SICILIA
(XXXI, p. 654; App. II, II, p. 821; III, II, p. 730; IV, III, p. 318)
La S. è la più estesa, la più meridionale e la primogenita fra le regioni costituzionali italiane. L'organismo amministrativo (25.707 km2), oltre alla più grande isola d'Italia e del Mediterraneo, include gli arcipelaghi delle Eolie e delle Egadi, Pantelleria, le Pelagie, Linosa, Ustica e altre ancora. La ripartizione su base comunale ha maglie molto ampie, con una superficie media di 61 km2 rispetto ai 37 della media italiana. Quarta regione italiana per entità della popolazione (4.966.386 ab. al censimento 1991, 5.022.347 a una stima del 1994), tradizionalmente popolosa e ''attiva'' per incremento di popolazione, nel corso dell'ultimo ventennio la S. sta assumendo una nuova fisionomia demografica, e mostra tendenze che l'avvicinano sempre più all'andamento nazionale, caratterizzato da debole accrescimento fino alla crescita zero. Il flusso emigratorio si è notevolmente ridotto, l'incremento demografico ha subito un forte rallentamento (tra 1981 e 1991 si è dimezzato) e il tasso d'incremento naturale tra il 1986 e il 1991 è calato da valori superiori al 4ı al 3,8ı. Nonostante tale ridimensionamento, la regione si colloca tuttora fra le più feconde d'Italia, al terzo posto dopo Campania e Puglia, ma se l'andamento descritto dovesse confermarsi, alla fine del 20° secolo la S. potrebbe approssimarsi alla crescita zero. Anche la densità di popolazione tende ad avvicinarsi sempre più alla media italiana: i 200 ab./km2 nel 1987 si discostavano di 9 unità rispetto alla media nazionale (191), mentre nel 1991 tale divario si è più che dimezzato.
La densità e la distribuzione della popolazione assumono caratteri molto variegati sul territorio insulare, ricco di città che formano una rete urbana multipolare, più complessa e articolata rispetto al Mezzogiorno continentale. La S. costiera risulta in genere più densamente abitata e interessata dalle maglie forti della struttura urbana rispetto a quella interna, che presenta una copertura umana più debole e un'urbanizzazione di minor rango. Semplificando la complessità e la policromia degli ambienti naturali e umani siciliani, si possono riconoscere due ambiti territoriali diversi per caratteri geografico-storici: l'Oriente isolano (province di Caltanissetta, Enna, Messina, Catania, Siracusa e Ragusa) che si configura come un'unità più ''centrale'', anche rispetto ai rapporti col continente, e attiva dal punto di vista economico-funzionale, e l'Occidente (Palermo, Trapani e Agrigento), che risente di una certa ''perifericità'' e di strutture economico-sociali più arretrate. Il litorale ionico è interessato dalla struttura insediativa fondamentale dell'isola: essa si articola su due grandi città, ovvero Catania (326.812 ab., al 1994), il polo egemone di questo insieme urbano, e Messina (233.845), punto forte della ''conurbazione dello Stretto'' che comprende Reggio Calabria, e su una città medio-grande, Siracusa (127.496). Quest'asse è compensato a occidente da Palermo (694.708), che pur essendo la capitale storica della S. e la quinta città italiana, non riesce a rivestire un ruolo di assoluta dominanza. Il polo palermitano, in crescita fino a pochi anni fa, ha subito un alleggerimento del suo peso demografico (nel 1987 contava 728.843 abitanti). Nonostante il suo ruolo di capoluogo di regione a statuto speciale, di massimo polo commerciale e distributivo di mezza S., di sede di due grandi istituti di credito, Palermo rimane distante dalle aspirazioni territoriali di diventare una grande area metropolitana. Il più grave problema urbanistico della capitale siciliana rimane il centro storico fatiscente, quasi privo di popolazione residente, che da molti anni aspetta di essere risanato e restituito alla collettività.
Oltre alle quattro città cardine sopraelencate, il sistema urbano siciliano si articola su altri punti di minor forza: il piccolo asse dell'estremo occidente, formato da Marsala, Mazara del Vallo e Sciacca, centri popolosi (da 40.000 a 70.000 ab.) e dotati di alcune funzioni industriali e terziarie; caratteristiche simili presentano Agrigento, Ragusa e Caltanissetta oltre a Bagheria nel Palermitano e Acireale nel Catanese, che fungono da centri-satellite dei due rispettivi poli maggiori. In posizione di subordine fra i capoluoghi provinciali è Enna, che esercita un'influenza sul territorio quasi rapportabile a centri urbani locali come Alcamo a ovest, Gela, Caltagirone e Modica a sud-est. Nell'interno dell'isola prevalgono villaggi densi di popolazione, a grande distanza l'uno dall'altro, e città ''rurali'', centri di notevole peso demografico ma che sono dotati di ridotte funzioni terziarie.
Le città siciliane grandi e piccole, specialmente quelle occidentali, sono da tempo interessate da una massiccia immigrazione dalla sponda meridionale del Mediterraneo, dall'Africa, principalmente quella araba, ma anche da altre regioni del continente. In migliaia sono gli immigrati africani giunti e in molti continuano a sbarcare sulle rive siciliane, nonostante le leggi restrittive e i controlli più severi degli ultimi anni. Una modesta percentuale è riuscita a integrarsi nel tessuto sociale ed economico, ma la maggior parte continua a vivere in condizioni di clandestinità, a occupare edifici semi-abbandonati nei vecchi centri storici; essi prestano lavoro di bracciantato nelle campagne (vendemmia, bacchiatura delle olive, orto-frutticoltura), con paghe inferiori a quelle dei pochi giornalieri ufficiali, lavorano come mozzi o uomini di fatica sui battelli da pesca o nell'edilizia.
L'economia della S. è penalizzata da gravi problemi e deficienze che se in parte risultano comuni, con intensità e modalità diverse, al resto della penisola, qui si collocano su uno sfondo particolarmente complesso, notevolmente aggravato dalla piaga mafiosa. Il settore primario (pesca e agricoltura) occupa il 14% della forza-lavoro siciliana, e la produzione agricola isolana riveste un ruolo fondamentale nel panorama nazionale, anche se soffre di ritardi strutturali non indifferenti: la S. possiede le più estese superfici a frumento (380.000 ha, con una produzione inferiore ai 10 milioni di q, corrispondenti a una resa media di circa 25 q per ha, nettamente inferiore a quella italiana che è di oltre 36 q per ha), una coltura praticata soprattutto nell'altopiano interno; la frutticoltura e l'orticoltura prosperano in parecchie aree pianeggianti e collinari; l'oliveto si estende sulle colline litoranee e nelle vallate interne meglio esposte; nella piana di Catania si coltivano prevalentemente aranci che, unitamente ai mandorli, sono assai diffusi anche nel Siracusano; i limoni prevalgono lungo il litorale settentrionale, mentre la vite trova la sua massima estensione nella S. occidentale. Le colture specializzate costituiscono tradizionalmente il fiore all'occhiello, e sono state oggetto negli anni passati di progetti di razionalizzazione e di ottimizzazione, che consentono stagioni produttive soddisfacenti anche se la grande esportazione del passato è ormai solo un ricordo. Il settore zootecnico ha attraversato una fase di notevole sviluppo nell'ultimo trentennio (il numero dei bovini è aumentato del 50% fra il 1961 e il 1991) e anche la pesca marittima continua ad avere una notevole vitalità: la S. mantiene il primato della flotta peschereccia più importante d'Italia (100.000 t di stazza circa), che si concentra prevalentemente a Mazara del Vallo, e incide per circa un terzo sulla produzione ittica nazionale. Fino agli anni Cinquanta operavano in S. le antiche e prestigiose tonnare, un'attività tradizionale praticamente estinta o sopravvissuta a fini turistici. L'industrializzazione, realizzata attraverso la Cassa del Mezzogiorno a partire dagli anni Cinquanta, ha deluso da tempo le aspettative: le grandi realizzazioni petrolchimiche hanno causato più danni, ivi inclusi quelli ambientali, che benefici. Strutture industriali di una certa importanza si coagulano intorno ai due poli urbani maggiori, Palermo e Catania, e anche nell'area siracusana, e un grande rilievo riveste l'industria vitivinicola e dei liquori, che riguarda in particolare Marsala, Casteldaccia, Sclafani, Caltanissetta e Alcamo.
Come nel resto d'Italia, l'economia siciliana è stata investita da un'incisiva terziarizzazione (64% della forza lavoro), concentrata soprattutto a Palermo e Catania e, in sottordine, a Messina e Siracusa. Le attrattive storico-archeologiche, i paesaggi di straordinaria suggestione, nonostante le manomissioni e gli stravolgimenti recenti, fanno tuttora della S. una terra di grandi potenzialità turistiche, ma lacune organizzative e una scarsa, se non negativa, pubblicizzazione fatta di luoghi comuni, gravano sullo sviluppo del settore. In realtà la S., oltre al suo patrimonio paesaggistico e marino e ai numerosi tesori monumentali, è ben dotata di attrezzature alberghiere, rete autostradale e stradale, e aeroporti. Vedi tav. f.t.
Bibl.: A. Pecora, Sicilia, Torino 19742; M.T. Di Maggio, I Peloritani, i Nebrodi e le Madonie, Milano 1984; V. Ruggiero, L'Etna, la Piana di Catania e gli Iblei, ivi 1984; F. Cacciabue e altri, La Sicilia interna e la costa meridionale, ivi 1984; A. Casamento, E. Manzi e altri, Palermo, ivi 1984; V. Guarrasi, F. Micale, Autonomia e dipendenza nello sviluppo di una formazione marginale: il caso della Sicilia, in L'Italia emergente, ivi 1984; E. Manzi, La Valle di Mazara e il Trapanese, ivi 1984; E. Manzi, G. Lanza Tomasi e altri, Sicilia, in Attraverso l'Italia, 2 voll., ivi 1987 e 1988; E. Manzi, Sicilia. Panorama geografico, in L'Italia. Enciclopedia e guida turistica d'Italia, Novara 1988; Id., L'uomo e l'ambiente, in Sicilia, "Guida d'Italia", Milano 1989.
Archeologia. - Il progresso delle ricerche e degli studi relativi alla più alta preistoria dell'isola sottolinea il prevalere della problematica archeologica sugli aspetti descrittivi necessariamente lacunosi. Se appare ormai accertato che l'apparizione dell'uomo in S. si verifica assai prima della fine del Pleistocene e del Paleolitico Superiore, con l'individuazione, nella parte meridionale dell'isola, in numerosi siti all'aperto, sia pure in giacitura secondaria, di manufatti di industrie su ciottolo e resti paleontologici inquadrabili nel Paleolitico Inferiore, rimangono aperti i problemi della ricerca delle forme di giacitura primaria, della diffusione di tale cultura attraverso il cosiddetto ''ponte siculo-tunisino'', del rapporto tra l'industria su ciottolo costiera e quella a bifacciali dell'interno, così come del passaggio dalla facies macrolitica a quella arcaico-musteriana e di eventuali sollecitazioni continentali. Senza dubbio più ampio rimane il panorama delle conoscenze per quanto concerne il Paleolitico Superiore, recentemente arricchito di risultati di ricerche sistematiche alle Grotte Giovanna presso Cassibile, dell'Acqua Fitusa nella Valle del Platani, dell'Uzzo nel promontorio di S. Vito Lo Capo, caratterizzate dalla presenza di una fase finale dell'epigravettiano siciliano, quando non anche dal passaggio al Mesolitico senza soluzione di continuità.
Per il Neolitico, dalla Grotta dell'Uzzo nel Trapanese e dal sito di Piano Vento presso Palma di Montechiaro, nell'Agrigentino, provengono dati che attestano la presenza delle ceramiche impresse già nella prima metà del 6° millennio a.C.
Nella Grotta dell'Uzzo si assiste al lento processo di neolitizzazione dalla fase più antica della decorazione ''cardiale'' e ''a unghiate'' alla fase con stampigliature regolari, a quella con composizione geometrica stentinelliana, associata alla prima ceramica figulina dipinta a bande brune su fondo rossiccio (Neolitico Medio). Un grosso muro a doppio paramento di ortostati costruito a chiudere la cavità della grotta costituisce il più antico esempio di architettura muraria in Sicilia. Un muro di fortificazione analogo, sfruttando il ciglio roccioso, protegge il villaggio neolitico di Piano Vento, dove la ceramica d'impasto e quella figulina si distribuiscono in più livelli di capanne circolari, più grandi e più solide quelle della fase finale, comprese entro recinti circolari. A Milena, ai piedi della Serra del Palco, un grande recinto absidato neolitico, costruito in grossi blocchi gessosi, è stato dallo scavatore messo in relazione con strutture egee di quell'età.
Per la prima età del Bronzo, in questi ultimi anni hanno avuto particolare significato i risultati degli scavi nel territorio nisseno-agrigentino. In territorio di Palma Montechiaro, in località Monte Grande, su un colle in prossimità della costa, un insediamento castellucciano, risalente alla prima metà del 2° millennio a.C., appare caratterizzato da un sistema organico di grandi recinti circolari in struttura megalitica, disposti attorno a un grande recinto centrale: il tutto racchiuso da un robusto muro di temenos a costituire un'area sacra, ricca di ceramica fine, corni e falli fittili, piastre di sacrifici e, particolarmente significativo, un modellino fittile di tempietto a forma di capanna circolare, i cui sostegni sono altrettanti idoli disposti in cerchio.
Degna di particolare nota è l'ampliata conoscenza di quell'aspetto del Bronzo Antico detto cultura di Rodì-Vallelunga, di cui si è trovata di recente abbondante testimonianza non solo nella S. orientale (nuovi ritrovamenti nell'abitato di Messina e nel territorio di Lentini), ma anche nella S. occidentale, dalla necropoli di Valle Oscura presso Marianopoli e dal deposito del Ciavolaro presso Ribera, entrambi nel comprensorio del Platani, riproponendo problemi di passaggio da tale cultura a quella del Bronzo-Medio thapsiano. Per quanto riguarda quest'ultimo orizzonte culturale, dall'Agrigentino vengono ancora le più recenti e talora sensazionali scoperte. Nel territorio di Licata, sulle pendici collinari dominanti la Piana di Gaffe non lungi dalla costa, i resti di un villaggio di capanne circolari di uso domestico associate a grandi recinti ellittici di probabile destinazione sacra, hanno restituito ceramica indigena di Thapsos, tra cui grandi vasi lebetiformi, e qualche frammento ceramico miceneo III A. Grande quantità di ceramica III A2 e III B, associata alla tipica ceramica thapsiana, proviene da un villaggio del Bronzo Medio sulla costa agrigentina, in località Cannatello, avente carattere di ''emporio'' cipro-miceneo del 13° secolo a.C., lungo la rotta meridionale dall'Egeo verso ovest.
La tradizione architettonica dei recinti sacri dalla prima età del Bronzo alla media si perpetua nell'età del Ferro, caratterizzando il territorio della Sicilia centro-meridionale e trovando la più organica espressione nel centro sicano di Monte Polizzello nella media Valle del Platani, dove scavi recenti vanno portando alla luce una città indigena vissuta dall'8° al 5° secolo a.C., organizzata con un'acropoli sacra, un abitato di strutture circolari e quadrangolari, e una necropoli che si sviluppa lungo le balze rocciose della montagna.
Il problema di centri indigeni e del processo di ellenizzazione ha continuato, anche nei tempi recenti, a essere tema particolarmente curato nelle ricerche archeologiche dell'isola. Così a Monte Saraceno, nella valle inferiore del Salso, dove acropoli, abitato e necropoli testimoniano la rapida ellenizzazione del centro, già nel 7° secolo a.C., a opera prima dei Gelesi e quindi degli Akragantini, sotto la cui influenza la località rimane sino al 4° secolo a.C.; a Monte S. Mauro di Caltagirone, dove gli scavi hanno interessato il settore abitativo sul versante sud del Colle 3 e quello dell'acropoli dello stesso colle, confermando la cronologia dell'importante centro ellenizzato alla fine del 7° secolo a.C.; a Francavilla di Sicilia, dove da un santuario di età greca del 470-460 a.C. provengono numerosi pinakes fittili, vicini ai tipi locresi del santuario di Persefone; a Monte Casasia sugli Iblei, sede di un centro, la cui vasta necropoli è caratterizzata dalla presenza di vasi indigeni e di ceramiche d'importazione databili nel corso del 6° secolo a.C.
Non v'è dubbio che gli scavi e le ricerche mirate di questi ultimi decenni in vaste aree di città antiche abbiano consentito d'intendere a pieno la pianificazione urbana delle colonie greche di S., nelle premesse socio-economiche, nei caratteri della prima lottizzazione stanziale, nello sviluppo più propriamente urbano dell'impianto. Nel quadro dell'urbanistica delle città siceliote, Megara Hyblaea (v. in questa Appendice) ha assunto il rilievo di modello di partenza. I risultati degli scavi dell'Ecole Frana̧ise di Roma hanno consentito di delineare un'organizzazione urbana nel 7° secolo a.C. (meno di un secolo dopo la fondazione della colonia), con cinque diversi accertati orientamenti di quartieri (due nell'area scavata nel settore orientale del pianoro nord, tre nella restante parte dello stesso pianoro e in quello meridionale), in un tessuto ritmato da lunghe strade nord-sud, larghe m 3, determinanti isolati di m 25, occupanti due lotti della larghezza media di m 12 ciascuno (lotto al quale risalirebbe la misura base della ripartizione dello spazio urbano). In una tale organizzazione gli spazi privati (lotti) sono distinti, fin dall'inizio, dagli spazi pubblici (agorà, strade e spazi comuni). Le case, dapprima sparse uniformi e a un solo ambiente, quindi a due locali, aperti a sud sul cortile, si dispongono allineate alla strada. L'agorà arcaica di Megara Hyblaea si presenta come uno spazio trapezoidale, cerniera dei due diversi sistemi di orientamento, con il lato nord ben definito da una delle due grandi strade est-ovest, che in direzione del mare attraversano la città, monumentalizzato nella seconda metà del 7° secolo con due stoài lungo le strade a nord e a est e dalle costruzioni di due templi.
Un raggruppamento ϰατὰ ϰώμαψ caratterizza nel periodo protoarcaico il primo insediamento coloniale a Siracusa, con case monocellulari simili a quelle di Megara, attestate sulle strade che corrono lungo la dorsale di Ortigia, asse naturale che, attraversando tutta l'isola, connetteva quei nuclei abitati con gli altri della terraferma, mentre l'agorà più antica si collocherebbe nell'area retrostante al tempio ionico non finito e del vicino Athenaion. È frutto di ricerche recenti la conoscenza del successivo sviluppo dell'abitato secondo un'estesa maglia urbana, del 4°-3° secolo a.C., con strade parallele delimitanti isolati larghi m 38, il cui impianto si sovrappone alla precedente necropoli di età arcaica e classica; così pure la scoperta di una grande arteria da piazza Vittoria all'Anfiteatro, a sud della quale sono un'importante area sacra dedicata a Demetra e Core della fine del 5°-4° secolo a.C., e resti di una fontana monumentale. Si è supposto trattarsi del noto santuario di Demetra e Core, spesso citato dalle fonti, che altri propone d'identificare con gli avanzi sulla spianata sommitale del teatro.
Anche Naxos, Gela, Imera e Selinunte hanno rivelato alle recenti ricerche la struttura dell'organizzazione urbana arcaica e classica. A Naxos, l'impianto del 5° secolo a.C., sovrapposto e diversamente orientato rispetto a quello arcaico, con strade nord-sud che a intervalli regolari incrociano tre assi est-ovest, è stato messo in relazione con il trasferimento autoritario di nuove popolazioni attuato da Ierone i. A Gela, in località Molino a Vento, l'acropoli della città greca, prospiciente la foce del fiume omonimo che ne marginava il limite orientale, già sede di stanziamenti preistorici, occupata dai primi coloni rodio-cretesi, vede nel 7° secolo a.C. sacelli e abitazioni allinearsi lungo il principale asse naturale della collina; e, a partire dalla seconda metà del 6° secolo a.C., una strutturazione organica dell'impianto urbano, meglio definita nel 5° secolo con una regolare maglia di strade parallele nord-sud ortogonali alla plateia che separava l'area occupata da abitazioni, botteghe e sacelli a nord, dal settore monumentale sacro del santuario di Atena a sud.
Imera (v. in questa Appendice), come Naxos, subisce nel corso della prima metà del 5° secolo a.C., una trasformazione radicale del suo impianto, per cui da un orientamento nord-sud-ovest passa a un eccezionale orientamento quasi esclusivamente est-ovest, con assenza di vie ortogonali, sulla base di un piano unitario che delimitava aree quadrate di m 16 di lato.
Più articolata e complessa è risultata ai recenti scavi la situazione urbanistica storica di Selinunte (v. in questa Appendice). Già dalla fine del 7° secolo la città appare estesa per tutta l'area dalle colline dell'acropoli e della Manuzza a quella orientale; il sorgere della città organizzata si colloca sulle prime due alture, nel decennio 580-570 a.C., con i due assi naturali nord-sud e sud-ovest, quest'ultimo corrente alla base della collina dell'Acropoli tra i due porti, con l'area sacra al centro della collina medesima, e con una trama urbana di dodici isolati di m 29 di larghezza che, con le relative strade, si attestano all'arteria assiale nord-sud. Questa trama si estendeva oltre la sella dell'agorà sulla collina di Manuzza dove, secondo il dato orografico, segnava un angolo incidente di 23 gradi. Tra il 560 e il 460 a.C. si colloca la fase urbanistico-monumentale, che ebbe per protagonista la costruzione dei templi C e D e quella della grande terrazza sulle balze orientali del temenos, sostenuta dal gigantesco muraglione a gradoni. Mentre sulla collina di Manuzza il tracciato non ha subito trasformazioni importanti sino alla fine dell'occupazione della zona intorno agli anni 370-360 a.C. (anche se il quartiere non fu risparmiato dalla distruzione cartaginese del 409-408 a.C., e il nuovo abitato fu ricostruito sulle rovine livellate), l'acropoli subisce trasformazioni verso la fine del 6° e l'inizio del 5° secolo a.C., con la ricostruzione dell'abitato distrutto alla metà del 6° secolo a.C., con edifici in bella struttura isodoma, legati alla vita del santuario, arricchito dei templi A e O nel settore sud-est: il tutto inserito nella maglia viaria, differentemente che sulla collina orientale dove, nel frattempo, erano sorti al di fuori di simili costruzioni i templi G, F, E.
Anche di Camarina, sotto-colonia siracusana degli inizi del 6° secolo a.C., gli scavi e le ricerche più recenti hanno permesso di seguire lo sviluppo urbanistico, dal periodo arcaico − segnato dall'asse che seconda la linea di cresta del promontorio e delle colline −, al momento della rifondazione geloa del 461 a.C., al periodo timoleonteo, in cui si definisce con quattro assi est-ovest paralleli, delimitanti isolati di m 35 × 136,50, con venti unità abitative suddivise da un ambitus mediano; l'agorà si colloca all'estremità sud-ovest, tra il tempio di Atena e il porto alla foce dell'Ippari.
Il periodo protoarcaico dell'architettura religiosa siceliota, già individuata nel tempio A di Imera, dispone ora di un documento eccezionale a Selinunte, con il riconoscimento (G. Gullini) del più antico edificio sottostante al tempio E del periodo severo: il tempio E1 di notevoli proporzioni, con cella, adyton e pronaos in antis, ricostruibile con due file di tre colonne all'interno della cella, inserito in un temenos con propileo ad H. Una ricostruzione alla fine del 6° secolo a.C. segna con E2 la fase intermedia nella storia architettonica dell'edificio.
A partire dal 4° secolo a.C. e nel periodo ellenistico gli scavi recenti hanno rivelato, insieme all'impianto urbanistico e all'architettura domestica, notevoli monumenti pubblici civili. Così a Morgantina, nell'interno calcidese dell'isola, la sistemazione architettonica dell'agorà, articolata su due quote, si è arricchita della scoperta di una fontana monumentale del periodo ieroniano; a Monte Iato (v. in questa Appendice), nella S. occidentale, emerge la documentazione di un centro indigeno di area elima, trasformato nel suo aspetto edilizio dalla cultura architettonica greca con l'agorà, il teatro e il bouleuterion. Ad Agrigento si va definendo l'articolata e terrazzata scenografia di edifici a carattere politico-amministrativo, che collega l'area dell'ekklesiasterion e del bouleuterion a quella dell'agorà superiore, caratterizzata dal ginnasio. L'ekklesiasterion, scavato in gran parte nel banco di roccia sulle pendici meridionali del poggetto di San Nicola, presenta una gradinata a forma di tre quarti di un'intera circonferenza (diametro massimo m 48). Il bouleuterion, ai piedi delle pendici nord del medesimo poggetto, consta di una struttura rettangolare di m 20,50 × 12,50, comprendente una cavea di sei ordini di sedili in pietra arenaria con proedria, il tutto sostenuto da poderosi muri di terrazzamento.
Non v'è dubbio che sul piano storico-artistico il fatto più importante sia costituito, per l'età greca, dalla scoperta della statua marmorea di Mozia (v. in questa Appendice). Venuta in luce nel 1979, rappresenta un giovane, atletico, stante, vestito di lunga tunica, sotto la cui fitta trama di pieghe sottili si evidenzia la flessione del corpo con la gamba destra avanzata; il braccio sinistro è piegato sul fianco, il destro levato in alto; il petto è serrato da una larga fascia. Ritenuta opera di artista greco o siceliota, la sua datazione oscilla dal periodo dello stile severo (cui meglio si accorda la testa di tradizione tardo arcaica incorniciata sulla fronte da una triplice fila di riccioli ''a lumachelle''), agli ultimi decenni del 5° secolo a.C. (cui meglio si addice il movimento vivace della figura dalla flessione quasi femminea, sino a indurre qualche studioso a collocare l'opera nel periodo ellenistico). In uno con la lettura storico-artistica (scultura greco-siceliota da Selinunte o da Agrigento del periodo severo, opera di uno scultore greco orientale trapiantato a Mozia che lavora secondo gusti di una committenza locale negli ultimi decenni del 5° secolo a.C.) è proceduto il problema dell'identificazione: dio o eroe, più particolarmente Eracle-Malquart; personaggio politico, più particolarmente Terone; auriga o vincitore di danza pirrica; Dedalo.
Per l'età romana, le ricerche di maggiore respiro hanno riguardato le ville di grossi possidenti nell'isola. Sulla costa occidentale agrigentina, presso Realmonte, è stato in gran parte portato alla luce il complesso di una villa romana del 1°-2° secolo d.C., estesa su una superficie di 5000 m2; essa consta di una struttura con ambienti organizzati attorno a un peristilio-giardino con cinque colonne doriche per lato e vasca semicircolare all'interno; le stanze, in cui si riconoscono tablinum, cubicula e triclinium, sono diversamente pavimentate (opus sectile policromo, tassellato, mosaico figurato con Poseidon).
In territorio di Eloro, a breve distanza dalla riva destra del fiume Tellaro, è stata localizzata una grande villa del 4° secolo d.C., di cui è stata portata alla luce solo una zona limitata relativa a tre ambienti mosaicati e a parte del portico di un peristilio, attorno a cui appare organizzato il complesso edilizio. Notevoli i mosaici policromi sinora messi in luce, tra cui quello relativo a scene di caccia su più registri (per cui evidenti sono stati i richiami alla ben nota villa di Piazza Armerina) e un ''emblema'' con la raffigurazione del tema del riscatto del corpo di Ettore, scena del ciclo troiano, favorita nell'età tardo-antica. Nel territorio di Patti, nella piana ai piedi del sistema collinare, in prossimità della costa è stato individuato, e in parte scavato, il complesso monumentale di una villa tardo-antica estesa per 20.000 m2. Il nucleo principale appare costituito da un grande peristilio con portico mosaicato, su cui domina a sud una vasta sala triabsidata, avente ai lati, simmetricamente disposti, ambienti rettangolari. La scoperta di queste due ville sontuose, che si aggiungono a quella più nota di Piazza Armerina, ha meglio chiarito l'appartenenza di questi complessi ai fundi della ricca aristocrazia senatoria romana tardo-antica. Vedi tav. f.t.
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Arte. - La storia del patrimonio artistico siciliano ha assunto, specie negli ultimi due decenni, un profilo più organico definendo meglio i contorni dinamici e la molteplicità culturale del tessuto policentrico grazie a numerosi contributi di ricerca e a un impegno di tutela e valorizzazione che, pur segnato da insanabili ritardi e da difficoltà politico-amministrative derivanti in parte dall'esperienza di gestione autonoma della regione a statuto speciale dal 1946, ha trovato un positivo sbocco con le norme di attuazione dello statuto siciliano in materia di Beni culturali (1975). Tanto la frammentazione degli organi preposti alla tutela quanto il disorganico sovrapporsi di competenze e responsabilità tra stato, regione ed enti locali ha sortito infatti correzioni con l'entrata in vigore di una nuova disciplina d'intervento stabilita dalle leggi regionali del 1977 (n. 80) e del 1980 (n. 116) e con l'istituzione di soprintendenze uniche interdisciplinari. Il nuovo assetto ha riequilibrato i ruoli delle stesse e dei musei, pinacoteche e biblioteche (le istituzioni nazionali passate di competenza alla regione) che sono diventate in sostanza organi tecnici territoriali dell'assessorato regionale per i Beni culturali e ambientali e della Pubblica Istruzione, supportato dal parere consultivo degli istituti di ricerca scientifica rappresentati dal Consiglio regionale dei beni culturali istituito nel 1980. Oltre alle esigenze di un territorio duramente colpito dalle catastrofi naturali (alta densità sismica) e dai bombardamenti del 1943 (in particolare Messina, Palermo, Catania, Enna, Trapani), i necessari interventi di recupero e tutela hanno dovuto tener conto dei progetti di creazione di aree industriali, in specie il polo petrolchimico finanziato dalle leggi speciali della Cassa per il Mezzogiorno (1951 e 1957), che in totale assenza di un organico studio del territorio e di un censimento e piano di valorizzazione hanno seriamente incrinato il già fragile equilibrio economico-ambientale isolano.
Nonostante i gravi scompensi nell'amministrazione delle risorse si è avviato il processo di sistemazione dei musei a partire dal restauro e riadattamento (1954), a cura di C. Scarpa, dell'edificio dell'odierna Galleria regionale, il Palazzo Abatellis a Palermo gravemente danneggiato durante la guerra, la cui presentazione espositiva delle raccolte può dirsi terminata con la sistemazione del 1984-85. Del 1954 è la riapertura nell'ex filanda Mellingoff del Museo nazionale di Messina, ora Museo regionale inaugurato nella nuova disposizione di sale e collezioni nel 1984; la sua lunga vicenda, segnata dal qualificante intervento di Scarpa (1974) e dal successivo progetto di restauro monumentale (dopo i danni del terremoto del 1976) e articolazione museale (1978), che ha posto fine al deposito all'aperto dei resti lapidei messinesi superstiti al terremoto del 1908, è emblematica delle difficoltà incontrate nella salvaguardia del patrimonio. Risalgono inoltre alla metà degli anni Sessanta i primi progetti a cura della soprintendenza per il restauro dell'importante serie di otto arazzi fiamminghi del 16° secolo della Matrice di Marsala, attribuiti a Pedro Campana (Dacos 1980), con la creazione di un apposito luogo espositivo a ridosso dell'edificio cultuale, l'attuale Museo degli Arazzi aperto nel 1984. L'opera di necessaria quanto urgente riattazione degli spazi museali e sistemazione delle raccolte trova un più ampio svolgimento con il ''Piano di opere straordinarie per i musei siciliani'' del 1974, in cui rientrano la catalogazione delle collezioni e bonifica del Museo Alessi di Enna (1955-70), la sistemazione delle raccolte dei musei civici ed enti privati, tra cui quella dei settori medievale e archeologico del Museo civico di Castello Ursino a Catania, inadeguato per sede e resa museografica (lavori terminati nel 1990), un primo intervento per il museo della Fondazione Mandralisca (museo comunale dal 1977), oltre alla sistemazione dell'edificio e delle collezioni del Museo civico di Termini Imerese e del Museo diocesano di Palermo che raccoglie opere dal territorio, entrambi tuttora in restauro. Se i necessari lavori di adattamento espositivo (tra cui quelli del Museo diocesano di Piazza Armerina inaugurato nel 1985), la razionalizzazione delle collezioni (scissione del settore medievale e moderno dall'archeologico e creazione della Galleria regionale di Palazzo Bellomo a Siracusa, 1958-76), e il radicale intervento di consolidamento e riordinamento degli spazi espositivi (Museo regionale Pepoli di Trapani, 1950-65) hanno permesso il recupero della fruizione del patrimonio locale oltre che dell'attività didattica dei musei di Palermo, Messina, Siracusa e Trapani, l'impegno di tutela accompagnato dal rinnovarsi degli studi ha conseguito notevoli acquisizioni critiche specie per quanto riguarda il patrimonio medievale e normanno della Sicilia occidentale. L'enuclearsi di ricerche e interventi operativi, favoriti dall'estensione delle leggi speciali dello stato per San Marco a Venezia (1961 e 1971) al restauro del paramento musivo del Duomo di Monreale (1965-82, revisione e pulitura di 7600 m2 di tessere) ha comportato la pubblicazione di inediti risultati nel 1986. D'altra parte nuovo impulso si è dato dal 1977 alla tutela con l'apertura e programmazione di cantieri per gli edifici monumentali (il citato Duomo di Monreale, la cattedrale di Cefalù, la Cattedrale e il complesso della Magione di Palermo, il Monte di Pietà di Messina) riguardanti sia il loro consolidamento che la conservazione degli interni (per es. restauri in corso della Cappella Palatina di Palermo), mentre è da segnalare in particolare il recupero delle testimonianze islamiche nei lavori di restauro delle tavole dipinte del soffitto della basilica-cattedrale di Cefalù (risultati pubblicati nel 1986-88) accompagnato dalla riscoperta in sede storiografica della presenza di maestranze islamiche (Beck 1975 e 1977).
Ai grandi cantieri ancora in programma, specie intorno alla S. normanna, e alle sintesi degli studi pubblicate anche con il supporto finanziario della Regione (Storia della Sicilia, Napoli 1977-81), fa riscontro la penosa situazione conservativa del patrimonio monumentale sei-settecentesco e di quello d'inizio secolo (E. Basile e il Liberty palermitano), che ha trovato scarsa incisività d'azione. Più vivace invece è stato l'impegno per il recupero e la valorizzazione dei beni mobili, su cui si è concentrata un'azione di tutela e censimento tesa a riconnettere il ricco quanto lacunoso tessuto figurativo isolano. Occasioni sono state le mostre monografiche su Antonello da Messina (1953 e le manifestazioni antonelliane di Messina nel 1981) e su Filippo Paladini (1967), nonché gli sforzi moltiplicatisi dal 1976 tesi a recuperare opere e fruizione delle stesse permettendo un organico piano di indagini sul tessuto storico-figurativo, con il concorso anche dei cantieri di Catania, Siracusa, Ragusa e Messina che hanno allestito mostre sulle opere in restauro, quali per es. quella sul Quattrocento e Cinquecento messinese (1979). L'impegno assunto si è allargato dai centri e monumenti più significativi al territorio circostante e alle stratificate presenze d'importazione sia medievali che seicentesche, con indagini sulle testimonianze genovesi (restauro dei dipinti di San Giorgio dei Genovesi a Palermo, 1969) o toscane (serie di Croci, tra cui quella della Cattedrale di Mazara del Vallo, 1971, e quella di Santa Lucia al Sepolcro di Siracusa, 1978, vicina alla Croce del Maestro di Castelfiorentino, ora nella Galleria di Palermo, rinvenuta nel 1952). Vanno inoltre ricordati gli importanti recuperi sotto dipinti palinsesto (l'antica Odigitria di San Nicolò all'Albergheria di Palermo) che si accompagnano al recupero dei cicli affrescati (Duomo di Agrigento, 1953; Gran Priorato di Sant'Andrea a Piazza Armerina e ciclo trecentesco di Palazzo Steri a Palermo, 1961), e al restauro di singole opere che ha permesso studi monografici di grande interesse sul piano critico e della pratica conservativa (per es. quello del Trionfo della Morte della Galleria di Palermo, a cura dell'Istituto centrale del restauro, 1975-89). L'omogeneità di alcuni progetti di restauro e catalogazione del territorio ha giovato al riesame in sede critica tanto delle presenze sei-settecentesche (mostre e convegni monografici su Pietro Novelli, 1990) quanto del microcosmo delle corti rurali del primo Seicento (iniziative su Pietro d'Asaro, in occasione della cui mostra si è recuperato lo spazio della Matrice e della chiesa del Monte di Racalmuto, 1984-85). Alle importanti retrospettive quali quella di Caravaggio in S. (1984-85), organizzata in occasione del rientro del Seppellimento di santa Lucia restaurato dall'Istituto centrale del restauro, cui hanno collaborato l'assessorato, la soprintendenza orientale e occidentale, il museo Bellomo, o la mostra sui Momenti del Cinquecento meridionale (1985) con opere recuperate alla pubblica fruizione, si accompagnano le preziose iniziative intese a promuovere il recupero e lo studio di materiali di minore immediata evidenza artistica soggetti al progressivo depauperamento. Si ricordano a questo proposito le mostre sulle suppellettili religiose degli enti ecclesiastici e diocesi di Messina e Patti (Taormina, 1985), dei beni cartacei (mostra sul patrimonio cartografico, Palermo, 1984) e dell'arte applicata (su merletti e arazzi ricamati, 1966) o d'interesse etno-antropologico (Messina 1984).
Se il restauro e la catalogazione delle opere d'arte del territorio (tra il 1980 e il 1985 quella promossa dalle soprintendenze e musei di Messina e Palermo) e del patrimonio librario (schedario informatizzato del 1991: censimento delle cinquecentine, 1978-80; catalogazione degli Archivi storici comunali, 1975-82) ha permesso di riacquisire agli studi, tramite le numerose mostre svoltesi nei musei e biblioteche regionali, un patrimonio soggetto a degrado, va sottolineato il vistoso ritardo nella tutela del territorio intesa anche quale strumento conoscitivo propedeutico alla messa in opera di vincoli ambientali e architettonici. Un ritardo, questo, che ha permesso il disordinato evolversi edilizio e soprattutto il sacco urbanistico di cui lampante esempio è intorno ai primi anni Settanta la scomparsa del prezioso patrimonio architettonico sei-settecentesco e naturale della Conca d'Oro e di Bagheria nei pressi di Palermo, zone ora invase dal processo di urbanizzazione selvaggia. Caso non meno emblematico quanto drammatico nei suoi risvolti distruttivi è il duplice annientamento del patrimonio urbano e monumentale, oltre che del tessuto umano e naturale, della Valle del Belice a seguito del catastrofico terremoto del 1968 e della conseguente speculazione che ne ha dettato la ricostruzione (protrattasi negli anni Ottanta), i cui casi estremi possono essere indicati nella riedificazione di Partanna con voluminosi sprechi nelle infrastrutture (qui tuttavia si è curato il restauro della Matrice e della chiesa del Purgatorio) e nel criticabile esperimento di città-museo d'arte contemporanea di Gibellina (interventi monumentali di C. Accardi, P. Consagra, Mirko, E. Marcheggiani, N. Franchina, A. Burri), con un arredo artistico e urbano sradicato dal contesto e soggetto a veloce deperimento.
Queste ferite profonde costituiscono il patrimonio d'esperienza che sta dietro l'impegno conoscitivo del territorio e della catalogazione su scala regionale dei sistemi urbani (97 catalogati nel 1979 e poi ancora nel 1986), ad opera congiuntamente delle facoltà di Architettura e della soprintendenza, con la parallela definizione di una legge urbanistica generale (1978), comprendente disposizioni speciali riguardanti i beni culturali e ambientali dirette al restauro conservativo, alla prevenzione e integrale recupero di spazi ed edifici monumentali. A questi anni risale la tardiva estensione a Palermo della legge sui centri storici di Siracusa e Messina, con proposte di vincolo (l'architettura di Basile) e un programma di risanamento e riattazione a uso pubblico di nove edifici del quartiere dell'Albergheria attivato nel 1983.
Al piano di censimento e catalogazione finalizzato alla tutela dei centri storici appartiene per Palermo il riconosciuto vincolo per particolare valore artistico per la Villa Mercadante, Palazzo Savona e Palazzo Mirto acquisito dalla Regione che lo ha aperto al pubblico (1985), come il necessario quanto tardivo recupero della Zisa (1987). Altre acquisizioni riguardano il Palazzo Verga di Catania, la Villa San Pancrazio di Taormina, l'Abbazia basiliana di Messina o ancora il Palazzo del Monte dei Pegni di Caccamo. Inoltre il censimento dei tessuti urbani, oltre che nei convegni sui castelli federiciani (1991) e nel progetto di difesa della S. normanna federiciana e feudale (1986), trova un più largo disegno di recupero conoscitivo anche con le iniziative (convegni e mostre) programmate per il 1995 sull'età federiciana in Sicilia.
Per quanto riguarda Palermo, a circa un secolo dalla vivace stagione di studi e restauri della quale fu protagonista l'architetto G. Patricolo, gran parte dei monumenti d'epoca normanna è di nuovo oggetto di interventi di restauro e di approfondimenti sul versante storiografico. I restauri della fine dell'Ottocento − radicali e talora arbitrari − hanno finito per costituire il perno di una specie di rifondazione dell'architettura normanna, di Ritorno dei Normanni, come suona il titolo di un recentissimo volume dedicato a questo argomento (Tomaselli 1994), mentre le campagne caratterizzate da un maggiore rispetto nei riguardi della storia e della stratigrafia del monumento sono all'origine di puntualizzazioni di grande interesse.
Nei recenti lavori di restauro, non ancora conclusi, della cattedrale è stato recuperato l'imponente diaconicon pertinente alla fabbrica gualteriana (consacrata nel 1185). L'invaso spaziale è ora ben godibile; sulle pareti sono stati rinvenuti cospicui brani dell'intonacatura originaria, bianca a falso paramento murario. All'esterno, poi, in più punti sono stati rintracciati intonaci antichi colorati sì da dedurne che la vasta mole della cattedrale, riedificata dall'arcivescovo Gualtierio Offamilio, doveva svettare sulla città tutta intonacata di rosso. Parimenti, hanno riacquistato l'equilibrio smarrito a causa di svisanti interventi e intonacature probabilmente tardosettecentesche (Giuffrè 1993) i rilievi e le sculture della decorazione del quattrocentesco portico meridionale, decorazione della quale sono particolarmente apprezzabili il nitore del disegno e larghi brani di cromia, specie nella decorazione a bassissimo rilievo compreso nella fascia aderente alla linea degli archi (Meli 1991). Molte e interessanti le acquisizioni intorno al chiostro e all'ala del monastero annesso alla chiesa della Magione (Mansio Sanctae Trinitatis, 1990; Tomaselli 1994). Dopo secoli d'incuria, un crollo e un necessario quanto ardito restauro, il palazzo normanno della Zisa è finalmente uno spazio fruibile e sede di un'esposizione che raccoglie un primo nucleo di opere d'arte islamica qui trasferite dalla Galleria regionale di Palermo. Attende, invece, una ragionata sistemazione la Sala della Fontana; ma nel frattempo è stato consolidato il prezioso mosaico che ne adorna la parete di fondo, e l'edificio tutto appare riconsiderato in un attento studio monografico (Staacke 1991). Sono in corso interventi di manutenzione straordinaria, sia nel padiglione tardo normanno della Cuba, sia nel complesso di San Giovanni degli Eremiti. In vista dell'impegnativo restauro che coinvolgerà la Cappella Palatina, sono stati avviati studi preliminari e indagini di tipo scientifico: in particolare, sul sistema del tetto, sul soffitto, sulla statica dell'edificio. Date le precarie condizioni di parte delle stesure musive, è stato necessario operare un pronto intervento nei riguardi dei mosaici della calotta della cupola (1988) e compiere una vera e propria campagna di pulitura e consolidamento nei riguardi delle Storie di Pietro sulla parete della navatella settentrionale (1990-91).
Accanto alle conoscenze attivate dalle operazioni di restauro, non sono trascurabili quelle offerte dalla riflessione storiografica. Gli studi sono rivolti, in particolare, a scandagliare aspetti e problemi attinenti alla Cappella Palatina (Beck 1970; Brenk 1990; Borsook 1990), alle tombe di porfido nella cattedrale (Gandolfo 1993), al fenomeno del riuso di materiale classico (Pensabene 1990), alle modalità tecnico/esecutive dei mosaici (Andaloro 1986). Nuove acquisizioni riguardano i lacerti − ma quanto fascinosi − dei mosaici di carattere profano della Torre Pisana all'interno del Palazzo Reale, restituiti agli anni del regno di Guglielmo i (1154-69) o a quelli immediatamente successivi e dei quali è stato individuato il soggetto in un tema marinaresco (Kitzinger 1983), nonché una serie di dipinti su tavola e murali (Andaloro 1993). Fra i recuperi più interessanti segnaliamo le tavole dipinte del soffitto della cattedrale di Cefalù: riconosciute, a ragione, come pertinenti al soffitto della fase normanna e non al restauro tardoduecentesco, esse risultano essere espressione di maestranze dalla cultura figurativa di matrice islamica (Beck 1975).
Oggetto di particolare riflessione sono la caratterizzazione della committenza − tutta raccolta attorno alla linea dinastica e all'ambiente di corte −e la qualità del sincretismo riconosciuto nella sua funzione di asse portante di tutto il sistema figurativo e rappresentativo dell'arte nella S. normanna: temi ai quali è stato dedicato ampio spazio all'interno del Symposium tenuto al Dumbarton Oaks Institute di Washington nel 1981. La chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio gode di un'esemplare monografia (Kitzinger 1990), mentre all'intera vicenda storiografica dei monumenti normanni è dedicato un recente volume (Ciotta 1992). Inoltre è ferma volontà di E. Kitzinger procedere alla pubblicazione di tutti quegli apparati fotografici relativi ai mosaici della S. normanna che sono frutto delle campagne compiute dal Dumbarton Oaks Institute dal 1950 in poi sui complessi musivi della S. normanna, e contestualmente assicurare i negativi delle foto all'Istituto centrale del Catalogo e della Documentazione del ministero dei Beni culturali. Sono finora disponibili i primi due volumi dedicati ai mosaici della Cappella Palatina (Kitzinger 1992 e 1993) ed è in corso di stampa il primo dei volumi concernenti i mosaici di Monreale. L'interesse verso le problematiche dell'arte normanna da parte degli studiosi stranieri, specie di area anglosassone e statunitense, non accenna a scemare, come attesta anche la nutrita serie di tesi di dottorato assegnate e discusse in varie università americane (sulla Cappella Palatina se ne segnalano ben tre: Simon Cahn 1978; Nouritza Nercessian 1981; L. Roberts 1984).
Anche nelle istituzioni palermitane cresce la tendenza a riappropriarsi in senso critico e conoscitivo del periodo normanno, che per Palermo coincide con la definizione di un assetto urbano e monumentale tuttora pienamente riconoscibile. Alla Cattedrale è stato dedicato un convegno (1988; Atti 1993); alla Cattedrale di Cefalù una mostra (1982) e una serie di volumi ricchi di contributi; un piccolo volume, denso di novità, ha accompagnato la chiusura delle campagne di restauro che hanno interessato l'estesissimo manto musivo della Cattedrale di Monreale. Sono in corso di stampa gli atti del convegno Prime giornate medievali, svoltosi a Palermo nella primavera del 1991. Per l'autunno del 1994 sono in programma l'apertura della mostra su Federico e la S. e un convegno sull'arte e sull'architettura sveva, specie castellare.
Con l'attuazione della Sovrintendenza unica, a carattere provinciale e intersettoriale, la tutela dell'organismo monumentale viene indirizzata verso tutta la realtà delle sue componenti e stratificazioni, anche di natura archeologica. Così a Palermo di recente sono stati effettuati saggi di scavo nell'area adiacente la Zisa, in quella antistante il fianco meridionale della cattedrale, nell'area del Palazzo Reale, alla Magione, e campagne di scavo hanno interessato in quest'ultimo periodo anche l'area circostante i ruderi del Castello a mare. Rispetto all'interesse per il periodo normanno le ricerche e le azioni di tutela intorno agli altri segmenti delle vicende artistiche di Palermo non sembrano contrassegnati da egual impeto e compattezza; bisogna tuttavia segnalare alcune importanti iniziative.
Sull'attività artistica a Palermo durante il regno aragonese, che, com'è noto, è resa non tanto dalle testimonianze tuttora esistenti quanto dalla loro memoria rintracciabile nelle fonti documentarie, si devono menzionare le ricerche fondamentali di G. Bresc-Bautier, culminanti nel volume del 1979: attraverso documenti d'archivio emerge l'intreccio delle varie committenze artistiche e si precisa quanto fosse aperta a sollecitazioni esterne − italiane e spagnole − la Palermo del Tre e Quattrocento.
Non sono poche le opere moderne scoperte o riscoperte in virtù del loro restauro. Così, la tavola firmata Gaspare Pesaro e datata 1453 si è rivelata essere un originale e non una copia falsificata, come fu considerata alla vigilia della Mostra di Antonello del 1953 a causa delle pesanti ridipinture che ne sfiguravano la pellicola pittorica (Colalucci, in X Mostra, 1977). Un'analisi, volta a cogliere il senso delle palesi differenze stilistiche che contraddistinguono le varie parti dell'opera, ha potuto distinguere, fra i collaboratori del Maestro, Guglielmo Pesaro, figlio di Gaspare, pittore assai documentato negli atti notarili dei decenni centrali del Quattrocento, ma per noi moderni autore inafferrabile (Andaloro, in X Mostra, 1977). In seguito al suo riconoscimento, Guglielmo Pesaro va identificato senza alcun dubbio nel cosiddetto Maestro del Polittico di Corleone, limpido esponente di una cultura figurativa dove s'incontrano le rifrangenze mediterranee − fra Liguria e Provenza − della lezione pierfrancescana.
Importantissimo, tra gli altri, il complesso restauro in seguito al quale Il Trionfo della Morte appare finalmente godibile nei suoi valori cromatici, compositivi e anche materici. Già in Palazzo Sclafani, dopo lo stacco, in seguito alle vicende belliche, fu sistemato nella Galleria nazionale della Sicilia in Palazzo Abatellis, dove costituisce uno dei momenti forti all'interno del bellissimo allestimento di Scarpa, il Trionfo della Morte- per padronanza tecnica e qualità materica − può essere annoverato fra gli esempi più maturi di tutta la pittura ad affresco del Quattrocento in ambito meridionale. Rendono conto di questi aspetti del Trionfo riscoperto una serie di contributi (Catalogo, 1989) di taglio complementare rispetto a quelli diversi negli esiti ma accomunati dall'ottica squisitamente storico-artistica che M. G. Paolini (1963), e G. Bresc-Bautier (1979) hanno dedicato all'affresco di Palazzo Sclafani.
A parte l'attenzione riservata a singoli protagonisti della stagione barocca e rococò, quali il pittore Pietro Novelli e il grandissimo Giacomo Serpotta, oggetto ciascuno di studi di taglio monografico (Di Stefano 1989; Paolini 1983), è ancora da rivisitare nel suo insieme e organicamente il volto, importante e lacerato, della Palermo barocca. L'imponente mole di fonti manoscritte del Seicento e Settecento comincia a essere oggetto di pubblicazione a stampa (Mongitore 1977; Le Parrocchie, 1979).
Per ciò che riguarda la stagione del Liberty, se da una parte siamo stati testimoni della demolizione di decine e decine di case e villini di qualità lungo l'asse di via Libertà e nelle vie limitrofe, sacrificati per far posto alla massiccia espansione edilizia postbellica, dall'altra, soprattutto negli ultimi anni, assistiamo alla pubblicazione di una sempre più fitta serie di studi sulle architetture e sulle più varie esperienze del Liberty palermitano, nonché sulle figure più rappresentative di quel movimento.
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Tutela dei beni architettonici. - La questione dei beni architettonici in S. si caratterizza per il gravoso impegno e la molteplicità di interventi richiesti dalla vastità di un patrimonio vario e complesso, per ragioni geografiche oltre che storiche. Ciò si è palesato fin dal dopoguerra nell'opera dei soprintendenti A. Dillon, M. Guiotto, P. Loiacono, G. Giaccone, impegnati in restauri e reintegrazioni dei monumenti danneggiati, così come è evidente in tutti gli interventi che negli anni Cinquanta investirono il patrimonio archeologico e architettonico.
Fra le opere restaurate dopo la seconda guerra mondiale si segnalano: a Taormina la Chiesa Madre e il Palazzo Corvaja; a Messina l'Annunziata dei Catalani e S. Maria Alemanna; a Palermo la Chiesa della Magione e il SS. Salvatore, che dopo ricomposizioni e consolidamenti è stato adattato ad auditorium. In campo archeologico, fra gli interventi effettuati in quegli anni dalle soprintendenze alle Antichità, si ricordano: il consolidamento del Tempio C e la ricomposizione del Tempio E di Selinunte (J. Marconi Bovio, N. Gandolfo); i consolidamenti e gli interventi conservativi all'Acquedotto Cornelio di Termini Imerese, al Teatro Romano di Taormina, nella zona monumentale di Tindari, al Tempio di Giove Olimpico e a Neapoli presso Siracusa. È da segnalare la sperimentazione di nuovi materiali (cristallo, perspex) per scopi reintegrativi e conservativi a Gela nelle fortificazioni greche e a Cattolica Eraclea nel Teatro Ellenistico (rest. F. Minissi). In quegli anni fu rilevante anche l'impegno verso i monumenti di epoche più recenti, come testimonia l'opera di P. Loiacono: Palazzo Comunale Vecchio di Siracusa; S. Sofia e Chiesa della Natività a Sortino; S. Giovanni Battista a Vizzini; Badia Vecchia e Complesso di S. Domenico a Taormina. Durante gli anni Sessanta e Settanta l'opera di tutela proseguì intensa. Grossi lavori di consolidamento strutturale e di sottofondazione furono eseguiti nel Duomo di Agrigento e nella Cattedrale di Nicosia, mentre un lungo restauro ha riconsegnato l'integrità strutturale al Palazzo della Zisa a Palermo. Fra i restauri archeologici si segnalano quelli dei villaggi preistorici di Panarea e di Filicudi nelle Lipari; il restauro delle mura greche a Tindari-Patti; l'intervento conservativo al Tempio di Segesta e alla Tomba di Nerone ad Agrigento. Di rilievo anche gli interventi in un gran numero di chiese a Palermo e di altre a Mazara Del Vallo, Licata, Trapani, ove sono pure da ricordare le opere di liberazione e consolidamento corticale dell'arenaria alla Torre di Ligny, facente parte delle fortificazioni del 17° secolo. Si è intervenuto inoltre su monumenti in stato di abbandono e con forte degrado: convento di S. Maria di Gesù a Piazza Armerina; Chiesa di S. Maria del Soccorso ad Alcamo; chiese di S. Domenico a Castelvetrano e di S. Cataldo a Gagliano Castelferrato.
Nel 1977 la Legge Regionale 80 ha dettato le norme per la tutela, la valorizzazione e l'uso sociale dei beni culturali, istituendo il relativo Assessorato e le prime sei Soprintendenze, alle quali nel 1985 si sono aggiunte le restanti tre a coprire ogni provincia. Fra le iniziative più importanti degli anni Ottanta un ruolo primario ha assunto la vicenda dei parchi archeologici, che sottende un mutato e più moderno rapporto con le antichità. Attraverso l'istituto dell'esproprio si è giunti a costituire, dopo il parco di Solunto (20 ha), quello di Selinunte (270 ha, soprintendente V. Tusa), che comprende le quattro zone componenti il complesso archeologico, più un'antica fattoria destinata ad Antiquarium. Altri parchi in fase di realizzazione sono quelli di Segesta, Lilibeo, Imera, Grotta Molara, Pantelleria.
Fra i restauri architettonici si segnalano recenti, impegnative e accurate operazioni come nel caso del Duomo di Monreale, o del Duomo e del Chiostro di Cefalù. Altri interventi vi sono stati al Monte di Pietà di Messina, alla Cattedrale di Palermo, ai castelli di Mussomeli e Mazzarino, alle chiese di S. Antonio Abbate ad Aidone, di S. Silvestro Papa a Calatafimi, di S. Francesco d'Assisi, S. Michele Arcangelo e S. Veneranda a Mazara Del Vallo, della S. Annunziata ad Alcamo.
Tutela dell'ambiente. - Già a partire dal 1972 la tutela ambientale della Regione S. si è orientata verso l'istituzione di parchi regionali. Ma è stato necessario attendere la Legge Regionale 98 del 1981 per giungere alla fase esecutiva della protezione del patrimonio naturale, che tuttavia non ha trovato collocazione in una pianificazione territoriale generale, attuandosi piuttosto mediante legislazione speciale. La legge 98/81 prevedeva 19 riserve e individuava tre grandi aree territoriali da tutelare: Nebrodi, Madonie, Etna. Nel 1987 è stato creato il parco dell'Etna (140.000 ha), il primo in Italia riguardante un'area vulcanica. Nel 1989 sono stati istituiti il relativo Consiglio e comitato tecnico scientifico; e nello stesso anno fu decretata inoltre l'istituzione del Parco delle Madonie e del relativo ente di gestione.
Bibl.: 2ª Mostra internazionale del restauro monumentale, catalogo a cura di M. Dezzi Bardeschi e P. Sanpaolesi, Venezia 1964; Restauro e cemento in architettura, a cura di G. Carbonara, Roma 1981; B.C.A. Sicilia. 1980-89. Dieci anni di informazione, Palermo 1990.