SILENZIO
. Religione. - Il valore religioso del silenzio dipende soprattutto da due motivi: 1. esso è il mezzo più efficace per far raccogliere e quasi ripiegar l'anima su sé stessa, strappandola ai pensieri, alle occupazioni, alle relazioni della vita esteriore: condizione essenziale, questa, per orientarla verso la divinità, e metterla in grado di riceverne la rivelazione (silenzio di attesa); 2. esso è il modo più degno mediante il quale l'anima già rivolta verso la divinità con il silenzio di attesa, ne sostiene la presenza e ne riceve la rivelazione: chi osa parlare avanti al re dei re? e anche il più adatto per la divinità la quale si rivela intimamente solo attraverso la calma di tutte le cose (silenzio sacramentale).
Infatti le liturgie nel momento della rivelazione imminente della divinità tacciono e impongono il silenzio (con formule, come le romane favete linguis! parcito linguam! o con suoni di campanello o di altri strumenti, ecc.) perché non sanno trovare parole adeguate per trasmettere alla divinità i sentimenti dell'individuo o del gruppo: quel silenzio vale a esprimere meglio di qualunque parola l'intimo senso di chi riceve la manifestazione della divinità, alimenta l'unione dell'anima con la medesima e la mantiene al suo livello più alto.
Oltre a questo silenzio di valore strettamente mistico, è prescritto in taluni casi un'altra specie di silenzio (reticenza mistica), che si riferisce al divieto di comunicare ad altri la rivelazione o l'esperienza religiosa, sia perché questa è ritenuta come favore così alto e geloso da non potersi comunicare a tutti sotto pena di fare un torto alla divinità rivelatrice sia perché si rischia di trovare orecchi incapaci di apprezzarla.
In Grecia i misteri eleusini hanno osservato entrambi i precetti del silenzio mistico e della reticenza mistica e questa disciplina dell'arcano la si ritrova anche nei misteri dell'Oriente ellenistico (Iside, Cibele, ecc.) e nel cristianesimo.
Presso gli Orfici e i Pitagorici vigeva la legge del silenzio (ἐχεμυϑία, σιωπή) e della reticenza. Lo stesso si riscontra in Platone, sebbene in lui la prescrizione abbia un motivo più filosofico che strettamente religioso; ma soprattutto nei neoplatonici da Plotino a Damascio la legge del silenzio mistico riceve gli sviluppi maggiori. Il movimento intellettualmente affine degli gnostici apprezza a tal punto il silenzio da fare di esso (Σιγή) un eone: dall'accoppiamento del Silenzio con la Verità nascono la Ragione e la Vita.
Anche nella mistica musulmana il silenzio è l'espressione suprema del congiungimento con Dio. Nel buddhismo poi l'ingresso nel Nirvana è preceduto e accompagnato dal silenzio. La liturgia cattolica, pur essendo un insieme di gesti e di preghiere collettive, ha momenti di silenzio mistico, soprattutto quelli che precedono la consacrazione, la recita silenziosa di talune orazioni, la pausa durante la lettura del Passio alla menzione della morte di Gesù, la chiusa dell'officiatura delle tenebre, ecc.
Nel protestantesimo, il cui servizio liturgico è tutto a base di sermoni e di cantici, i Quaccheri hanno per primi introdotto il silenzio cultuale da essi chiamato "silenzio vivente", in quanto lo ritengono il principale veicolo della divinità nell'anima loro.
Bibl.: O. Casel, De philosohporum Graecorum silentio mystico, Giessen 1919; L. V. Hodgkin, Silent Worship, Londra 1921; R. Otto, Aufsätze, das Numinöse betreffend, Stoccarda 1923; G. Mensching, Das heilige Schweigen, Giessen 1926.