SETTEFINESTRE
Località dell'Etruria, dove sono stati scavati i resti di una villa romana che costituisce il miglior esempio finora noto della villa perfecta descritta da Varrone nel De re rustica. Sorgeva su un poggio situato nei pressi della via Aurelia, a 3,5 km di distanza da Cosa (v. in questa Appendice) ed era protetta da solide recinzioni murarie per impedire fughe di schiavi e furti. Lo scavo, condotto con sistematicità dal 1976 al 1981, ha riportato alla luce i diversi corpi in cui si articolava il complesso: quello centrale, con la sua imponente mole quadrata (150 piedi di lato=44,3 m), era circondato da bassi edifici rustici, dai giardini, dagli orti, dal frutteto e più in là, nelle vallate circostanti, dal fundus, che era presumibilmente costituito da un migliaio di ettari di terreno, una dimensione comune alle proprietà medio-grandi fra il 1° secolo a.C. e il 1° d.C. Il bollo L.S., presente su alcune tegole, permette di collegare la villa alla famiglia dei Sestii e di datarla fra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Trenta del 1° secolo a.C. Realizzata da maestranze locali (come dimostra la tecnica edilizia), la villa fu però progettata da un architetto venuto probabilmente da Roma, come del resto gli operai specializzati incaricati della decorazione.
Un'architettura razionale di tipo ellenistico romano compenetra organicamente i due aspetti fondamentali della villa, residenziale e agricolo. All'interno del corpo centrale la pars urbana, orientata sui lati meglio esposti, si articola in due quartieri, uno (alloggi per gli ospiti, il fattore, il custode) gravitante intorno all'atrio, decorato da un mosaico a fondo nero disseminato di pietre colorate, l'altro (appartamenti padronali) disposto tutt'intorno al peristilio, anch'esso lussuosamente decorato. Nella pars rustica del corpo centrale erano installati gli impianti produttivi più delicati: tre grandi torchi lignei, del tipo a vite senza fine, per la produzione dell'olio e soprattutto del vino, sul cui commercio si basavano prevalentemente i proventi dell'azienda.
In età traianea la villa subì una completa riconversione produttiva, che alterò, disarticolandolo, l'impianto originario del complesso. L'appartamento per gli ospiti diventò l'alloggio con ingresso indipendente di un procurator, tutte le attività produttive furono estromesse dal corpo centrale che fu trasformato in un vero e proprio praetorium, mentre all'esterno, in una parte dei giardini, furono costruiti un porticato e un grande impianto termale; l'arboricoltura fu abbandonata e sostituita nell'economia della villa dall'allevamento degli schiavi e dei maiali, per i quali vennero costruiti due nuovi edifici. Nonostante la riconversione, la villa non sopravvisse all'età degli Antonini, quando il fondo finì probabilmente nel latifondo imperiale e gli edifici, non più oggetto di manutenzione, andarono incontro a un lento, progressivo declino.
Bibl.: A. Carandini, S. Settis, Schiavi e padroni nell'Etruria romana. La villa di Settefinestre dallo scavo alla mostra, Bari 1979; A. Carandini, Il vigneto e la villa del fondo di Settefinestre nel Cosano: un caso di produzione agricola per il mercato transmarino, in Memoirs of the American Academy in Rome, 36 (1980), pp. 1 ss.; AA.VV., Settefinestre. Una villa schiavistica nell'Etruria romana, Modena 1985; A. Carandini, La villa di Settefinestre, in Schiavi in Italia, Roma 1988, pp. 109 ss.; Id., La villa romana e la piantagione schiavistica, in Storia di Roma, 4, Torino 1989, pp. 101 ss.