Sistemi politici comparati
Un sistema politico è l'insieme di regime, Stato e comunità politica e rinvia evidentemente a numerose e variegate realtà, anche molto diverse e distanti nello spazio e nel tempo. A una connotazione molto generale, sia pure articolata e ricca, corrisponde una denotazione empirica di grandissima ampiezza. Un settore molto ampio della scienza politica tradizionale e moderna ha studiato e approfondito i diversi temi propri dei sistemi politici ovvero parti, elementi, componenti di essi, 'ritagliati' nei modi più diversi. All'interno di tali studi si è poi sviluppata una lunga, consolidata e ampia tradizione di comparazione macropolitica. Dunque, non solo comparazioni di sistemi 'interi' ovvero delle loro dinamiche di cambiamento (instaurazione, consolidamento, crisi, crollo), ma anche comparazioni di partiti, movimenti, organizzazioni di interesse, di leggi elettorali, parlamenti, governi nazionali e locali, e ancora politiche di ambito (locale, nazionale, sovranazionale) e segno (regolative, costitutive, distributive, redistributive) diversi.
L'aspetto più importante di tali ricerche comparate è che l'unità di analisi, i sistemi politici o loro parti, influenza il metodo stesso, la comparazione. Ciò avviene almeno in una precisa direzione: al livello macropolitico le realtà che si vogliono comparare spingono ad affrontare problemi metodologici peculiari rispetto all'oggetto studiato. Le ragioni della peculiarità non attengono solo all'oggetto in sé, il sistema politico, ma anche a certe sue caratteristiche: il fatto che a livello macropolitico si analizzano sempre fenomeni complessi, il numero ridotto di casi che di solito si possono studiare e, infine, il carattere qualitativo della grande maggioranza dei fenomeni esaminati. I problemi e le strategie ricorrenti della comparazione macropolitica sono l'oggetto di questo articolo, che dunque affronta il discorso sulla comparazione con specifico riferimento ai sistemi politici.
Si può iniziare precisando quali sono le funzioni della comparazione a livello macropolitico. Finer (v., 1954) ne menziona tre, le più rilevanti: a) funzione conoscitiva; b) funzione esplicativa; c) funzione applicativa, o di intervento. La prima funzione è molto semplice: si indagano ovvero si analizzano altre realtà di diversi paesi per conoscere meglio i fenomeni studiati. L'obiettivo è descrittivo, senza ambizioni di altro genere. La seconda funzione si pone esplicitamente un obiettivo di spiegazione: si fa ricerca su altri paesi e sui fenomeni relativi per giungere a interpretazioni che si suppongono più forti, perché comuni a diversi casi. L'analisi di più di un caso, infatti, consente innanzitutto di mettere alla prova le diverse spiegazioni e giungere a spiegazioni più cogenti e argomentate su quale sia la spiegazione (o le spiegazioni) da preferire. In questo senso la comparazione serve a controllare ipotesi o spiegazioni tutte egualmente plausibili e a suggerire le più convincenti, ovvero anche a elaborarne nuove e più approfondite. La terza funzione è applicativa: di fronte a problemi politici e alle relative decisioni da prendere, si studiano problemi simili e le soluzioni adottate negli altri paesi. In senso proprio, si tratta di una funzione conoscitiva e applicativa al tempo stesso. La prima e la seconda funzione sono comuni anche ad altri ambiti disciplinari, la terza ha una sua peculiarità nel campo delle politiche pubbliche e in questo senso è più ricorrente nei settori di cui qui ci si occupa.
Questa premessa aiuta a inquadrare il percorso e i problemi propri della comparazione macropolitica. Il primo passo - precisare il quesito della ricerca (che cosa interessa conoscere, descrivere, spiegare o comprendere, ovvero conoscere per applicare) - è immediatamente connesso alla specificazione di certi aspetti metodologici (innanzitutto scelta del metodo e consapevolezza delle procedure da usare). Successivamente, occorrerà procedere alla definizione dei concetti adottati, alla formulazione di ipotesi e, di solito, anche a una qualche classificazione. L'analisi di nuovi dati spesso costringerà a riformulare le ipotesi e talora le stesse classificazioni o tipologie; il che può portare a ricercare ancora nuovi dati, ripetendo diverse volte l'operazione concettuale di 'andata e ritorno' dalla teoria alla realtà empirica. Tuttavia, quando ci si occupa di macropolitica e, dunque, di fenomeni complessi è possibile imbattersi in un'enorme quantità di dati. Questo può portare a un certo disorientamento, oppure alla tentazione di raccoglierne il più possibile, e dunque alla disorganizzazione della ricerca e alla paralisi. Un buon costrutto teorico è tanto più necessario in questo settore in quanto aiuta a focalizzare la ricerca, a orientarsi verso le variabili chiave, a selezionare le ipotesi e a scegliere i dati più appropriati e, più in generale, consente una maggiore 'parsimonia' sia sul versante teorico che su quello empirico.
Nella prospettiva qui privilegiata (rapporto tra oggetto e metodo) il passo successivo è la classificazione, un'operazione importante in tutti gli ambiti scientifici, che in macropolitica diventa cruciale per alcune ragioni. La prima è che in questo modo l'esplicita messa a punto concettuale e la conseguente necessaria ricognizione empirica del campo conoscitivo permettono di individuare con sicurezza quali siano i casi comparabili (v. Lijphart, 1975), cioè i casi che possono essere ricondotti a una stessa classe o tipo. Vi sono, ad esempio, unità definibili come parlamenti con alcune proprietà comuni, partiti definiti in un certo modo, governi con alcune attribuzioni, e così di seguito.
Rientra in questo ambito, strettamente collegato all'esercizio classificatorio, il corretto uso della scala di astrazione (v. Sartori, 1971 e 1984). Servirsi della scala di astrazione in relazione alla classificazione significa spostarsi da concetti, classi e ipotesi più generali ed empiricamente inclusivi a concetti, classi e ipotesi più particolari ed esclusivi (o viceversa) secondo una precisa regola di trasformazione: a una maggiore estensione o inclusività di referenti empirici corrisponde una minore intensione o un più ridotto spazio degli attributi, cioè un minor numero di dimensioni concettuali da considerare. L'uso della scala di astrazione è cruciale per la comparazione macropolitica proprio in quanto consente di effettuare con maggior rigore - seguendo le regole di trasformazione appena indicate - i controlli successivi delle ipotesi allo stesso livello di astrazione per tutti i casi in esame e, poi, a diversi livelli di maggiore o minore astrazione. Consente così di formulare ipotesi più generali, spesso meno significative, oppure, al contrario, di articolare le stesse ipotesi, specificandole man mano che si scende nei dettagli dei casi e aumentano le variabili considerate, mentre diminuiscono i potenziali referenti empirici.
Un'altra funzione essenziale della classificazione riguarda la parametrizzazione. La classificazione - con l'uso della scala di astrazione - non svolge solo una funzione descrittiva del fenomeno analizzato, ma ha anche potenzialità esplicative per mezzo della parametrizzazione. Questo problema è uno dei più spinosi tra i diversi incontrati dal comparatista in macropolitica, soprattutto quando si comparano unità definibili solo qualitativamente. Se non si vuol far ricorso a un metodo debole come l'esperimento mentale, come si può valutare l'incidenza di un certo fattore su un altro che vogliamo spiegare? In ambito statistico l'operazione sarebbe ovvia: si parametrizza, cioè si rendono costanti tutti gli altri fattori che possono influire sul fenomeno studiato, isolando in questo modo certi altri fattori che si rivelano come le spiegazioni effettive di quel fenomeno. Ad esempio, se si vuole capire l'impatto della differenza di sesso sul comportamento di voto, occorrerebbe rendere ininfluenti età, luogo di residenza, classe sociale, e all'interno di classi così determinate di persone con età, residenza e classe sociale simili vedere le differenze nel comportamento tra donne e uomini. Ma anche nel trattamento statistico risulta subito evidente come proprio la classificazione giochi una parte determinante nella parametrizzazione. Se ci si sposta nel più difficile trattamento qualitativo, la classificazione e poi, all'interno di ogni classe, l'individuazione di sottoclassi - e, dunque, in questo senso specifico l'uso della scala di astrazione - svolgono una funzione effettiva di parametrizzazione, pur con tutti i problemi e le difficoltà che vanno in concreto affrontati. In breve, classificazione e scala di astrazione possono servire a controllare empiricamente la validità di cause ipotizzate, ma ancora da dimostrare. Così, ad esempio, se si vogliono spiegare le differenze tra il sistema partitico francese negli anni cinquanta e quello italiano negli stessi anni, i parametri sono il numero dei partiti e la loro distanza ideologica, in quanto entrambi i sistemi appartengono al tipo 'pluralismo polarizzato' con più di cinque-sei partiti e un'alta distanza ideologica (v. Sartori, 1976), e le variabili saranno altre: nell'esempio, la presenza in Italia di un radicato partito cattolico che monopolizza il centro ed è collegato agli interessi e la sua assenza in Francia.Un'ulteriore scelta a livello macropolitico, in cui l'oggetto influenza il metodo, è quella tra fenomeni complessi di carattere qualitativo e fenomeni di carattere quantitativo. Occupandosi di questo problema, Ragin e Zaret (v., 1983) affermano che possiamo avere una comparazione statistica e una comparazione storica. La prima, usando tecniche quantitative, studia le variabili numeriche analizzate osservando con le apposite tecniche le relazioni che intercorrono tra esse nei diversi casi, e giunge a conclusioni sostenute dai risultati numerici ottenuti. La comparazione storica, invece, ha carattere qualitativo, prende in esame pochi casi e le diverse dimensioni in cui ogni caso è scomponibile, per poi ricondurre nuovamente i casi all'unità. È questa unità, ovvero l'analisi dell'insieme, l'aspetto più rilevante di questo tipo di comparazione. La differenza fondamentale sta, dunque, nel fatto che nella comparazione statistica si parte da un'ipotesi (una relazione ipotizzata tra variabili) e si procede al suo controllo analizzando i casi con l'uso di tecniche quantitative; nella comparazione storica, invece, si parte da un caso e, attraverso il confronto con altri casi, si cerca di evidenziare le diverse relazioni esistenti tra quegli insiemi qualitativamente determinati.
Il problema successivo nella comparazione macropolitica è quello dell'identificazione dello spazio della ricerca: quanti e quali casi si decide di studiare. Tale scelta dipende dalle premesse teoriche - specie dal quesito posto dalla ricerca e dall'elaborazione di concetti e relative ipotesi - ma presenta alcune ulteriori particolarità. Infatti, la scelta di un alto numero di casi porterà a un'analisi molto ricca e a una ricerca con risultati rilevanti e suggestivi, ma comporterà anche l'aggravarsi del problema delle 'terze variabili', cioè di variabili aggiuntive da inserire nel disegno della ricerca, dovute proprio all'inserimento di ulteriori casi. Ad esempio, se l'analisi è focalizzata sui partiti nelle instaurazioni della democrazia (variabile indipendente) e si analizzano Italia, Germania e Austria, il rapporto tra partiti e militari (variabile interveniente) è sostanzialmente irrilevante. Se si prende invece in considerazione la Spagna, si vede che il ruolo dei militari ha in certe fasi una qualche importanza; in Grecia esso ha rilevanza nella ristretta fase di transizione-instaurazione; in Portogallo è centrale fino alla metà degli anni ottanta. Dunque, aumentando i casi la realtà studiata si arricchisce, ma aumentano nel contempo anche il numero e il peso di altre variabili da analizzare. Per questo la decisione riguardo a quanti e quali casi prendere in esame non può fondarsi tanto su dati disponibili, quanto sulle ipotesi della ricerca. La scelta deve essere effettuata soppesando attentamente sia i vantaggi (arricchimento della ricerca) che gli svantaggi (e ciò sia a livello di procedure - è difficile maneggiare un gran numero di dati - sia a livello metodologico - problema delle terze variabili, ma anche parametrizzazione).
In ogni modo, il numero dei casi è all'origine di diverse strategie di comparazione, ed essenzialmente delle seguenti: a) strategia multicasi; b) comparazione d'area; c) comparazione binaria; d) studio del caso.
La strategia multicasi include di solito più di 6 o 7 casi, fino a 20 o 30, o anche di più. Ne sono esempi lo studio di Lijphart (v., 1984) su 25 democrazie nel mondo, quello di Powell (v., 1982) relativo ad alcuni aspetti di 29 democrazie contemporanee (ordine civile, capacità decisionale, efficacia della democrazia), o quello di Inglehart (v., 1997) su certi caratteri della cultura politica di 43 paesi. L'alto numero delle unità che si comparano pone notevoli problemi di semplificazione e rende difficile maneggiare i relativi dati da raccogliere, mentre al tempo stesso comporta una riduzione delle variabili chiave che può essere giustificata solo teoricamente. Infine, la ricerca può essere insieme qualitativa e quantitativa, come quella di Lijphart, oppure la traduzione convenzionale in numeri e, dunque, in quantità di elementi qualitativi (Powell), o infine può essere esplicitamente quantitativa quando è svolta attraverso l'uso di sondaggi (Inglehart). In ogni modo, l'alto numero dei casi non solo significa semplificare l'analisi, ma comporta anche una maggiore attenzione a dimensioni e variabili specifiche, piuttosto che l'approfondimento del funzionamento di 'sistemi interi'. Questo obiettivo è meglio raggiunto con altre strategie, e specialmente con lo studio del caso singolo.
Nella comparazione d'area o area study si esaminano, di solito, da 3 a 5 paesi. Questa strategia prende in considerazione una determinata area geopolitica, comprendente paesi che hanno in comune tradizioni simili, storiche, culturali, linguistiche, socioeconomiche. La sua caratteristica è che nell'analisi complessiva di quei paesi o di fenomeni più specifici che li riguardano è più facile la parametrizzazione. La spiegazione può, cioè, dare per scontati alcuni fattori in quanto comuni o molto simili per tutti i casi considerati. Le aree geopolitiche più studiate sono: i Paesi Scandinavi (Svezia, Norvegia, Danimarca e, poi, Finlandia); l'area anglosassone (Gran Bretagna, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia); recentemente, quella mediterranea del Sud d'Europa (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo); l'America Latina (soprattutto Brasile, Argentina, Perù e Cile); l'Europa Orientale (specialmente Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia); l'Estremo Oriente (Taiwan e Corea del Sud). Certi studi d'area - ad esempio quello sui paesi anglosassoni - mostrano come l'appartenenza a una stessa area non implichi la contiguità territoriale, ma piuttosto la comunanza di alcune tradizioni e aspetti culturali. Altri studi d'area, come ad esempio certe ricerche sul Sud d'Europa o sull'America Latina, evidenziano invece come sia possibile costruire artificialmente un'area quando vi è uno stesso macrofenomeno che ricorre nei diversi paesi. Quello che fa 'area' in questi studi è il quesito stesso della ricerca, ad esempio l'instaurazione o il consolidamento della democrazia, e l'obiettivo è spiegare le diversità nell'instaurazione tra caso e caso. A questo proposito, non è necessario che i casi abbiano aspetti di background simili, anzi vi possono essere anche notevoli differenze nei fattori di fondo riguardanti economia, società o cultura. La logica dello studio d'area viene così rovesciata: non è possibile dare per scontati certi fattori di background e ciò che è comune è proprio il fenomeno che si studia, di cui si mira a vedere soprattutto le differenze tra caso e caso, ciascuno nella sua unitarietà.
La comparazione binaria riguarda due casi, e può svolgersi tra sistemi con caratteristiche comuni ('strategia dei sistemi maggiormente simili') - e in questo caso presenta aspetti metodologici simili a molti studi d'area - o tra sistemi diversi ('strategia dei sistemi maggiormente diversi'). In questa seconda ipotesi la ricerca ha lo scopo di spiegare un fenomeno osservandone la variazione più ampia possibile. La spiegazione raggiunta con questa strategia è più forte in quanto la grande differenza esistente tra i due casi su tutte le dimensioni principali comporta un'inferenza implicita: la spiegazione dovrebbe essere valida anche per tutti i casi che su quelle stesse dimensioni sono su posizioni intermedie o sono vicini all'uno o all'altro dei due casi esaminati.
Lo studio del caso è la strategia di comparazione più ricorrente, ed è da taluni identificata con il metodo storico. La sua principale caratteristica è di considerare un unico caso: ciò dà la possibilità di esaminarlo a fondo, anche quando le risorse di ricerca a disposizione dello studioso sono relativamente scarse. Si possono distinguere quattro tipi principali di studio del caso, ordinandoli secondo il criterio della minore o maggiore rilevanza teorica, soprattutto in chiave di obiettivi di generalizzazione: studi ateorici; studi interpretativi; studi generatori di ipotesi (o teorie); studi di controllo di ipotesi (o teorie).
I primi due gruppi di studi (ateorici e interpretativi) si occupano di casi selezionati in base all'interesse per il caso in sé. Gli studi ateorici vengono denominati così in quanto sono privi di un impianto teorico o anche di riferimenti a ipotesi esplicite o altri costrutti teorici più elementari. Essi rappresentano un limite estremo, un tipo polare, in quanto ogni analisi è in realtà guidata - magari in minima parte - da una qualche vaga e talora confusa nozione teorica. Pur essendo studi altamente descrittivi su un singolo paese, hanno grande importanza soprattutto come operazioni elementari di raccolta dei dati, essenziale per lo sviluppo della politica comparata.
Gli studi interpretativi, pur essendo scelti in virtù dell'interesse per il caso esaminato, differiscono dal primo gruppo in quanto introducono nell'analisi nozioni o costrutti teorici. Possono anche fare riferimento a ipotesi o teorie esistenti, ma tali riferimenti non sono né sistematici né, in molti casi, approfonditi. Possono essere intesi come studi di 'scienza applicata' perché si preoccupano di 'interpretare', ovvero di applicare una generalizzazione a un caso specifico nell'intento di analizzarlo meglio.Gli studi generatori di ipotesi o teorie hanno l'obiettivo di sviluppare generalizzazioni in aree ove non esiste alcuna teoria, e cercano così di formulare ipotesi che in seguito saranno controllate su un numero più ampio di casi. Queste analisi hanno un notevole peso teorico per il loro valore discriminante ai fini teorici.
Gli studi di controllo di ipotesi o teorie sono di due tipi: 1) studi intesi a confermare una teoria; 2) studi intesi a falsificarla. Si tratta di analisi di singoli casi nel quadro di teorie esistenti. In questo senso, lo studio del caso è un test della proposizione teorica, che può essere confermata o meno dal caso stesso. Se lo studio si rivela di tipo confirmatorio, rafforza la proposizione in questione; parimenti, gli studi infirmatori possono indebolire le generalizzazioni, ma solo marginalmente, in quanto un solo caso non può essere significativo in via definitiva. Tuttavia il valore di controllo di teorie di entrambi questi tipi di studi aumenta se i casi sono, o tendono a essere, estremi rispetto a una delle variabili: si possono allora considerare come prove cruciali delle proposizioni teoriche. Alcuni autori, tra cui Lijphart (v., 1971), sottolineano l'importanza di un'altra modalità dello studio del caso: le analisi dei casi devianti. Sono studi di singoli casi che deviano da generalizzazioni largamente accettate. Scelti per chiarire perché tali casi sono devianti, questi studi possono portare alla scoperta di importanti variabili aggiuntive che prima non erano state considerate, o anche a perfezionare le definizioni (operazionali) di alcune, o di tutte, le variabili. In questa prospettiva lo studio del caso deviante (come lo studio generatore di ipotesi) può assumere un notevole valore teorico. Esso, infatti, indebolisce la proposizione teorica originaria, suggerendo però al tempo stesso una proposizione modificata più forte della precedente. La sua funzione può essere, dunque, quella di raffinare le ipotesi esistenti, a differenza degli studi generatori di ipotesi che servono a produrne di completamente nuove. Lijphart ribadisce inoltre che lo studio del caso deviante e gli studi confirmatori e infirmatori di teorie sono implicitamente analisi comparate, in quanto i vari casi vengono comparati fra loro al fine di creare ipotesi in grado di superare meglio il controllo empirico.
In conclusione questo excursus sulle strategie di comparazione mostra che il numero dei casi non è affatto indifferente per i risultati della comparazione stessa. La scelta di approfondire un solo caso, pur con l'ausilio di ipotesi comparate già presenti nella letteratura pubblicata (studio del caso), risponde a determinate domande e obiettivi, la comparazione di due casi, in particolare di quelli molto diversi tra loro (comparazione binaria), risponde ad altre domande e obiettivi; l'analisi di tre-cinque paesi appartenenti a una stessa area geografica (comparazione d'area), ad altri ancora. Inoltre, con l'aumento del numero dei casi di solito si trasforma anche il tipo di comparazione: si passa da una comparazione prevalentemente qualitativa a una prevalentemente quantitativa e sorretta da un'analisi statistica. Il discrimine tra i due tipi sta, spesso, al di sotto o al di sopra dei cinque-sette casi. Il saggio sulle democrazie di Lijphart (v., 1984) è uno dei pochissimi lavori in cui l'autore sia riuscito a contemperare aspetti qualitativi e quantitativi nell'ambito di uno studio d'area con oltre venti casi. Se, in definitiva, la scelta più importante riguarda il numero dei casi, non va trascurata però neanche la considerazione di quali siano i casi che è più opportuno scegliere. Ad esempio, se la domanda che ci si pone è quali sono le condizioni che favoriscono l'instaurazione della democrazia, sarà opportuno scegliere casi in cui vi sia stata tale instaurazione, per controllare la presenza delle condizioni ipotizzate e attese, e altri in cui manchi tale instaurazione, per controllare l'assenza di quelle stesse condizioni. Se, invece, la domanda attiene ai possibili tipi di instaurazione democratica, allora dovranno essere inseriti nell'analisi solo casi di avvenuta instaurazione.
Un ulteriore problema è costituito dalla definizione del tempo, cioè dell'arco temporale entro cui si svolge la ricerca. Le ricerche di macropolitica diacroniche, quelle cioè che abbracciano un arco di tempo più o meno ampio, sono più importanti di quelle sincroniche, nelle quali il tempo è una variabile in sostanza trascurata. Le ragioni più rilevanti della maggiore importanza delle ricerche comparate diacroniche sono essenzialmente due. La prima è che, in realtà, le ricerche sincroniche sono tali proprio in quanto il tempo viene artificialmente ridotto a unità e tenuto fuori dall'analisi. Da questo punto di vista la ricerca è inevitabilmente meno approfondita. Infatti - ed è questa la seconda ragione - rinunciare alla dimensione temporale significa precludersi l'analisi del mutamento, cioè di un aspetto-dimensione molto importante nella ricerca sociale in quanto riguarda tutti i fenomeni che possono essere oggetto di studio. Secondo molti autori è anzi proprio questo l'aspetto più importante da studiare. Prendendo come esempio lo studio del consolidamento democratico in Spagna, Portogallo e Grecia, si può sostenere che questa è un'analisi sincronica perché i fenomeni studiati sono avvenuti nello stesso tempo nei vari paesi. È, però, evidente l'opportunità di ricostruire il processo che ha portato al consolidamento, e questo si può fare solo introducendo la variabile temporale. Parimenti, se interessa analizzare l'impatto che ha sui partiti il fatto di stare al governo, si potrebbe ridurre il tempo a unità e vedere complessivamente tale impatto, ma ciò precluderebbe d'altra parte la possibilità di controllare se e quanto la durata (il tempo) delle responsabilità governative ha conseguenze, man mano diverse, sui partiti studiati (ad esempio, sull'organizzazione, la leadership, il rapporto tra partito-apparato ed eletti, o altro).
Nell'analisi sincronica vi è sempre una forzatura: non si analizza mai un giorno, bensì un arco di tempo che, anche se breve, dovrà necessariamente coprire qualche anno. Il problema, dunque, è la definizione delle unità temporali rilevanti. In altri termini, quando ci si occupa della definizione del tempo, si incontra inevitabilmente il problema della periodizzazione in fasi o sequenze. Si tratta di uscire dallo schema di un semplice racconto di eventi e di individuare analiticamente i momenti di passaggio, momenti in cui un accumularsi di quantità si trasforma in un cambiamento qualitativo, secondo una ben nota intuizione di Marx. La suddivisione in 'fasi' temporalmente definite è una modalità di analisi temporale molto comune e sono numerosi gli autori che vi hanno fatto ricorso. Ad esempio, Black (v., 1966) distingue a proposito di modernizzazione tra una prima fase di sfida della modernizzazione, una seconda di consolidamento dell'élite modernizzante, una terza di trasformazioni economiche in senso industriale, e una quarta di integrazione della società: queste fasi possono abbracciare anche periodi molto lunghi. Anche nella letteratura sul cambiamento di regime compaiono la fase della crisi autoritaria, la fase di transizione, la fase dell'instaurazione democratica, la fase del consolidamento, ma ciascuna di esse abbraccia un arco temporale più breve. Si tratta, in ogni modo, di individuare con precisione elementi e durata propri delle varie fasi che si succedono cronologicamente.Quando si usa il termine 'sequenza' si fa un discorso diverso: si tratta di fasi tra le quali è stata stabilita una relazione causale. Quindi, tra le varie sequenze non vi è una semplice successione temporale, ma un collegamento causa-effetto. Ad esempio, intorno agli anni sessanta un gruppo di studiosi (v. Binder e altri, 1971) concentrò i propri sforzi sull'elaborazione di una 'teoria delle crisi'. Questi ricercatori osservarono che nella formazione delle democrazie occidentali vi erano state delle crisi ricorrenti, cioè punti di svolta profonda in vari ambiti (identità, legittimità, penetrazione, partecipazione, distribuzione). L'ipotesi di fondo era che tra le crisi vi fossero delle connessioni, delle relazioni causali, e i referenti empirici erano costituiti dal caso americano e dai casi europei di democrazie stabili. Le diverse sequenze avrebbero dovuto essere: costruzione della nazione; costruzione dello Stato; crisi di legittimazione; crisi di partecipazione; infine, crisi di distribuzione, che riguarda il problema della redistribuzione del reddito tra i diversi gruppi sociali.Importante è anche il ricorso a time series (serie temporali quantitative) che si dipanano su un arco di venti-quarant'anni, o anche molto più lungo, per individuare punti di svolta, cambiamenti, crescite, o declini. Ma giungere a una compiuta analisi comparata sulla base di questi dati non è semplice: spesso il discorso va arricchito in termini qualitativi. Un'ulteriore utile nozione, in cui vi è l'idea del mutamento quantitativo che diventa anche qualitativo, è quella di 'soglia', proposta da Deutsch (v., 1962), e poi ripresa e sviluppata da Rokkan (v., 1970) e da altri autori. La soglia è il punto in cui l'accumulazione di cambiamenti misurabili quantitativamente porta a cambiamenti delle stesse caratteristiche qualitative del fenomeno studiato. Per esempio, secondo Rokkan, quando attraverso il progressivo allargamento del suffragio ristretto si giunge al suffragio universale si attraversa una fondamentale 'soglia di incorporazione'. La soglia segna il confine tra due fasi considerate in stretta sequenza.
Dunque, rispetto al problema della periodizzazione si va dal progetto più ambizioso e complesso (l'analisi per soglie) a una posizione intermedia (l'analisi per sequenze) e, infine, a quella più semplice (l'analisi per fasi). In realtà, l'analisi per sequenze è connessa a quella per fasi, e l'analisi per soglie presuppone o ingloba le altre due. La scelta del tipo di analisi dipenderà anche dagli strumenti a disposizione e dalle conoscenze empiriche che si hanno sui fenomeni studiati.
La grande rilevanza della dimensione temporale nelle ricerche comparate in macropolitica è già evidente alla fine degli anni sessanta (v., per esempio, Moore, 1966), e al contempo sono altrettanto evidenti - allora e negli anni successivi - certe caratteristiche di interdisciplinarità di quelle ricerche. Di nuovo, lo studio di Rokkan è un buon esempio. Negli anni settanta-ottanta si è andato, poi, sviluppando un settore che è gradualmente diventato, almeno quantitativamente, uno dei filoni più importanti della ricerca comparata: quello che studia le trasformazioni in senso democratico dei sistemi politici, nel quale evidentemente la dimensione longitudinale è assolutamente essenziale. Ad esempio, se si studia il passaggio dall'autoritarismo alla democrazia in Spagna negli anni settanta, l'analisi del franchismo, delle sue premesse e delle sue conseguenze e insieme l'evolversi della nuova democrazia sono aspetti assolutamente necessari della ricerca. In questo specifico settore della macropolitica, per studiare il mutamento si è fatto spesso ricorso al concetto di 'processo', che permette di scomporre analiticamente il mutamento nelle sue diverse dimensioni e attraverso fasi, sequenze o anche soglie, ipotizzando diverse e successive relazioni tra le variabili enucleate. Il fenomeno viene, poi, ricomposto in un tutto unico, di cui vengono viste anche le differenze con gli altri casi. Con questa modalità di studio il tempo diventa una dimensione veramente fondamentale dell'analisi comparata.Infine, occorre citare un altro problema ricorrente in macropolitica: quando si studia l'evoluzione di macrofenomeni complessi che si sviluppano nel tempo - ad esempio la modernizzazione politica o la democratizzazione - si deve affrontare e superare il problema della 'multicollinearità'. Con questo termine si intende l'effetto distorcente nella ricostruzione causale di un macrofenomeno complesso, che è a sua volta composto da diversi altri fenomeni più specifici che avvengono insieme e variano parallelamente. La difficoltà è di trovare le corrette relazioni tra i diversi fenomeni - che cosa causa che cosa - o le cause del macrofenomeno stesso: essendo, infatti, generalizzato, come è possibile individuarne la causa o le cause? Ricordiamo che qui non è disponibile una varianza sincronica tra le unità o sottounità che non si traduca in una varianza parallela di tutto il fascio di fenomeni. Le soluzioni proposte da chi ha dedicato particolare attenzione a questo problema (v. Bartolini, 1991, p. 197) sono le seguenti: partire non dalla spiegazione del trend generale, ma da quella dei casi singoli che deviano da quel trend; passare a più sistematici piani di comparazione sincronica attraverso il tempo dei diversi casi; giungere, attraverso l'accumulazione di indizi e ipotesi, a ipotesi generali sulle cause del macrofenomeno in questione. Insomma, coniugare ricerca diacronica e ricerca sincronica tra unità diverse. Del resto, è questa la via più logica in quanto la comparazione comporta per se stessa un'analisi spaziale che riguarda una o più proprietà in più di un'unità di analisi. Quando questa viene complicata con la dimensione temporale, è ovvio che vadano considerate entrambe le dimensioni. Il problema diventa più specifico (e tecnico): come coniugare al meglio le due dimensioni, soprattutto nell'ipotesi più complessa, indicata dalla multicollinearità.
Dopo le scelte di spazio e tempo, la terza decisione concreta che il ricercatore deve prendere riguarda le 'variabili' da analizzare. Lijphart (v., 1971) raccomanda al proposito di ridurre il numero di tali variabili: insieme all'aumento del numero dei casi, la diminuzione di proprietà e variabili ha l'obiettivo di giungere a spiegazioni più forti, perché sostenute da una maggiore quantità di dati empirici, evitando le difficoltà delle 'terze variabili'. Tale operazione può essere condotta attraverso una qualche riduzione dello spazio degli attributi (v. Lazarsfeld e Barton, 1951), cioè in concreto accorpando alcuni tipi e ponendo i casi e i dati relativi in un numero di tipi ridotto. Ciò si ottiene grazie a un incremento del livello di generalità, che consente anche di aumentare il numero dei casi appartenenti a un certo tipo. In questo modo anche l'altra raccomandazione di Lijphart, aumentare appunto il numero dei casi, può essere seguita grazie a questa operazione concettuale di riduzione. Se, invece, vi è stato un aumento effettivo dei casi analizzati, la riduzione delle variabili compensa il quasi inevitabile aumento delle stesse, dovuto proprio alla crescita del numero di casi empirici e all'effetto 'terze variabili'. La riduzione dello spazio degli attributi può essere fatta anche ricorrendo a teorie, ovvero ipotesi forti, a sostegno della ricerca, in modo da ridurre i fattori esplicativi che occorre considerare e, quindi, raggiungere una maggiore parsimonia teorica.
Questo aspetto, in realtà, copre anche un'altra raccomandazione di Lijphart: orientare l'analisi comparata sulle variabili chiave. Sotto questo profilo, dunque, si è al di là della precedente raccomandazione, quella di ridurre lo spazio degli attributi, e si torna a sottolineare l'importanza dell'aspetto teorico, che dovrà essere messo decisamente in primo piano. In questa fase si presenta al ricercatore anche un altro problema concreto: se si aumenta il numero dei casi e, ove necessario, si allunga il tempo considerato e si diminuisce il numero delle variabili analizzate, allora per ottenere un buon risultato l'apparato teorico-concettuale di cui ci si serve deve essere ben articolato. La ricerca deve, infatti, avere un focus molto ben definito e, ove possibile, deve basarsi su ricerche precedenti.
Se così non fosse, cioè nel caso in cui non fosse possibile contare su teorie o concetti articolati, non ci fosse una letteratura di riferimento, e si trattasse, quindi, di una ricerca 'nuova', allora il ricercatore sarebbe inevitabilmente portato ad aumentare il numero degli aspetti da considerare e, altrettanto inevitabilmente, diminuirebbe i casi e, magari, anche il periodo in esame. In realtà, però, in qualche settore è avvenuto anche il contrario. Più esattamente, si può vedere come, magari inconsapevolmente, negli studi sul Welfare State sia stata seguita una strategia opposta. Su questo argomento, che rappresenta uno dei fenomeni più importanti delle democrazie moderne, con cui più concretamente si è cercato di dare un contenuto sostanziale alla democrazia occidentale, l'itinerario della ricerca ha preso le mosse da lavori dotati di ipotesi molto specifiche e da serie temporali quantitative, per poi andare verso studi qualitativi dei singoli casi, in cui le diverse relazioni erano meglio e più a fondo analizzate (v. Ferrera, 1991). Certe osservazioni sui limiti e sull'attendibilità delle serie temporali, sull'esigenza di approfondimento e sulla necessità di accrescere il numero delle variabili analizzate per giungere a una più piena comprensione del fenomeno, si sono avvantaggiate di quanto era stato fatto prima, seguendo una strategia perfettamente consona ai suggerimenti di Lijphart.
Una volta fissate le proprietà e le variabili da analizzare, e magari formulate le ipotesi, che possono essere anche suggerite da una prima analisi comparata del fenomeno studiato, si giunge al cuore del procedimento comparato, non solo in macropolitica: il controllo empirico delle ipotesi. Il procedimento di controllo è l'aspetto più importante della comparazione e per questo motivo va messo al centro di essa. Sia che si cerchi una generalizzazione, più o meno circostanziata, sia che l'obiettivo consista nel giungere a una spiegazione locale, cioè riferita a una realtà specifica e ben definita, sia infine che si vogliano solo enucleare diverse associazioni tra una variabile dipendente e più variabili indipendenti, il controllo empirico dell'ipotesi rimane il passaggio essenziale e caratterizzante della comparazione.
Dopo queste osservazioni si potrebbe essere tentati di vedere la comparazione come un deus ex machina, una panacea per tutti i mali. Invece non tutto è comparazione in macropolitica e comparare non serve a tutti gli scopi. Effettivamente la comparazione può essere utile come controllo di spiegazioni plausibili e accettabili in eguale misura per uno stesso macrofenomeno politico. Ma l'affermazione di alcuni autori, che "non è scienza politica se non è comparata" (v. Almond, 1970, p. 254), e cioè che la comparazione è una conditio sine qua non della ricerca politica, non è corretta. Così, infatti, si confonde tra comparazione come procedimento logico di fondo e comparazione come metodo più elaborato e articolato per lo studio dei fenomeni politici. Qui interessa questo secondo genere di comparazione, con le caratteristiche e i problemi finora illustrati con riferimento specifico alla macropolitica.
Vi sono ancora, però, almeno altri due aspetti da ricordare, che pongono ulteriori limiti alla ricerca comparata. In un mondo sempre più interdipendente, in cui i flussi di comunicazione sono sempre più intensi e i paesi non possono più dirsi politicamente indipendenti, la ricostruzione delle condizioni o delle cause proprie e originarie e degli effetti di certi fenomeni diventa sempre più difficile. E anche quando ci si occupa del proprio particulare, non si può tralasciare di valutare l'impatto che gli eventi esterni hanno sull'oggetto di studio. Questa è la formulazione in macropolitica del cosiddetto problema di Galton (dal nome dell'antropologo che per primo lo sollevò): la spiegazione di un fenomeno è sostanzialmente resa molto più complicata dalla presenza di fenomeni di diffusione, imitazione e importazione, derivanti proprio dall'interdipendenza politica.
Un altro limite alla comparazione, collegato con il precedente, viene dal learning process (processo di apprendimento), che è causa di un'ulteriore difficoltà nel controllo delle ipotesi. Si ha un fenomeno di learning process positivo quando da avvenimenti passati o contemporanei, accaduti in altri paesi, si traggono lezioni che sono applicate all'azione nel presente. Un buon esempio è costituito dall'esperienza della Repubblica di Weimar da cui la Germania di Bonn ha tratto istituti per la stabilizzazione del governo, quali il voto di sfiducia costruttivo o l'elezione diretta del primo ministro da parte del Bundestag. Anche altri ordinamenti giuridici hanno imparato da essa qualcosa: con la Costituzione del 1978 la Spagna ha recepito entrambi questi istituti. Si può, inoltre, avere un learning process negativo quando la lezione che si trae da certi avvenimenti è al contrario orientata a un 'non fare'. Ad esempio, il fallimento di regimi socialmente o politicamente radicali, come la Seconda Repubblica spagnola, ha indotto, nella Spagna della seconda metà degli anni settanta, una forte moderazione dei leaders politici e della cultura politica. E la morte di Allende, in Cile, nel 1973, è stata un'importantissima lezione per tutta la sinistra europea, e per quella italiana in particolare. La difficoltà introdotta dal learning process viene dal fatto che questo processo indica l'importanza di certi fattori culturali che però sono empiricamente sfuggenti.
Il problema di Galton e il learning process mostrano chiaramente le complicazioni presenti in un disegno della ricerca che non può essere troppo ingenuo e ignorare aspetti di diffusione o apprendimento, alla ricerca di generalizzazioni a tutti i costi. La consapevolezza dei limiti e una costruzione più avvertita basteranno per superare i problemi posti dai due fenomeni, ma come superare un terzo limite che viene attribuito alla comparazione, anche in macropolitica? Più esattamente, si sostiene che la comparazione è un'operazione concettuale 'forzata' nel migliore dei casi, e che dà risultati banali, anzi superficiali, nel peggiore dei casi. Più che un limite della comparazione, questa sembra un'autentica obiezione di fondo che occorre in qualche modo superare. La tesi che la comparazione sia una forzatura concettuale prende le mosse dalla convinzione della 'incommensurabilità' dei concetti empirici usati (v. Feyerabend, 1975). In sostanza, ogni concetto empirico ben formulato sarebbe così profondamente e inestricabilmente legato al contesto e all'oggetto per cui viene elaborato da non essere esportabile ovvero applicabile a un'altra realtà, che dunque sarebbe solo apparentemente simile. In altre parole, comparare un partito socialista di un certo paese (e la relativa nozione teorica) con quello di un altro paese è una 'forzatura'. Si tratta di nozioni e realtà ben diverse. Quando, malgrado tutto, si procede a ciò il risultato è superficiale, se non completamente banale.
La risposta all'obiezione della incommensurabilità dei concetti può venire solo da un accorto uso della scala di astrazione. Il ricorso a questo strumento di logica elementare permette anche in macropolitica, dove questa obiezione sembra colpire più a fondo, di superare la cosiddetta incommensurabilità, pur se superficialità e ovvietà possono ancora caratterizzare i risultati della comparazione. Questo, però, dipende piuttosto dai limiti del ricercatore che dal metodo usato, e rimane in ogni caso ben evidente che "l'indagine comparata sacrifica il capire in contesto - e del contesto - alla inclusività e proporzioni generalizzanti" (v. Sartori, 1991, p. 39). Occorre, quindi, usare la comparazione senza illusioni, con molta attenzione e con la chiara percezione dei problemi, delle difficoltà e degli obiettivi che ci si pone.
Concludendo, il procedimento di comparazione in macropolitica presenta certe sue peculiarità le cui ragioni specifiche sono state individuate già nel primo capitolo. Tali peculiarità accompagnano tutte le fasi della comparazione, dalla definizione dei concetti e delle variabili-chiave a quella dello spazio e del tempo. Su tutti questi aspetti occorre la maggiore attenzione e cura di chi voglia comparare i sistemi politici e i fenomeni all'interno di questi. (V. anche Autoritarismo; Comunismo; Democrazia; Governo, forme di; Liberalismo; Socialismo; Totalitarismo).
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