GUARNIERI, Silvio
Nacque a Feltre, nel Bellunese, il 5 apr. 1910, unico figlio maschio di Giacomo, avvocato, e di Antonietta Roberti. Frequentò le scuole superiori a Belluno, poi, per compiacere il padre che voleva seguisse le tradizioni di famiglia, s'iscrisse alla facoltà di legge dell'Università di Padova. Nel 1930 si trasferì a Firenze, dove ebbe la possibilità di coltivare i suoi veri interessi, che erano rivolti agli studi letterari. Si laureò quindi prima in legge e poi in lettere, svolgendo una tesi su G. D'Annunzio, assegnatagli da A. Momigliano.
Il G. arrivò nella città toscana consapevole della vivacità intellettuale che animava le sue riviste e i suoi caffè, luoghi privilegiati d'incontri e discussioni. Aveva portato con sé il dattiloscritto di un romanzo inedito, ultimo frutto delle sue precoci prove letterarie, pensando che potesse essergli utile per entrare in quell'ambiente. Decise di rivolgersi ad A. Bonsanti, che dirigeva Solaria, e con lui s'incontrò al caffè delle Giubbe rosse, dove conobbe E. Montale, C.E. Gadda, G. Ferrata, A. Loria ed E. Vittorini, con cui stabilì duraturi rapporti di amicizia e di stima.
Dal 1931 al 1937 pubblicò su Solaria, Leonardo, L'Italia letteraria e infine su Letteratura numerose recensioni. Fu uno dei pochi a occuparsi de Il castello di Udine di Gadda (Leonardo, V [1934], pp. 262 ss.), quando uscì nelle Edizioni di Solaria (Firenze 1934) e lo fece non per l'affettuosa frequentazione che li legava (Gadda fu spesso suo ospite a Feltre, insieme con Bonsanti e con altri amici conosciuti a Firenze), ma per una sincera ammirazione nei suoi confronti. Importante anche la recensione a Due compagni di G. Comisso (Letteratura, I [1937], 1, pp. 161-64), come primo segno del suo interesse per lo scrittore trevigiano.
Già da questo periodo si procurò l'appellativo di enfant terrible del gruppo, per la severità di giudizio che esercitava, con sincero rigore morale e intellettuale, su tutti e su tutto, senza escludere se stesso.
Per le edizioni di Solaria uscirono le sue prime opere, i saggi: Lo spettatore appassionato e Interpretazione di Machiavelli (entrambe Firenze 1934), seguite da Saggio su D'Annunzio e Il costume letterario (ibid. 1937). Nell'autunno 1938, insofferente delle limitazioni imposte dalla censura fascista, lasciò l'Italia per recarsi in Romania come direttore dell'Istituto italiano di cultura e lettore di italiano all'Università di Timişoara. In quello stesso anno aveva sposato Franca Franceschini, dalla quale ebbe tre figlie, Antonia, Adriana e Valeria.
Durante i dieci anni trascorsi in Romania, il G. si dedicò all'approfondimento della cultura del paese, studiò i rapporti tra Daci e Romani, pubblicò articoli in romeno e in italiano per favorire una reciproca conoscenza sul piano storico e letterario.
Trascorrendo sempre le vacanze estive in Italia, mantenne vive le amicizie e i contatti con editori e riviste, soprattutto con Letteratura. Proprio nel 1938 incominciò a scrivere la sua autobiografia, progettata in cinque volumi, ma di cui completò solo il primo e il secondo, portando il terzo fin quasi alla conclusione; l'opera, Autobiografia giovanile di anonimo scrittore contemporaneo (I, 1941 [poi, rivisto, Feltre 1984]; II, 1942), fu pubblicata anonima a Timişoara, a proprie spese e in centodieci esemplari destinati agli amici.
È il primo ampio lavoro di scavo psicologico e di carattere memoriale, un genere che regolarmente riappare nella successiva produzione del G., intrapreso per analizzare la sua formazione nell'ambiente familiare e sociale della buona borghesia veneta in cui era cresciuto, con i suoi limiti e pregiudizi, ma anche con i suoi valori. L'esame della realtà per il G. doveva passare attraverso i ricordi senza indulgere a una visione nostalgica del "tempo perduto", con una sincerità che lo mettesse in grado di capire se stesso, ma per andare avanti e agire nella società secondo nuovi ideali, quelli proposti dal comunismo, cui egli si era andato sempre più avvicinando.
Nel 1945 si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI); questa scelta si riflette nei numerosi articoli di carattere politico pubblicati in lingua romena su A. Gramsci, G. Matteotti, B. Buozzi; dello stesso periodo è anche il volume Adevarata faţa a Italiei (Il vero volto dell'Italia, Timişoara 1945). Nel 1948, tornato in patria, diede alle stampe Il carattere degli Italiani (Torino 1948).
In esso sottopone a un'indagine di carattere etico-politico le fasi principali dell'evoluzione culturale degli Italiani, dai Romani al Risorgimento, sempre con la finalità di conoscere il passato per agire sul presente, per rifondare un nuovo vivere civile, una nuova "forma umana".
Dal 1949 al 1950 fu in Belgio, come direttore dell'Istituto italiano di cultura e lettore d'italiano all'Università di Bruxelles. Nel 1950 rientrò definitivamente in Italia e si dedicò all'insegnamento in una scuola superiore di Rovigo; poi passò a Feltre, dove divenne preside. In questi anni continuò ad approfondire lo studio della letteratura contemporanea, pubblicando saggi e articoli su La Fiera letteraria e su altre riviste o quotidiani (Il Contemporaneo, Letteratura, Rinascita, L'Unità); nello stesso tempo intensificò l'impegno politico come consigliere comunale nella sua città (1951-65).
Nel 1960 per interessamento di L. Russo ottenne l'incarico di letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Pisa, dove restò fino al 1980; rimase però nei ruoli della scuola secondaria e, dal 1964, si fece trasferire a Pontedera, dove fu preside dell'istituto tecnico commerciale. Dopo il 1965 ricoprì la carica di consigliere comunale a Pisa per il PCI.
Nel 1955 era uscito a Firenze il volume Cinquant'anni di narrativa in Italia, in cui furono inseriti alcuni saggi sparsi già pubblicati. A quest'opera si può accostare Condizione della letteratura (Roma 1975), dove il G. allarga il suo esame critico alla produzione poetica e alle letterature europee, senza per ciò modificare la sua visione di fondo.
L'attenzione è sempre rivolta al Novecento e i presupposti da cui parte suggeriscono al G. criteri di giudizio che sono prima etici e poi estetici; ma il suo moralismo intenderebbe basarsi sulla conoscenza dello scrittore-uomo, sulla sua coerenza interiore, e non sul pregiudizio politico. Di qui, a torto o a ragione, i giudizi positivi anche su autori lontani dalle sue posizioni ideologiche, come Gadda, Montale, I. Svevo, A. Palazzeschi, Comisso; di qui alcuni severi giudizi sull'amico Vittorini o la critica negativa espressa nei confronti di C. Cassola, G. Bassani e per il Moravia degli anni Settanta.
Quando fu pubblicato il volume di narrativa Utopia e realtà (Torino 1955), racconti in gran parte già editi, proprio Vittorini, quasi a controbattere le riserve espresse su di lui, nel risvolto di copertina del libro presenta l'autore: "noto […] come una specie di pubblico accusatore nella cultura italiana […] di critico assillante. […] Il Guarnieri cerca nella realtà quale è quello ch'essa potrebbe essere […] portando la narrazione ad avere lo stesso rigore moralistico, la stessa intransigenza razionale e la stessa pervicacia oratoria di cui ha già dato prova nella critica e nei saggi". Le osservazioni di Vittorini sono in gran parte esatte e possono essere integrate con quanto il G. afferma nella "Giustificazione" che precede la sua seconda opera di narrativa, la quale riprende gli abituali stilemi di carattere psicologico-sperimentale, Cronache feltrine (Vicenza 1969).
Egli dichiara che queste "cronache" sono state scritte con l'abituale intento di impadronirsi della realtà per chiarirla a se stesso e agli altri e per trovare il modo di cambiarla. Ma il valore del suo narrare risiede, poi, nella partecipazione che lo lega affettivamente alla sua terra e alle sue memorie.
Nel 1976 pubblicò L'intellettuale nel partito, dove affronta, in articoli e saggi editi e inediti, il problema centrale della sua vita di militante del PCI.
L'opera passò quasi sotto silenzio, poiché il marxismo del G. si presentava anticonformista rispetto ai tempi: i suoi modelli erano A. Gramsci e G. Lukács e, affermando la necessità che l'intellettuale non si isolasse rispetto alla massa, non si muovesse nell'astrazione delle idee, ma si facesse interprete, vivendole da vicino, delle concrete necessità dei lavoratori, il G. sosteneva un programma di "integrazione" ormai "démodé" che pagò in termini di isolamento all'interno del suo stesso schieramento (cfr. L. Lombardo Radice, Il compagno S. G., in Per S. G., Pisa 1982, pp. 143-149).
Ritornato a Feltre nel 1980, riprese l'attività di consigliere comunale e poté dedicare maggior tempo alla scrittura; uscirono quindi Storia minore (Verona 1986), Paesi miei (Feltre 1989) e l'Ultimo testimone (Milano 1989).
Nei due primi lavori il G. ritorna a episodi e aneddoti della propria terra, con l'intento di conservare la memoria di una civiltà contadina che si andava inesorabilmente perdendo; nel terzo si ritrova l'ambiente fiorentino della giovinezza, quello di Solaria, con i nomi e il ricordo degli amici più cari. Questa interessante memorialistica rimanda al prezioso e vastissimo epistolario del G.: le migliaia di lettere, cartoline, biglietti e telegrammi, a lui indirizzati da scrittori e intellettuali, sono conservati dal 1996 nel Fondo manoscritti dell'Università di Pavia, per donazione della famiglia. L'attiva presenza del G. nel mondo letterario coevo, finora poco evidenziata, ne risulta indiscutibile.
Ultimo libro pubblicato in vita dal G. è Senza i conforti della religione (Roma 1992) e comprende due racconti: Vita e morte di Giuseppe Greco e Un infortunio tempestivo.
Il tema che sottende è una riflessione sulla morte che, per il G., può non trovare conforto nella religione cristiana ma forse neppure, o almeno non del tutto, in una "religiosità marxista": dagli anni Cinquanta, il tempo di Bepi (il protagonista del primo racconto), il tempo dell'autore, il mondo è troppo cambiato e lo scrittore, che sente vicina la fine, vorrebbe almeno credere foscolianamente nel valore del sepolcro, per tramandare la memoria degli ideali vissuti e degni di essere accolti dai vivi. S'insinua invece nelle sue parole un sottile smarrimento, anche se si ostina a non abbandonare la speranza.
Il G. morì a Treviso il 28 giugno 1992.
Postumo, a cura della figlia Antonia, con introduzione di F. Petroni, è uscito Le corrispondenze (Lecce 1996), dove il G. ricorda ancora una volta gli amici che hanno accompagnato ogni fase della sua vita: dieci in particolare, tra cui, indimenticabili, quelli che hanno condiviso i suoi interessi culturali (Vittorini, N. Gallo, M. Tobino e A. Tabucchi), insieme con alcuni compagni dei primi anni giovanili e altri conosciuti in ambienti diversi.
Fonti e Bibl.: E. Falqui, Novecento letterario, V, Firenze 1957, pp. 316-322; G. Trombatore, Scrittori del nostro tempo, Palermo 1959, ad ind.; Per S. G., a cura di G. Quiriconi, Pisa 1982 (con bibl. degli scritti del G.); G. Pampaloni, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), Il Novecento, II, Milano 1987, pp. 703 s.; S. Dalla Gasperina, Per una testimonianza di civiltà che ci conforta, in El Campanon, 1992, n. 87-88, pp. 80 s.; V. Deon, Ricordo di S. G., ibid., pp. 2-6; G. Ciabatti, I sorrisi del testimone, in L'Immaginazione, 1993, n. 106, pp. 19 s.; G. Ferroni, Ricordo di S. G., in La Rassegna della letteratura italiana, XCVII (1993), 3, pp. 206 ss.; A. Zanzotto, S. G., in Id., Aure e disincanti nel Novecento letterario, Milano 1994, pp. 117-125; Id., Su un libro di S. G.: "Senza i conforti della religione", in Protagonisti, 1995, n. 61, pp. 70-76; V. Deon, Le corrispondenze, ibid., 1996, n. 65, pp. 91 ss.; F. Petroni, La narrativa di S. G., in Allegoria, 1996, n. 24, pp. 186-190; N. Trotta, Epistolario a S. G., in Autografo, XIII (1997), 35, pp. 125-154; S. Dalla Gasperina, Le corrispondenze, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, LXIX (1997), p. 73; Diz. della letteratura italiana contemporanea (Vallecchi), I, s.v.; Diz. critico della letteratura italiana del Novecento (Editori Riuniti), sub voce.