Sicilia Regione a statuto speciale dell’Italia insulare (25.832 km2 con 4.875.290 ab. nel 2020, ripartiti in 390 Comuni; densità 189 ab./km2), costituita dall’isola omonima, la più estesa del Mediterraneo, e da numerose isole minori (Eolie, Egadi, Pelagie, Pantelleria, Ustica). È lambita a N dal Mar Tirreno, a E dallo Ionio e a S dal Mar di Sicilia (o Mare Africano), che la separa dall’Africa attraverso il Canale di Sicilia o di Tunisi. L’isola ha forma triangolare, da cui l’antico nome di Trinacria, con i vertici: a NE Capo Peloro o Punta del Faro, verso la Calabria, da cui la separa lo Stretto di Messina; a NO Capo Boeo o Lilibeo; a SE Capo Passero. Capoluogo di regione è Palermo.
I territori collinari (61,4% della superficie) e quelli montuosi (24,4%) sono nettamente prevalenti sulle aree pianeggianti (14,2%). L’Appennino Siculo si estende da oriente a occidente a ridosso della costa tirrenica e finisce in corrispondenza di Termini Imerese, articolandosi in tre sezioni distinte. La prima è rappresentata dai Monti Peloritani, tra lo Stretto di Messina e la Portella Mandrazzi (1125 m), con la vetta più alta costituita dalla Montagna Grande (1374 m); sono composti da terreni arcaici, graniti e scisti cristallini, sui quali è presente una successione di rocce sedimentarie mesozoiche, prevalentemente calcaree. La seconda sezione è costituita dai Monti Nebrodi o Caronie (Monte Soro, 1847 m), che si estendono sino alla Portella dei Bifolchi; si tratta di rilievi calcarei e arenacei, con vette arrotondate, ricoperti in parte da boschi. A tutela del patrimonio faunistico e floristico di questa area montana è stato istituito il Parco regionale dei Nebrodi. Infine, la terza sezione è costituita dalle Madonie, monti calcarei caratterizzati da numerosi fenomeni carsici, la cui vetta principale è il Pizzo Carbonara (1979 m). A ovest delle Madonie, la valle del fiume Torto segna, insieme al fiume Platani, una linea di demarcazione longitudinale (da Termini Imerese, a N, sino a Porto Empedocle, a S) tra l’area orientale e quella occidentale. Quest’ultima è caratterizzata da formazioni calcaree mesozoiche che emergono in gruppi di rilievi isolati, dominando un paesaggio contraddistinto da argille e arenarie: tra questi gruppi montuosi, i Monti di Termini Imerese, i Monti Sicani, la Rocca Busambra (1613 m, che sovrasta i rilievi di Corleone), i Monti di Palermo (con il Monte Pellegrino che domina la città) e il Monte Sparagio (1110 m). Fertili aree pianeggianti si estendono nelle vicinanze del capoluogo regionale (Piana di Palermo, detta Conca d’oro per la particolare rigogliosità delle coltivazioni) e nei dintorni di Trapani e di Marsala, per cedere poi il passo, verso SE, a una vasta zona arida. Nella parte centrale dell’isola, nei pressi di Caltanissetta, si estende l’‘altopiano solfifero’, le cui miniere non vengono ormai più sfruttate. Nell’area orientale, compresi tra l’altopiano e la Piana di Catania, si innalzano i Monti Erei (Monte Altesina, 1193 m), composti da terreni cenozoici. Seguendo la direttrice SE, si incontrano poi i Monti Iblei (Monte Lauro, 986 m) con le caratteristiche ‘cave’, profonde e strette valli torrentizie che si insinuano nella struttura tabulare del rilievo, costituito da calcari pliocenici e miocenici. Risalendo verso N, lungo il versante orientale racchiuso tra la valle del Simeto, quella dell’Alcantara e il Mar Ionio, domina l’Etna (3323 m), tra i maggiori vulcani attivi del mondo. Nell’area etnea è stato istituito un parco. Vulcani attivi, inoltre, sono quelli di Stromboli e di Vulcano, nelle omonime isole dell’arcipelago delle Eolie. Il massiccio dell’Etna, a N, l’altopiano interno a O e le estreme propaggini degli Iblei a S delimitano la più vasta pianura della Sicilia: la Piana di Catania. Altra area pianeggiante, delimitata a N dalle estreme propaggini del Val di Noto e a S dal Mare di Sicilia, è la Piana di Gela, che si estende lungo il litorale dell’omonimo golfo tra Licata e Scoglitti.
La S., per la sua posizione geografica, gode di un clima tipicamente mediterraneo lungo l’intero perimetro costiero; all’interno, la morfologia e la distanza dal mare determinano, invece, condizioni diversificate, specialmente per quanto concerne il regime termometrico. Lungo le coste, la temperatura media annua è di 17-18 °C, quella invernale di 10-11 °C e quella estiva di 25-27 °C; nelle aree interne, a inverni più rigidi corrispondono estati quasi altrettanto calde, per cui l’escursione termica annua diviene più rilevante. Le precipitazioni sono generalmente scarse, oscillando tra i 500 e i 750 mm annui. Una piovosità minore (al di sotto dei 500 mm) si riscontra lungo il litorale del Mare di Sicilia, con un’ampia rientranza sino a Caltanissetta, e nella parte più interna della Piana di Catania. Precipitazioni più abbondanti, superiori ai 1000 mm annui, si osservano per contro sui rilievi settentrionali (Monti di Palermo, Nebrodi, Peloritani), sull’Etna (qui, nevose alle quote alte, con prolungata permanenza al suolo), nell’area di Enna e sui Monti Iblei. Il regime pluviometrico è contraddistinto da piogge prevalentemente autunno-invernali e da pressoché assoluta siccità estiva.
I fiumi della S. non rivestono eccessiva importanza per la brevità del loro corso e il carattere torrentizio di gran parte di essi. Nel versante tirrenico scorrono il Torto e l’Imera Settentrionale (detto anche Fiume Grande). Il tratto di costa da Cefalù a Milazzo è segnato da numerosi corsi d’acqua poco profondi, le cosiddette ‘fiumare’, che scendono verso il mare seguendo percorsi tortuosi. Nel versante ionico si trova l’Alcantara, che nasce nei Nebrodi e sfocia a S di Taormina: il fiume, nei pressi di Castiglione di Sicilia, scorre incassato in profonde e strette gole di roccia lavica (Gole dell’Alcantara) che costituiscono un’interessante attrattiva naturale. Più a S si incontra il Simeto, il maggiore fiume della Sicilia (113 km), che nasce dalla Serra del Re, ancora nei Nebrodi, e, dopo aver costeggiato l’estremo versante occidentale dell’Etna, attraversa la Piana di Catania e sfocia nell’omonimo golfo; la sezione terminale del bacino idrografico è stata dichiarata riserva naturale protetta (Oasi del Simeto). Sfociano, inoltre, nel Mare Ionio il San Leonardo, l’Anapo, il Cassibile e il Tellaro, che hanno tutti le loro sorgenti nei Monti Iblei. Nel versante meridionale dell’isola, procedendo da E a O, hanno la loro foce i fiumi Irminio, Dirillo (o Acate), Gela, Salso (o Imera Meridionale), Platani e Belice. Il Salso è il secondo fiume della S.: nasce nelle Madonie e scorre in direzione NS, ricevendo, nel suo tratto superiore, il Gangi; sfocia, dopo un percorso tortuoso, nel Mar di Sicilia presso Licata.
La S. è la quarta regione italiana per consistenza della popolazione residente (v. tab.). Vi è una marcata differenza tra la concentrazione demografica nelle zone costiere e in quelle interne, a tutto vantaggio delle prime. Questo fenomeno, che ha lontane radici storiche, corre parallelo all’incremento demografico generale dell’intera isola avvenuto nei secoli scorsi. La popolazione era pari a circa 950.000 ab. nel 16° sec., cresceva a 1.100.000 ab. nel 17° sec. e raggiungeva 1.315.000 ab. nel 18° sec., ferma restando l’approssimazione dei rilevamenti. Nel 1861, al primo censimento dopo l’unità d’Italia, si era raggiunta la cifra di 2.392.000 abitanti. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento l’isola conosceva la prima grande emigrazione verso i paesi di oltreoceano; nonostante ciò, la popolazione presente continuava ra;pidamente a crescere fino a un picco di 4.223.000 ab. nel 1921, per ridursi poi, a causa della Prima guerra mondiale e della seconda ondata migratoria immediatamente successiva, a 3.906.000 ab. nel 1931. Una nuova inversione di tendenza portava alla quota di 4.721.000 ab. nel 1961. La crescita demografica degli anni 1950 e 1960 è da ascrivere al ‘boom economico’ dell’intero paese piuttosto che alla politica delle provvidenze statali per l’industrializzazione in S. e alla scoperta del petrolio a Gela e Ragusa, cui pure seguì l’affermazione dell’industria petrolchimica. Il tradizionale andamento positivo dei processi demografici, rallentato fra i censimenti del 1981 e 1991, ha registrato una ripresa a partire dai primi anni 1990, dovuta soprattutto a una inversione di tendenza dei flussi migratori: per un verso si è progressivamente ridotta l’emigrazione, e per l’altro la S. è divenuta regione di immigrazione. La prima meta è stata Mazara del Vallo, dove immigrati provenienti da Algeria, Tunisia e Marocco, dagli anni 1970, hanno trovato collocazione lavorativa – seppure precaria – nelle attività pescherecce. Mentre è proseguita l’immigrazione da quei paesi, si sono aggiunti altri corposi contingenti provenienti da Eritrea, Senegal, Maurizio, Filippine, Albania e Turchia e paesi dell’Est europeo.
Permangono caratteri di netta diversificazione delle condizioni locali, evidenti nella peculiarità e nella modesta articolazione dell’armatura urbana: quest’ultima, tradizionalmente strutturata secondo una gerarchia che ha visto confermarsi i poli principali nelle aree costiere e le strutture insediative ed economiche di rango minore nell’interno, rimane penalizzata, sostanzialmente, dall’assenza di un tessuto connettivo delle diverse realtà locali e di strutture territoriali in grado di realizzare un’effettiva integrazione regionale. La struttura urbana dell’isola si mantiene fondata sull’asse ionico centrato su Catania ed esteso a nord fino a Messina, punto forte della conurbazione dello Stretto, e a sud fino a Siracusa, nonché sulle relazioni fra quest’asse e la città di Palermo.
La struttura socio-economica della Sicilia è contraddistinta da elementi di arretratezza che hanno accompagnato le fasi storiche del suo sviluppo e che si riflettono sugli squilibri dei suoi assetti territoriali. La perifericità resta un problema nodale del sistema isolano, chiuso in sé stesso e limitato da due condizioni concomitanti: il progressivo indebolimento del ruolo – detenuto dalla S. nei secoli scorsi – di crocevia mercantile e culturale nel Mediterraneo e la distanza dai centri decisionali e produttivi e dai mercati dell’Italia centro-settentrionale e dell’Europa. Tali condizioni non sono, tuttavia, univoche: alla maggiore vivacità di relazioni e dinamicità del congestionato versante ionico (con Catania e la ‘conurbazione’ dello Stretto di Messina) si contrappone l’isolamento del versante costiero meridionale, che diviene ulteriormente marcato nelle aree interne. Il mercato del lavoro siciliano, nel suo complesso, è quindi contraddistinto da notevoli difficoltà: il numero dei lavoratori precari dipendenti da interventi statali o regionali è elevato, mentre il tasso di disoccupazione permane su livelli più che doppi rispetto alla media nazionale.
La S. è regione dalle tradizioni prevalentemente agricole e il primario ha rappresentato a lungo un settore portante dell’economia isolana. L’agricoltura affonda le sue radici nella struttura feudale e latifondistica, alla quale è seguita negli anni 1950, con la riforma agraria, una vasta frammentazione delle aziende, molte delle quali si sono rivelate improduttive. Ciò ha giocato un ruolo determinante nel progressivo abbandono delle campagne. Accanto al predominante paesaggio di tipo mediterraneo ve ne sono altri di diversa specie che hanno favorito la differenziazione delle colture, su aree estese. La superficie agricola utilizzata è di 1.250.703 ha (2005) e pone la S. al primo posto nella classifica delle regioni italiane. Al regime cerealicolo-estensivo delle aree interne (con il Nisseno e l’Ennese, sino al versante occidentale della Piana di Catania) si deve la produzione di frumento. Quella dell’uva è concentrata nell’area occidentale dell’isola sino alle sue estreme propaggini, in particolare nel Trapanese e a Marsala, nell’Agrigentino e nelle zone collinari dell’area etnea. La coltivazione è diversificata in uva da tavola (le cui qualità pregiate – come lo zibibbo e l’Italia – sono piazzate anche sul mercato nazionale) e uva destinata alla produzione vinicola; quest’ultima comprende i vini da taglio e quelli da tavola, imbottigliati direttamente nell’isola (importanti stabilimenti a Marsala, Alcamo, Casteldaccia, Sclafani Bagni e, per il moscato, a Pantelleria). La coltura degli agrumi (arance, mandarini e limoni) assicura una produzione pari a circa l’80% del totale nazionale, concentrata nel Siracusano, nella Piana di Catania, nel versante meridionale della regione etnea (Paternò), nella costa ionica (Acireale e Riposto) e in altre aree sparse. Altre produzioni agricole presenti in S. sono quelle di ortaggi (la coltivazione in serra – in particolare del pomodoro – avviata nel Ragusano si è estesa ad altre aree), frutta, olive, mandorle e pistacchi. La forma di allevamento più diffusa è quella degli ovini (seconda regione dopo la Sardegna); seguono i caprini e i bovini. La S. occupa il primo posto nella classifica delle regioni per quantità di pescato (450.640 q nel 2006) ed è dotata della maggiore flotta peschereccia, pur se scarsamente ammodernata.
L’industria, con 134.000 addetti (2006), non rappresenta un settore portante dell’economica isolana ed è modesto il suo contributo al reddito della regione. Gli addetti sono occupati principalmente nel comparto dell’energia e della trasformazione industriale, nell’edilizia e nell’industria dei materiali da costruzione. La struttura del settore è costituita soprattutto da piccole e medie imprese; hanno fatto eccezione lo stabilimento FIAT a Termini Imerese, le industrie a partecipazione statale della petrolchimica e alcuni gruppi operanti nell’edilizia a Catania e Palermo. L’industrializzazione rimonta agli anni 1950, con lo sfruttamento dei pozzi petroliferi di Gela e Ragusa e l’attività dell’industria petrolchimica, robustamente alimentata dall’importazione di greggio dai paesi del Vicino Oriente: essa è localizzata, oltre che a Gela e nel Ragusano, ad Augusta e Priolo (nel Siracusano), ed è presente anche a Milazzo (nel Messinese). Le uniche aree significative per concentrazione industriale (con diversità di prodotti) sono ubicate a Palermo e a Catania: nella prima sono allocate piccole e medie imprese meccaniche, tessili, dell’abbigliamento e del mobile; nella seconda sono presenti anche l’industria dei componenti elettronici, la chimico-farmaceutica e quella della lavorazione del caffè importato. Gli investimenti pubblici e privati hanno progressivamente interessato i settori del terziario avanzato e della telefonia, mentre l’edilizia pubblica rimane condizionata dalla presenza di microimprese, spesso a bassa specializzazione, e dalla carenza di organizzazioni cooperativistiche su scala locale. La grande industria di trasformazione agroalimentare, che valorizzerebbe le risorse primarie, è assente; si registra solo la presenza di aziende casearie (nel Catanese) e dolciarie (a Palermo e nell’area di Catania, in particolare a Misterbianco e Belpasso). In progressivo declino alcune attività tradizionali come lo sfruttamento delle saline (Trapanese), delle tonnare (Trapanese, Mazara del Vallo) e l’artigianato del mobile, dei tappeti e dei merletti, mentre conserva vivacità quello della ceramica (Caltagirone, Santo Stefano di Camastra, Gela e Patti).
Il terziario siciliano si contraddistingue come settore non avanzato, e ciò trova conferma nel notevole peso della pubblica amministrazione, con la sua valenza non direttamente produttiva. Alla capillare rete commerciale di esercizi al dettaglio (alimentari, abbigliamento e generi di prima necessità), diffusa sull’intero territorio e a prevalente conduzione familiare, si è affiancata la presenza di moderni e attrezzati centri della grande distribuzione, soprattutto a Palermo e nell’area di Catania.
Il sistema delle comunicazioni può contare su una rete stradale di circa 37.000 km, che ha le sue direttrici fondamentali nelle autostrade: Palermo-Catania (A19), con tracciato interno per Caltanissetta ed Enna; Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20); Palermo-Mazara del Vallo (A29), con diramazione per Trapani. Scarsamente efficiente, invece, la rete ferroviaria, per l’obsolescenza di quasi tutte le linee. Porti principali sono quelli di Palermo, Catania e di Messina, testa di ponte per i servizi di traghetto con il continente. Notevole il movimento negli aeroporti di Palermo (Punta Raisi) e Catania (Fontanarossa). Il clima, le attrattive naturali, il paesaggio e il patrimonio storico, artistico e archeologico dell’isola determinano un notevole afflusso turistico.
Il Paleolitico inferiore è noto da rinvenimenti di superficie nelle province di Catania e Ragusa e da successioni stratigrafiche a Capo Rossello, con manufatti su ciottolo e scheggia. Diffuse sono le industrie del Paleolitico superiore (manufatti di Marina di Ragusa, e di altri siti, più recenti, con una tradizione di tipo gravettiano: lame e coltelli a dorso abbattuto). Alla fase dell’Epigravettiano, complesso di industrie litiche sviluppatesi alla fine del Gravettiano e documentato in siti in grotta e all’aperto, risalgono testimonianze di arte parietale, con figure umane e animali (Isola di Levanzo, Addaura, grotta Niscemi, vicino Palermo).
Il Mesolitico è rappresentato dalle grotte Corruggi di Pachino e dell’Uzzo sul promontorio di Capo San Vito presso Trapani, in cui è documentata un’intensa frequentazione nell’intervallo 9°-6° millennio a.C., con strutture e sepolture che attestano il modificarsi delle industrie e dell’economia di caccia e raccolta, poi lo sfruttamento intensivo delle risorse marine, quindi la domesticazione e coltivazione (fine 6° millennio a.C.), infine la comparsa della prima ceramica impressa.
A questa fa seguito la ceramica neolitica del tipo di Stentinello nella S. orientale e nelle Isole Eolie all’inizio del 5° millennio a.C., cui si associa lo sfruttamento dell’ossidiana. Alla cultura di Stentinello, caratterizzata da ceramica decorata con incisioni o impressioni, segue lo sviluppo di varie facies a ceramica dipinta, note attraverso una stratigrafia messa in luce sull’acropoli di Lipari, allora fiorente per il commercio dell’ossidiana.
Nell’Eneolitico, la precedente relativa omogeneità culturale si frantuma in numerose facies locali (Serraferlicchio, San Cono-Piano Notaro ecc.). Non cambia sensibilmente la base economica, e molti siti presentano continuità di insediamento con il precedente periodo, ma ha inizio la produzione di oggetti metallici. Numerosi sono gli influssi provenienti dal Mediterraneo orientale (fogge vascolari). Con gli inizi dell’età del Bronzo si sviluppano le facies di Castelluccio e Capo Graziano; la ceramica importata dal mondo egeo permette, a partire dal 1600 a. C., sicure datazioni. La media età del Bronzo è nota attraverso lo sviluppo della cultura del Milazzese (villaggi in posizione fortificata nelle isole Eolie) e di Tapso, nel cui ambito continuano le importazioni dal mondo miceneo.
Gli insediamenti del Milazzese vengono distrutti verso la metà del 13° sec. a.C., e i contatti con l’Oriente cessano quasi del tutto: la nuova cultura attestata nelle Eolie viene chiamata Ausonio, dagli Ausoni che, secondo una tradizione trasmessa da Diodoro Siculo, provenienti dall’Italia peninsulare, avrebbero occupato queste isole; sono infatti dimostrabili stretti contatti con la cultura subappenninica e con quella protovillanoviana. Si sviluppa allora, attraverso varie fasi, la cultura di Pantalica che, nella sua ultima fase, del Finocchito (750-650 a.C.), mostra influssi e importazioni dirette dalle prime colonie greche allora fondate in Sicilia.
L’isola, dai Greci detta anche Τρινακρία, e dai Romani, poeticamente, Triquetra, fu abitata in età preistorica e protostorica da popolazioni di origine diversa: gli Elimi, i Sicani, i Siculi, della cui civiltà, oltre a necropoli e abitati, sono noti i santuari dei Palici presso Palagonia, di Iblea vicino Ibla, delle Dee Madri a Engio. Mentre sulle coste nordoccidentali della S. si stanziavano i Fenici (Solunto, Mozia, Panormo), a partire dal 735 a.C. le aree costiere orientali e meridionali si popolarono di colonie greche. I Calcidesi fondarono Nasso, Leontini, Catania e Zancle; Corinto fondò Siracusa; Megara, Megara Iblea; a opera di Cretesi e Rodi sorse Gela. A loro volta le nuove pòleis promossero un’espansione lungo le coste e verso l’interno dando origine ad altri centri: Siracusa fondò Acre, Camarina e Casmene; Megara Iblea fondò Selinunte; Gela fondò Agrigento, l’ultima delle grandi colonie (582). La colonizzazione greca determinò in S. una trasformazione culturale legata all’introduzione dell’alfabeto e della scrittura, alla diffusione del ferro e di prodotti artigianali di alto livello, ma soprattutto all’avvento di una civiltà urbana che trovò nei nuovi territori ampi spazi di affermazione.
La S. non ebbe nell’età greca una storia unitaria: unici motivi conduttori furono, fino al 3° sec. a.C., la lotta per l’indipendenza sia dalla madrepatria sia dai Cartaginesi e il predominio che vi esercitò, nel 5°-3° sec., la città di Siracusa. I conflitti sociali tra aristocrazia fondiaria e ceti mercantili e artigiani diedero origine a tirannidi, come quelle di Panezio a Leontini e di Falaride ad Agrigento. L’epoca di maggiore sviluppo dell’isola fu il primo quarto del 5° sec. a.C., quando vi esercitò la supremazia Siracusa governata dai Dinomenidi; sono di questo periodo la vittoria di Gelone sui Cartaginesi a Imera (480) e quella navale di Gerone sugli Etruschi a Cuma (474). La caduta dei Dinomenidi (465) e l’insurrezione antiellenica dei Siculi guidati da Ducezio compromisero il processo di unificazione. Siracusa fu ancora al centro della resistenza dei Sicelioti, i coloni greci, a ingerenze esterne quando Atene nel corso della guerra del Peloponneso intervenne sulle coste di S. per contrastare la potenza della città dorica: a un primo modesto intervento nel 427 seguì una spedizione (415-413) che finì in un disastro, determinato anche dalla pace generale stipulata dai Sicelioti nel 424 e dalla resistenza di Siracusa, invano assediata per 2 anni.
Dell’indebolimento dei Greci dovuto al conflitto approfittò Cartagine per ricostruire il suo potere in S.: i Punici assalirono le città greche e distrussero Agrigento, Gela, Camarina, giungendo a minacciare la stessa Siracusa. L’invasione fu fermata da un ufficiale, Dionisio, che dal 405 al 367 resse le sorti di Siracusa come tiranno. Il figlio, Dionisio II, coinvolto in congiure e rivolte, dovette cedere il potere a Timoleonte che, inviato nel 345 da Corinto in appoggio ai conservatori siracusani, ridusse nuovamente i Cartaginesi al confine dell’Alico e riformò in senso aristocratico la costituzione siracusana. Dopo contrasti seguiti alla sua morte (336) Siracusa riprese la sua politica egemonica con il tiranno Agatocle che governò fino al 289 lottando contro Cartagine. Alla sua morte i Cartaginesi ripresero l’iniziativa: fu invocato a difesa Pirro, allora in Italia, ma il suo intervento (278) si concluse con un nulla di fatto.
Pochi anni dopo la contesa tra Siracusani, retti da un altro Gerone, e Mamertini coinvolse Romani e Cartaginesi provocando la prima guerra punica (264-241). In seguito alla battaglia navale delle Egadi (241), la S. divenne la prima provincia romana: Gerone II riuscì a destreggiarsi mantenendo il dominio in Siracusa sino alla morte (215). L’avvento al trono del nipote Geronimo segnò un avvicinamento di Siracusa a Cartagine: la città fu allora occupata e saccheggiata da M. Claudio Marcello dopo un lungo assedio (212), e la stessa sorte toccò 2 anni dopo ad Agrigento. Le confische di territori portarono allo sviluppo del latifondo, alla diminuzione degli abitanti, alla decadenza economica del’isola e a una moltiplicazione di schiavi che generò rivolte servili come quelle di Euno (136-131) e Salvio (104-100), a stento domate. La S. ottenne da Cesare la concessione del diritto latino, e da Antonio la piena cittadinanza; Augusto annoverò l’isola tra le province senatorie, non facente parte dell’Italia cui fu unita con l’ordinamento dioclezianeo-costantiniano. Nel 280 d.C. la S. fu attraversata da scorrerie di Franchi; nel 5° sec. Vandali si insediarono sulla costa occidentale.
Alla fine del 5° sec. la S. passò sotto il dominio ostrogoto; nel 6° sec. divenne provincia bizantina con capitale Siracusa. Dopo sporadiche incursioni nel 7°-8° sec., gli Arabi iniziarono la sistematica conquista della S. nell’827; nell’831 fu occupata Palermo, che divenne capitale, ma l’isola fu interamente sottomessa solo alla fine del 9° sec. (nell’878 fu espugnata Siracusa e nel 902 Taormina). Caduta la dinastia aghla;bita (910), la S. passò sotto la sovranità dei Fatimidi di Tunisia e poi d’Egitto, ma dalla metà del 10° sec. fu praticamente governata da una propria dinastia di emiri, i Kalbiti di Palermo (948-1040), vassalli dei Fatimidi. Fu quello il periodo di maggior splendore della S. araba; la caduta dei Kalbiti spezzò l’unità dell’isola, divisa poi tra vari signori locali. L’emiro di Catania Ibn ath-Thumna, in guerra con l’emiro di Girgenti, chiamò in aiuto da Messina i Normanni (1061), i quali compirono in un trentennio la riconquista cristiana dell’isola, domando la resistenza dei musulmani. Durante il dominio arabo la S. ebbe grande prosperità economica; civilmente e culturalmente fece parte della società arabo-musulmana medievale.
La conquista dell’isola da parte normanna fu completata nel 1091, con la caduta di Noto, ultima piazza saracena; Ruggerod’Altavilla assunse il titolo di Gran conte di S. e di Calabria e svolse una politica di tolleranza verso i vinti, di rilatinizzazione dell’elemento etnico e di consolidamento della propria autorità mediante strutture burocratiche e feudali. La stessa politica fu riproposta dal figlio Ruggero II (1113-1154) che portò il Regno a grande splendore. Al dominio di Ruggero II, compreso tra Ceprano e la S., fu conferito dall’antipapa Anacleto II (1130) e confermato da papa Innocenzo II (1140) il titolo di Regno di S. e Puglia. La potenza siciliana, offuscata con Guglielmo I (1154-66) da congiure baronali e repressioni, fu restaurata da Guglielmo II (1172-89) e persistette con Enrico (poi VI) di Svevia, per le sue nozze con Costanza, ultima erede normanna.
Morto Enrico VI (1197), la S. fu retta per il figlio minore di questi, Federico, prima da Costanza e poi da Innocenzo III. Raggiunse l’apogeo del suo splendore alla maggiorità di Federico II, che vi restaurò i poteri dello Stato indeboliti dalla reggenza (repressione dei musulmani; abolizione dell’autonomia delle città e di privilegi ecclesiastici e feudali), protesse le arti e le scienze e svolse una politica a raggio europeo e imperiale, senza dimenticare però il programma mediterraneo dei Normanni. Una grave crisi per la S. si aprì con la morte di Federico II (1250), risolta da Manfredi che si proclamò re (1258), ma fu poi battuto e spodestato da Carlo I d’Angiò (1266). L’asse politico si spostò quindi sul continente, con il trasferimento della capitale a Napoli; la reazione siciliana portò alla separazione da Napoli (Vespri siciliani, 1282) e, dopo la pace di Caltabellotta (1302), alla guerra con gli Angioini, che si chiuse con il riconoscimento del Regno di Trinacria, vassallo di Napoli (1372).
Scomparso Federico III d’Aragona (1377), il Regno di Trinacria, per la strapotenza baronale e le mire straniere, decadde visibilmente e perse ogni autonomia, congiungendosi con la corona d’Aragona (1412), poi di Spagna e infine scadendo a viceregno (1415). Pur conservando il suo splendore con Alfonso I il Magnanimo, che nel 1434 fondò l’università di Catania e nel 1442 diede vita a Napoli al Regno di S. citra et ultra Pharum, sotto il dominio spagnolo la S. conobbe l’introduzione del tribunale dell’Inquisizione, l’espulsione degli Ebrei, l’inasprimento tributario, l’avvilimento dei privilegi del parlamento siciliano; sotto Filippo II fu tuttavia represso il brigantaggio e fu debellata la tradizionale opposizione dei baroni all’autorità della corona.
Nel 17° sec., anche in S. si avvertì il rinnovato vigore dei privilegi feudali e lo scadimento dei ceti artigianali e contadini, evidenti in altre parti della penisola e nel Mezzogiorno. Le peggiorate condizioni sociali dei ceti medi e inferiori portarono a rivolte per fame, congiure anti-spagnole e talvolta repubblicane e alla ribellione di Messina (1674), sotto la protezione di Luigi XIV. Sommersa nel turbine delle guerre di successione (18° sec.), la S. divenne possesso sabaudo sotto Vittorio Amedeo II (1712-18), poi austriaco (1718-34); conquistata nel 1734 da Carlo di Borbone, seguì fino al 1860 le sorti di Napoli.
Sede della corte borbonica nel periodo dell’invasione francese e del dominio napoleonico (1799-1802; 1806-15), nel 1812 la S. con l’appoggio di lord Bentinck si fece concedere la Costituzione, elaborata sul modello inglese e di fatto espressione dell’aristocrazia nobiliare. La sua abolizione alla Restaurazione e l’integrale incorporazione della S. nel Regno delle Due Sicilie (1816; ➔ Napoli) trasformarono il desiderio di privilegi in un ostinato separatismo, che costituì la nota dominante della storia siciliana dal moto del 1820 alla rivolta del 1837, a quella del 1848.
Annessa al Regno d’Italia nel 1860, la S. fu attraversata da forti tensioni politiche e sociali, culminate nella rivolta di Palermo del 1866 e nelle agitazioni contadine del 1893 (➔ fascio). Negli anni seguenti le gravi condizioni economiche dell’isola diedero vita a un vasto fenomeno migratorio e a movimenti bracciantili per l’occupazione delle terre, sostenuti dai partiti popolari.
Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1943, dalla S. iniziò l’avanzata delle truppe alleate. Preceduto da intense azioni aeree, lo sbarco anglo-americano ebbe luogo tra Licata e La Maddalena la notte tra il 9 e il 10 luglio. Il 20 luglio gli Alleati avevano occupato due terzi dell’isola. Nello stesso giorno fu rotto il fronte italiano di Lercara Friddi, affrettando il crollo dell’intera S. occidentale: il 22 cadeva Palermo. Messina cadde il 17 agosto.
I problemi non risolti durante il fascismo, fra i quali quello della repressione del fenomeno criminale della mafia, si riproposero alla fine della Seconda guerra mondiale, alimentando le tendenze separatiste. Alle esigenze autonomistiche si venne incontro con la creazione della Regione siciliana (r. d. legisl. 455/15 maggio 1946; elezione del primo Parlamento regionale, aprile 1947).
I dialetti siciliani rientrano, per molti caratteri comuni, nel gruppo dei dialetti meridionali italiani senza tuttavia presentare uniformemente, in tutte le parlate, i tratti peculiari del gruppo: mentre, infatti, è esteso a tutta la S. l’esito dd (cacuminale) del latino ll (cavaddu da caballus), comune al calabrese, al pugliese e al sardo, la metafonesi condizionata da -i e -u e il passaggio di nd a nn, di mb a mm sono limitati a parte del territorio. I più notevoli caratteri distintivi dei dialetti siciliani sono, nella fonetica, l’esito i e u delle vocali lat. ĭ, ē, e rispettivamente ŭ, ō (per cui si ha pilu e tila da pilum «pelo» e tela «tela», furca e curti da furca «forca» e cortem «corte»); nella morfologia, i frequenti plurali in -ora, il perfetto -au da -avit, il condizionale in -ìa (vurria); nel lessico, la presenza di numerosi grecismi, assimilati sia in periodo preromano e romano, sia durante l’epoca bizantina, e di non molti arabismi (per es., tra quelli limitati alla S., sciurta «guardiano notturno», favara «sorgente»).
Sulla base dei dialetti siciliani si è formata la prima lingua d’arte italiana, tra i poeti della corte di Federico II, e in siciliano esiste una ricca letteratura dialettale, in cui si distingue, per es., l’opera poetica di G. Meli.
Si dicono sicilianismi parole, locuzioni, costruzioni sintattiche o anche particolarità fonetiche o morfologiche, peculiari del dialetto siciliano, quando compaiano in contesti non siciliani. Alcuni ebbero notevole fortuna nella lingua poetica italiana, la cui struttura fu per il resto prevalentemente fiorentina e toscana. I sicilianismi poetici sono conseguenza del fatto che, quando i canzonieri dei poeti siciliani furono ‘toscanizzati’, alcune particolarità linguistiche (spesso per motivi inerenti alla versificazione) rimasero inalterate. I principali sicilianismi sono: i tipi aggio e deggio invece dei toscani ho e devo o debbo; l’imperfetto in -ìa (avìa, volìa ecc.), invece che in -éa, per i verbi della seconda coniugazione; il condizionale in -ìa (avrìa, vorrìa, potrìa ecc.), invece che in -èi; il passaggio di ó a ù e di é a ì in parole condizionate dalla rima, fenomeno che in alcuni casi (nui, vui per «noi» e «voi») resiste fino ad A. Manzoni e G. Leopardi. Nei poeti più antichi, s’incontra anche la rima imperfetta (la cosiddetta rima siciliana) tra ó e ù e tra é e ì.
Canale di S. ➔ Sicilia, Canale di.
Mar di S. Altro nome, che oggi tende a prevalere, del Mare Africano (➔ Africano, Mare).