Sicurezza
Sicurezza in ambito tecnologico
di Carlo De Petris
La s., con riferimento alla normativa internazionale, viene definita come esenzione da rischi o danni inaccettabili, ove per rischio si intende la combinazione di probabilità del verificarsi di un danno e gravità di tale danno, e per danno la lesione fisica e/o danno alla salute delle persone, ovvero alla proprietà, ovvero all'ambiente. La s., che assume nelle attuali tecnologie elevata priorità, non può essere considerata in termini assoluti, come assenza totale di rischio, ma come s. relativa. Essa può essere così conseguita attraverso la riduzione del rischio a un livello tollerabile, determinato dalla ricerca di un bilanciamento ottimale tra il presupposto di s. assoluta e le prerogative del prodotto, processo o servizio, come: beneficio per l'utilizzatore, adattabilità ed efficacia allo scopo, congruenza del costo, rispetto delle convenzioni proprie della società.
Le recenti regolamentazioni tecniche, sviluppate a livello nazionale e internazionale in accordo con l'impostazione della risoluzione 7 maggio 1985 del Consiglio europeo (Nuovo approccio) in materia di s. delle persone, degli animali e dell'ambiente, introducono l'analisi e la valutazione del rischio quali strumenti determinanti per la gestione della sicurezza e dispongono il soddisfacimento di alcuni imprescindibili requisiti essenziali di sicurezza, piuttosto che prescrivere l'adozione di specifiche soluzioni tecniche.
Sicurezza del lavoro
Lo sviluppo della normativa in materia di s., e con particolare riferimento al campo del lavoro e della vita privata, ha subito, a partire dall'inizio degli anni Novanta del 20° sec., una brusca accelerazione dovuta particolarmente alla pressione di alcuni Paesi della Comunità europea. Prima di questo periodo, infatti, l'unico riferimento legislativo, sia per i costruttori sia per gli utilizzatori, era costituito dal d.p.r. 27 apr. 1955 nr. 547 emanato con l'obiettivo di risolvere i problemi della s. dell'industria italiana nel dopoguerra e più in particolare quelli di adeguamento delle macchine già esistenti. Secondo tale decreto, il costruttore doveva produrre macchine che, una volta effettuato il collaudo e l'omologazione, risultavano sicure e lo rendevano esente da ogni responsabilità; non era prescritta la realizzazione del libretto di uso e manutenzione, ma l'utilizzatore (principale responsabile della s. della macchina) era tenuto a conoscere tali aspetti; il progettista aveva estrema libertà riguardo le soluzioni da adottare.
Sebbene il d.p.r. 547/55 non sia mai stato abrogato, più recentemente sono stati compiuti notevoli progressi nelle problematiche relative alla sicurezza. Più concretamente, un primo importante aspetto concernente la s. negli ambienti di lavoro è regolamentato dal d. legisl. 19 sett. 1994 nr. 626, un secondo, invece, riguarda le caratteristiche intrinseche di s. che deve possedere un prodotto soddisfacendo i requisiti prescritti dal d.p.r. 24 luglio 1996 nr. 459, noto come Direttiva macchine.
Il d. legisl. 626/94 prevede l'attuazione delle direttive CEE nrr. 89/391, 89/654, 89/655, 89/656, 90/269, 90/270, 90/394, 90/679, e intende integrare e aggiornare il d.p.r. 547/55 (relativo alla s.) e il d.p.r. 19 marzo 1956 nr. 303 (relativo all'igiene del lavoro). Il d. legisl. 626/94 è integrato dal d. legisl. 19 marzo 1996 nr. 242. L'importanza di questi decreti risiede nel fatto che vengono chiaramente introdotti: gli obblighi del datore di lavoro (che è peraltro tenuto a elaborare un documento della s. contenente la valutazione dei rischi), dei lavoratori, dei progettisti, degli installatori e dei fabbricanti; l'istituzione del servizio di prevenzione e della rappresentanza dei lavoratori per la s.; la sorveglianza sanitaria e la nuova modalità di vigilanza; l'informazione e la formazione dei lavoratori. Inoltre, essi definiscono le norme per i luoghi di lavoro, l'uso di attrezzature, l'uso dei Dispositivi di protezione individuale (DPI), l'uso di videoterminali, la protezione da agenti cancerogeni e biologici, le sanzioni per tutte le figure coinvolte nell'ambiente di lavoro.
Il d. legisl. 626/94 ha introdotto nell'ordinamento una prevenzione di tipo tecnologico finalizzata alla predisposizione obbligatoria di un ambiente obiettivamente sicuro, non rimesso solo alla diligenza e alla prudenza. Il principale presupposto di questa normativa, volutamente analitica, consiste nell'affidamento dell'azione prevenzionale ai mezzi tecnici in grado di offrire tutela anche in presenza di inottemperanza, imperizia e negligenza degli stessi addetti alle mansioni manuali. Le disposizioni sono quindi tassative, non lasciano spazio alla discrezionalità alternativa dell'imprenditore in relazione ai mezzi da adottare, che non siano precisamente indicati, salvo l'obbligo di integrarli quando la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica lo esigono. L'innovazione, quindi, consiste nella enunciazione di una nuova filosofia proattiva caratterizzata da un approccio dinamico e partecipativo nella gestione della s., dell'igiene e della prevenzione nei luoghi di lavoro attraverso le due fasi di formazione e di adempimento.
Sicurezza delle macchine
Il d.p.r. 459/96 costituisce il recepimento delle direttive CEE nrr. 89/392, 91/368, 93/44 e 93/68. L'introduzione della Direttiva macchine ha modificato in modo significativo la regolamentazione preesistente attribuendo al costruttore in prima persona la responsabilità della s. a meno che si verifichino casi di manomissione, o utilizzazione impropria, o mancata effettuazione della manutenzione da parte dell'utilizzatore. Gli altri elementi innovativi che caratterizzano questo nuovo approccio concernono la necessità, da parte del costruttore, di realizzare un progetto; effettuare l'analisi dei rischi; analizzare l'intero ciclo di vita della macchina; comporre un fascicolo tecnico e redigere un manuale di uso e manutenzione.
La Direttiva macchine fissa i requisiti essenziali di s. che deve possedere un determinato prodotto, ma non fornisce indicazioni su come soddisfarli. Per questa ragione sono state elaborate, da soggetti a tal fine abilitati, alcune norme dette armonizzate. Esse hanno il proposito di assistere il costruttore nel verificare che siano state adottate le soluzioni comunemente accettate per un determinato problema di non s. (tenuto conto della tecnologia e dei fattori economici) e che il progettista si sia attenuto alle istruzioni predisposte in coerenza al principio di presunzione di conformità. Le norme armonizzate si articolano su tre livelli: norme di tipo A, che indicano i principi di base per la progettazione e aspetti generali di s. applicabili a tutte le macchine; norme di tipo B, che determinano aspetti specifici di s. applicabili a una vasta tipologia di macchine (equipaggiamento elettrico, distanze di s., comandi a due mani, barriere fotoelettriche ecc.); norme di tipo C, le quali precisano i requisiti di s. per particolari tipologie di macchine utilizzate, per fare solo un esempio, nei procedimenti tecnologici che sono impiegati nella produzione industriale (quali foggiatura, deformazione plastica, lavorazione per asportazione di materia ecc.).
Nell'ambito delle norme di tipo A si segnalano, in particolare, la UNI EN 292-1,2:1992 e la UNI EN 1050:1998 per le quali si riportano rispettivamente nei grafici (figg. 1, 2) le schematiche rappresentazioni della strategia per la scelta delle misure di s. e di valutazione del rischio.
Sicurezza dei prodotti
Le direttive di prodotto, con specifico riferimento al d.p.r. 24 maggio 1988 nr. 224 che recepisce la direttiva emanata dalla CEE 85/374, a differenza di quelle sociali, si riferiscono a "ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile", elettricità compresa. La direttiva è stata modificata dal d. legisl. 2 febbr. 2001 nr. 25 in attuazione della direttiva 99/34/CEE che ridefinisce, estendendone però il significato, il ruolo di produttore come "il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, produttore della materia prima" anche in riferimento a tutti quanti i prodotti agricoli del suolo e dell'allevamento, della pesca e della caccia. In questo contesto è opportuno menzionare anche il d. legisl. 17 marzo 1995 nr. 115 in attuazione della direttiva CEE 92/59 che disciplina la materia della s. generale dei prodotti, compresi quelli per i quali non esistono specifiche disposizioni di sicurezza. Per prodotto sicuro si intende quel prodotto "che in condizioni di uso normale oppure ragionevolmente prevedibile, compresa la durata, non presenta alcun rischio oppure presenta unicamente rischi minimi compatibili con l'impiego del prodotto o considerati accettabili nell'osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone". Prodotto pericoloso, invece, è quello che "non risponde alla definizione di 'prodotto sicuro' […]; la possibilità di raggiungere un livello di sicurezza superiore a quello della normativa vigente o di procurarsi altri prodotti che presentano un rischio minore non costituisce un motivo sufficiente per considerare un prodotto 'pericoloso'".
Tra le norme relative alla s. dei prodotti vanno menzionati: il d. legisl. 25 genn. 1992 nr. 73 in attuazione della direttiva 87/357/CEE in materia di prodotti che, pur avendo un aspetto diverso da quello che in realtà sono, possono compromettere la salute e la s. dei consumatori; il d. legisl. 25 genn. 1992 nr. 74 in attuazione della direttiva 84/450/CEE in materia di tutela del consumatore dalla pubblicità ingannevole; il d. legisl. 15 genn. 1992 nr. 50 in attuazione della direttiva 85/577/CEE in materia di contratti tra operatori commerciali e consumatori.
Costi della sicurezza
Ogni anno in Italia viene registrato dall'INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) quasi un milione di incidenti sul lavoro (966.568 nel 2004) di cui circa 1200 mortali (1176 nel 2004); i settori più critici, sotto questo profilo, sono quelli delle costruzioni, dei trasporti e comunicazioni, dell'agricoltura (rispettivamente con 288, 154 e 150 vittime nel 2004).
Il costo degli infortuni sul lavoro, escludendo le spese causate dalle malattie professionali, sfiora in Italia circa il 3% del PIL, mentre in molti Paesi della Comunità europea oscilla tra l'1% e il 3% del PIL.
I costi della non sicurezza che ogni anno un'azienda deve sostenere risultano dalla somma dei costi sociale, aziendale e individuale. Più precisamente, nei costi sociali si includono quelle voci di bilancio che si ripercuotono sull'economia nazionale, provocando la diminuzione del reddito dovuta alla perdita della forza di lavoro e di mezzi di produzione e l'aumento delle spese riguardanti le prestazioni fornite alle vittime dell'infortunio. Nei costi aziendali le voci di bilancio sono riferite all'assistenza dell'infortunato e alla riparazione o sostituzione di impianti e macchinari eventualmente danneggiati (costi diretti o palesi), e ai costi sostenuti dall'azienda a causa di incidente: per es., dovuti alla perdita di produzione causata dall'attività lavorativa, alla elaborazione delle pratiche burocratiche, alle prestazioni di pronto soccorso, all'incremento dei contributi previdenziali, ai sequestri d'impianto o macchinari disposti dalle autorità competenti, alle spese legali, al pagamento del lavoro straordinario corrisposto per supplire la mancanza dell'infortunato, alle scadenze non rispettate, alla perdita d'immagine aziendale (costi indiretti o nascosti). Infine, nei costi individuali le voci di bilancio sono relative ai danni immateriali corrispondenti alle sofferenze fisiche e psicologiche e ai danni materiali, come le spese per visite mediche specialistiche, personale d'assistenza e medicine, nonché quelle dovute all'incidenza negativa sulle possibilità di progresso nella vita e nella carriera, e alla perdita di salario dovuta all'assenza e degli introiti per lavori svolti in proprio.
I costi della sicurezza, invece, sono dati dalla somma di quelli dovuti alla conformità, ai rischi residui di macchine e ambienti e ai rischi soggettivi. Nei costi di conformità vengono incluse tutte le spese per la prevenzione in fase preparatoria, come la messa a norma degli impianti e dei macchinari e l'adozione di misure di s. supplementari. Nei costi dei rischi residui di macchine e ambienti e dei rischi soggettivi sono invece comprese le spese d'esercizio fisse per misure di prevenzione, come la gestione della s. nell'azienda, i controlli periodici dell'ambiente di lavoro, dei macchinari e dei dispositivi di s., l'elaborazione di statistiche sugli infortuni, il pagamento dei premi delle assicurazioni (obbligatorie e volontarie).
Una volta classificati i costi, l'azienda analizza ed elabora un modello decisionale per la gestione della s. che consenta contemporaneamente di pervenire al miglioramento dei livelli di s. (riduzione del rischio) e minimizzare i costi economici (obiettivo economico).
Gestione della sicurezza
La gestione della s. costituisce parte integrante di quella generale di un'azienda. Per tale ragione si va sempre più diffondendo l'applicazione di una metodologia integrata attraverso l'adozione di un sistema di gestione della sicurezza. La possibilità di gestire con efficacia gli eventi, definendo opportune azioni basate su logiche di costi e benefici, può essere raggiunta solo se il sistema viene integrato implementando metodologie di gestione del rischio (risk management) in grado di impiegare strumenti di valutazione, accettazione, confronto e comunicazione del rischio.
Sviluppi futuri della sicurezza
Le direttrici future per migliorare i livelli di s. negli ambiti della tutela della salute delle persone, della proprietà e dell'ambiente, sono essenzialmente individuate come segue: sviluppo di metodologie di approccio al sistema sicurezza basate sulla elaborazione di buona pratica, linee guida o check list di controllo predefinite da organismi istituzionali e realtà socioproduttive; intensificazione dell'impegno formativo e informativo degli operatori interessati (fabbricanti, lavoratori, utilizzatori); implementazione di specifiche banche dati finalizzate a individuare e misurare indici di gravità di condizioni organizzative, tecniche, procedurali e metodologiche non sicure o non rispondenti ai dettati normativi o di conformità per una più efficace azione di analisi e valutazione dei rischi; effettuazione di una sistematica attività di prevenzione, controllo e sorveglianza da parte degli organismi competenti non necessariamente istituzionali.
bibliografia
Commissione europea, Guida all'attuazione delle direttive fondate sul nuovo approccio e sull'approccio globale, Bruxelles 1999.
Diritto
di Ugo Terracciano
Il termine sicurezza evoca una condizione di piena garanzia, ampia tutela e protezione contro pericoli, rischi o possibili turbative dell'ordinario svolgersi dei rapporti civili, economici e sociali. Nella tradizione giuridica e sociologica italiana, il termine individua un'ampia sfera di protezione entro la quale le persone e i beni sono messi al riparo da eventuali attacchi esterni. Per questa grande latitudine di significato, esso si declina in numerose accezioni specifiche, che fanno però capo sempre al concetto di prevenzione del rischio, inteso come eventualità di subire un danno. Pertanto questo stesso concetto è sotteso alle nozioni di s. sociale (in quanto complesso degli strumenti previdenziali), di s. internazionale (come esercizio della sovranità statale), di s. dei trasporti, della navigazione, del traffico aereo, del lavoro e, in ultima analisi, di pubblica s., in quanto tutela dei beni e delle persone. L'onnicomprensività della definizione rende più difficile tracciare una netta demarcazione tra le responsabilità pubbliche e quelle private in materia. Per questo motivo, occupano un posto di rilievo, tanto a livello statuale quanto a livello periferico, le politiche della s. intese a determinare e condizionare ogni azione in questo ambito. Nella lingua inglese, il concetto viene espresso con due distinte parole: safety e security. Con il primo termine si fa riferimento alla s. delle persone, perciò a tutte le misure idonee ad assicurarne l'integrità fisica in ogni ambito, compreso quello lavorativo. Con il secondo, invece, si intende allo stesso tempo la s. delle persone e dei beni, materiali e immateriali, contro gli atti illeciti deliberatamente compiuti da terzi. Una simile distinzione non è altrettanto marcata nella lingua italiana: la s. è tradizionalmente intesa come l'insieme delle misure assunte per evitare danni alle persone nell'esercizio delle ordinarie attività (s. del lavoro, alimentare, ambientale, igienico-sanitaria, del volo e della navigazione) e, al tempo stesso, come il sistema di prevenzione dall'attacco all'integrità fisica e dei beni, indicato più specificatamente come apparato per la s. pubblica. Negli ultimi decenni, grazie all'armonizzazione del nostro ordinamento giuridico interno a quello dell'Unione Europea, anche in Italia la safety è divenuta oggetto di una notevole produzione normativa: in tema di prevenzione degli infortuni si vedano il d.p.r. 27 apr. 1955 nr. 547; il d.p.r. 19 marzo 1956 nr. 302; la l. 23 dic. 1986 nr. 909; il d. legisl. 19 sett. 1994 nr. 626; il d. legisl. 19 marzo 1996 nr. 242. Sull'igiene del lavoro si ricordano il d.p.r. 19 marzo 1956 nr. 303; la l. 14 ott. 1957 nr. 1203; il d.p.r. 10 sett. 1982 nr. 962; il d. legisl. 15 ag. 1991 nr. 277; il d. legisl. 25 genn. 1992 nr. 77. Per la s. e l'igiene sul lavoro nelle costruzioni, il d.p.r. 7 genn. 1956 nr. 164 e il d. legisl. 14 ag. 1996 nr. 494. Per la segnaletica di s., il d. legisl. 14 ag. 1996 nr. 493. Per i dispositivi di protezione individuale, il d. legisl. 4 dic. 1992 nr. 675 (Attuazione della direttiva 89/689/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi di protezione individuale). Sono numerosi i provvedimenti emanati anche in tema di prevenzione degli incendi, di s. nelle industrie estrattive, di s. e salute dei lavoratori marittimi. Ancora, in tema di s. delle persone, sono proliferate le disposizioni sugli alimenti e le bevande, i recipienti, gli additivi alimentari, gli amidi modificati, i coloranti artificiali, gli antiparassitari residui, il confezionamento in atmosfera controllata, i prodotti di fantasia, l'etichettatura obbligatoria e facoltativa degli alimenti, la costruzione e la commercializzazione di giocattoli. Tra i tanti provvedimenti si menzionano in particolare: in materia di acque pubbliche, il r.d. 25 luglio 1904 nr. 523 e il r.d. 11 dic. 1933 nr. 1775; di alimenti e bevande, il d. legisl. 18 giugno 1986 nr. 282 e il d. legisl. 30 genn. 2001 nr. 94; di animali pericolosi, la l. 7 febbr. 1992 nr. 150; di circolazione stradale, il d. legisl. 30 apr. 1992 nr. 285; di doping, la l. 14 dic. 2000 nr. 376; di uso del fosforo bianco nei fiammiferi, il r.d. 23 dic. 1920 nr. 1881; di fondi marini, la l. 20 febbr. 1985 nr. 41; di gas combustibili e gas tossici, la l. 6 dic. 1971 nr. 1083 e il r.d. 9 genn. 1927 nr. 147; di generatori aerosol, d.p.r. 21 luglio 1982 nr. 741; di giocattoli, il d. legisl. 27 sett. 1991 nr. 313; di inquinamento delle acque, il d. legisl. 4 ag. 1999 nr. 372; di mangimi, la l. 15 febbr. 1963 nr. 281; di materiali elettrici, la l. 17 apr. 1989 nr. 150; di navigazione marittima e aerea, la l. 28 dic. 1989 nr. 422; di ozono, la l. 28 dic. 1993 nr. 549; di rifiuti, il d. legisl. 4 ag. 1999 nr. 372. Sempre nel campo della s. delle persone intesa nel senso di safety, si impone il problema di uniformare la normativa alquanto disorganica su impianti e certificazioni di regolarità del prodotto. Attraverso procedure di consultazione nei vari settori merceologici, vengono stesi i documenti tecnici e formulate le norme. Esistono due grandi universi normativi, uno che riguarda il settore elettrico e l'altro che comprende il resto della produzione. L'ente normatore internazionale per il settore elettrico è la IEC (International Electrotechnical Commission), in Europa il Cenelec e in Italia il CEI (Comitato Elettronico Italiano). Per gli altri settori enti normatori sono a livello internazionale la ISO (International Organization Standardization), in Europa il CEN (European Committee for Standardization) e in Italia l'UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione).
Per quanto riguarda la s. intesa come protezione da atti illeciti compiuti da terzi, ovvero come security, fondamentalmente si distingue tra s. pubblica e ordine pubblico, dato che entrambi i termini evocano una situazione di assenza di pericoli e di tranquillità del vivere civile. Sul significato di ordine pubblico, sono sorti problemi definitori, causa la non univocità del relativo concetto giuridico. In senso materiale, l'espressione è intesa come sinonimo di tranquillità pubblica ma, in senso più formale, l'ordine pubblico corrisponde all'ordine normativo, specchio di un sistema ideale di rapporti, definito dall'ordinamento giuridico, che si può spiegare come ordine costituzionale, con riguardo al sistema di valori e principi che trovano riconoscimento e fondamento nella Costituzione. In contrapposizione al concetto di s. pubblica, la nozione di ordine pubblico viene intesa prevalentemente nell'accezione più formale, tipica del diritto penale e amministrativo. Anche nella dottrina civilistica si è fatto riferimento all'ordine pubblico al riguardo della illiceità del negozio giuridico.
In quest'ambito, è stata proposta una classificazione bipartita tra ordine pubblico politico e ordine pubblico economico. L'ordine pubblico politico si riferisce alla difesa della struttura dello Stato, della famiglia, della libertà e dell'integrità dell'individuo. Per quanto riguarda l'ordine pubblico economico si differenziano ulteriormente l'ordine pubblico di protezione e l'ordine pubblico di struttura e direzione economica. Il primo protegge, in certi rapporti contrattuali, la parte economicamente debole, costretta ad accettare l'imposizione di condizioni contrattuali inique; il secondo contiene i criteri che informano l'attività economica degli operatori privati e pubblici. Per parte sua, la dottrina penalistica definisce l'ordine pubblico riferendosi ai reati del titolo v del libro ii del codice penale, attraverso una nozione distinta dai più ampi principi di ordine pubblico generale o ordine giuridico, che si collega all'idea del regolare andamento del vivere civile, cui a livello sociale corrispondono il senso della tranquillità e della s., quindi della pace pubblica. Meno estesa, ma collegata, è la definizione di s. pubblica, per la cui tutela si attua la prevenzione contro tutti quei pericoli che possono minacciare l'incolumità fisica dei cittadini e l'integrità dei loro beni. Si tratta di una prevenzione generale, a garanzia della serena convivenza civile, che è la precondizione del pieno sviluppo della personalità umana e del riconoscimento della pari dignità sociale. Mentre la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, all'art. 3, sancisce che ogni cittadino ha diritto alla s. della propria persona, la Costituzione italiana non ne fa menzione, né pertanto eleva la s. a diritto individuale. Il termine, infatti, è citato nella Carta solo nel titolo dei rapporti economici, all'art. 41, a proposito dell'iniziativa economica che non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza. Il silenzio del costituente induce all'idea che la s. non rappresenti un diritto individuale in sé, ma la condizione essenziale in assenza della quale i diritti fondamentali, nei rapporti civili, economici e politici, non possono essere adeguatamente garantiti. In quanto attiene alle garanzie di libertà, di eguaglianza e al riconoscimento dei diritti fondamentali di libertà dell'uomo e di sviluppo della sua personalità, la tutela della s. è, sul piano del diritto internazionale prima e del diritto amministrativo interno poi, una funzione assegnata all'esecutivo.
Nella comunità internazionale, strutturalmente caratterizzata dall'indipendenza e dall'uguaglianza sovrana degli Stati membri, un sistema di s. collettiva, intesa come garanzia di rispetto dell'integrità territoriale e della reciproca indipendenza, non può che basarsi su accordi internazionali che conferiscono, a strutture sopranazionali, il compito di vigilanza e difesa. Nel diritto interno, proprio in quanto connesse alla garanzia dei diritti fondamentali di libertà, le funzioni di pubblica s. sono attribuite alla competenza statuale, che le esercita essenzialmente attraverso il Ministero dell'Interno. Nei limiti di legge, però, è previsto il concorso di soggetti o agenzie di s. cosiddetta sussidiaria privata, che concorrono alla tutela del patrimonio e dei beni. Nondimeno, soprattutto in seguito alla riforma con l. cost. 18 ott. 2001 nr. 3 del titolo v della Costituzione, si è aperta una stagione di forte espansione della s. locale attraverso l'estensione del campo della polizia amministrativa. Sotto quest'ultimo profilo rappresenta una novità di estrema importanza l'avvio di politiche locali di s. che concorrono con quelle nazionali del governo. Il sistema di direzione delle politiche per la s. è oggi quindi stratificato anche riguardo ai centri di responsabilità e alla legittimazione degli organismi che vi concorrono.
Nel sistema dell'amministrazione centrale, il dicastero deputato è legittimato dall'alto, ovvero dal governo che, grazie alla maggioranza parlamentare, determina le politiche nazionali. A livello locale, con il sistema di elezione diretta del sindaco, introdotto con la l. 25 marzo 1993 nr. 81, le politiche territoriali per la s. ricevono una legittimazione diretta da parte dell'elettorato locale, ovvero un consenso dal basso verso l'alto. Così, mentre le politiche nazionali tendono all'uniformità di indirizzi, quelle locali si presentano disomogenee in quanto legate alle priorità del territorio, alle peculiarità del luogo e alle visioni politico-ideologiche che vi dominano. Per distinguere tra politiche e competenze nazionali e politiche locali, si definisce s. pubblica la materia di competenza dello Stato, e la tranquillità pubblica la sfera di competenza delle regioni, delle province e dei comuni. L'ordinamento fondamentale, per quanto concerne la competenza statuale, è racchiuso nel r.d. 18 giugno 1931 nr. 773 (Testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza), nel r.d. 6 maggio 1940 nr. 635 (Regolamento) e nella l. 1 apr. 1981 nr. 121 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza). Dalla normativa citata si ricava l'architettura dell'apparato deputato a garantire la s. dei cittadini, la cui struttura si compone di autorità nazionale e locale, nonché di ufficiali e agenti per l'esecuzione dei provvedimenti. Nel combinato disposto degli artt. 1, 2, 3 e 4 della l. 121 è stabilito che il ministro dell'Interno è responsabile della tutela dell'ordine e della s. pubblica ed è autorità nazionale di Pubblica Sicurezza. Ha l'alta direzione dei servizi, coordina in materia i compiti e le attività delle forze di polizia e adotta i provvedimenti necessari. Espleta i propri compiti avvalendosi dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, che è civile e ha un ordinamento speciale.
Nell'ambito dell'Amministrazione, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, cui è preposto il capo della polizia, traduce in linee operative le scelte strategiche assunte in materia. Le funzioni sono decentrate a livello provinciale e locale ove il prefetto e il questore sono autorità provinciali di Pubblica Sicurezza, rispettivamente con responsabilità generale dell'ordine e della s. pubblica nella provincia e con la direzione, la responsabilità e il coordinamento, a livello tecnico-operativo, dei servizi e dell'impiego a tal fine della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione. L'autorità locale è rappresentata dal questore nel capoluogo di provincia e dai funzionari preposti ai commissariati di polizia aventi competenza negli altri comuni. Ove non siano istituiti commissariati di polizia, le attribuzioni di autorità locale di Pubblica Sicurezza sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di governo. Sono forze di polizia, la Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri, il Corpo della guardia di finanza, il Corpo di polizia penitenziaria e il Corpo forestale dello Stato. Non è considerata, ai fini già detti, forza di polizia la Polizia municipale e provinciale, anche se, in virtù della l. 7 marzo 1986 nr. 65, il personale addetto esercita funzioni di polizia giudiziaria e, con attribuzione conferita dal prefetto, funzioni ausiliarie di Pubblica Sicurezza. Infine, è istituito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica, come organo ausiliario di consulenza del ministro dell'Interno per l'esercizio delle sue attribuzioni di alta direzione e di coordinamento in materia, mentre in periferia il Comitato provinciale è organo ausiliario di consulenza del prefetto. Ai sensi del d. legisl. 27 luglio 1999 nr. 279, al Comitato provinciale partecipano istituzionalmente, accanto ai membri effettivi, il presidente della provincia e il sindaco del capoluogo. Si tratta di una disposizione di notevole importanza, poiché rappresenta il momento di compensazione tra politiche nazionali e locali.
La linea indicata nei Paesi anglosassoni dal sociologo T. Pitch, secondo cui gli attori della s. non possono essere soltanto le agenzie nazionali e di contrasto repressivo, ma le istituzioni locali come naturali collettori delle domande e dei disagi dei cittadini, per la loro attitudine a implementare le politiche di prossimità, ha condizionato le scelte strategiche anche delle nostre agenzie nazionali che, per le medesime esigenze di vicinanza alla popolazione, hanno istituito, dall'anno 2002, la figura del poliziotto e del carabiniere di quartiere, ispirata ai modelli della polizia di prossimità già collaudati prima in Gran Bretagna e poi in Francia. Tuttavia, il dato più innovativo riguarda lo sviluppo di politiche per la s. a livello territoriale da parte degli enti locali, molti dei quali, per sviluppare questi temi, aderiscono dal 1976 al Forum italiano per la sicurezza urbana (FISU). Da un lato, queste politiche, attraverso la legislazione regionale, danno un diverso senso al concetto di polizia amministrativa; dall'altro, riguardano l'attuazione di iniziative orientate alle community policing, ovvero la polizia di comunità di ispirazione anglosassone; infine ha assunto notevole interesse l'intervento urbanistico valutato in chiave di impatto sulla s. della città. In tema di polizia amministrativa, con il trasferimento di un considerevole numero di competenze a comuni e province, si è passati da una concezione di controllo repressivo statuale a un controllo prettamente amministrativo delle attività sul territorio: buona parte delle violazioni fanno capo al sindaco o al presidente della provincia e sono così affidate innanzitutto al controllo della polizia locale (controllo della viabilità nei centri urbani e sulle strade provinciali, di caccia, pesca, edilizia, pubblicità, commercio, ambiente, pubblici esercizi, agenzie d'affari, spettacoli). A questo proposito hanno assunto notevole importanza i regolamenti comunali, nuovi strumenti di dissuasione contro la devianza (atti vandalici, accattonaggio, malgoverno di animali, comportamenti contro la pubblica decenza). In tema di politiche attive, hanno assunto notevole interesse azioni e progetti concreti, finanziati con risorse regionali o nazionali che, nella loro generalità, possono definirsi orientati anch'essi al concetto di polizia di comunità. Si tratta di un modello di s. negoziata, in cui gli organismi di polizia interagiscono con la popolazione e, attraverso una presenza preventiva, condividono con essa le informazioni utili a migliorare i livelli di vigilanza e sicurezza. Diverse regioni e comuni hanno inoltre stipulato con lo Stato accordi di programma, contratti o protocolli, per la condivisione delle strategie di controllo del territorio tra forze di polizia e polizie locali, per lo scambio di informazioni, per il supporto alle vittime e per la formazione professionale degli operatori. Tali politiche trovano un importante antecedente storico nella cosiddetta scuola di Chicago, fondata nel 1920, i cui maggiori esponenti (W. Thomas, R.E. Park, F. Znaniecki, E. Burgess, R.D. McKenzie) affrontarono per la prima volta uno studio sistematico della s. nelle città attraverso ricerche empiriche sulla società urbana. D'altra parte, le nuove politiche locali per la s. mutuano, seppure armonizzate con il sistema italiano, esperienze già vissute negli Stati Uniti e, tra queste, soprattutto le politiche di R. Giuliani che mettono in relazione il degrado urbano e la devianza criminale. Proprio su questa traccia, le nuove politiche locali per la s. puntano alla riqualificazione urbana, ossia alla pianificazione territoriale per la s. e al recupero di agglomerati degradati o aree industriali dimesse. Sono diversi, anche in questo settore, gli interventi normativi e finanziari dello Stato e delle regioni. A questo proposito si ricordano soprattutto i Programmi di riqualificazione urbana (PRU), istituiti dalla l. 17 febbr. 1992 nr. 179 e regolamentati dal d.m. 21 dic. 1994, che consentono e finanziano un insieme coordinato di interventi tesi a riqualificare aree degradate o dimesse, risanandone l'edificato e potenziandone le dotazioni.
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