SISTEMA DELL'ARTE
SISTEMA DELL’ARTE. – Il curatore. Il collezionismo. Gli altri aspetti del sistema dell’arte. I premi. Le residenze d’artista. Le fondazioni. Le riviste. Bibliografia. Sitografia
Il curatore. – Gli anni Novanta del Novecento, anni in cui è esploso globalmente il fenomeno delle biennali (v. BIENNALE) e in cui l’attività espositiva ha conosciuto una diffusione eccezionale, hanno visto l’affermarsi di quella che è stata definita «l’era del curatore», segnata da una presenza crescente di questa figura eclettica e per molti versi sfuggente. Animatore culturale, comunicatore, educatore, esperto di marketing e amico dell’artista, mobile anello di congiunzione fra la committenza e il mercato, quello del curatore è un ruolo complesso, difficile da definire, oggetto di un diffuso atteggiamento di sospetto e persino di ostilità. Il filosofo francese Yves Michaud, per es., nelle pagine polemiche di L’artiste et les commissaires già nel 1989 ha sostenuto la fatua mondanità del curatore vedette, un jet-set flaneur (R. Rugoff, Rules of the game, «Frieze», 1999, 44) compromesso nei riti esclusivi del s. dell’a., nel quale prevale «la logica di produzione e di spettacolo» (Y. Michaud, L’artiste et les commissaires, 1989; trad. it. 2008, p. 175). Una posizione molto dura che trova riscontro anche in Italia, dove Lea Vergine, storica e critica dell’arte, ha lamentato in più occasioni la scarsa preparazione dei giovani curatori. Dal canto suo, il filosofo Mario Perniola ha parlato a proposito della condizione attuale del s. dell’a. di una «critica senza teoria» (L’arte e la sua ombra, 2000) e ancora più radicale appare la tesi espressa da Federico Ferrari, il quale ha dichiarato che «nella quasi totalità dei casi, il curatore incarna, purtroppo, la miseria dell’arte e della critica contemporanea. [...] È sempre alla ricerca di contratti e contrattini per crearsi una nomea vendibile, valutabile in termini monetari e di potere». (Lo spazio critico. Note per una decostruzione dell’istituzione museale, 2004, p. 47). La figura del curatore è dunque, agli inizi del 21° sec., al centro di un dibattito caratterizzato da posizioni anche molto aspre che, da un canto, accentuano la compromissione del curatore con il mercato e la sua complicità con chi realmente governa le sorti dell’arte e, dall’altro, sottolineano la sua mancanza di preparazione storico-teorica.
Si tratta di un’ampia e via via più sistematica riflessione critica sul ruolo e sulle funzioni del curatore che ha dato vita a quello che è stato definito un vero e proprio Curatorial turn, una svolta che, secondo il critico curatore e artista inglese Paul O’Neil, conduce «dalla pratica al discorso» aprendo la stagione dei «curatorial studies» (The curatorial turn: from practice to discorse, in The biennial reader, ed. M. van Hal, S. Ovstebo, E. Filipovic, 2010). Convegni, pubblicazioni, dibattiti e, immancabili, interviste (Obrist 2008) che pongono in luce soprattutto le molteplici implicazioni dell’attività curatoriale ripercorrendone le vicende passate anche in relazione al mutato valore dell’esposizione. Quello che caratterizza i primi anni del secolo è un generale ripensamento su questa figura professionale dai confini incerti, il cui profilo viene ridefinito anche a partire dalle trasformazioni che hanno riguardato di recente l’arte e i nuovi media attraverso un lavoro di studio che guarda al presente ma anche al passato, individuando le esperienze che, nella secon da metà del secolo scorso, hanno creato le condizioni per il successivo, vertiginoso sviluppo dell’attività curatoriale. Una per tutte, quella esemplare dello svizzero Harald Szeemann (v.), «curatore indipendente senza casa», come egli stesso amava definirsi (Museum der Obsessionen von/über/zu/mit Harald Szeemann, 1981, p. 80). Con la sua attività Szeemann ha indubbiamente segnato uno dei percorsi più interessanti della critica d’arte del secondo Novecento, individuando nel l’esposizione il fulcro della sua attività teorica. Direttore del la Kunsthalle di Berna dal 1961, nel marzo del 1969 vi inaugurava la memorabile Live in your head. When attitude become form. Works-concepts-processessituations_information, una rassegna che ha segnato una tappa decisiva nella storia delle esposizioni del Novecento, determinando un mutamento del significato stesso della mostra, ora luogo di creazione dell’opera, generata attraverso la vicinanza creativa del curatore, complice del processo artistico, oltre che di quello critico. Un’attitudine che ha reso Szeemann un riferimento per la successiva generazione di curatori che, al lavoro di scrittura saggistica – ancora decisivo nell’esperienza di critici come Achille Bonito Oliva o Germano Celant, molto attivi peraltro anche nella cura di grandi mostre e biennali –, privilegia l’attività di visualizzazione, conseguenza anche della crescita su scala globale delle occasioni espositive e del loro crescente successo in termini di pubblico.
A scaturire da questa situazione è il sempre più evidente protagonismo di alcuni curatori internazionali, chiamati di volta in volta a firmare rassegne periodiche o a dirigere musei e fondazioni, a riprova di come nel tempo della globalizzazione si sia affermata nel s. dell’a. una maggiore intercambiabilità di ruoli e funzioni: così, per fare soltanto qualche esempio di curatori italiani, Francesco Bonami, già sostenitore del «curatore inesistente» (Il curatore inesistente, in La sindrome di Pantagruel, catalogo della mostra, a cura di F. Bonami, C. Christov-Bakargiev, 2005) e autore del volume Curator. Autobiografia di un mestiere misterioso(2014), è attualmente direttore artistico della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo avendo firmato nel 2003 la Biennale di Venezia e nel 2010 la Biennale del Whitney Museum di New York, o Carolyn Christov-Bakargiev, dal 2015 direttrice della GAM (Galleria d’Arte Moderna) di Torino e del Castello di Rivoli-Museo d’arte contemporanea, che ha firmato nel 2008 la Biennale di Sydney, nel 2012 Documenta 13 e nel 2015 la Biennale di İstanbul, o, ancora, Massimiliano Gioni, il quale ha coniugato l’impegno al New Museum of contemporary art di New York e la direzione artistica della Fondazione Trussardi con la cura della Biennale di Venezia del 2013.
Parallelamente, ed è un dato significativo, l’ambito dell’attività curatoriale è oggetto di frequenti incursioni non solo da parte degli artisti, che peraltro da sempre hanno avuto un ruolo nella creazione di eventi espositivi (Zuliani 2012, pp. 113 e segg.), ottenendo anche notevole riscontro mediatico – esemplare il caso della visitatissima mostra Shit and die curata a Torino da Maurizio Cattelan nel 2014 –, ma anche da parte di figure apparentemente distanti dal mondo dell’arte e della critica, intellettuali e studiosi di diversa formazione spesso chiamati dalle istituzioni a proporre progetti espositivi: ne è importante esempio Parti pris, la serie di mostre che negli anni Novanta del secolo scorso ha visto il coinvolgimento di numerosi filosofi e pensatori – Jacques Derrida e Jean Starobinski tra gli altri – chiamati a proporre una mostra a partire dalla collezioni del Louvre, mentre nel 2002 Paul Virilio ha curato la mostra Ce qui arrive alla Fondation Cartier di Parigi. Per citare il caso di un regista cinematografico, Peter Greenaway, pittore di formazione, nel 1991 ha curato The physical self al Museum Boijmansvan Beuningen di Rotterdam e nel 2007 ha realizzato l’intervento multimediale Ripopolare la reggia, concepito per l’inaugurazione della Venaria reale a Torino. Tra gli architetti, vale la pena ricordare almeno Jean Nouvel (v.) che alla Fondation Cartier ha curato un’importante retrospettiva di César nel 2007. Al di là dell’effettiva qualità dei singoli progetti, si tratta di una tendenza che indica come il ruolo del curatore abbia carattere plastico, non riducibile a un preciso e ben definito profilo professionale in quanto la progettazione e la realizzazione di un’esposizione mettono in gioco competenze e pratiche plurali. In considerazione di ciò, è stata avanzata la proposta di ritenere la curatela non un lavoro individuale, ma un processo collettivo. Vi sono state in passato alcune verifiche e sperimentazioni in ambito artistico di tale ipotesi – si pensi, per es., al lavoro anche curatoriale dello statunitense Group Material – che però assume oggi un nuovo valore. La curatela collettiva implica infatti non soltanto l’elaborazione di un progetto di mostra frutto di una semplice partnership, ma la realizzazione di un’effettiva, e comunque difficile co-authorship. Una coautorialità che, ha dichiarato il filosofo Paolo Virno, rappresenta «il tentativo di correggere a livello estetico la realtà di una produzione in cui ‘l’intero è meno della somma delle par ti’. È un tentativo di mostrare cosa sarebbe la somma delle parti se non fosse ridotta a questo intero» («Manifesta journal», 2009-2010, p. 56).
Più che un accordo strumentale per ottimizzare tempi e risorse, la curatela collettiva rappresenta dunque la possibilità di uno spazio critico e creativo alternativo, espressione di un approccio responsabile dal punto di vista etico e non soltanto estetico che va nella direzione di quello che è stato di recente riconosciuto come un «educational turn» delle pratiche curatoriali e artistiche (Curating and the educational turn, 2010). Si tratta di uno spostamento «dall’esposizione all’educazione» che rappresenta ormai una pratica diffusa nell’ambito delle istituzioni artistiche internazionali e italiane più sensibili, in cui l’aspetto dell’educazione appare oggi cruciale e, soprattutto, trasversale, orientando in maniera significativa anche le differenti politiche curatoriali.
Il collezionismo. – Figura eroica della modernità, infaticabile ‘cacciatore’ animato non tanto da un esclusivo desiderio di possesso quanto da un vero e proprio Kunstwollen (A. Lugli, Museologia, 1992, p. 54), da una tensione creativa ogni volta diversa e comunque insaziabile – «esistono – ha scritto Walter Benjamin – molte specie di collezionisti; in ciascuno agiscono [...] numerosi impulsi» (Aprendo le casse della mia biblioteca. Discorso sul collezionismo, a cura di E. Dell’Anna Ciancia, 2012, p. 12) –, il collezionista ha un ruolo determinante nel s. dell’a., di cui è ormai protagonista del tutto consapevole e determinato. Se infatti è vero che il gesto privato e, come è stato più volte sottolineato, ‘archetipale’, del collezionare è da sempre momento fondante della dimensione pubblica dell’arte, costituendo il necessario presupposto per la nascita dei musei e, più complessivamente, per la strutturazione del moderno ‘complesso espositivo’ (T. Bennett, The birth of the museum. History, theory, politics, 1995), non si può non riconoscere come nel corso del Novecento il collezionista abbia assunto una più ampia visibilità, dovuta non soltanto al lavoro di sostegno alla produzione artistica attraverso attività di committenza (un tradizionale mecenatismo che in tempi recenti si esprime sovente nell’organizzazione di premi e di residenze per gli artisti), ma motivata anche da un intervento più marcato nella promozione e nella circolazione delle opere attraverso lo strumento, sempre più utilizzato, delle fondazioni. Così, se nell’Ottocento il collezionista per le sue caratteristiche psicologiche e per il suo status sociale sollecitava soprattutto la riflessione degli scrittori – e basterà ricordare Le cousin Pons (1846), protagonista dell’omonimo racconto di Honoré de Balzac, o gli amici rivali che si contendevano Le violon de faïence (1877) nel romanzo breve di Champfleury o, ancora, Bouvard et Pécuchet (1881), indimenticabili collezionisti enciclopedici descritti da Gustave Flaubert – nel corso del Novecento questa figura ha via via guadagnato un peso sempre maggiore nelle dinamiche del mercato e dell’esposizione dell’arte, dell’arte contemporanea in special modo, della quale il collezionista più che seguire accompagna e orienta gli sviluppi e le proposte. Del resto, l’affermazione ‘istituzionale’ dell’arte d’avanguardia avvenuta nei primi decenni del secolo scorso negli Stati Uniti è frutto essenzialmente dell’operato dei collezionisti, in prima linea anche nella divulgazione delle nuove poetiche artistiche. Un impegno che ha visto coinvolte in particolare alcune energiche collezioniste (Lillie Bliss, Abby Aldrich Rockefeller, Mary Quinn Sullivan), alla cui passione si deve, tra l’altro, la nascita del MoMA (Museum of Modern Art) a New York, come non ha mancato di evidenziare Krzysztof Pomian, fra le voci più autorevoli nell’ambito dei contemporanei studi sul collezionismo d’arte (Des saintes reliques à l’art moderne. Venise-Chicago XIIIXX siècle, 2003; trad. it. 2004, pp. 276 e segg.).
Affrontare la questione del collezionismo d’arte contemporanea significa quindi tenere conto non soltanto dei processi di acquisizione delle opere, ma anche di come questi processi vengano comunicati attraverso interventi pubblici di diversa natura: mostre, innanzitutto, ma anche pubblicazioni e interviste. Negli ultimi anni sono apparsi sul mercato editoriale numerosi studi, biografie e saggi dedicati proprio ad alcune figure ormai storiche del collezionismo d’arte contemporanea del Novecento tra le quali certamente brilla di luce speciale Peggy Guggenheim, che con la sua attività di gallerista a Londra (Guggenheim Jeune, 1938-1939) e poi a New York (Art of this century, 1942-1947), e, quindi, con la sua attività di sostegno alle nuove ricerche artistiche europee e statunitensi ha rappresentato un modello più volte ripreso e interpretato nel corso del 20° secolo. Egualmente nota e studiata la vicenda di Ernst Beyeler, mercante, collezionista e promotore dell’omonima fondazione, la cui sede, progettata da Renzo Piano nei pressi di Basilea, dal 1997 espone in permanenza la sua raffinata collezione (E. Beyeler, La passion de l’art. Entretiens avec Christophe Mory, 2003; trad. it. 2005). Allo sguardo retrospettivo rivolto a esperienze che hanno segnato in maniera significativa la vicenda del collezionismo novecentesco corrisponde una crescente attenzione all’attualità del fenomeno, oggetto anche in Italia di documentazione attraverso testi autobiografici, come quello pubblicato nel 2013 dalla collezionista Lucrezia De Domizio Durini (Perché. Le sfide di una donna oltre l’arte), cui si affiancano contributi critici, saggi di riflessione e manuali (Pratesi 2010; Polveroni, Agliottone 2012; Grazioli 2012) che hanno come oggetto anche le dinamiche del mercato dell’arte, mentre rubriche dedicate al collezionismo dell’arte contemporanea, letto sia nei suoi aspetti finanziari sia nei suoi risvolti mondani, sono presenti sulle principali riviste e sui più frequentati portali d’arte contemporanea, senza dimenticare i canali televisivi tematici che proprio alla figura del collezionista dedicano ampi spazi. Numerose sono anche le associazioni di collezionisti, che spesso rivestono un ruolo di importante supporto alle istituzioni museali. È, per es., il caso di ACACIA (Associazione amici arte contemporanea italiana), promossa e presieduta dall’influente collezionista milanese Gemma Testa, che dal 2003 riunisce gli amici dell’arte contemporanea con lo scopo di sostenere e valorizzare gli artisti italiani: oltre a organizzare un premio per la giovane arte italiana, l’associazione ha di recente arricchito le collezioni del Museo del Novecento di Milano con un’ingente donazione di opere provenienti appunto dalla propria collezione. Sempre per rimanere in Italia, è molto attiva su Facebook la comunità dei collezionisti d’arte contemporanea, che si riconosce anche nel portale www.collezionistidiartecontemporanea.it.
Una vivacità che trova riscontro nella costante crescita del pubblico e della qualità espositiva delle principali fiere internazionali di arte contemporanea (v. mercato dell’arte), tra le quali vale la pena di citare la storica Art Basel, che da qualche anno presenta anche un’edizione a Miami e una a Honk Kong, la FIAC (Foire Internationale d’Art Contemporain) di Parigi, la madrilena ARCO (ARte COntemporaneo), Frieze a Londra e l’Armory Show a New York, mentre in Italia gli appuntamenti più frequentati sono quelli della bolognese Artefiera, della più giovane e molto dinamica Artissima a Torino e del MiArt a Milano, cui si accompagnano fiere ed eventi satelliti, a conferma di come, nonostante la recente crisi finanziaria, il mercato dell’arte sia ancora forte e il collezionismo dell’arte contemporanea, oggi sempre più specializzato (si sono moltiplicate negli ultimi anni le fiere dedicate esclusivamente alle fotografia), viva una fase di sviluppo e di consolidamento.
La già ricordata istituzione, a opera di grandi collezionisti, di fondazioni (tra quelle italiane, vale la pena di ricordare almeno la precoce Fondazione Sandretto Re Rebaudengo in Piemonte e a Milano la Fondazione Nicola Trussardi e la Fondazione Prada, che nel maggio 2015 ha aperto la sua nuova sede progettata dall’archistar Rem Koolhaas; nel 2010 è nata a Roma la Fondazione Giuliani, promossa dai collezionisti Giovanni e Valeria Giuliani, mentre a Napoli sono molto attive la Fondazione Morra Greco e la Fondazione Morra, rispettivamente legate al collezionista Maurizio Morra Greco e al gallerista e collezionista Peppe Morra) è la conferma di come il collezionismo d’arte contemporanea si mostri ormai come una realtà pienamente riconosciuta anche dal punto di vista storico-critico, oggetto sempre più spesso di ricerca e di esposizione, anche in ambito pubblico.
Esemplare in questo senso il caso della collezione Terrae motus. Promossa all’indomani del sisma del 1980 dal gallerista napoletano Lucio Amelio, il quale, attraverso il lavoro di artisti come Joseph Beuys, Andy Warhol, Giulio Paolini, Christian Boltanski, Robert Mapplethorpe, volle offrire un’occasione di palingenesi e di rinnovamento alla sua città, la collezione Terrae motus raccoglie oltre cento opere, esposte in passato anche al Grand Palais di Parigi e oggi accolte, con alterne vicende, negli spazi della Reggia di Caserta, dove documentano con efficacia un decennio – gli anni Ottanta, appunto – che ha segnato una svolta anche nelle pratiche collezionistiche. A Roma ha invece trovato accoglienza, dopo lunghe trattative, la collezione dell’imprenditore italoamericano Carlo Bilotti, una raccolta di opere piuttosto eterogenea (Giorgio De Chirico, Gino Severini, Warhol sono alcuni degli artisti documentati) esposta nell’Aranciera di Villa Borghese.
Di natura squisitamente privata, il progetto che ha guidato la formazione della collezione Maramotti, attualmente allestita nell’edificio che ospitava l’opificio della casa di moda Max Mara a Reggio Emilia: una raccolta prevalentemente rivolta alla pittura, soprattutto italiana, del Novecento che, nata per volontà di Achille Maramotti, continua a crescere grazie ad attività di residenza, ai premi e alle commissioni promosse dalla famiglia. Egualmente frutto di una passione e di un gusto decisamente orientati e riconoscibili è la prestigiosa collezione di Giuseppe Panza Di Biumo, una raccolta di capolavori della stagione minima-lista, oggetto, fra l’altro di una grande mostra all’Accademia di San Luca nel 2014. Soltanto una minima parte delle opere è purtroppo rimasta in Italia ed è oggi esposta in permanenza negli spazi della villa della famiglia a Varese, divenuta patrimonio del FAI (Fondo Ambiente Italiano), dove è proposta, tra l’altro, una serie impressionante di installazioni site-specific di Dan Flavin. A Venezia, nella sede ristrutturata da Tadao Ando di Punta della Dogana, ha poi trovato dal 2009 accoglienza la ricchissima collezione dell’imprenditore francese François Pinault, promotore dell’omonima fondazione che ha in gestione, sempre a Venezia, palazzo Grassi, le cui attività espositive sono per lo più legate alle opere che appartengono alla stessa collezione Pinault, a conferma di come la figura del collezionista abbia una posizione di indiscusso prestigio e potere nel sistema globale dell’arte contemporanea.
Gli altri aspetti del sistema dell’arte. – I premi. – Numerosi e molto disomogenei nei criteri e nel prestigio, i premi destinati a opere, a progetti o a protagonisti dell’arte contemporanea rappresentano uno degli aspetti più rilevanti del s. dell’a., nel quale spiccano per risonanza il Turner prize, nato nel 1984 e riservato dalla Tate gallery ad artisti britannici under 50 (tra i premiati, Gilbert&George, Tony Cragg, Damien Hirst, Rachel Whiteread) e lo statunitense Hugo Boss prize, istituito nel 1996 dalla Fondazio ne Solomon R. Guggenheim con il decisivo sostegno della casa di moda tedesca, premio che annovera tra i vincitori – cui viene tra l’altro riservata una mostra personale al Guggenheim Museum di New York – Matthew Barney, Douglas Gordon, Tacita Dean, Emily Jacir.
Il fenomeno dei premi destinati all’arte contemporanea vanta peraltro nobili antecedenti – e basterà pensare ai premi in denaro promossi fin dalla sua prima edizione (1895) dalla Biennale internazionale di Venezia, che attualmente attribuisce i molto ambiti Leoni d’oro – e appare oggi decisamente in crescita, coinvolgendo in maniera massiccia anche l’Italia, dove concorsi di diversa natura sono proposti non soltanto da alcuni importanti musei, ma anche da imprese, fondazioni e associazioni. Tra i premi promossi da musei o da istituzioni pubbliche italiani vanno ricordati, fra gli altri, quello riservato dal MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo, alla giovane arte italiana, o il premio rivolto ad artisti internazionali under 35, istituito nel 2011 dalla Soprintendenza speciale per il PSAE (Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico) e per il Polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta a Castel Sant’Elmo, che individua ogni anno il progetto di un’Opera per il Castello.
Tra i premi finanziati da grandi aziende e imprese, si è progressivamente affermato il premio Terna, attivo dal 2008, che richiede opere legate di volta in volta a un tema connesso all’energia. Il premio Cairo è stato istituito nel 2000 dall’editore Urbano Cairo, che al preesistente premio Arte, legato all’omonima rivista mensile dello stesso gruppo editoriale e riservato agli artisti esordienti, ha voluto così affiancare un premio per artisti italiani under 40 già presenti sulla scena espositiva. Sempre nel 2000 è nato il premio Furla, promosso dall’omonima Fondazione con l’iniziale collaborazione della Fondazione Querini Stampalia di Venezia allo scopo di promuovere l’arte italiana emergente: il premio, che nel 2015 ha proposto a Palazzo Reale a Milano una mostra dei vincitori delle sue dieci edizioni, si avvale ogni volta della presenza tutelare di un affermato artista internazionale (Joseph Kosuth, Jimmie Durham, Vanessa Beecroft, fra gli altri) il quale realizza anche l’immagine del premio. Possono vantare un numero molto largo di partecipanti i premi promossi dal network privato Celeste, che si offrono soprattutto come strumento di visibilità per gli artisti che si iscrivono alle competizioni, per le quali non è indicato alcun limite di età o di carriera. Attivo dal 2005, il premio internazionale Arte laguna prevede non soltanto l’assegnazione di premi in denaro e l’allestimento di mostre, ma anche l’organizzazione di residenze per gli artisti selezionati, secondo una procedura oggi sempre più diffusa a livello globale.
Le residenze d’artista. – Quello delle residenze d’artista è certamente un fenomeno che, ben consolidato negli Stati Uniti e nei principali Paesi europei, sta assumendo anche in Italia un peso sempre più decisivo nell’ambito della produzione e della promozione dell’arte contemporanea, assicurando agli artisti una forma di sostentamento e di committenza che in qualche modo contribuisce, assieme ai premi, a supplire alla ancora scarsa attenzione da parte delle istituzioni pubbliche, che non lavorano in maniera sistematica alla valorizzazione delle produzioni artistiche contemporanee. Al di là della sua importante funzione di sostegno per il lavoro degli artisti più giovani, l’affermarsi delle residenze trova però le sue ragioni critiche nel differente ruolo assunto negli ultimi anni dall’artista, oggi sempre più vicino, come è stato suggerito da più parti, a quello dell’antropologo (cfr. almeno Foster 1996; trad. it. 2006, pp. 175 e segg.), assecondando così ricerche ed esperienze di relazione e di scambio ‘sul campo’ non solo fra artisti (e curatori) di diversa formazione e origine, ma anche, e soprattutto, fra gli artisti e i differenti contesti, geografici e culturali, nei quali sono chiamati a operare secondo modalità e per periodi anche molto diversi. Le residenze d’artista, di cui è stata effettuata una prima mappatura italiana (cfr. www.artinresidence.it) presentano infatti caratteristiche estremamente variegate e possono proporre momenti di formazione legati di volta in volta a un grande nome dell’arte internazionale – è quanto accade, per es., per il programma promosso annualmente dalla Fondazione Antonio Ratti di Como –, oppure, ed è il caso più frequente, offrire brevi periodi di soggiorno finalizzati alla ideazione e realizzazione di opere site-specific. Spesso, come si è detto, le residenze rappresentano l’esito di un concorso in cui è prevista già la selezione di uno o più progetti artistici che nel corso del soggiorno dovranno essere realizzati (è questo, per es., il meccanismo del consolidato premio New York, promosso dal ministero degli Affari esteri e dall’Italian Academy for advanced studies presso la Columbia University, e del più recente premio Shanghai, promosso dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e dal ministero degli Affari esteri in collaborazione con l’IGAV, Istituto Garuzzo per le Arti Visive di Torino), ma possono essere anche il frutto di una chiamata diretta da parte di fondazioni e istituzioni private. Si tratta, in ogni caso, di una pratica che, al pari di quella dei premi, ha radici antiche nel nostro Paese – e basterà pensare alle ormai secolari attività delle accademie straniere a Roma, o ricordare l’operazione compiuta nel 1898 dalla duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, la quale destinò la propria residenza privata, il palazzo Ca’ Pesaro sul Canal Grande, alla promozione, anche attraverso la loro residenza in laguna, di giovani artisti a Venezia – e che nei primi anni del 21° sec. si è estremamente diffusa a livello internazionale, sia in forme meno strutturate e ufficiali, spesso legate al rapporto con specifici, e non di rado periferici, territori, sia seguendo una logica di circuito e di sistema per molti versi globale, nelle modalità istituzionali di cui protagonisti sono certamente le fondazioni (per restare in Italia, la romana Fondazione Pastificio Cerere promuove, per es., un intenso programma di residenze) e, appunto, i musei – dallo statunitense Isabella Stewart-Gardner Museum al MACRO (Museo d’Arte Contemporanea ROma) –, che sempre più spesso accolgono al loro interno, nelle forme della projet room o di atelier temporanei, il lavoro degli artisti selezionati per brevi periodi di residenza, di cui vengono sovente esposti non solo gli esiti finali, ma tutte le differenti fasi (cfr. S. Zuliani, Post-studio? Produzione ed esposizione dell’opera nel global art world, in Atelier d’artista. Gli spazi di creazione dell’arte dall’età moderna al presente, a cura di S. Zuliani, 2013, pp. 188-99).
Le fondazioni. – Centrale nell’articolazione complessa del s. dell’a. contemporanea il ruolo delle fondazioni, che possono essere, come già si è ricordato, promosse da collezionisti, imprenditori-mecenati, talvolta riuniti in network (www.nuovimecenati.org) o da istituti bancari, come nel caso della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea CRT, nata nel 2000 da una costola della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, con lo scopo di sostenere attraverso specifici programmi di attività, non soltanto espositive, la produzione artistica contemporanea. Numerose anche le fondazioni che sono più specificamente finalizzate alla valorizzazione del lavoro di storici dell’arte e critici (per es., in Italia si segnalano la Fondazione Filiberto Menna. Centro studi d’arte contemporanea attiva dal 1994 a Salerno e a Roma, o la Fondazione Carlo Ludovico Ragghianti di Lucca, senza dimenticare la Fondazione Bruno Zevi a Roma) o che conservano e promuovono, non necessariamente attraverso la gestione di istituzioni espositive, le opere e gli archivi di artisti scomparsi (per es., la Fondazione Pino Pascali - Museo d’arte contemporanea a Polignano o la Fondazione Giorgio e Isa De Chirico a Roma) o – ed è una realtà in forte crescita – di artisti viventi (tra le tante, la Fondazione Arnaldo Pomodoro o la Fondazione Anna e Giulio Paolini). È un panorama ricchissimo, molto eterogeneo e in continua evoluzione all’interno del quale si distingue per l’originalità della proposta, orientata non soltanto alla tutela e alla diffusione dell’opera del suo fondatore, l’artista Michelangelo Pistoletto, la Fondazione Cittàdellarte-Fondazione Pistoletto, con sede a Biella: qui, assieme all’ambizioso progetto Terzo Paradiso, che dal 2003 viene proposto in ogni continente come modello di sviluppo responsabile (www.it.terzoparadiso. org), e alle attività dell’Università delle Idee, trova sede un fitto programma di residenze che coinvolge non soltanto artisti. Del duttile strumento gestionale della fondazione, istituzione cui concorrono sovente soci pubblici e privati, si avvalgono sempre più spesso anche i musei: la Fondazione Museo egizio (2004) è stata, in questo senso, antesignana di una modalità che coinvolge, per es., il MAXXI, museo nazionale legato all’omonima fondazione, o il MADRE (Museo d’Arte contemporanea Donna REgina) di Napoli, che dipende dalla Fondazione Donnaregina, così come sempre più frequenti sono i casi di fondazioni cui fanno capo più istituzioni museali, come accade per la Fondazione Torino Musei o per la Fondazione Musei civici di Venezia (cfr. www.ilgiornaledellefondazioni.com/).
Le riviste. – Oggetto negli ultimi anni di una notevole attenzione da parte degli storici dell’arte, che nelle pubblicazioni periodiche hanno riconosciuto uno strumento e una fonte indispensabile per lo studio dell’arte, non soltanto contemporanea, le riviste d’arte nel primo scorcio del 21° sec. non hanno perduto ma, se mai, modificato nelle forme il ruolo centrale che esse hanno ricoperto nel Novecento, quando alcune riviste si sono offerte non solo come mezzo di informazione e di diffusione di proposte artistiche e critiche, ma come vero e proprio laboratorio creativo, spazio di elaborazione e di esposizione per i nuovi linguaggi dell’arte. A prevalere oggi, in un panorama segnato dalla velocità della comunicazione e dal web 2.0, sono soprattutto le riviste on-line, le piattaforme e i blog: è un fenomeno che ha coinvolto anche alcune testate storiche (esiste, per es., una versione elettronica di «Artforum», prestigioso magazine statunitense, di «Flash art», rivista fondata nel lontano 1967 da Giancarlo Politi, o del più istituzionale «Giornale dell’arte») senza in ogni caso mettere definitivamente in crisi, ed è un dato interessante, le versioni on paper. È significativo, per es., che «e-flux journal», la rivista collegata all’omonima piattaforma newyorkese che rappresenta oggi uno dei veicoli di comunicazione più pervasivi e utilizzati per l’arte contemporanea, sia scarica-bile gratuitamente dal web, ma si possa anche trovare in versione cartacea in alcune selezionate sedi espositive sparse in tutto il mondo. «October», la rivista statunitense fondata nel 1976 da Rosalind Krauss e Annette Michelson (cfr. M.G. Mancini, October. Una rivista militante, 2014), non ha invece rinunciato al suo austero formato cartaceo, offrendo a pagamento sul web i suoi articoli, testi di approfondimento storico-critico che poco si adattano al consumo rapido che il formato elettronico favorisce.
Anche in Italia, Paese in cui la tradizione delle riviste d’arte è ben consolidata e ha conosciuto nel secondo Novecento, in particolare nella stagione delle neoavanguardie, una straordinaria fioritura con testate, a volte anche di breve vita, ormai entrate nella storia – e vale la pena ricordare almeno «Azimuth», «Marcatré», «Data», «NAC, Notiziario Arte Contemporanea», senza dimenticare «Cartabianca», «Senza margine» o la successiva «Figure. Teoria e critica d’arte», (cfr. Trimarco 2012, pp. 45 e segg.) – le riviste d’arte hanno ormai conquistato lo spazio del web: è il caso di «exibart» e di «artribune», che attraverso le loro newsletter svolgono un importante ruolo di informazione quotidiana sui fatti e i protagonisti dell’arte contemporanea, riservando alle versioni on paper le riflessioni più ampie e meditate. A queste due testate se ne affiancano numerose altre, meno vincolate all’immediatezza degli avvenimenti tra cui, per es., la piattaforma arshake, o doppiozero che si definisce «spazio on line di critica culturale», pubblicazioni entrambe nate direttamente sul e per il web e che propongono anche una collana di e-book, o ancora «alfabeta2», rivista culturale che, dopo una partenza tradizionale, si è di recente riconvertita in maniera piuttosto decisa al formato elettronico.
Bibliografia: H. Foster, The return of the real. The avantgarde at the end of the century, Cambridge (Mass.)-London 1996 (trad. it. Milano 2006); Riviste d’arte fra Ottocento ed età contemporanea, a cura di G.C. Sciolla, Milano 2003; G. Maffei, P. Paterlini, Riviste d’arte d’avanguardia. Esoeditoria negli anni Sessanta e Settanta in Italia, Milano 2005; Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e del Novecento, a cura di R. Cioffi, A. Rovetta, Milano 2007; H.U. Obrist, A brief history of curating, Zürich 2008 (trad. it. Milano 2011); Curare l’arte, a cura di C. Bertola, Milano 2008; «Manifesta journal», 2009-2010, 8, nr. monografico: Collective curating (in partic. P. Virno, The Soviets of the multitude. On collectivity and collective work, pp. 46-57); L. Pratesi, L’arte di collezionare arte contemporanea. Orientarsi sul mercato, conoscere le strategie, guadagnare in valore e prestigio, Roma 2010; Curating and the educational turn, ed. P. O’Neil, M. Wilson, London 2010; E. Grazioli, La collezione come forma d’arte, Milano 2012; A. Polveroni, M. Agliottone, Il piacere dell’arte. Pratica e fenomenologia del collezionismo in Italia, Milano 2012; A. Trimarco, Italia 1960-2000. Teoria e critica d’arte, Napoli 2012; S. Zuliani, Esposizioni. Emergenze della critica d’arte contemporanea, Milano 2012; G.P. Barbetta, Le fondazioni. Il motore finanziario del terzo settore, Bologna 2013.
Sitografia: www.artinresidence.it; www.cittadellarte.it; www. ilgiornaledellefondazioni.com; www.nuovimecenati.org; www.artforum.com; www.flashartonline.com; www.exibart.com, www. artribune.com; www.arshake.com; www. doppiozero.com.