Abstract
La materia della sicurezza alimentare presenta una natura complessa e multidimensionale, ed è oggetto di una regolazione pubblica chiamata a combinare e bilanciare una molteplicità di interessi. La governance di tale settore si caratterizza altresì per la sua rilevanza extra-nazionale: non più materia esclusivamente riservata alle autorità domestiche, è oggetto di una regolazione pubblica che ha luogo anche al di fuori dei confini nazionali, con strutture internazionali e sovranazionali.
In Italia la sicurezza alimentare – nel senso di food safety, salubrità alimentare (Costato, L., Editoriale, in Rivista di diritto alimentare, 2007, n. 1, 1) – è stata a lungo e prevalentemente disciplinata dal diritto penale, a tutela della salute e dell’igiene pubblica, tramite divieti e norme sanzionatorie tesi a punire o scongiurare pratiche che rendessero nocivi i cibi. Si veda, ad esempio, la l. 30.4.1962, n.283 tuttora in vigore, che detta la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande.
Oggi la sicurezza alimentare non può essere limitata alle sole norme di polizia sanitaria, non riguarda solo i controlli e le ispezioni per verificare l’igiene e la corretta conservazione dei beni, né può ridursi a una verifica ex post dei requisiti di sicurezza. La regolazione di tale materia consta di una serie di regole che riguardano le tecniche di coltivazione, i metodi di produzione degli alimenti, la composizione dei cibi, la tutela preventiva della salute mediante procedure di autorizzazione, il rispetto di obblighi di etichettatura dei cibi e l’informazione dei consumatori, nonché la predisposizione di standard e linee guida cui gli operatori – e i regolatori – debbono conformarsi. Ecco perché essa è oggi materia propria del diritto pubblico dell’economia e del diritto amministrativo.
Gli sviluppi degli ultimi anni hanno sovvertito l’ordine di priorità delle prerogative che caratterizzano la regolazione del settore alimentare. Ad esempio, recenti conquiste scientifiche hanno permesso di aumentare la produzione quantitativa, ma dando luogo a nuove preoccupazioni di carattere salutare. La standardizzazione dei cibi ne ha favorito la diffusione, ma ha imposto la necessità di regole comuni per assicurarne la salubrità, rischiando, talvolta, di pregiudicarne le proprietà organolettiche o i metodi tradizionali di preparazione. E andando così a condizionare la disciplina giuridica di attività fortemente legate alla cultura e ai luoghi di produzione e di origine. L’aumento degli scambi commerciali e i vari bisogni di sicurezza in relazione al cibo hanno quindi avuto importanti ripercussioni anche dal punto di vista giuridico-amministrativo, con innovazioni, sviluppi e mutamenti di finalità e istituti.
La necessità di escludere le preoccupazioni riguardo al cibo e agli effetti di questo sull’organismo umano ha ampliato e sviluppato il sistema di regolazione pubblica di una materia già di per sé complessa e interdisciplinare. Per queste ragioni, oggi la sicurezza alimentare si qualifica come una materia multidimensionale ed extra-territoriale: non è regolata avendo riguardo esclusivamente alla salubrità degli alimenti, ma tenendo altresì conto di diversi fattori e interessi socio-economici a questa connessi; non è disciplinata solamente dalle norme nazionali, giacché necessita di norme comuni, che governino la produzione, gli spostamenti e il consumo del cibo a livello mondiale, regionale e nazionale.
La governance della sicurezza alimentare consiste in una congerie di principi, disposizioni legislative e norme generali o di dettaglio contenute in trattati e standard internazionali o in discipline regionali, nazionali e locali. Tale impianto di regolazione riguarda le sostanze o i prodotti destinati all’assunzione da parte dell’uomo ed è finalizzato alla tutela di una molteplicità di valori e beni giuridici, a volte confliggenti: la salute umana, animale e vegetale, ma anche gli scambi commerciali e il mercato; l’informazione e l’affidamento dei consumatori, avendo riguardo allo sviluppo del settore agricolo e alle tradizioni alimentari; l’ambiente, così come la crescita economica e lo sviluppo sostenibile.
Da circa trenta anni la disciplina della sicurezza alimentare non si limita solo a preservare l’igiene e a impedire il deterioramento organico dei cibi, ma è finalizzata a garantire che anche i metodi usati per la produzione e la conservazione degli alimenti siano sicuri. Si tratta quindi di una materia complessa, multidimensionale e connaturata da elementi lato sensu politici o di ampia discrezionalità, che riguardano anche gli interessi collegati alla produzione dei cibi. Di qui sono scaturiti dialettiche e contrasti tra diversi beni giuridici e tra le autorità preposte alla loro cura, impegnate a bilanciare i numerosi interessi connessi alla materia in parola.
Alla multidimensionalità della sicurezza alimentare si aggiunge un secondo tratto peculiare: l’extra-territorialità della sua regolazione. La filiera alimentare non ha sempre origine e termine entro i confini nazionali. Al contrario, con frequenza crescente si articola su più livelli territoriali, componendosi orizzontalmente e svolgendosi in diversi luoghi. Inoltre, anche quando la produzione e la commercializzazione dei beni avvengono all’interno di uno Stato, queste possono comportare conseguenze al di là dei confini nazionali perché si svolgono all’interno di un mercato aperto a operatori stranieri in concorrenza tra loro.
La regolazione pubblica di tale materia non può più essere affidata esclusivamente alle amministrazioni nazionali e non può far riferimento alle sole norme di diritto interno: vista l’apertura dei mercati e l’interdipendenza delle economie, si impone alle istituzioni extra-nazionali di scongiurare forme di protezionismo o alterazioni della concorrenza mascherate dietro esigenze di tutela della salute. Se mancassero principi e norme comuni in tale ambito ogni Stato potrebbe proteggere o avvantaggiare i produttori domestici a danno di quelli stranieri e del libero mercato. Nondimeno, tale attività di regolazione ha a oggetto una materia che è al contempo molto radicata a livello locale per via degli inscindibili elementi culturali e territoriali che caratterizzano il cibo e i saperi agricoli. Anche per questo aspetto, dunque, non sono infrequenti i contrasti e le dialettiche, dovute ai diversi approcci adottati nei vari ordinamenti giuridici che entrano in contatto, e alla difficoltà di discernere tra protezionismo e tutela di tradizioni e visioni locali.
Le norme che disciplinano la sicurezza alimentare non sono di nascita recente e hanno conosciuto sviluppi differenti nel corso dei secoli. Garantire la sicurezza e la salubrità degli alimenti è stata sin dall’antichità una delle esigenze primarie dell’uomo. Nell’antica Grecia la birra e il vino venivano ispezionati per controllarne la purezza (Cammeo, F.-Vitta, C., Sanità pubblica, in Tratt. Orlando, Parte II, Vol. IV, 1905, 217). Similmente, i Romani avevano predisposto sistemi di controllo delle derrate, al fine di evitare frodi e danni alla salute dei consumatori. Anche durante il Medioevo furono emanate leggi relative alla qualità e alla sicurezza di uova, carne, formaggi e birra: «fonti provenienti da diversi Paesi d’Europa testimoniano di un grande sviluppo dei controlli pubblici sulla qualità dei prodotti di prima necessità, alimentari e non alimentari, già dal XIII secolo» (D’Alberti, M., Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna, 2008, 16). Infine, anche il diritto dell’Unione europea, sviluppatosi negli ultimi sessanta anni, è caratterizzato da importanti testi legislativi e pronunce giurisprudenziali concernenti gli alimenti e il loro commercio.
L’articolo 1 del reg. 2002/178/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28.1.2002 – che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare – prevede che sia assicurato «un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, tenendo conto in particolare della diversità dell’offerta di alimenti compresi i prodotti tradizionali, garantendo al contempo l’efficace funzionamento del mercato interno». A tali fini, lo stesso regolamento stabilisce, con un ampio articolato, i principi comuni e le competenze, nonché i mezzi per assicurare che l'attività decisionale nel campo della sicurezza degli alimenti e dei mangimi sia basata su un solido fondamento scientifico e su procedure e meccanismi organizzativi efficienti.
Il reg. citato, che come detto armonizza la materia e si estende su tutto il territorio europeo, interviene sia con riferimento al contenuto, e quindi al merito, della regolazione in parola; sia riguardo al metodo, ossia ai modi, alle strutture e alle funzioni per porre in essere siffatta attività.
Sotto il primo profilo, quindi, si rinviene la necessità assicurare un livello della salute che sia elevato e omogeneo, e che preservi gli interessi – anche di carattere informativo o economico e non solo salutari – dei consumatori europei. Queste tutele vanno però contemperate con altri interessi: la diversità dell’offerta, con attenzione ai prodotti tradizionali, e l’efficace funzionamento del mercato interno. La protezione di interessi di natura sociale rimane prioritaria, ma essa non può tradursi in un’indebita, né eccessiva, limitazione delle libertà degli scambi commerciali.
Sotto il secondo profilo, al fine di porre in essere un impianto di regolazione sovranazionale in grado di mantenere un equilibrio tra i diversi sottosistemi che compongono quello alimentare, il Regolamento citato stabilisce principi di azione – quali la trasparenza e l’apertura alla partecipazione pubblica delle autorità competenti, la possibilità di invocare il principio di precauzione per le istituzioni europee come per gli Stati, ecc.; individua competenze e funzioni distribuendole tra la Commissione, gli Stati membri e vari soggetti amministrativi subordinati, come l’EFSA e i suoi omologhi nei vari Paesi; prevede un approccio alla materia che si basi sulla combinazione tra dati e studi scientifici, mirati a neutralizzare la fase della valutazione e comunicazione dei rischi, e sistemi procedurali aperti, plurali e il più possibile accountable, finalizzati invece a “democratizzare” il momento decisionale, afferente alla gestione dei rischi.
In seguito a preoccupanti crisi alimentari e in relazione ai dubbi sulla capacità della legislazione e delle strutture amministrative europee di raggiungere efficacemente gli obiettivi di assicurare un’elevata tutela della salute e, più in generale, il benessere dei cittadini europei nel settore del consumo di alimenti e bevande, il 30 aprile 1997 la Commissione europea ha adottato il Libro verde sui principi generali della legislazione alimentare nell’Unione europea. Con tale testo, la Commissione ha fatto il punto sulle maggiori problematiche del settore indicando le finalità principali su cui costruire il nuovo impianto normativo e ha avviato un dibattito con Stati membri e soggetti privati al fine di gettare le basi per la costituzione di una nuova legislazione alimentare comune.
In seguito alla consultazione promossa con il Libro verde, la Commissione ha quindi adottato il Libro bianco sulla sicurezza alimentare, contenente una raccolta ufficiale di proposte di azione comunitaria nel settore alimentare, nonché l’indicazione degli strumenti per la loro realizzazione. Se il Libro verde ha costituito una forma di dibattito aperto, prodromico alla pianificazione di regolazioni pubbliche del settore in esame, il Libro bianco è identificabile come uno strumento di progettazione con cui la Commissione ha tradotto le precedenti consultazioni in azioni da svolgersi negli anni a seguire, e dirette a costituire un quadro normativo comune e completo del settore inerente.
Il Libro bianco e il Libro verde hanno svolto la funzione di agevolare la partecipazione, il dialogo e la programmazione nella fase pre-deliberativa della normativa generale mediante due forme simili e tra loro consequenziali di consultazione pubblica, aperte a tutti coloro che intendessero partecipare. Successivamente, la Commissione ha adottato il già citato reg. 2002/178/CE.
Il reg. appena citato, inter alia, stabilisce una disciplina integrata e comune per tutti i Paesi membri, armonizzando le normative e le procedure amministrative nazionali. Tra queste – ad esempio – l’analisi del rischio, che si sviluppa in tre fasi secondo un modello comune che coinvolge autorità europee, l’EFSA, cui competono le fasi di valutazione e comunicazione del rischio, e organi nazionali, cui attiene, in cooperazione con la Commissione, la fase di gestione del rischio. La comunione di funzioni e competenze non pregiudica il diritto degli Stati a partecipare ai procedimenti di policy e rule-making sovranazionali, né esclude le loro competenze di esecuzione, ma uniforma le finalità del sistema, ispirato a un livello elevato di tutela della salute.
Infine, costituisce un modello di co-decisione e co-amministrazione trasparente e partecipato, basato su valutazioni scientifiche fornite da un organismo tecnico, unico e indipendente (l’EFSA), e sulla possibilità, qualora ricorrano una serie predeterminata di requisiti e a certe condizioni, di adottare misure di natura precauzionale ai sensi dell’art. 191 del TFUE e dell’art. 7, reg. 2002/178/CE.
Nel settore della sicurezza alimentare, come in altri, si è consolidata una forma particolarmente accentuata di integrazione amministrativa comunitaria: il processo di “europeizzazione” di tale disciplina, che risale agli anni Settanta del XX secolo, si è sviluppato sino a oggi con un ampio ricorso a misure di armonizzazione normativa e al mutuo riconoscimento, divenendo una vera e propria materia di competenza dell’Unione europea. In tale ambito il diritto amministrativo perde il carattere dell’esclusività e acquista quello dell’integrazione: esso viene integrato dalle regole e dall’esercizio dello stesso potere svolto in sede europea. Si stabilisce e si assicura, così, un equilibrio fra la dimensione europea e quella nazionale, che non sostituisce la prima alla seconda, ma funzionalizza i diritti amministrativi nazionali alla tutela di tutti gli interessi riconosciuti nell’ordinamento europeo. Non vi è solamente una legislazione alimentare europea, attuata dalle amministrazioni nazionali, ma anche un’amministrazione, rectius un sistema amministrativo comune, che condivide poteri, funzioni, organi e attività nel settore in parola (Saltari, L., Amministrazioni nazionali in funzione comunitaria, Milano, 2007, 46-47).
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare nasce con la finalità di separare le valutazioni tecnico-scientifiche sul rischio e le decisioni discrezionali sulla sua gestione. Tale separazione, o distinzione, si riflette sul piano organizzativo perché devolve le competenze di risk assessment (RA) all’EFSA e quelle di risk management (RM) alla Commissione e agli Stati. A fronte di ciò, mentre quest’ultima attività, connotata da considerazioni politiche e di valore, deve essere circondata da garanzie di democraticità, accountability e imparzialità, quella tecnica deve assicurare indipendenza, neutralità ed elevata professionalità scientifica.
L’Autorità produce pareri scientifici su istanza della Commissione, del Parlamento europeo o degli Stati membri, oppure d’ufficio, al fine di diffondere opinioni scientifiche su questioni d’interesse generale. I pareri dell’EFSA assolvono un duplice compito: individuare i rischi nei settori degli alimenti e dei mangimi e renderli noti al pubblico e alle istituzioni competenti alla loro regolazione (art. 22.2, reg. 2002/178/CE). L’Autorità si configura come un soggetto neutrale e terzo rispetto ai vari interessi in gioco e costituisce il punto di riferimento comune per l’emissione di rapporti concernenti la valutazione, la prevenzione e la diffusione d’informazioni dei rischi nel settore alimentare. Il suo apparato organizzativo consta di quattro uffici: un consiglio di amministrazione; un direttore esecutivo; un foro consultivo; un comitato scientifico e gruppi di esperti scientifici (art. 24, reg. 2002/178/CE).
L’ampio mandatoe le molteplici funzioni attribuite all’Autorità dal reg. 2002/178/CE implicano che qualsiasi questione attinente alla procedura di valutazione scientifica del rischio, nel settore alimentare, sia di competenza dell’EFSA. Ciò corrisponde alle finalità di integrazione e accentramento di poteri in capo a un unico soggetto, ma mira altresì a incrementarne l’efficienza, giacché l’indefinitezza delle funzioni aumenta le dimensioni della materia di sua competenza, riduce i limiti esterni all’operatività dell’Autorità e le garantisce una maggiore manovra d’azione per fronteggiare con efficacia la multidimensionalità che caratterizza la sicurezza alimentare.
Al fine di operare in modo efficace e nel rispetto del proprio mandato, ma anche per legittimare un tale accentramento di poteri, l’EFSA è stata concepita in modo da assicurare neutralità, indipendenza, elevata professionalità degli esperti e trasparenza in tutti gli stadi della sua attività.
La ratio che informa la creazione dell’Autorità è spiegabile attraverso il processo con cui si è giunti alla sua istituzione. La struttura basata sui comitati ha rappresentato un’esperienza non riuscita, come testimoniano le crisi alimentari degli anni Ottanta e Novanta, che rivelano sia una market-failure, sia una regulatory failure, perché i sistemi di regolazione comuni, pur attrezzati a svolgere un controllo efficace, non sono riusciti a impedire l’esplosione e la diffusione di numerose patologie per scelte di regolazione poco incisive e scarsamente orientate al bene comune.
Nella struttura antecedente a quella attuale, le due fasi di RA e RM erano combinate e bilanciate, con la contemporanea interazione tra ”attori tecnici“ e ”attori politici“. Nondimeno, la debolezza del vecchio modello di regolazione non era dovuta solo alla combinazione delle due fasi in un unico momento decisionale, ma risiedeva nell’incapacità di assicurare imparzialità e buon andamento da parte delle amministrazioni coinvolte. Tali difetti erano individuabili nei deficit di trasparenza e indipendenza – e accountability, per gli organi politico-amministrativi – degli enti preposti alla regolazione e riguardavano il modo in cui era organizzato il sistema.
Il modello attuale non mira solo a dividere funzioni e poteri, ma anche a migliorare l’efficacia di meccanismi in grado di rendere l’esercizio di tali funzioni e poteri efficiente e imparziale, di sottoporlo a un controllo efficace, nonché di metterlo al riparo da condizionamenti e influenze corporative o individuali.
Oltre al reg. 2002/178/CE, il legislatore europeo ha emanato un numero considerevole di testi legislativi di completamento, sia a effetto orizzontale, ossia applicabili a tutti i prodotti, sia verticale, volti a regolare settori particolari della materia alimentare. Meritano un’ulteriore disamina i testi che compongono il cosiddetto “Pacchetto igiene”, ossia i regolamenti del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/852/CE, 2004/853/CE, 2004/854/CE, 2004/882/CE e la dir. 2002/99/CE. Questi approfondiscono e precisano le tematiche della sicurezza alimentare e le modalità di applicazione del sistema di Analisi di rischio e punti critici di controllo (HACCP), abrogando la dir. 1993/43/CEE.
La disciplina europea stabilisce obblighi e requisiti minimi d’igiene per gli operatori del settore alimentare (artt. 1, 3 e 4, reg. 2004/852/CE), i quali dispongono di poteri di autocontrollo relativi agli stabilimenti posti sotto la loro responsabilità (artt. 5 e 6, reg. 2004/852/CE), mentre alle autorità amministrative spetta un compito secondario, di regolazione e monitoraggio dell’azione di siffatti operatori, sia ex ante, mediante manuali di corretta prassi operativa nazionali e comunitari (artt. 8 e 9, reg. 2004/852/CE), sia ex post, tramite controlli ufficiali di osservanza e ottemperanza, che seguono un modello coordinato e integrato da norme di diritto comunitario (art. 17, reg. 2002/178/CE e artt. 3-10, reg. 2004/882/CE).
In particolare, al Titolo IV del reg. 2004/882/CE il legislatore europeo ha stabilito un sistema di controlli integrati, che prevede che «se i risultati dei controlli ufficiali sui mangimi e sugli alimenti richiedono l’intervento in più di uno Stato membro, le autorità competenti degli Stati membri interessati si prestano reciprocamente assistenza amministrativa» (art. 34, reg. cit. 2004/882/CE). A tal fine gli Stati membri designano «uno o più organi di collegamento per assicurare gli eventuali contatti con gli organi di collegamento degli altri Stati membri» e con il compito di curare e coordinare la comunicazione tra autorità competenti e tra queste ultime e la Commissione (art. 35, reg. 2004/882/CE).
Inoltre la Commissione dispone di un ulteriore potere di controllo di osservanza e ottemperanza, nei confronti dei controllori, che esercita, in ossequio al principio di sussidiarietà in senso ascendente, coordinando le azioni intraprese «dagli Stati membri allorché, (…) viene a conoscenza di attività che sono o appaiono contrarie alla normativa in materia di mangimi o di alimenti e che sono di particolare interesse a livello comunitario» (art. 40, co. 1 reg. 2004/882/CE); o inviando gruppi di ispettori per «effettuare controlli ufficiali in loco»; oppure chiedendo «all’autorità competente dello Stato membro di invio di intensificare i suoi controlli ufficiali in merito e di riferire sull’azione e sulle misure intraprese» (art. 40, co. 3, lett. a) e b), reg. 2004/882/CE). Infine, l’art. 45 del regolamento citato prevede, esplicitamente, forme di controllo esercitate in via diretta e sul territorio degli Stati membri, da autorità comunitarie che verificano, in tal modo, l’attività sia degli operatori responsabili, sia degli stessi controllori ufficiali nazionali.
Nell’ordinamento italiano il d.lgs. 6.11.2007, n. 193 dà attuazione ai controlli in materia di sicurezza alimentare e ai regolamenti comunitari nel medesimo settore. Vi è poi un accordo del 7 febbraio 2013 (G.U. 27.3.2013, n. 73), tra il Governo e le Regioni, che reca Linee guida per il funzionamento e il miglioramento dell’attività di controllo ufficiale da parte del Ministero della salute, delle Regioni e Province autonome e delle AASSLL in materia di sicurezza degli alimenti e sanità pubblica veterinaria.
Il meccanismo descritto si presenta come un sistema orientato alla semplificazione e all’auto-amministrazione, con compiti di controllo diretto svolti da privati e un ruolo di regolazione e monitoraggio affidato ad autorità statali ed europee, che prevede sia la determinazione di criteri comuni per le verifiche, sia l’espletamento di controlli sull’attività degli operatori, coordinati e armonizzati a livello comunitario. I requisiti della reciprocità e dell’equivalenza, dunque, non vengono meno, ma l’esecuzione materiale e capillare delle funzioni amministrative è lasciata alle autorità nazionali e locali. Queste, a loro volta, rivolgono i loro compiti di gestione e controllo nei confronti di soggetti privati, attributari essi stessi di funzioni amministrative. Tuttavia, le autorità nazionali, agendo come esecutori del diritto europeo, devono ottemperare ad alcuni obblighi: adottare i criteri indicati nel reg. 2004/882/CE; seguire procedure prestabilite; assicurare trasparenza, efficacia, idoneità, imparzialità e coerenza a tutti i livelli (art. 4, reg. 2004/882/CE); relazionare alla Commissione; attuare i principi HACCP; cooperare tra loro e consentire ai servizi di controllo della Commissione di verificare se le normative sono attuate in modo uniforme e corretto in tutta la Comunità (, Preambolo, considerando nn. 11-16, 22 e 38 e artt. 3-10 e 34 ss., reg. 2004/882/CE). In un secondo momento e, ove occorra, la Commissione esercita altresì controlli diretti, sia sui privati, surrogandosi alle amministrazioni nazionali, sia su quest’ultime, valutandone l’operato, esigendo modifiche di carattere formale o sostanziale delle procedure di controllo, chiedendo relazioni e rapporti sullo stato dei controlli.
Il sistema dei controlli è organizzato su tre livelli di governance: privati, autorità nazionali e locali, e Istituzioni dell’UE. Di qui, la disciplina è caratterizzata da: sussidiarietà, semplificazione e auto-amministrazione. In essa convivono quindi sia la discrezionalità nella fase esecutiva, appannaggio delle amministrazioni locali e nazionali, sia poteri accentrati, di monitoraggio, in capo alla Commissione europea, e finalizzati all’integrazione e all’attuazione uniforme di norme comuni.
La regolazione della sicurezza alimentare non è limitata agli ambiti europei o nazionali. Essa ha altresì uno sviluppo considerevole a livello internazionale e globale. Due decisioni dell’organo di aggiudicazione delle controversie (Dispute Settlement Body – DSB) dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) mostrano la rilevanza mondiale di tale materia e la sua inscindibile connessione con la tutela del free trade.
Con la decisione “EC – Hormones” (EC – Measures Concerning Meat and Meat Products, WTO Appellate Body Report 1998, WT/DS 48/AB/R), l’organo d’appello del DSB ha condannato la Comunità europea a rimuovere un bando nei confronti della carne bovina trattata con ormoni proveniente dal Nord America e ha fatto luce sui criteri con cui porre in essere atti che restringono il libero mercato per ragioni di tutela della salute. Il Rapporto dell’Organo d’appello ha richiesto alla Comunità di rimuovere il suddetto bando perché la misura non era adeguatamente giustificata, in quanto non conforme ai parametri indicati nell’Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie (Sanitary and Phytosanitary Agreement: un allegato degli Accordi di Marrakech, che istituiscono l’OMC). Le norme di tale trattato richiedono che le misure nazionali siano adeguatamente motivate e giustificate da una dimostrazione scientifica che dia adito a una valutazione di un rischio almeno probabile, sul quale fondare la misura restrittiva (artt. 2.2 e 5.1). Gli Stati sono esentati da tale dimostrazione se si rifanno a standard internazionali ufficialmente riconosciuti (ossia quelli della Codex Alimentarius Commission – CAC, un’organizzazione di secondo livello creata da FAO e OMS con il compito di dare vita a un codice alimentare mondiale, contenente standard tecnici, linee guida e buone pratiche). In tal caso la misura dovrà essere o «conforme» a uno standard o almeno «basarsi» su questo. Altrimenti la dimostrazione dovrà adoperare valutazioni scientifiche per essere accettata (art. 3, paragrafi 1, 2 e 3). La Comunità europea si è discostata dallo standard del Codex, che ammette l’uso di ormoni, ma non ha saputo fornire una giustificazione adeguata della sua misura restrittiva. Per questo è stata condannata a rimuovere il bando e a compensare Stati Uniti e Canada (che avevano dato vita alla controversia) per le perdite subite dalla chiusura del mercato europeo.
La decisione EC-Biotech (EC – Measures Affecting the Approval and Marketing of Biotech Products (WT/DS/291, 292, and 293), Reports of the Panel, Geneva, 29 September 2006), riguarda gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM). Anche in tal caso si è avuta una condanna della Comunità europea a rimuovere la moratoria contro tali beni, provenienti da Argentina, Canada e Stati Uniti. La moratoria aveva carattere fattuale e consisteva in una mancata risposta alle istanze di autorizzazione presentate da alcune imprese multinazionali alle competenti autorità europee. Le pubbliche amministrazioni interpellate si sono rifiutate di provvedere, violando alcuni principi fondamentali che regolano l’attività procedimentale e provvedimentale dell’amministrazione e negando una risposta alle istanze di privati. Il Panel del DSB ha condannato l’indebito ritardo e l’inerzia delle autorità comunitarie (ai sensi dell’art. 8 e dell’Annex C dell’Accordo SPS). In secondo luogo, l’organo di aggiudicazione ha altresì condannato alcuni Stati europei che avevano esplicitamente negato l’accesso ai prodotti GM adottando misure definitive, restrittive del commercio mondiale. Come in “EC – Hormones”, la ratio della decisione adottata è stata l’incapacità di dimostrare scientificamente il rischio di tali prodotti, con conseguente esclusione dell’applicazione del principio di precauzione, a oggi non applicabile nell’ambito del diritto dell’OMC. In tal senso, dall’interpretazione del Panel si evince che l’art. 5.7, Accordo SPS – che ammette una decisione temporanea e non basata su valutazioni scientifiche concludenti per gli Stati membri – non prevede l’applicazione di un approccio precauzionale, ma si richiama piuttosto al principio preventivo, che deve basarsi su un accertamento del rischio almeno in termini di probabilità.
I due casi citati evidenziano due aspetti di indubbio rilievo. Primo: la sicurezza alimentare è una materia di rilevanza extra-nazionale. Secondo: essa è disciplinata, anche in ambito ultra-statale, da principi e regole proprie del diritto amministrativo.
Quanto al primo aspetto, si nota che l’amministrazione della sicurezza alimentare non riguarda solo i governi, le giunte regionali degli Stati o le istituzioni europee. Essa coinvolge vari poteri pubblici, nazionali, internazionali e dell’UE, che condividono o esercitano congiuntamente o dialetticamente le funzioni tipiche del governo di tale settore, ossia indirizzo politico, attuazione amministrativa e controlli.
La regolazione di tale materia, quindi, non è più informata esclusivamente al diritto interno di ciascuno Stato e nemmeno solo a quello europeo. All’opposto, anche le autorità domestiche sono tenute a sottoporsi a principi e regole comuni rinvenibili in fonti normative internazionali. Sono così influenzate da norme extra-statali o integrate in procedimenti amministrativi a carattere globale o europeo, che producono i loro effetti in modo uniforme nei diversi territori nazionali. Infine, subiscono un’eventuale verifica, di tipo quasi-giurisdizionale, da parte di organi di aggiudicazione internazionali.
Quanto al diritto amministrativo, si devono notare alcuni elementi tipici che connaturano tale disciplina. Con riferimento al caso Hormones, si citano: l’armonizzazione internazionale tramite standard (della CAC) che agiscono come norme tecniche, specifiche e concrete, che, grazie al richiamo dell’Accordo SPS, trovano spazio – e forza vincolante indiretta, pur essendo formalmente norme di soft law – all’interno degli ordinamenti domestici; i limiti globali alla discrezionalità delle autorità nazionali nell’adottare misure restrittive del commercio, che devono essere giustificate – eventualmente di fronte a un organo di aggiudicazione – tramite dimostrazioni scientifiche sui rischi, e quindi motivate in termini di necessità, ragionevolezza e adeguatezza; il sindacato “forte” dell’organo di aggiudicazione dell’OMC, che valuta l’aderenza della misura allo standard e/o l’autorevolezza scientifica della causa di giustificazione adoperata dallo Stato.
Anche per ciò che concerne il caso Biotech, l’esigenza di rispettare criteri procedurali e garanzie formali comuni e transnazionali, in capo alle amministrazioni nazionali, conferma l’esistenza di principi e regole di diritto amministrativo di livello globale, le quali, ad esempio, mirano a scongiurare l’inerzia ingiustificata delle amministrazioni degli Stati europei e delle autorità comunitarie in procedimenti di autorizzazioni e ribadiscono il ruolo, sempre più rilevante, delle valutazioni tecniche nelle decisioni amministrative, nonché le limitazioni all’applicazione del principio di precauzione in favore di un più moderato principio di prevenzione.
Le misure regolatorie domestiche devono conformarsi non solo al diritto interno, ma anche a principi e norme comuni di carattere extra-nazionale ed extra-europeo. A conferma, la disciplina applicabile richiede che gli atti di regolazione siano ragionevoli e proporzionati, fondati su un’istruttoria esaustiva coerente e completa, adeguatamente motivati; e che il controllo sulla legittimità delle misure e sul corretto uso del potere sia effettuato da un organo di aggiudicazione internazionale. Questo adotta come parametro normativo su cui giudicare la compliance delle autorità interne, i principi e le prescrizioni di un trattato internazionale multilaterale rivolto agli esecutivi degli Stati membri (l’Accordo SPS) e – con specifico riferimento al momento istruttorio e motivazionale della misura domestica – norme specifiche e di dettaglio contenute in un codice alimentare mondiale (gli standard della CAC).
Tre sono gli aspetti di maggiore interesse evidenziati dalla globalizzazione della regolazione della sicurezza alimentare.
In primo luogo, alcune attività amministrative svolte in un ordinamento giuridico – ad esempio la proibizione di usare determinate sostanze – hanno un impatto sulle aspettative di privati residenti in altri ordinamenti: si verifica così un “effetto farfalla degli atti amministrativi”, reso possibile dall’interdipendenza delle economie degli Stati nazionali.
In secondo luogo e in collegamento con il punto precedente, i provvedimenti domestici che costituiscono un ostacolo alla libera circolazione dei beni all’interno dello “Spazio giuridico globale” (Cassese, S., Lo Spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003) devono essere coerenti e conformi a principi e regole di carattere amministrativo. Questi ultimi sono previsti da un trattato internazionale e vigilati da un organo di aggiudicazione terzo, che valuta la conformità delle misure nazionali alle norme comuni. Ciò mette in luce la commistione e la confusione di più ordinamenti giuridici, mostrando come il diritto amministrativo domestico sia condizionato, conformato e integrato da norme di origine internazionale, ma di natura amministrativa, in grado di vincolare e delimitare l’attività delle stesse autorità nel territorio di appartenenza. E come accada altresì il fenomeno opposto, per cui i principi e gli istituti giuridici dei diritti amministrativi domestici sono fatti propri dalle istituzioni extra-nazionali.
Infine, il diritto globale non si limita a indirizzare “dall’esterno” l’esercizio del potere da parte delle autorità amministrative. Mediante standard internazionali come quelli adottati dalla CAC, infatti, va a integrare – attraverso norme specifiche e concrete, che guadagnano un effetto quasi vincolante grazie al richiamo da parte dell’Accordo SPS – anche il merito delle decisioni e i contenuti degli atti di regolazione e di gestione.
La regolazione extra-nazionale della sicurezza alimentare ha un impatto decisivo su finalità, contenuti e forme dell’amministrazione interna di tale materia e, in via consequenziale, anche sui diritti e sulle aspettative degli individui. Benché l’esecuzione finale e i poteri autoritativi siano ancora appannaggio delle autorità domestiche, il momento decisionale non è più esclusivo degli organi di governo nazionali: è a livello extra-nazionale che operano i poteri a effetto governativo, anche lì dove le autorità statali mantengono i propri poteri amministrativi in senso stretto.
L’europeizzazione e la globalizzazione della regolazione della sicurezza alimentare sono indici di un’evoluzione significativa dell’amministrazione, intesa sia come attività, sia come apparato organizzativo: nata come prodotto esclusivo dell’ordinamento statale, la pubblica amministrazione oltrepassa i confini territoriali e diviene globale, sovranazionale e transnazionale. Quindi, le varie autorità amministrative che devono regolare una materia, imponendo divieti o effettuando controlli, sono tenute a fare un bilanciamento tra i diversi interessi da curare, che non sono solo primari e secondari, pubblici, privati o collettivi, ma anche nazionali ed extra-nazionali, comunitari o internazionali: non solo la tutela della salute, in assoluto, o lo sviluppo del commercio mondiale, ma anche le diverse percezioni della tutela della salute, le diverse attitudini al rischio, e le diverse esigenze economiche e commerciali; o, alternativamente, una visione comune e armonizzata di tali interessi.
La materia della sicurezza alimentare, come notato, presenta elementi paradigmatici per definire e comprendere le recenti evoluzioni della globalizzazione giuridica, nonché il grado di sviluppo del diritto amministrativo, che si internazionalizza, rectius: diviene globale. La regolazione della food safety attraversa i confini nazionali, disciplinando e influenzando l’attività delle autorità amministrative, oppure attribuendo nuovi poteri a regolatori ultra-statali, in tutti i casi venendo a incidere sulle sfere giuridiche individuali dei “cittadini del mondo”.
In uno spazio di regolazione divenuto mondiale, in cui la rigida dicotomia tra domestico e internazionale si fa sempre meno netta, nel quale le funzioni amministrative sono spesso esercitate mediante complessi interscambi tra funzionari e istituzioni operanti su diversi livelli e nel quale le norme di regolazione possono essere particolarmente efficaci nonostante il loro carattere formale di non vincolatività, ha luogo la tutela della sicurezza alimentare, che si sviluppa sul crinale di un difficile equilibrio tra regolazione pubblica e libero mercato, tutela degli scambi commerciali e precauzione, crescita economica e tutela della salute, armonizzazione e standardizzazione e garanzie e protezione delle differenze.
L. 30.4.1962; reg. 2002/178/CE; reg. 2004/2230/CE; reg. 2004/852/CE; reg. 2004/853/CE; reg. 2004/854/CE; reg. 2004/882/CE; d.lgs. 6.11.2007, n. 193.
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