SPAVENTA, Silvio
Patriota e uomo politico, nato a Bomba (Chieti) il 10 maggio 1822, morto a Roma il 21 giugno 1893. Studiò nel seminario di Chieti e poi a Montecassino; nel 1843 venne a Napoli e, benché avviato allo studio del diritto, si occupò principalmente di filosofia e di politica, seguì le lezioni del Galluppi e del kantiano Colecchi. Nel 1846 aprì col fratello Bertrando una scuola privata di filosofia (v. spaventa, bertrando), che fu soppressa nel 1847 dalla polizia. Fondò, il i° marzo 1848, il Nazionale, giornale che intese collegare il moto napoletano a quello di tutta l'Italia, in cui caldeggiò il federalismo come avviamento all'unità e il concorso di Napoli alla guerra d'indipendenza. Eletto deputato il 15 aprile 1848, sedette all'estrema sinistra e fu uno dei quattro "albertisti" del parlamento napoletano. Non prese parte alla sommossa del 15 maggio 1848, e si adoperò anzi con altri deputati a placare gli animi la mattina del 15. Deluso dall'insincerità del costituzionalismo borbonico, fondò, con L. Settembrini, C. Braico e F. Agresti, e presiedette, la società segreta dell'"Unità italiana", allo scopo di cacciare i Borboni e di diffondere l'idea unitaria senza subordinarla alla forma repubblicana. Arrestato il 19 marzo 1849, fu sottoposto a un processo durato quasi tre anni e rimasto famoso per la corruzione dei giudici, la venalità dei testimonî e il contegno impavido degl'imputati. Commutatagli nell'ergastolo il 19 ottobre 1852 la condanna a morte, fu relegato nell'isola di S. Stefano, ove ebbe compagno di cella il Settembrini, e dove rimase per circa sette anni fino al gennaio 1859, attendendo a studî di filosofia, diritto, storia ed economia, perfezionandosi nelle lingue e scrivendo di politica. Nel gennaio 1859, essendogli stata nuovamente commutata la condanna nell'esilio perpetuo dal regno, lo S. venne imbarcato con altri alla volta dell'America, ma gli esuli riuscirono a essere sbarcati in Irlanda. A Londra lo S. vide i principali esponenti del liberalismo, Palmerston, Russell, Gladstone, e perorò presso di loro la causa dell'indipendenza italiana. Tornato in Italia, scrisse articoli per il Risorgimento e la Nazione, e a Napoli, dov'era ritornato nel luglio del 1860, presiedette la Giunta esecutiva del Comitato dell'ordine e si adoperò perché la rivoluzione si compisse nel continente nel nome di Vittorio Emanuele, prima che Garibaldi giungesse. Di ciò indignato, il generale chiamò lo S. a Caserta, e al termine di un burrascoso colloquio lo "pregò" di uscire dal regno. Nominato ministro di polizia della Luogotenenza napoletana sotto L. C. Farini, conservò la carica sotto il principe di Carignano e G. Ponza di S. Martino e diede le dimissioni sotto il Cialdini per dissensi con questo. Lasciò il posto dopo avere epurata la polizia dalla camorra assoldata da Liborio Romano, e avere lottato a fare rientrare la rivoluzione nel suo letto. Nominato nel 1862 segretario generale degl'Interni nel gabinetto Farini-Minghetti, assolse sotto il Peruzzi compiti molto superiori a quelli di un comune sottosegretario. Allo S. si volle addossare la massima parte di responsabilità nella sanguinosa repressione dei moti di Torino del 21 e 22 settembre 1864, seguiti alla pubblicazione della Convenzione di settembre, e neanche le conclusioni della commissione d'inchiesta scagionanti completamente lo S. e il ministero valsero a placare gli animi dei Torinesi. Nel 1868 fu nominato consigliere di stato, e nel 1873 ministro dei Lavori pubblici nell'ultimo gabinetto di Destra presieduto dal Minghetti.
Come ministro, il suo nome resta legato al problema ferroviario, alle convenzioni che per opera sua si fecero nel 1873 e nel 1875 per riscattare le linee delle "Romane" e delle "Meridionali" rendendone proprietario lo Stato, e alla Convenzione di Basilea del 1875 per il riscatto della rete dell'Alta Italia e per la completa separazione dalla rete austriaca. Nel presentare le convenzioni ferroviarie al Parlamento, lo S. propose l'esercizio di Stato delle ferrovie, ma la proposta fu avversata dal gruppo toscano che si staccò dalla maggioranza, provocando la caduta della Destra.
Caduto nelle elezioni generali del novembre 1876, Bergamo lo rimandò alla Camera nelle elezioni suppletive del marzo 1877, e appunto a Bergamo pronunziò il 7 maggio 1880 il discorso sul modo di garantire a tutti i cittadini, qualunque fosse il partito al potere, la giustizia nell'amministrazione. Il 15 dicembre 1889 ru nominato senatore e nello stesso anno presidente della IV Sezione del Consiglio di stato, organo della giustizia amministrativa. Il Crispi, suo antico avversario politico, aveva voluto tale nomina, riconoscendo che lo S. col discorso di Bergamo era stato l'ispiratore della nuova istituzione. Alla presidenza della IV Sezione lo S. rimase fino alla morte, creando una giurisprudenza che ancora fa testo.
Ebbe forma mentis più di giurista che di filosofo, benché i giovanili studî filosofici connaturassero in lui l'abito di ricondurre le questioni particolari ai principî generalissimi. Fu uno dei più autorevoli teorici della Destra. Alcune sue prese di posizione politiche, come la tesi della proprietà e dell'esercizio statale delle ferrovie destinata in seguito a trionfare, e la tesi della netta separazione della politica dall'amministrazione, discendono direttamente dal concetto che egli aveva dello stato di cui si professava hegelianamente "adoratore". Secondo lo S. lo stato deve essere forte, assumendosi compiti di civiltà sempre maggiori, e superiori ai partiti, in modo da assicurare a tutti i cittadini la protezione e la giustizia. Ma oltre ad assumersi questi importantissimi compiti, lo stato deve essere la coscìenza direttiva della nazione e deve saperla guidare sulle vie che conducono ai fini più alti dell'umanità. Ed un tale stato, avente un'alta missione di civiltà, lo S. non considerava come un'entità trascendente i cittadini, ma come realtà esprimentesi dal seno della stessa nazione, come l'organizzazione delle volontà degli stessi cittadini rivolta al bene comune, in cui l'interesse dei singoli si purifica e idealizza. Egli vagheggiava l'imitazione in Italia del sistema parlamentare all'inglese, con i due partiti impersonanti uno la conservazione e l'altro il progresso che si avvicendassero al potere e con la critica al partito di governo esercitata legalmente da quello d'opposizione, e censurò il trasformismo inaugurato dal Depretis, che avrebbe trascinato la vita pubblica italiana in un "pantano", nonché gli abusi amministrativi della Sinistra, contro cui reagì iscrivendo sulla bandiera dell'opposizione il motto "giustizia nell'amministrazione". Esercitò notevole influenza sul suo partito, quantunque il suo temperamento intransigente, tendente all'autoritarismo, e la sua passionalità politica lo rendessero impopolare.
Gli scritti principali dello S. sono raccolti nei volumi seguenti: Dal 1848 al 1861; Lettere, scritti e documenti, pubblicati da B. Croce, Bari 1923; Lettere politiche, edite da G. Castellano, ivi 1926; La politica della Destra, scritti e discorsi raccolti da B. Croce, ivi 1910; Lo Stato e le ferrovie. Riscatto ed esercizio. Note presentate al Parlamento italiano, Milano 1876; Discorsi parlamentari, Roma 1913.
Bibl.: R. De Cesare, S. S. e i suoi tempi, in Nuova Antologia, 1° luglio 1893; F. Filomusi Guelfi, Discorso commemorativo, Lanciano 1894; R. Ricci, L'ideale dello stato in Italia secondo S. S., in Nuova Antologia, 15 marzo 1894; E. Tagliacozzo, Il pensiero di S. S., Milano 1932.