SILIO Italico (Ti. Catius Silius Italicus)
Poeta latino. La fonte principale della biografia di S. è Plinio il Giovane (Epist., III, 7), il quale annunzia a un amico che S. a settantacinque anni compiuti si era lasciato morire di fame. Poiché non è sicura la cronologia dell'epistolario di Plinio, non si può fissare con precisione l'anno della nascita di S. Il terminus ante quem è l'anno 35, perché S. fu console l'anno 68; il terminus post quem è l'anno 23, perché il novus princeps ricordato da Plinio (III, 7, 6) è Traiano: però con ogni probabilità la data di nascita è più vicina al secondo termine che al primo.
S. era stato caro a Nerone che lo fece console nell'anno 68, ultimo del suo regno e della sua vita. Però sotto Nerone la sua fama non era buona, perché si credeva che avesse fatto il delatore anche senza esservi stato costretto dal principe. Fu poi amico intimo di Vitellio. In questo periodo di potenza egli si comportò lodevolmente; così pure riportò gloria dal proconsolato dell'Asia al tempo di Vespasiano. Poi si ritirò a vita privata e passò il tempo fra gli studî e le conversazioni erudite. Il suo patrimonio era cospicuo: egli possedeva molte ville, fra cui una che già era stata di Cicerone e un'altra a Posillipo che comprendeva il sepolcro di Virgilio, e una quantità grandissima di libri, di statue, di quadri, d'opere d'arte. Già vecchio si ritirò nella Campania, dove si diede la morte, come si è detto. Non solo il genere di morte, ma anche una testimonianza di Epitteto (diss., 3, 8, 7), e alcuni luoghi del suo poema (XIII, 663; XV, 18), mostrano che egli seguiva la filosofia stoica. Aveva avuto due figli, di cui gli sopravvisse il maggiore, che sotto Domiziano era stato console. Poiché Marziale non lo ricorda mai come suo compatriota, il cognome Italicus non indica che era nato a Italica nella Spagna.
Ritiratosi dalla vita pubblica, S. attese soprattutto a scrivere un poema epico e ne lesse qualche parte in pubhlico. Il poema intitolato Punica in diciassette libri con poco più di dodicimila esametri è arrivato a noi per intero. Ha come argomento la seconda guerra punica.
Nei due primi libri si narra l'assedio e la caduta di Sagunto, nel terzo Annibale attraversa i Pirenei e le Alpi e porta la guerra in Italia, nel quarto e nel quinto vince i Romani al Ticino, alla Trebbia e al Trasimeno, nel sesto e nel settimo Fabio dittatore frena con la sua tattica temporeggiatrice l'impeto di Annibale, nell'ottavo, nel nono e nel decimo gli avversarî raccolgono le forze per il supremo cimento e i Romani sono disfatti a Canne, nell'undecimo parte dell'Italia meridionale passa ad Annibale che si ritirava a Capua e lascia snervare il suo esercito nell'ozio e nei piaceri. A cominciare dal dodicesimo libro la fortuna si svolge favorevole ai Romani. In questo libro e nel seguente vediamo la vittoria di Nola e la riconquista di Capua. Nel quattordicesimo e nel quindicesimo libro si celebra la gloria di Marcello, che espugna Siracusa, le gesta di Scipione nella Spagna e la vittoria del Metauro, nel sedicesimo Scipione doma la Spagna e nell'ultimo libro pone fine alla guerra con la vittoria di Zama.
Silio segue come fonte principale Tito Livio, ma non di rado se ne allontana per ragioni artistiche, e dà colorito poetico al suo racconto secondo il modello dell'arte epica d'Omero e più ancora di Virgilio. Si sa che aveva in grandissima venerazione Virgilio (cfr. anche VIII, 593) e soleva festeggiarne il giorno natalizio più solennemente del proprio: Omero è celebrato come un dio nel poema (XIII, 778). Forse anche Ennio fu uno dei suoi modelli. Anche S. fa intervenire gli dei nella lotta, Giunone e Minerva proteggono i Cartaginesi e specialmente Giunone è operosa in favore di Annibale; invece Venere, Vulcano e Marte son dalla parte dei Romani. Giove è al di sopra della mischia e regola il corso degli avvenimenti secondo la volontà del Fato. Tutto il macchinario dell'epica è messo a profitto. Tuttavia S. aveva poco ingegno di poeta. È fiacca nel suo poema la rappresentazione dei caratteri dei personaggi, gli dei ricompaiono come vuote astrazioni, l'imitazione dei grandi modelli è fredda e pedantesca.
Ma Silio era anche scolaro dei retori e scriveva negli ultimi anni del primo secolo della nostra era. Perciò non è meraviglia che nel suo poema vi siano 306 discorsi che occupano quasi un terzo di tutta l'opera. Frequenti sono anche le descrizioni delle battaglie. Altri vizî del tempo si riflettono nell'opera sua: il gusto dell'esagerazione, la ricerca del meraviglioso e dei mezzi per suscitare il pathos. Inoltre il poeta, ch'è anche un erudito, non tralascia l'occasione di far mostra della sua dottrina.
Occorre appena aggiungere che Silio esalta contro il barbaro invasore la gloria di Roma e degli eroi di sua gente: come segno del suo patriottismo si può ricordare anche il lungo episodio di Regolo (6, 117). Il sentimento orgoglioso e religioso insieme della grandezza romana, dell'antica virtù, della devozione alla patria domina in tutto il poema.
Le reminiscenze virgiliane sono le più frequenti: ma imitò in più luoghi Ovidio, Lucano, Seneca tragico, Stazio (Tebaide), e fra i prosatori Cicerone e Sallustio. La metrica è rigorosamente corretta e uniforme.
Già nel 92 una parte del poema era nota al pubblico. Poiché, a cominciare dal settimo libro Minerva è introdotta nel poema come avversaria del popolo romano, il Bickel acutamente suppose che solo i primi sei libri furono composti durante il regno di Domiziano: perché quest'imperatore, che aveva un culto superstizioso per Minerva, sarebbe stato offeso dal tono del poema. Ma può darsi che vi sia stato un rimaneggiamento posteriore, perché è difficile pensare che gli ultimi libri siano stati scritti tutti dopo la morte di Domiziano. È certo però che S., sentendosi venire meno le forze per la vecchiaia, accelerò la composizione del poema, che probabilmente doveva comprendere diciotto libri secondo l'esempio di Ennio: la rappresentazione non è ben proporzionata e i segni della fretta negli ultimi libri sono evidenti.
S. fu imitato da Stazio nell'Achilleide e nelle Selve, ma poi cadde presto in dimenticanza. Solo Apollinare Sidonio cita il suo nome (Carm., 9, 260) e Vibio Sequestre mostra di averlo letto.
Nel Medioevo non troviamo nessuna traccia del poema, che fu scoperto solo nel 1417 da Poggio Bracciolini, sicché neanche Petrarca poté trarre partito da esso per la composizione della sua Africa. La cosiddetta Ilias latina non è certamente di S.
Ediz.: L'edizione principe fu pubblicata a Roma nel 1471; notevoli le edizioni di D. Heinsius (Leida 1600), del Drakenborch (Utrecht 1717), dell'Ernesti (Lipsia 1791 e 1792), del Ruperti (Gottinga 1795 e 1798), del Bauer (Lipsia 1890 e 1892), dell'Occioni con traduzione italiana (Torino 1889), del Summers (Londra 1905).
Bibl.: Oltre agli articoli dei grandi manuali dello Schanz (§ 403), del Teuffel (§ 320), del Duf (p. 452), del Ribbeck (III, p. 191), del Plebis (p. 521), v.: Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III A, col. 79; O. Occioni, Silio italico e il suo poema, Firenze 1891; I. Schlichteisen, De fide historica Silii, Königsberg 1881; W. Barchfeld, De comparationum usu apud Silium, Gottinga 1881; J. Schinkel, Quaestiones Silianae, Halle 1883; L. Bauer, Das Verhältn. der Punica des C. Silius Italicus zur 3. Dek. des Livius, in Acta semin. Erlang., III (1884), p. 103; I. Grosset, Quatenus Silius Italicus a Vergilio pendere videatur, Halle 1887; I. Franke, De Silii tropis, Münster 1889; Z. Baudnik, Die epische Technik des Silius Italicus im Verhältnis zu seinen Vorbildern, Krumau 1906; P. Ollinger, Commentatio de rebus geographicis apud Silium Italicum, Bolzano 1913; R. Rebischke, De Silii Italici arationibus, Königsberg 1913; C. Fuerstenau, De Silii Italici imitatione quae fertur Enniana, Berlino 1916.