SIGIERI di Brabante
Pensatore del sec. XIII, massimo rappresentante dell'aristotelismo averroistico e antitomistico. Insegnò all'università di Parigi nella seconda metà del sec. XIII. Ed ebbe largo successo: quando, fra il 1268 e il 1272, Tommaso di Aquino fu per la seconda volta a Parigi, S. era il suo maggiore avversario, e documenti superstiti della polemica sono da un lato le Quaestiones de anima intellectiva, opera principale di S., e dall'altro, il De unitate intellectus contra Averroistas di San Tommaso. Nel 1270, e quindi nel 1277, il vescovo di Parigi Stefano Tempier condannava una serie di tesi sostenute dal S., che lasciò Parigi, fu citato in giudizio dal grande inquisitore di Francia, e si recò infine a Orvieto, presso la corte pontificia. Qui, intorno al 1282, morì ucciso dal proprio segretario.
Le Quaestiones de anima intellectiva sono edite, insieme con gli altri scritti di S. Quaestiones logicales, Quaestio utrum haec sit vera: homo est animal nullo homine existente?, Quaestiones naturales, De aeternitate mundi, da P. Mandonnet in S. de B. et l'averroïsme latin au XIIIe siècle, II (Textes inédits), Lovanio 1908 (vol. VII della collez. Les philosophes belges). Tra gli altri testi editi in età moderna (la condanna ecclesiastica spiega come nessuna stampa si sia avuta prima: e gli stessi manoscritti superstiti hanno spesso, nei punti più eterodossi, righe fittamente cancellate) sono anzitutto da ricordare gl'Impossibilia, pubblicati da Cl. Bäumker (Die Impossibilia des S. von B. Eine philos. Streitschrift aus dem XIII. Jahrhundert, Münster i. V. 1898 = Beitrage zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, II, v1. Per le altre pubblicazioni e ricerche di scritti di S. v. il sotto citato Ueberweg-Geyer, pp. 447 e 449-54). Gl'Impossibilia, che il Bäumker riteneva opera di un avversario di S., intento a confutare tesi paradossali di S. stesso (quod deus non est; quod omnia quae nobis apparent sunt simulacra et sicut somnia, ecc.), sono in realtà il documento di un corso di lezioni del S., che esercitava i suoi scolari a scoprire gli errori di tali affermazioni. L'aspetto più concretamente negativo del pensiero del S. consisteva bensì nella polemica che egli muoveva contro quell'adattamento della filosofia aristotelica alla teologia cristiana, che si era venuto compiendo per opera di Alberto Magno e di Tommaso d'Aquino. Punto di partenza della speculazione di S. era stato infatti uno studio approfondito delle opere aristoteliche, documentato anche da alcuni frammenti superstiti di sue Quaestiones, cioè di suoi commentarî critici ad alcune di quelle opere. In base a tale studio S. poteva bene affermare come le principali tesi del pensiero aristotelico fossero affatto inconciliabili con le concezioni ortodosse del cristianesimo. Il mondo non è creato, ma è eterno; l'anima come forma del corpo non sopravvive al corpo, e d'altronde, in quanto pura forma, non potrebbe soffrire le pene corporee dell'aldilà; la volontà umana non è libera, ma retta dalla cosmica determinazione razionale, che si riflette nel corso degli astri; Dio non conosce che sé medesimo, quindi non sa nulla del mondo e non provvede ad esso; ecc. Altre tesi, come la dottrina della trascendenza totale dell'intelletto, non solo attivo ma anche passivo, rispetto all'anima umana risentono dell'interpretazione averroistica di Aristotele (così come averroistica, per quanto non compaia nelle pagine di Averroè, si dice la dottrina della "doppia verità" - per cui la verità filosofica è da tenere affatto separata dalla verità teologica, in sé indimostrabile e quindi non congruente con la prima - che sembra sia stata sostenuta anche da S.). Ma nella sostanza, meglio che campione dell'averroismo, S. dovrebbe dirsi difensore dell'aristotelismo storicamente adeguato contro quella deformazione dell'aristotelismo stesso che rendeva possibile alla teologia domenicana di adattarlo ai dogmi del cristianesimo (quando naturalmente s'intenda, come in questo caso è necessario, per aristotelismo storicamente adeguato quello del medio e tardo Aristotele, cioè quello dei cosiddetti "trattati didattici", a cui unicamente si riferivano tanto S. quanto i suoi avversatî).
Si può quindi affermare che, se nel conflitto per il consenso ecclesiastico fosse toccata a S. la vittoria che invece toccò a Tommaso d'Aquino, sulla tradizione cristiana non avrebbe gravato il secolare equivoco della teologia aristotelico-tomistica.
Per tutto ciò è assai singolare come Dante assegni a S. un posto in Paradiso, e ne faccia tessere l'alto elogio proprio da San Tommaso (Par., X, 133-38). Si è quindi posto il problema dell'intento seguito da Dante in questa raffigurazione. Ha Dante ignorato, o non creduto vera, la condanna di S.? Oppure è in Dante traccia di un tendenziale "averroismo"? Più probabile, forse, è che Dante abbia avvertito la grandezza umana e mentale di S. e abbia voluto così rivendicarla, senza d'altronde ben comprendere l'inconciliabilità del dissidio che divideva il suo pensiero da quello tomistico. La questione resta comunque assai oscura.
Bibl.: Fondamentali per la progressiva ricostruzione della figura di S. (che prima si riteneva convertito dall'averroismo al tomismo) sono la trattazione del Bäumker nella citata ediz. degl'Impossibilia; il vol. I della cit. opera del Mandonnet (Étude critique, Lovanio 1911: vol. VI della collez. Les philosophes belges) e i varî studi e testi di M. Grabmann, elencati in F. Ueberweg, Grundriss d. Gesch. d. Philos., II, a cura di B. Geyer, 2ª ed., Berlino 1928, pp. 447, 449-54, 757-58 (da consultare inoltre, in generale, per la bibliografia). Sulla questione del modo in cui Dante conobbe e valutò S. v. B. Nardi, S. di B. nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante, in Rivista di filosofia neoscolastica, 1911-1912 e in estratto, Firenze 1912; per la polemica suscitata dalla sua tesi dell'averroismo dantesco v. gli scritti elencati in Ueberweg-Geyer, loc. cit., pagine 757-58 e 777.