Popper, Sir Karl Raimund
Filosofo austriaco della scienza, naturalizzato britannico (Vienna 1902- Croydon, Londra, 1994). Dopo l’occupazione tedesca dell’Austria (Anschluss) nel 1938, emigrò in Nuova Zelanda, dove insegnò filosofia fino al 1945 alla Canterbury University di Christchurch, per poi passare, su invito di Hayek, alla London school of economics, in cui insegnò fino al 1969 logica e metodo scientifico. Nominato baronetto nel 1965, fu membro della Royal Society. Tra i maggiori filosofi della scienza del sec. 20°, P. ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo scientifico. Sin dalla sua prima opera, Logik der Forschung (1935; trad. it. Logica della scoperta scientifica), sulla base di un’asimmetria tra verificazione e falsificazione, per la quale un numero per quanto elevato di conferme non è mai sufficiente a verificare in modo conclusivo un’asserzione universale (prototipo delle leggi scientifiche) mentre un solo esempio negativo basta a invalidarla, P. ha ravvisato nella «falsificabilità» la caratteristica delle teorie scientifiche (caratteristica che le distingue dalle dottrine metafisiche) e nel metodo ipotetico-deduttivo il procedimento tipico della conoscenza scientifica. Piuttosto che per generalizzazioni induttive (a cui si riduce per P. il verificazionismo neopositivistico), questa procederebbe tramite ipotesi che vengono sottoposte a «severi» tentativi di falsificazione, consistenti nel saggiarne la validità mediante il controllo delle conseguenze empiriche. La continua applicazione di tale metodo, implicante o la temporanea «corroborazione» (termine che P. preferisce a «conferma», che ritiene compromesso con l’epistemologia induttivistica) delle ipotesi o la sostituzione delle teorie falsificate dall’esperienza con nuove teorie, è per P. espressione del carattere mai definitivo del sapere scientifico, ma al tempo stesso garanzia della crescita della conoscenza e del suo indefinito avvicinarsi alla verità. Critico tanto dell’empirismo quanto del convenzionalismo, P. ha sostenuto la priorità delle assunzioni teoriche rispetto ai dati osservativi, che avrebbero la funzione di controllo delle teorie (razionalismo critico), difendendo una teoria della conoscenza per prova ed errore che è successivamente sfociata in una concezione evoluzionistica in cui la conoscenza e la stessa attività scientifica sono considerate continue con l’evoluzione. L’antidogmatismo che informa le tesi epistemologiche popperiane è stato esteso da P. anche alle scienze sociali e alla filosofia politica. Particolarmente note sono le sue obiezioni al marxismo, considerato come un esempio di «storicismo» (The poverty of historicism, 1944-45, trad. it. Miseria dello storicismo), cioè di quel tipo di dottrine metafisiche che pretendono di prevedere il futuro corso della storia sulla base di leggi specificamente storiche, diverse da quelle delle scienze naturali e non soggette a falsificazione. Sul piano della filosofia politica la concezione fallibilistica della conoscenza ha condotto P. a una critica del totalitarismo (che avrebbe le sue radici in Platone, Hegel e Marx) a difesa di una «società aperta» (The open society and its enemies, 1945; trad. it. La società aperta e i suoi nemici) in cui ogni soluzione politica sia sottoposta al vaglio della critica e dove sia possibile sperimentare, mediante sistemi democratici, nuove soluzioni in grado di correggere gli errori delle precedenti. Tra le altre opere si ricordano: Conjectures and refutations (1963; trad. it. Congetture e confutazioni); Objective knowledge. An evolutionary approach (1972; trad. it. Conoscenza obiettiva: un punto di vista evoluzionistico); Unend-ed quest. An intellectual autobiography (1976; trad. it. La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale); The self and its brain (in collab. con J.C. Eccles, 1977; trad. it. L’io e il suo cervello); Postscript to «The logic of scientific discovery» (3 voll., 1982-83; trad. it. Poscritto alla Logica della ricerca scientifica).