Sincronismo e asincronismo
Per sincronismo nel cinema si intende tecnicamente la corrispondenza ‒ temporale o logica ‒ tra l'immagine e il suono, frutto appunto dell'insieme delle operazioni di sincronizzazione delle immagini con il complesso della colonna sonora (composta di tre elementi: la parola, i rumori e la musica), sia registrata in fase di ripresa, sia aggiunta in fase di postproduzione. Si iniziò a parlare del problema del sincronismo tra immagine e suono anche dal punto di vista teorico a partire dalla nascita e dallo sviluppo del cinema sonoro (v. muto e sonoro), evento che determinò una trasformazione profonda del cinema sia a livello produttivo, sia relativamente alle sue forme espressive. A partire dagli esperimenti compiuti dalla Warner Bros. e dalla Western Electric, che portarono nel 1926 all'adozione del sistema Vitaphone, con il suono dei dischi sincronizzato con la proiezione, e nel 1928 del sistema Photophone, con il suono registrato sulla pellicola, l'elemento sonoro nel cinema venne impiegato principalmente per rafforzare l'effetto di realtà, mostrando spesso allo spettatore un universo inutilmente verboso e rumoroso, con l'inserimento del suono in funzione puramente mimetica. Sul mancato sfruttamento del sonoro come forma espressiva nuova si sviluppò un acceso dibattito, che coinvolse registi e teorici schierati su due opposte posizioni. Da una parte si sosteneva infatti che il sonoro avesse irrimediabilmente distrutto la perfezione espressiva del cinema muto, di fatto facendo regredire l'immagine nelle sue potenzialità espressive (come dichiarato per es. da Charlie Chaplin); dall'altra si affermava che il sonoro avrebbe potuto rappresentare una vera e propria rivoluzione nei modi della rappresentazione se solo si fossero sfruttate di più le sue possibilità estetiche, come sostenne René Clair e come soprattutto argomentarono Sergej M. Ejzenštejn, Vsevolod I. Pudovkin e Grigorij V. Aleksandrov nel 'Manifesto sull'asincronismo' (1928), in cui i tre registi russi misero in evidenza il fatto che il nuovo progresso tecnico non veniva adeguatamente sfruttato. La particolarità della posizione sostenuta nel manifesto consiste nell'introduzione dei concetti di contrappunto e di montaggio sonoro. Soltanto comprendendo che il principio del cinema risiede nel montaggio è possibile sviluppare una forma cinematografica nuova in cui il suono venga utilizzato come elemento di un montaggio audiovisivo e non sia semplicemente legato alla successione delle immagini. Perché ciò si realizzi, continua il manifesto, il suono dovrà essere utilizzato in senso contrappuntistico, vale a dire non in sincrono con le immagini, in quanto il sincronismo produce una pericolosa illusione di verità, riducendo così il cinema a un cinema-attrazione, a una semplice riproduzione naturalistica del reale. In tal modo viene meno il ruolo del montaggio inteso come principio compositivo in quanto ogni inquadratura sonora è vista e goduta dallo spettatore in modo autonomo, indipendentemente dal suo rapporto con l'inquadratura che la precede e con quella che la segue. Il sonoro usato in funzione contrappuntistica (sonoro asincrono) è invece uno dei numerosi e importanti elementi del montaggio. Una delle possibilità di tale uso viene esemplificata dallo stesso Pudovkin nella sua raccolta di saggi teorici Film e fonofilm (1935) in cui il regista sottolinea la capacità del suono di introdurre una frattura temporale nella struttura del film. Per es., afferma Pudovkin, suono e immagini possono riferirsi a eventi lontani nel tempo (un personaggio sente le parole che un altro personaggio ha pronunciato nel passato, oppure le immagini possono mostrare eventi del passato mentre la voce fuori campo narra questi eventi nel presente), determinando così una diversa scansione ritmica e temporale del film. L'accento posto sull'uso contrappuntistico del sonoro da parte dei tre registi russi evidenziò la necessità di studiare nuove forme espressive legate a tale progresso tecnologico, senza per questo negare la possibilità (tra l'altro abbondantemente utilizzata dai tre registi) di un suo uso 'realistico', vale a dire in sincrono con le immagini. Il successivo sviluppo del cinema sonoro ha dimostrato infatti che il rapporto tra suono e immagine può variare anche all'interno dello stesso film creando soluzioni espressive sempre diverse, come in Hiroshima, mon amour (1959) di Alain Resnais, dove la voce della protagonista si pone a volte in rapporto di sincronia con le immagini (nelle sequenze girate a Hiroshima), a volte in un rapporto di asincronia (i ricordi del suo passato in Francia), creando nell'insieme una complessa percezione del tempo non inteso tanto come sviluppo lineare quanto piuttosto come visione spiraliforme in cui passato e presente si intersecano nella memoria.
Se appare evidente la possibilità di determinare il sincronismo o l'asincronismo di una sequenza relativamente alle parole e ai rumori (visto che il sincronismo è sostanzialmente determinato dalla presenza in campo o fuori campo dell'origine del suono che si ode), più difficile risulta il discorso applicato alla musica (considerando in particolare la musica che non sia 'd'ambiente', ossia proveniente da sorgenti sonore all'interno dell'immagine). La storia della presenza della musica nel cinema è la storia di un'evoluzione dalla primitiva funzione di mero accompagnamento, dalla natura più o meno occasionale, della proiezione, alla scelta di affidare a un compositore una partitura strutturata sino alla rinnovata funzione acquisita dalla colonna sonora musicale con l'avvento del sonoro, in vista anche di possibili direzioni creative inedite (su tutto il problema v. musica). Così in Aleksandr Nevskij (1938) di Ejzenštejn il rapporto di aderenza ritmica tra la musica di Sergej S. Prokof′ev e il montaggio del film crea un sincronismo visivo-sonoro straordinario che enfatizza sino all'estremo la potenza epica dello scontro tra l'esercito russo e i cavalieri teutoni, vero tema del film. Con l'avvento del sonoro e la progressiva consapevolezza della necessaria interazione tra elementi visivi ed elementi sonori, il rapporto tra immagine e suono nel cinema si è venuto caratterizzando come un rapporto dialettico più che come un'opposizione, all'interno del quale le due componenti si arricchiscono a vicenda e interagiscono nell'ambito della trama audiovisiva del film. Anche la musica può creare dei contrappunti visivo-sonori e porsi in una rapporto asincronico con l'immagine, mostrando in tal modo, ancora una volta, come il cinema sia il frutto di una costruzione artificiale anche quando 'imita' perfettamente la realtà. Alcuni autori del cinema moderno (e non solo: basti pensare ai primi film sonori di R. Clair) hanno fatto ricorso all'asincronismo proprio per evidenziare la natura di finzione del cinema, la sua caratteristica primaria di struttura che costruisce una nuova realtà oppure un discorso possibile sulla realtà, come per es. in Passion (1982; Passion) di Jean-Luc Godard, in cui le parole dei personaggi a volte vengono udite dopo il corrispondente movimento delle loro labbra, quasi a sottolineare ancora una volta 'l'illusione' del cinema, il suo 'effetto di reale'.
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