesso dà esempi nelle Epistole. E, infatti, di F. non si troverà più nessuna traccia in tutto il corpus dantesco, se si prescinde dall'indicazione del Pézard nel suo commento alla Pléiade (pp. 610 e 755 ss.; cfr. anche De vulg. Eloq., a c. di P.V. Mengaldo, I, Padova 1968, LXI-LXII), che ravvisa una coincidenza terminologica con gli Strategemata per Ep V 17.
Bibl. - Sulla fortuna di F. nel Medioevo, v. M. MANITIUS, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I, Monaco 1911, 792; II, ibid. 1923, 262, 321; III, ibid. 1931, 255, 258, 291 ss., 550. Si veda inoltre E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 7; R. Murari, recens. a L.F. Mott, The System of courtly Love studied as an Introduction to the " Vita Nuova " of D., in " Giorn. d. " V (1897) 66; P. Renucci, D. disciple et juge du monde grécolatin, Parigi 1954, 72, 161 n. 412, 329.