CONTI (de' Conti, de Comitibus, Comes, Comitius), Sigismondo
Nacque a Foligno nel 1432 da Astorello, della nobile famiglia dei Conti (della madre si ignora il nome e l'origine).
Nessun documento fornisce l'indicazione precisa della nascita del C.; per questa ci si basa sull'attestazione del Dorio (p. 129), secondo cui egli morì ottantenne nel 1512. Il Mengozzi (p. 171), senza produrre documenti, sostiene che nacque sette anni prima che il cardinale G. Vitelleschi, per incarico del pontefice Eugenio. IV, scacciasse da Foligno Corrado Trinci (1439). Fondandosi sull'affermazione dello stesso C. (Hist., XIII, 10 = II, p. 218 Racioppi), di essere "admodum puer" al momento del giubileo di Niccolò V (1450), il Racioppi (seguito dal Gottlob, p. 306) ne colloca la nascita verso il 1440.
I Conti erano una diramazione dell'antica casata dei Trinci, che aveva tenuto la signoria di Foligno fino al 1439; oltre al nome, Astorello aveva anche diritto al titolo di conte sui feudi di Antignano e Corcorone, e possedeva territori e castelli nella regione di Spoleto e Todi. La sua famiglia, i cui privilegi venivano fatti risalire a Federico Barbarossa (Jacobilli, p. 252), aveva una ricca tradizione in fatto di ecclesiastici e di uomini d'arme. Rimasto orfano del padre (il fratello maggiore Monaldo moriva nel 1472), ed essendo morti gli zii paterni Battista e Gentile (o troppo anziani per avere figli), il C., che forse mirava alla carriera ecclesiastica, anche per esortazione dei parenti sposò poco dopo (alla fine del 1472) Allegrezza (o Letizia) degli Atti (o Azzi) di nobile famiglia di Foligno, anticamente originaria di Todi. Ebbe, che si sappia, tre figli: Gianfrancesco, continuatore della professione patema; Pressilla, che andò sposa al marchese Elmi di Foligno e poi al conte Cesare Bentivoglio di Gubbio; e Cecilia, moglie di Troilo Boncompagni. Il Gottlob (p. 307) ricorda un quarto figlio, Gian Antonio, nommato il 13 giugno 1513 "conservator" di Viterbo da Leone X (Arch. Segr. Vat., Reg. Offic. Leonis X, p. 184, n. 3157), a meno che non si tratti di un nipote. Il C. effettuò i suoi primi studi entro le pareti domestiche, sotto la guida del padre e di maestri privati, segnalandosi per le sue eccellenti doti d'ingegno. Perciò Astorello decise di mandarlo a Roma, affinché potesse perfezionarvi la sua preparazione umanistica. probabilmente verso il 1460.
Il Mengozzi (p. 171), basandosi sul fatto che nelle sue "Storie" (III, 4 = II, p. 108 Racioppi) il C. mostra di aver conosciuto direttamente Andrea Vallense, avvocato concistoriale (morto nel 1471), ritiene che l'introduzione nella cerchia papale sia anteriore al 1471. Un'invenzione del Racioppi (I, pp. XVI-XVII) sembra la notizia che il C. abbia frequentato a Perugia la facoltà di diritto canonico e civile e qui abbia appreso il greco. Il Gottlob (p. 306), che segue il Racioppi, pqnsa che il grado di "magister", attribuitogli più tardi (dal 1485) nei documenti ufficiali, comprovi una sua frequenza universitaria.
A Roma il C. fu uditore dei principali maestri del tempo: Giorgio Trapezunzio, Giovanni Platina, Gioviano Pontano, Teodoro Gaza, Ermolao Barbaro, Paolo Cortesi. Alla loro scuola apprese il latino e il greco e in generale rafforzò la sua innata predisposizione allo studio dei classici. Al periodo del suo apprendistato va riferita l'amicizia con il giureconsulto napoletano Alessandro D'Alessandro, destinata a continuare proficuamente. In questi anni il C. si dedicò anche alla poesia con discreti risultati, se è vero che il Pandoni in una sua elegia, il cui termnus ante quem è il 1464, lo definiva "degno dell'onore della lira arcadica" (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 1670; Racioppi, p. XVIII), mentre in una lettera del 1471 a Gentile di Urbino Giovanni Campano lodava la facoltà poetica del C., egualmente abile nel trattare temi amorosi ed epici (Opera, c. 49r). La produzione poetica del giovane non si discostava quindi da quella degli umanisti del tempo: componimenti elegiaci di tipo idillico-pastorale (di cui restano alcune tracce), epilli che invece sono andati del tutto perduti.
Secondo una moda diffusa nelle cerchie colte che facevano capo all'Accademia Romana, il C. concorse con i suoi versi alla formazione di antologie poetiche di componimenti funebri. Possediamo un suo epicedio nella raccolta occasionata dalla morte di Alessandro Cinuzzi, il paggio adolescente di Girolamo Riario, stampata a Roma nel 1474 (Pastor, II, p. 631). Recentemente il Weiss ha trovato un altro epitaffio elegiaco del C., scritto per la morte di Orsino Lanfredini, figlio giovinetto dell'ambasciatore fiorentino a Roma, nell'antologia contenuta in un codice londinese. Un epigramma di tipo ecfrastico, probabile descrizione di un bassorilievo funerario rappresentante una giovane donna, fu composto per il funerale di G. Quinteri di Lodi (pubblicato dal Ciampi, pp. 87-88, nel 1878). Alcuni carmi latini tuttora inediti si trovano in codici miscellanei di Foligno, insieme con due sonetti volgari di argomento sacro-morale. Si tratta di opere giovanili che, tranne qualche accento commosso, contenuto negli epicedi per il Cinuzzi e per il Lanfredini, non escono mai dalla convenzionalità.
L'abilità poetica e la preparazione culturale segnalarono ben presto il C. nell'ambiente della Curia romana. Nel 1469 egli ricopriva la carica di "scrittore" di Leonardo Dati, vescovo di Massa; nel novembre, essendo caduto ammalato, il pontefice Paolo II, tramite il cardinale Marco Barbo, gli mandava un soccorso in denaro (Arch. Segr. Vat., Arch. Rom., Computa cubicularii 1468-1471, c. 27rv). La prima carica ufficiale sembra essergli stata conferita da Sisto IV, che il 25 agosto del 1471 lo destinò cancelliere di Foligno (Ibid., Reg. Offic. Sixti IV, II, C. 29v), e ciò corrisponde a quanto dice lo stesso C. (Hist., IX, 10 = II, p. 40 Racioppi), che nel 1482 da quasidodici anni era stato applicato "dictandis scribendisque epistolis pontificiis". Lo stesso Sisto IV con bolla in data 26 nov. 1478 (riportata dal Mengozzi, p. 180) concesse al C. e ai suoi concittadini alcune immunità fiscali: entrambi i decreti si conservano nell'Archivio comunale di Foligno. Sotto Giulio Il egli ottenne per i Folignesi uno sgravio delle imposte che erano state introdotte da Alessandro VI. Privatamente, il C. provvide a restaurare mura e chiese di Foligno, e ne finanziò anche le scuole.
Il Dorio (Historia, p. 128) attribuisce la nomina del C. a cancelliere di Foligno e "custode" della città a Paolo II, nel 1466; il Racioppi (I, p. XVII) osserva che la nomina fu forse temporanea, non essendo suffragata da documenti sicuri come quella di Sisto IV (Marini, II, 1784, p. 206). Noi sappiamo che il C. tenne la carica di cancelliere della Comunità fino alla morte, ottenendo di farsi rappresentare in sua assenza da Michelangelo Grilli, nominato dal cardinale di Pavia. Nel 1483 e nel 1494 (Foligno, Arch. com., Riformanze 1482-1487, ff. 85-87; 1488-1494, ff. 196-208) il C. fu "capopriore" (Dorio; seguito dal Gottlob, p. 307; dubbioso Racioppi, I, p. XVII) e ricoprì inoltre cariche minori, come quella di castellano di Colfiorito (1475), di Rasiglia (1483, soprintendente di Foligno (1497): Foligno, Arch. com., Riform. 1472-1475) f. 1; 1482-1487, f. 78; 1498-1502, f. 106. Negli anni 1483, 1486, 1494-95 il C. tenne l'incarico di gonfaloniere della sua città (Mengozzi, p. 174).Nel 1473 il C., che si definisce in essa "scriptor brevium", rivolge al pontefice l'orazione Pro secretariis (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 2934., ff. 591 ss.), che era stata redatta per la commissione cardinalizia che doveva appianare il conflitto di priorità esistente tra i segretari e gli avvocati concistoriali. In essa, appoggiandosi ad alcune disposizioni di Paolo II favorevoli ai segretari, cerca di far prevalere la dignità dei primi sugli avvocati, non mosso da odio, ma da amore per la giustizia (Ciampi, p. 87). E nonostante allora per la prima volta egli fosse scrittore dei brevi e ancora alle dipendenze di Leonardo Dati, segretario domestico del papa, al suo discorso non si può negare imparzi , alità (Hofmann, II, p. 152). Il 29 ott. 1476, con decreto di Sisto IV (Arch. Segr. Vat., Reg. Offic. SixtiIV, III, cc. 25-26), il C. veniva nominato "scrittore apostolico" (il suo diritto a questa carica risaliva al 15 marzo 1474, cfr. Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 652, f. 196) in sostituzione di Ardinghieri Orinate, avendo come colleghi, fra gli altri, Gaspare Biondi, Iacopo Maffei, Giampietro Arrivabene, Gianlorenzo Veneto. Seppe conquistarsi la fiducia di pontefici e cardinali, tanto che nel 1480, per usare le sue parole, "agebam... ego in Belgis iussu Sixti Pontificis, Iulianum Cardinalem... secutus" (Hist., III, 4 = I, p. 108 Racioppi), come uditore per una nunziatura biennale. Di qui ebbe inizio il favore costante di cui il C. godette in seguito da parte di Giuliano Della Rovere, il futuro Giulio II.
Nel frattempo egli entrava di diritto in quel libero cenacolo di amici, poeti e studiosi che era l'Accademia Romana, presieduta dal Platina sotto il patrocinio di Pomponio Leto. A questo periodo appartiene l'elegia che egli scrisse per commemorare la morte del Platina, avvenuta nel settembre 1481 (cfr. B. Platina, Vitae pontificum..., Diversorum..., Coloniae 1652, App., p. 95), che si interseca con la sua nomina a segretario papale, il 10 dic. dello stesso anno, al posto di Marcello Rustici (Arch. Segr. Vat., Reg. Offic. Sixti IV, III, cc. 25-26; Reg. Vat. 658, f. 176). Su questa carica, come risulta dal Reg. Vat. 652, f. 196, egli poteva vantare il diritto fin dal 15 marzo 1474 (Hofmann, II, p. 116). Quale fiducia Sisto IV nutrisse nelle capacità del C. è dimostrato dal fatto che egli fu inviato nel 1482 in missione a Venezia, onde far cessare la Repubblica dalla guerra contro Ferrara: la sua scelta come ambasciatore, dice (Hist., II, 4 = I, p. 158 Racioppi); fu dovuta "non all'eloquenza, ma al mio ingegno mite e mansueto". Ma nonostante la sua diligenza nell'esporre le proposte di Sisto IV al doge G. Mocenigo e al Senato di Venezia, e nel perorarne l'attuazione la sua missione tuttavia si concluse senza lo sperato successo, cosa che pure non gli alienò il favore del pontefice. Dal 1482 al 4 genn. 1502, quando forse per l'età, forse per il desiderio di dedicarsi a scrivere le proprie storie, forse per un disaccordo con papa Borgia, rassegnò le sue dimissioni (Reg. Vat. 878, f. 13), il C. tenne l'incarico di segretario "partecipante" sotto Sisto IV, Innocenzo VIII e Alessandro VI, che gli permise di conservame il titolo, le insegne e le dignità, anche quale privato (Arch. Segr. Vat., Reg. Offic. Alexandri VI, III, c. 13).
Dopo un breve periodo, il C. fu richiamato alla segreteria da papa Giulio II, che intendeva utilizzarne l'esperienza e l'equilibrio nelle difficili questioni politiche che, dopo la morte del Borgia, si presentavano al suo pontificato; fu nominato segretario "domestico" il 13 sett. 1504. alla morte di Daniello di San Sebastiano (Reg. Vat. 892, f. 198), sebbene tale carica secondo la legge avrebbe dovuto cessare. Divenne poi segretario "politico" nell'aprile del 1505 (Monaco di Baviera, Bayer. Staatsbibl., cod. Mon. lat. 143: J. Burckard, Diarii, III, f. 385), e nonostante le proteste del Collegio fu confermato in tale ufficio, che tenne fino alla morte, il 29 genn. 1506 (Reg. Vat. 925, f. 62). Il suo incarico principale era quello di redigere le epistole e i brevi del pontefice (attività che aveva intrapreso già quando, con Domenico Galletti, era "famulus et adiutor in conscribendis brevibus": Gaspare da Verona, Le vite, pp. 63-64). Di questo si conservano parecchi esempi negli archivi e nei registri vaticani, oltre che in opere a stampa, specialmente per gli anni dal 1504 al 1512 (Arch. Segr. Vat., Brevia Iulii II, cod. 22, passim), firmati dal C. che nel 1509 compare con il titolo di "secretarius per cameram expediens" (Hofmann, II, p. 158).
Il C. aveva ancora l'incarico di introdurre nel pubblico concistoro gli ambasciatori degli Stati stranieri e di leggere le credenziali e le comunicazioni epistolari dei loro governanti, facendone la traduzione, se in lingua straniera (Burckard, Liber..., II, p. 478). Fu perciò spettatore e conoscitore di tutti gli aspetti della politica pontificia, degli atti ufficiali come dei retroscena e degli intrighi. Ebbe molta influenza sui vari pontefici di cui fu segretario, ma in particolare sull'irruento Giulio II. Antonio Giustinian, ambasciatore di Venezia presso la S. Sede, consigliava il suo governo con lettera da Roma 1°genn. 1504 di "accarezzare" il segretario di Sua Santità "Sigismondo da Foligno, speditore di brevi, che già è favorevole alla Repubblica", donandogli "tante braccia di scarlatto da tagliame un mantello... ed altrettante di zambellotto" (Dispacci, II, p. 369), come poi fu fatto entro il 13 sett. 1504 (ibid., III, p. 234). Risulta di qui che, benché ancora non fosse stato nominato ufficialmente, il C. svolgesse di fatto l'ufficio di segretario particolare di Giulio II, e potesse itifluenzarne le decisioni.
Il Dorio (p. 128) afferma che il C. venne nominato prefetto della "Reverenda Fabbrica di S. Pietro", e questa nomina è stata poi messa in rapporto da alcuni studiosi (Pastor, III, 1912, p. 717; Racioppi, p. XXIII) con la sua commissione a Raffaello di un quadro votivo, la famosa Madonna di Foligno. Ma nessun'altra testimonianza (ufficiale o autobiografica) conferma tale incarico (Mengozzi, p. 186). È probabile che il Dorio abbia equivocato con un altro documento, ad esempio il breve dei febbraio 1483 (Arch. Segr. Vat., Reg. Offic. Sixti IV, I, f 38, n. 150), in cui Sisto IV riconosceva al C. la proprietà di una casa in Foligno, in cambio di un suo donativo a favore della chiesa e della sua fabbrica in quella città; nello stesso errore cade ancora il Dorio quando riferisce (Historia, pp. 127, 130) che il C. lasciò per disposizione testamentaria, qualora la sua famiglia si fosse estinta, che le sue sostanze andassero, oltre al duomo di Foligno, alla Fabbrica di S. Pietro (Pastor, III, p. 737n. 1; Racioppi, p. XXXIII). In realtà, alla morte dei nipote Ludovico, ultimo rappresentante della famiglia, in virtù di un patto testamentario, stretto con Antonio Seggio e autenticato dalla firma di Paolo III (rintracciato dal Mengozzi, pp. 186-87), alla Fabbrica del duomo di Foligno toccarono 3.000scudi d'oro dell'eredità dei Conti. Del resto l'osservazione del C. stesso (Hist., XVI, 4 = II, p. 344 Racioppi) che i lavori di S. Pietro nel 1504-1505 non proseguissero per gli indugi dei Bramante, sembra dovuta a rancore personale e ad incompetenza, forse per l'esclusione del C. da un incarico ambito quale la direzione dell'opera.
È logico che per l'adempimento delle sue mansioni il C. risiedesse in Vaticano e fosse quasi sempre a diretto contatto del pontefice; egli abitava, a Roma, in una villa sul Gianicolo, ricca di acque, giardini, frutteti (D'Alessandro, p. 316), dove, nelle ore libere, raccoglieva in dotte discussioni i propri amici, il fiore della società colta dei tempo, come Pietro Bembo, Iacopo Sadoleto, Filippo Beroaldo seniore e il giurista Alessandro D'Alessandro. Il Bembo ne fece con se stesso, Beroaldo e Sadoleto uno degli interlocutori del suo dialogo De Urbini ducibus (ambientato nel 1510), e ne lodò l'eleganza quale scrittore delle epistole pontificie e la fedeltà come amico e segretario del papa (p. 298), rappresentandolo continuamente occupato nel suo ufficio, al punto di non poter raccogliere l'invito del Bembo stesso a scrivere la storia di Guidobaldo di Montefeltro (ibid.). Inoltre, con lettera datata 25 nov. 1510 il Bembo, affermando di averlo introdotto nel dialogo perché vi conferisse autorevolezza e dottrina, sollecitava il C. affinché lo esaminasse e vi "eliminasse o correggesse quanto urtava il suo gusto" (Epist. fam., p. 200).
Negli "otia" del suo ufficio, confortato da amici e ammiratori, il C. venne componendo un'ampia opera storica, le Historiae suorum temporum, per cui gli furono preziose le sue esperienze personali ele possibilità di accedere agli archivi pontifici. Stando alla prefazione del Libellus de compluribus verbis communibus (Venetiis 1505) che Lorenzo Astemio gli dedicò nel 1505, il C. verso il 1480, prima di partire per il Belgio con Giuliano Della Rovere, aveva già scritto almeno due libri di storie. In due lettere a Iacopo Antiquari (una del 1492, l'altra di poco precedente), affermava di aver proseguito la sua trattazione fino alla morte di Innocenzo VIII (luglio 1492). L'Antiquari gli scrisse in data 3 sett. 1505 alludendo a un suo "secessus", in cui il C. si era dedicato alla composizione delle sue storie: si tratta del periodo in cui egli non era stato effettivamente segretario, ma aveva ripreso da poco l'ufficio, dietro l'insistenza di Giulio II (come fa capire il C. nella lettera di risposta all'Antiquari.).
Le Historiae non furono stampate, forse perché al momento della morte dell'autore esse non avevano ancora ricevuto la stesura definitiva. Circolarono manoscritte e furono conosciute da studiosi e letterati, anche se non nella redazione originale. Le citano il ferrarese Felino Sandeo nella sua De regibus Siciliae et Apuliae epitome (Hannoverae 1611), dedicata a papa Alessandro VI, e il Sansovino nella sua Historia di casa Orsina (Venezia 1565), ma successivamente esse caddero nell'oblio. Nella fioritura erudita del sec. XVIII, anche l'opera dei C. venne presa in considerazione, per essere pubblicata, dall'Accademia fulginate dei Rinvigoriti. Ma, dopo alteme vicende, la stampa poté essere effettuata in due riprese, utilizzando codici milanesi, lucchesi, folignesi dal Melchiorri (Roma 1853) per il primo volume (libri IVIII) e dal Racioppi (Roma 1883) per il secondo (libri IX-XVII), con traduzione italiana a fianco dello Zanelli (vol. I) e del Calabrò (vol. II) Il Racioppi riscontrava nell'ordine dell'opera interruzioni, lacune e incongruenze (che forse risalgono all'autore), sospettando che la divisione in diciassette libri non fosse quella originaria del C. (tuttavia il disegno del lavoro appare integro). Le Historiae del C., in quanto trattano di avvenimenti a lui contemporanei, rivestono un certo valore, non essendo sempre facile per gli studiosi moderni ricostruire i fili di una politica come quella dei pontefici. Il C. non è storico originale o di profonde vedute: egli distribuisce la sua materia secondo un criterio annalistico, cercando di far corrispondere un libro a un anno (1480: libro II; 1481, libro III; 1482: libro IV), ma è poi costretto dalla complessità degli avvenimenti a introdurre digressioni (ad esempio, quella sull'assedio turco di Rodi, Hist., III, 2 = I, pp. 102-109 Racioppi) e a rendere più rapido il ritmo della narrazione (1490-95: libri IX-X; 1499-1510: libri XIII-XVII). Raramente specifica le date; di solito le sue formule sono vaghe, riprese dalla tradizione annalistica della storiografia antica, da Tucidide (nella traduzione latina del Valla) a Tito Livio. Secondo la moda classica, il C. inserisce nelle sue storie anche numerosi discorsi, lettere, citazioni poetiche.
Nonostante questo, lo stile del C. non sempre mostra quell'eleganza che tutti i contemporanei gli riconoscevano; egli se ne rende conto quando afferma di non aver voluto mutare lo scorretto latino della bolla di Innocenzo VI-II per non alterarne il contenuto (V, 8 = I, p. 222 Racioppi). Ma agli studiosi moderni la sua lingua dà l'impressione di essere "placida, fluida e non sprovvista di una certa eleganza classica" (Gottiob, p 311), la forma "grave, decorosa, oratoria (Racioppi, p. XXVII). Da buon amico del Bembo, il C. si preoccupa di dare al suo stile un solido impianto ciceroniano, e, di rendere o atteggiare classicamente sia usi e costumi, sia denominazioni di Oggetti o strumenti sconosciuti agli antichi. Il valore della sua opera deve certo essere oggi ridimensionato rispetto alle lodi dei suoi contemporanei: è innegabile nelle sue "Storie" l'intenzione di dare un affresco del suo tempo non limitato alle cose d'Italia, ma configurato secondo una prospettiva che facesse capo a Roma e alla Curia romana. Ma più che interpretare i fatti e collegarli individuandone i nessi più profondi secondo l'abito del vero storico, il C. si restringe per lo più a descriverli, senza intervenire personalmente se non per commentarli da un punto di vista religioso-moralistico e comunque filopontificio. La critica tedesca è piuttosto severa con l'opera del C.: il Gottlob (p. 312) lo giudica un "curialista", alla cui opera fa difetto un sempre obiettivo giudizio delle persone e delle cose; mentre il Gregorovius, salvo a valersene in molti punti della sua Storia di Roma, lo accusa di scarsa perspicacia, ne fa un panegirista del Papato cui mancano sia "il grave amore della verità dello storico sia la fedeltà del diarista" (p. 2396). Il Pastor lo utilizza largamente come fonte nel seondo e nel terzo volume della sua Storia dei papi, e, pur constatandone alcune inesattezze o dimenticanze, ne cita anche numerosi passi testualmente.
Il C. è meritatamente famoso anche per aver incaricato Raffaello Sanzio di dipingere la cosidetta Madonna di Foligno. La figura in basso a destra, in atteggiamento devoto, è quella dello stesso C., inginocchiato in atteggiamento di ringraziare la Vergine per averlo salvato dalla caduta di un fulmine o meteorite (altri pensa a una palla di cannone) caduto sulla sua casa di Foligno. Il C., protetto e annunziato da s. Gerolamo, presenta una fisionomia dai tratti molto marcati, accentuati evidentemente dalla tarda età. Veste la cappa rossa del cubiculario pontificio. Si tende ad attribuire oggi questa tavola al 1512. Secondo Redig de Campos (p. 194), essa sarebbe stata iniziata negli ultimi mesi di vita del C. e, terminata dopo la sua morte, collocata come dono votivo del defunto sull'altare maggiore dell'Aracoeli, dove appunto fu sepolto il Conti.
La morte del C. avvenne in Roma il 23 febbr. 1512 (Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 3920, f. 49 r). Fu sepolto, come si è detto, nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, dove dal 1547 una lapide posta dalla sorella e dal nipote Ludovico lo ricordava come segretario pontificio e storiografo.
Manoscritti delle opere inedite del C. si trovano a Foligno, Bibl. lacobilli, codd. 93 (A.IV.12), t. I, p. 36 (rime); 177 (B.I.4), cc. 55-56 (sonetti); 258 (B.IV.8), t. III (carmina); Venezia, Bibl. naz. Marc., Mss. lat. XI80 (= 3057), f. 372 (Oraz.); Verona, Bibl. capit., CCLVII, ff. 252-261 (versi latini "ad Petrum Card. S. Xysti"); Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 2934, ff. 591-603v (oraz. "pro secretariis ad Sistum IIII", riprodotta parzial. dal Ciampi, p. 87); Var. lat. 3912, f. 97 (lettera); Londra, British Library, Add. Mss. 22, 805, f. 14v (elegia funebre per Orsino Lanfredini: ne dà notizia R. Weiss).
Sono invece edite del C.: A lexandri pueri Senensis multorum nostri temporis poetarum epigrammata, Romae 1474; B. Piatina, Vitae Pontificuni... Diversorum in Platinam Panegyrici (App.), Coloniae 1562, p. 95; M. Faloci Pulignani, Vita di S. de Comitibus scritta dall'abate Mengozzi, in Boll. d. Deputazione di storia patria per l'Umbria, XIII (1907), p. 188 (lettera al card. lacopo Ammannati, vescovo di Pavia, anteriore certo al 1472); I. Ciampi, Dei libri: "Historiarum sui temporis" di S. de' C. da Foligno, in Arch. stor. ital., s. 4, I (1878) pp. 87-88 (epigramma funebre per una giovane donna riprodotto con miglieramenti testuali anche dal Racioppi, p. XXXIV n. 63); G. B. Verrniglioli, Memorie di lacopo Antiquari, Perugia 1813, pp. 407-408 (due lettere a I. Antiquari, una anteriore all'anno, 1492, l'altra datata 5 dicembre 1492); G. Racioppi, S. del C. da Foligno. Le Storie de' suoi tempi dal 1475 al 1510, I, Roma 1883, pp. 405 ss. (lettera consolatoria a FrancAesco Piccolomini cardinale di Siena per la morte dei fratello Antonio, duca di Melfi, dal cod. Orfini di Foligno; ma esiste anche nel cod. della Bibl. capit. di Lucca, 544, f 526); G. Marini, Degli archiatri pontifici, II, Roma 1784, p. 254 (lettera a I. Antiquari, s.d., ma posteriore al settembre 1505). Non si può escludere che esistano altre opere del C. (in versi o in prosa) disperse per miscellanee e antologie, inedite o a stampa.
Gianfrancesco, nato nel 1477, primogenito del C., a tredici anni fu nominato "sollicitator" il 5 magg. 1490 (Arch. Segr. Vat., Reg. Vat. 695, f. 219v), rassegnò le dimissioni in quanto tale nel gennaio del 1509 (Ibid., Reg. Vat. 990, f. 116v); scrittore apostolico fin dal 1498 (Ibid., Reg. offic. Aleandri VI, f. 246), fu nominato segretario il 1° marzo 1511 (Ibid., Reg. Vat. 953, f. 378v) e mantenne questa carica sotto Leone X e Clemente VII. Morì nel 1534 e con la scomparsa del suo terzogenito Ludovico si estinse nel 1545 la casata dei Conti.
Fonti e Bibl.: I. A. Campanus, Opera omnia, Venetiis 1502, Epist., c. 49r; P. Bembo, De Guido Ubaldo Feretrio, in Opera, IV, Venetiis 1729, pp. 273-76, 296 ss.; Id., Epist. familiares, ibid., V, 2, p. 200; A. D'Alessandro. Genialium dierum l. VI, Parisiis 1561, p. 316; Gaspare da Verona-Michele Canensi, Le vite di Paolo II, in Rerum lialic. Script., 2 ed., III, 16, a cura di G. Zippel, pp. 63-64; I. Burchardi Liber notarum ab anno MCCCCLXXXIII usque ad annum MDVI, ibid., XXXII, 1, a cura di E. Celani, vol. II, pp. 451, 460, 478, 506, 522; L. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum, in Opera, II, Basileae 1580, p. 534; A: Giustinian, Dispacci, a cura di P. Villari, Firenze 1876, II, p. 369; III, p. 234; D. Dorio, Historia della fam. Trinci signori di Foligno e di altre nobili d'Italia riunite ad essa, Foligno 1638, pp. 124-129; L. Jacobilli, Bibliothecae Umbriae, Fulginiae 1658, pp. 251-252; P. F. C. Romano, Memorie stor. della chiesa e del convento di S. Maria in Aracoeli, Roma 1736, pp. 142-1-44; P. Bayle, Dict. histor. et critique, II, Amsterdam 1740, p. 516, s.v. Fulginas; F. Bonamici, De claris pontificiarum epist. scriptor., Romae 1770, pp. 78, 196 ss., 217; G. Marini, Degli archiatri pontifici, cit., pp. 206, 254 S.; L. Leonii, Notizie intorno alla vita di S. de' C., Perugia 1864; I. Ciampi, Dei libri: "Historiarum suitemporis"..., in Arch. stor. ital., s. 4, I (1878), pp. 71-97; G. Melchiorri-G. Racioppi, S. dei C. da Foligno..., I, Roma 1883 (recensione di A, Ceruti, in Archivio storico italiano, XII [1883], pp. 265-73; e di M. Faloci-Pulignani, in Arch. stor. per le Marche e l'Umbria, I [1884] pp. 638-649); M. Faloci Pulignani, S. de Comitibus, in Il Topino (Foligno), I (1885), 26 (pubblica la "vita" del C. di Bartolomeo Alfeo, inedita in un codice di Ancona); A. Gottlob, S. de' C. da Foligno, le storie de' suoi tempi, in Histor. Jahrbuch, VII (1886), pp. 304-323; M. Faloci Pulignani, Vita, in Boll. d. Dep. di st. parr. per l'Umbria, XIII (1907), pp. 150-196; J. Cartwright, B. Castiglione, the perfect courrier, his life and letters, I, New York 1908, p. 244; E. Filippini, L'Accad, dei Rinvigoriti di Foligno, I, Perugia 1911, pp. 39, 67, 92 s.; L. von Pastor, Storia dei Papi, II, Roma 1911, pp. 564 s., 623, 628, 631 s.; III, ibid. 1912, pp. 717 s., 722; W. von Hofmann, Forschungen zur Gesch. der Kirrialen Behörden von Schisma bis zur Reformation, II, Roma 1914, pp. 116, 120, 124, 152, 157, 177; E. Filippini, G. Pagliarini e la storia di S. del C., in La Bibliofilia, XLI (1939), pp. 177-204; R. Weiss, In obitu Ursini Lanfredini, in Italia medioev. e umanisi., II (1959), pp. 353-66; D. Redig De Campos, La "Madonna di Foligno" di Raffaello, in Rdmische Forsch. der Bibliotheca Hertziana, XVI (1961), pp. 185-194; M. Brizio, in Encicl. univ. dell'arte, XI, Venezia-Roma 1963, p. 233, s.v. Raffaello; C. Falconi, Storia dei Papi, IV, Roma 1972, pp. 75, 86; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medio Evo, III, Torino 1973, pp. 2385, 2396 s.; G. Mazzatinti-A. Sorbelli, Inv. dei mss. delle Bibl. d'Italia, XLI, pp. 35, 74, 93; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 256; II, pp. 254, 297, 566; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, II, Boston, Mass., 1962, p. 1067.