sintagma verbale
Il sintagma verbale è un sintagma (➔ sintagma, tipi di) costituito da una forma del verbo accompagnata da eventuali altri elementi. La forma del verbo, il suo costituente principale, può anche esserne l’unico elemento. Il sintagma verbale è un sintagma endocentrico (contenente cioè la propria testa), la cui testa è una forma verbale finita o non finita: pertanto si distinguono sintagmi verbali finiti (1) e non finiti (2):
(1) Pietro scrive una lettera
(2) Pietro ha l’intenzione di scrivere una lettera
Le forme verbali finite hanno determinazione di ➔ persona e ➔ numero, e portano le categorie verbali di tempo, modo (➔ modi del verbo), ➔ aspetto e ➔ diatesi.
I due tipi di sintagma verbale hanno la stessa struttura interna, ma sono differenti quanto alle loro funzioni sintattiche. Mentre il sintagma verbale finito in (1), insieme al soggetto ed eventuali elementi circostanziali, costituisce una frase, quello non finito in (2) è un elemento di una struttura frasale di verbo finito che localizza il sintagma verbale indefinito nel tempo.
Il sintagma verbale è tipicamente il predicato della frase, cioè quell’elemento che ‘predica’ qualcosa a proposito del ➔ soggetto o del tema (➔ tematica, struttura). Il sintagma verbale di modo finito è il costituente del predicato della frase verbale e in italiano è collegato al soggetto mediante l’➔accordo di persona e numero, e talvolta anche di genere. Si distinguono due tipi di predicato: il predicato verbale e il predicato nominale (➔ predicato, tipi di).
Attraverso il verbo che occupa il posto della testa, il sintagma verbale intrattiene rapporti con gli altri elementi della frase. Come si è detto, un sintagma verbale può essere costituito dal verbo da solo: scrive, mangia, sembra, è arrivato, ecc.
Di solito però, siccome il verbo è accompagnato da ➔ argomenti, il sintagma verbale può incorporare anche altri sintagmi: nominali, preposizionali o avverbiali. In (1) e (2) il sintagma verbale comprende il sintagma nominale una lettera. A seconda della sua valenza, il verbo richiede determinati argomenti per completarne il significato.
La testa del sintagma verbale è una forma verbale finita o non finita. Fra le circa quaranta forme del verbo italiano si distinguono quelle dei ➔ tempi semplici e quelle dei ➔ tempi composti. Le forme semplici sono fatte di una sola parola (sintetiche): scrivo, scrivevo; le forme composte sono costituite da più parole (analitiche): ho scritto, avevo scritto, cioè da un verbo ausiliare portatore delle categorie verbali di persona, numero, tempo, modo, aspetto e diatesi, più un verbo nucleare in forma non finita (un participio) che porta il significato della forma composta:
tempi semplici tempi composti
presente: scrivo passato prossimo: ho scritto
futuro: scriverò futuro anteriore: avrò scritto
imperfetto: scrivevo trapassato prossimo: avevo scritto
passato remoto: scrissi trapassato remoto: ebbi scritto
condizionale presente: scriverei condizionale passato: avrei scritto
congiuntivo presente: scriva congiuntivo passato: abbia scritto
congiuntivo imperfetto: scrivessi congiuntivo trapassato: avessi scritto
Ci sono in italiano tre tipi di sintagma verbale indefinito corrispondenti ai tre modi indefiniti del verbo: l’➔infinito, il ➔ participio e il ➔ gerundio. Le forme indefinite hanno una flessione limitata: quanto all’infinito e al gerundio, si può distinguere fra forme semplici (scrivere, scrivendo) e composte (aver scritto, avendo scritto), e, per quanto riguarda il participio, fra participio presente (scrivente) e participio passato (scritto). Va aggiunto che il participio presente è raro come forma verbale. Fra queste, le forme indefinite sono differenti per l’aspetto: il participio passato è perfettivo, il gerundio è imperfettivo e l’infinito non è aspettualmente marcato.
Come indicato, i sintagmi verbali indefiniti sono elementi in una struttura frasale, spesso come subordinati impliciti con una alternanza a frasi subordinate esplicite. Si hanno pertanto:
(a) sintagma infinitivo: frase nominale;
(b) sintagma participiale: frase aggettivale;
(c) sintagma gerundivale: frase avverbiale.
Le forme non finite intervengono in vari tipi di perifrasi verbali (Bertinetto 1991; ➔ perifrastiche, strutture): in particolare, in (3) si ha l’infinito, in (4) il participio passato e in (5) il gerundio:
(3) sto per scrivere un articolo
(4) l’articolo va scritto entro la fine del mese
(5) sto scrivendo un articolo
Anche la ➔ diatesi ha importanza per la struttura della forma verbale. Nella diatesi passiva (➔ passiva, costruzione), tutte le forme comprendono un ausiliare, sicché la struttura è: essere, venire o andare + participio passato:
(6) l’articolo è scritto in tedesco
(7) l’articolo viene scritto con cura
(8) l’articolo va scritto entro la fine del mese
Come si è visto, alcuni verbi operano come ausiliare nella forma composta o in vari tipi di perifrasi verbali in combinazione con una forma non finita. Si possono distinguere vari tipi di verbi ausiliari (➔ ausiliari, verbi):
(a) ausiliari temporali: avere, essere (esempi 9-10);
(b) ausiliari passivi: essere, venire, andare (esempi 6-8);
(c) modali (o servili; ➔ modali, verbi): dovere, potere, sapere (es. 11);
(d) aspettuali (➔ fraseologici, verbi): stare (esempi 3 e 5);
(e) causativi (➔ causativa, costruzione): fare, lasciare (es. 12).
(9) ho scritto un articolo
(10) Pietro è partito per Roma
(11) devo scrivere un articolo
(12) faccio scrivere un articolo.
Insieme al soggetto, il sintagma verbale di modo finito è il nucleo della frase. Mentre il soggetto è fondamentale soprattutto per il contenuto semantico della frase, è il verbo a costituire il centro sintattico della frase, rappresentandone, come alcuni dicono, il «motore» (Sabatini & Coletti 2006: VIII).
Sia il significato del verbo che la sua forma influiscono sugli altri elementi (soggetto, oggetto) collocati intorno al sintagma verbale. Come già indicato, si distinguono due categorie di verbi e di conseguenza due tipi di predicato: i verbi predicativi (➔ predicativi, verbi) e i verbi copulativi (➔ copulativi, verbi). I verbi predicativi (come cantare, dormire e scrivere) esprimono un senso pieno (1), i verbi copulativi (come essere, parere, sembrare) hanno la funzione di collegare il soggetto a un complemento predicativo del soggetto (➔ predicativo, complemento):
(13) l’articolo pare molto interessante
Quanto alla struttura dei sintagmi verbali collocati intorno al sintagma verbale, concetti importanti sono transitività e valenza. La transitività è una categoria semantico-sintattica che riguarda la ➔ reggenza verbale, cioè la proprietà per cui un verbo regge o no un complemento ➔ oggetto diretto. Tradizionalmente i verbi vengono suddivisi in transitivi e verbi intransitivi (➔ transitivi e intransitivi, verbi): verbi transitivi come cantare, mangiare e scrivere ammettono un complemento oggetto diretto e possono essere volti al passivo (Pietro scrive una lettera → la lettera viene scritta da Pietro); verbi intransitivi come andare, dormire e venire non possono essere combinati con un oggetto diretto e non sono passivizzabili. Alcuni verbi transitivi possono essere usati in senso assoluto, cioè senza il complemento oggetto: canta, mangia, scrive, e d’altra parte alcuni intransitivi come dormire e vivere possono reggere il cosiddetto complemento oggetto interno (Serianni 1988: 321): dormire il sonno del giusto, vivere una vita serena.
Spesso lo stesso verbo ha due varianti: infatti alcuni verbi transitivi (a) hanno un corrispondente intransitivo (b):
(14) aumentare
a. aumentare la produzione
b. le spese sono aumentate di parecchio
(15) chiudere
a. chiudere la porta
b. il rubinetto non chiude bene
(16) cominciare
a. cominciare gli studi
b. la primavera è cominciata
(17) finire
a. finire i compiti
b. le vacanze sono finite
Altro concetto importante quanto alla reggenza verbale è la valenza (➔ argomenti), un termine preso dal linguaggio della chimica dal francese Lucien Tesnière (1893-1954). Secondo il suo modello, il verbo, in base al suo significato, ha la proprietà di costituire il nucleo di una frase associando a sé gli elementi nominali indispensabili (detti argomenti o, da Tesnière, attanti), in un numero che va da zero a quattro. Gli attanti sono rappresentati da sintagmi nominali o sintagmi preposizionali. Anche la valenza serve alla classificazione dei verbi predicativi: infatti, in base al numero di costituenti retti direttamente dal verbo, si possono classificare in verbi zerovalenti, che costituiscono da soli una frase nucleare, verbi monovalenti, che ammettono un solo argomento, verbi bivalenti, che ammettono due argomenti, verbi trivalenti, che ammettono tre argomenti, e verbi tetravalenti, che ammettono quattro argomenti (➔ verbi).
È il verbo a determinare quanti e quali argomenti nucleari include una costruzione, ma la valenza non è necessariamente saturata sintatticamente se uno o più attanti si presumono noti al destinatario del messaggio o recuperabili dal contesto (Dardano & Trifone 1997: 335).
2.2.1 Verbi predicativi. I verbi zerovalenti sono verbi impersonali come i verbi meteorologici (➔ atmosferici, verbi): per es., piovere, nevicare e tuonare, che esprimono il loro significato senza nessun elemento aggiunto:
(18) signori attenzione eliminate l’antenna piove nevica tira vento (LIP: RE2)
Ma se questi verbi sono usati figuratamente, non è esclusa l’aggiunta di un soggetto, nel qual caso diventano monovalenti:
(19) non aspettate la manna che piove dal cielo (LIP: RE2)
I verbi monovalenti sono verbi che richiedono un solo argomento. Sono verbi intransitivi come dormire, morire, sbadigliare e tossire, che hanno bisogno soltanto del soggetto per costruire una frase di senso compiuto: Pietro dorme, il cane abbaia, il bambino cammina. Quindi il sintagma verbale consiste nella sola forma verbale o nelle forme verbali con aggiunta di elementi avverbiali:
(20) Cammina a piccoli passi appoggiandosi a un bastone (Maraini 2004: 307)
(21) E poi la domenica dormo fino a tardi (LIP: NA1)
Come indicato, alcuni verbi intransitivi monovalenti hanno la possibilità di reggere un complemento oggetto ‘interno’, nel qual caso diventano bivalenti:
(22) Io come delegata eh vivo la realtà di eh dell’ufficio vivo la realtà degli impiegati (LIP: ME6)
(23) Zaira scende le scale a precipizio (Maraini 2004: 309)
I verbi bivalenti sono verbi che per costruire una frase minima richiedono due argomenti. Essi sono:
(a) verbi transitivi come amare, fare, capire, prendere, vedere e sapere, che oltre al soggetto hanno un argomento connesso direttamente al verbo, il cosiddetto complemento di oggetto diretto:
(24) Amava la musica, e aveva nella sua stanza innumerevoli strumenti a fiato (Ginzburg 1961: 38)
(b) verbi intransitivi come parlare e verbi di movimento verso un luogo, come andare, venire e cadere (➔ movimento, verbi di), che, oltre al soggetto, hanno bisogno dell’indicazione del luogo collegato al verbo con una preposizione:
(25) Io sono andata all’università in città (Ginzburg 1961: 25)
(26) Da tanto tempo non entrava in chiesa (Maraini 2004: 208)
(27) Non era riuscita a piangere (Maraini 2004: 298)
Anche qui si possono aggiungere elementi avverbiali non indispensabili per la costruzione della frase.
I verbi trivalenti richiedono tre elementi per costituire una frase minima. Sono verbi transitivi come dare e dire e mettere e intransitivi come passare, saltare:
(28) Me lo hanno detto i fratelli che lo hanno accolto (Maggiani 1995: 126)
(29) Il giovane medico le aveva portato un caffè (Maraini 2004: 299)
I verbi tetravalenti richiedono quattro argomenti. Sono verbi transitivi come tradurre, trasferire, trasportare, che oltre al soggetto e all’oggetto diretto richiedono anche due argomenti collegati attraverso una preposizione: tradurre un testo da una lingua a un’altra, trasportare qualcosa da un luogo a un altro. Come menzionato prima, e come mostrano i seguenti esempi, non tutti gli argomenti sono sempre saturati:
(30) ha usato un una lista di parole che ha spedito a insegnanti della Germania e eh che che faceva tradurre nella lingua dialettale (LIP: NC10)
(31) sulla possibilità o meno di tradurre da una lingua all’altra (LIP: NA13).
2.2.2 Verbi copulativi. I verbi che sostituiscono il predicato nominale sono denominati copulativi. Sono semanticamente ‘leggeri’, come essere, sembrare, parere e diventare, e servono a collegare al soggetto un altro elemento nominale, di solito un nome o un aggettivo. Si comportano come i verbi bivalenti transitivi, ma invece del complemento oggetto diretto reggono il cosiddetto complemento predicativo del soggetto (➔ predicativo, complemento), che di solito concorda con il soggetto della frase:
(32) Bene, presto detto: sono diventato un romanziere (Maggiani 1995: 135)
(33) Il vecchio Balotta era socialista. Rimase socialista sempre (Ginzburg 1961: 15)
Anche altri verbi possono assumere la funzione di copulativo: un verbo bivalente come fare, per es., nel significato di «esercitare una professione» e uscire nel significato di «risultare in un certo modo»:
(34) lui è uno che fa il praticante all’avvocatura dello stato (LIP: RA1)
(35) lui è uscito vincitore tra altri 450 concorrenti (www.gioventu.it).
2.2.3 Verbi pronominali. Molti verbi predicativi si trovano anche in forma pronominale (➔ pronominali, verbi), cioè accompagnati dal pronome riflessivo, ad es. molti verbi transitivi:
(36) creare
a. creare una nuova teoria dello spazio [transitivo]
b. crearsi dei problemi [pronominale]
(37) lavare
a. lavare i piatti [transitivo]
b. lavarsi le mani [pronominale]
(38) sbagliare
a. sbagliare un calcolo [transitivo]
b. scusa, mi sono sbagliato [pronominale]
(39) vestire
a. vestire il bambino [transitivo]
b. vestirsi dopo la doccia [pronominale]
Esistono anche, in numero più limitato, verbi intransitivi in forma pronominale:
(40) crepare
a. la vernice sta crepando tutta [pronominale]
b. la terra si sta crepando [pronominale]
(41) dolere
a. la lingua batte dove il dente duole [pronominale]
b. mi dolgo dei miei peccati [pronominale]
(42) equivalere
a. un chilometro equivale a mille metri [intransitivo]
b. le due opere si equivalgono [pronominale]
(43) sfiatare
a. il tubo sta sfiatando [intransitivo]
b. la tromba si è sfiatata per l’umidità [pronominale]
Esistono inoltre verbi usati solo nella forma pronominale, i cosiddetti verbi inerentemente riflessivi, come accorgersi, pentirsi, ribellarsi e vergognarsi:
(44) allora forse mi accorgo che che ho votato male (LIP: FB19)
(45) era un po’ il modo di ribellarsi a certe situazioni anche politiche (LIP: NE13).
In italiano contemporaneo l’ordine di base degli elementi della frase è SVO (soggetto - verbo - oggetto; ➔ ordine degli elementi; ➔ sintassi), quindi la posizione canonica del sintagma verbale nella frase è quella dopo il soggetto, come anche in molti degli esempi fin qui riportati.
All’interno del sintagma verbale il verbo ha la prima posizione, sia in sintagmi verbali finiti che in sintagmi verbali indefiniti. Gli altri elementi non hanno un ordine fisso, ed è spesso difficile stabilire l’ordine non marcato dei vari complementi. Nei seguenti esempi:
(46) Tornarono insieme al paese (Ginzburg 1961: 67)
(47) Portava ai suoi figli dolci e regali (Ginzburg 1961: 71)
sarebbe anche possibile un altro ordine, rispettivamente tornarono al paese insieme e portava dolci e regali ai suoi figli. Invece in (48):
(48) Venendo via, la Cate disse alla Raffaella di farle vedere il punto, dietro Le Pietre, dove hanno ammazzato il Nebbia (Ginzburg 1961: 68)
non è possibile cambiare l’ordine dei due complementi e spostare il complemento diretto davanti al complemento indiretto. Una frase subordinata (esplicita o implicita) che svolge la funzione di complemento è un costituente pesante che tende a spostarsi all’ultimo posto del sintagma verbale.
Quanto alla posizione dell’avverbiale è utile distinguere fra avverbiali verbali e avverbiali frasali. Di solito un avverbiale riferito soltanto al verbo si colloca dopo il verbo: abita lontano, tornarono insieme; mentre un avverbiale frasale (circostanziale) che modifichi il significato dell’intera frase, ha posizione libera prima o dopo il verbo, come qui in (49) e a volte in (50):
(49) Io qui ho cresciuto i miei bambini, sono stata qui tanti anni, tanti anni! (Ginzburg 1961: 70)
(50) Quando andava in città, finiva a volte da Xenia, a passar la serata. […] Al paese, a volte, passava le serate col Purillo (Ginzburg 1961: 71)
La ➔ negazione non precede sempre il verbo, mentre gli elementi che servono a modificare la negazione sono sempre posposti al verbo: affatto, neanche, nemmeno, mai, più. Nei tempi composti questi elementi si inseriscono fra ausiliare e verbo nucleare:
(51) Non posso, non posso andarmene! (Ginzburg 1961: 70)
(52) Ormai non si consideravano più marito e moglie (Ginzburg 1961: 67)
(53) Non si vedevano mai (Ginzburg 1961: 70)
(54) lui non ha mai pensato alla vita sotto un aspetto veramente serio (LIP: NC9)
Le forme clitiche (atone, deboli) dei pronomi personali, complemento diretto o indiretto, compaiono solo in presenza di un verbo, cioè sono sempre da considerarsi parte di un sintagma verbale. La posizione dei pronomi ➔ clitici, proclitici o enclitici, nel sintagma verbale è fissa. Generalmente precedono la forma verbale finita, sono cioè proclitici, mentre quando seguono una forma verbale indefinita o un imperativo, sono enclitici:
(55) Gli portò anche, una volta, un flauto (Ginzburg 1961: 71)
(56) domani dobbiamo portarlo all’ufficio (LIP: NB60)
Con alcuni verbi ausiliari (quelli modali e quelli aspettuali) combinati con una forma verbale non finita, si può osservare la cosiddetta risalita del pronome clitico: un pronome funzionante da complemento di verbo di modo non finito, invece di essere enclitico (➔ parole enclitiche), può precedere l’ausiliare e diventare proclitico:
(57) devo scriverlo → lo devo scrivere
(58) sto scrivendolo → lo sto scrivendo
In alcuni casi, se l’ausiliare regge due forme indefinite, il pronome clitico può risalire due volte:
(59) Ora coi piatti è un traffico, li devo andare a prendere in cucina (Ginzburg 1961: 78).
Il sintagma verbale di modo finito, che può essere considerato il ‘motore’ sintattico della frase, forma la frase insieme al soggetto. Il verbo si accorda per persona, numero e genere con il soggetto della frase, tanto che si può parlare di una relazione di reciprocità fra soggetto e verbo: da una parte il soggetto, attraverso le regole di accordo, influisce sulla forma del verbo, dall’altra parte il significato del singolo verbo impone restrizioni semantiche sul soggetto.
Anche la ➔ diatesi della forma verbale ha importanza per la struttura della frase: in un sintagma verbale di forma attiva, ad es., c’è posto per un complemento oggetto diretto, il che non accade in un sintagma verbale di forma passiva. Quanto al verbo come ‘motore’ della frase, va però sottolineato che ci sono grandi differenze fra ➔ lingua scritta e ➔ lingua parlata. Nella lingua parlata si riscontrano numerosi enunciati senza verbo finito, cioè senza questo elemento fondamentale per la costituzione della frase (➔ nominali, enunciati; ➔ stile nominale): nel parlato spontaneo italiano, circa il 38% degli enunciati è senza verbo (Moneglia 2005: 236). Come abbiamo già visto, il sintagma verbale non finito non ha la stessa funzione di quello finito: rientra nella frase con differenti funzioni, come parte di forme analitiche del verbo (tempi composti e perifrasi verbali), con funzione nominale come complemento diretto e indiretto e con funzione avverbiale come argomento del verbo o come circostanziale della frase.
Nel passaggio dal latino all’italiano (➔ latino e italiano) il sistema verbale ha subito grandi cambiamenti, alcuni dei quali riguardano anche il sintagma verbale e la sua struttura. Alcuni cambiamenti (come la scomparsa di certe forme verbali e la formazione di forme nuove, quali il ➔ condizionale) non influenzano direttamente la struttura e la funzione del sintagma verbale. Altri, invece, sono più strettamente legati alla struttura del sintagma verbale, come la formazione dei tempi composti e delle forme perifrastiche del passivo. Il passaggio dall’ordine di base latino SOV (Soggetto + Oggetto + Verbo) a quello italiano SVO (➔ ordine degli elementi) ha importanza per il sintagma verbale e la sua posizione nella frase: la posizione non marcata di questo è dopo il soggetto della frase.
Anche all’interno del sintagma verbale ci sono stati cambiamenti. Si hanno oscillazioni nel tipo di reggenza: molti verbi transitivi erano intransitivi nell’italiano dei secoli passati e viceversa (Serianni 1988: 321-322). Si hanno inoltre oscillazioni a livello diatopico (➔ variazione diatopica): nell’➔italiano regionale meridionale, entrare e uscire sono usati transitivamente (entrare il cane e uscire il bambino; GRADIT 1999: ad voces). Così anche nella lingua letteraria dei secoli scorsi, ad es. in Ariosto, troviamo forme del tipo «per poter entrare ogni sentiero» (GRADIT 1999: II, 870).
A differenza di oggi, nell’italiano antico la collocazione dei clitici era relativamente libera, e la distribuzione fra proclisi ed enclisi era diversa (Maiden 1998: 182; ➔ parole enclitiche; ➔ parole proclitiche). Sopravvivono tracce della vecchia collocazione in espressioni come vedasi, cercasi e vendesi.
GRADIT (1999) = De Mauro, Tullio (dir.), Grande dizionario italiano dell’uso, Torino, UTET, 6 voll.
Ginzburg, Natalia (1961), Le voci della sera, Torino, Einaudi.
LIP (1993) = De Mauro, Tullio et al. (a cura di), Lessico di frequenza dell’italiano parlato, Milano, ETAS libri (http://badip.uni-graz.at/)
Maggiani, Maurizio (1995), Il coraggio del pettirosso, Milano, Feltrinelli.
Maraini, Dacia (2004), Colomba, Milano, Rizzoli.
Sabatini, Francesco & Coletti, Vittorio (2006), Il Sabatini-Coletti. Dizionario della lingua italiana, Milano, Rizzoli - Larousse.
Bertinetto, Pier Marco (1991), Il verbo, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 13-161.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Maiden, Martin (1998), Storia linguistica dell’italiano, Bologna, il Mulino (ed. orig. A linguistic history of Italian, London, Long-man, 1995).
Moneglia, Massimo (2005), C-ORAL-ROM. Un corpus di riferimento del parlato spontaneo per l’italiano e le lingue romanze, in Lingua, cultura e intercultura: l’italiano e le altre lingue. Atti dell’VIII congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Copenaghen, 22-26 giugno 2004), a cura di I. Korzen, København, Samfunslitteratur Press, pp. 229-241.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.