Società primitive
Il termine 'primitivo' deriva dal latino primitivus, che significa 'primo in ordine di tempo'. In questa accezione è usato in varie lingue europee per indicare la forma originaria o più antica di un'istituzione (ad esempio, 'la Chiesa primitiva', nel senso di Chiesa paleocristiana), oppure per descrivere una condizione attuale che ricorda la forma antica. In un'accezione analoga, il termine può essere applicato agli abitanti indigeni di un dato luogo, o ai progenitori di una popolazione. Con l'affermarsi della teoria evoluzionistica, l'aggettivo 'primitivo' cominciò a essere impiegato assieme al già consolidato 'selvaggio' per descrivere le prime popolazioni umane e le loro usanze, o per designare le società e le istituzioni contemporanee che si pensava fossero ferme a uno stadio primordiale di sviluppo. Il mutamento semantico che si verificò fu sottile ma significativo. Esso implicava l'idea che tutte le popolazioni e le società umane fossero partite da una condizione originaria comune, e che alcune di esse fossero rimaste 'primitive', ovvero che non fossero progredite in misura significativa rispetto a tale punto di partenza comune.
Sappiamo ben poco sulla società primitiva. Sul piano empirico, le nostre conoscenze sull'organizzazione delle primissime società umane sono molto scarse, e vi sono valide ragioni per ritenere infondata l'equiparazione di una qualsiasi società contemporanea a quella dei primordi dell'umanità. Sul piano teorico, l'assunto che tutte le società umane possano essere ricondotte a una forma originaria omogenea si presta a critiche fondate. Esiste una consolidata tradizione di ricerca sulle società primitive, ma il suo oggetto d'indagine si rivela essere un'illusione, qualcosa che non esiste. Per quali ragioni, allora, l'idea di una società primitiva ha persistito tanto a lungo nonostante le forti obiezioni che le si possono muovere sul piano sia empirico che teorico?
In questo articolo cercheremo di delineare lo sviluppo moderno dell'idea di società primitiva, illustrando alcune delle principali problematiche dibattute nella letteratura - in particolare, se le società umane abbiano avuto un'origine comune, se abbiano seguito un analogo corso di sviluppo, se alcune società attuali rappresentino sopravvivenze o atavismi di forme più primitive. Cercheremo altresì di collocare i dibattiti in questione nel più ampio contesto della teoria antropologica evoluzionistica. Analizzeremo poi le precondizioni per una teoria della società primitiva alla luce sia delle nostre conoscenze sull'evoluzione umana e sulla transizione del Paleolitico superiore, sia della letteratura etnografica sulle società di cacciatori-raccoglitori. Infine, avanzeremo alcune ipotesi per spiegare la persistenza dell'idea di società primitiva.
Sino al XVIII secolo, in Europa, le riflessioni sulle origini dell'uomo e sulle società preistoriche si basarono fondamentalmente sulle teorie sviluppate nella Bibbia e nell'antichità greca e romana.La Bibbia offriva il modello di una caduta, e ispirò ricorrenti teorie sulla degenerazione delle società umane rispetto a una condizione moralmente superiore come conseguenza del peccato o di comportamenti immorali, oppure della disobbedienza a Dio o all'autorità legittima. L'uomo, secondo queste concezioni, doveva aspirare a ritornare a un modo di vita che riflettesse la volontà divina. Secondo alcune autorità della Chiesa, nel disegno divino era insito un elemento di progresso i cui contorni potevano essere scoperti nella storia biblica. Sant'Agostino (354-430) paragonò l'evoluzione della conoscenza umana collettiva al progresso educativo dell'individuo. Le Scritture descrivevano sei età dell'uomo, da Adamo all'avvento di Cristo. L'intero processo sarebbe terminato con il settimo e ultimo stadio, identificato con il millennio.La storiografia degli antichi Greci e Romani aveva prevalentemente una dimensione regionale o nazionale, e si basava raramente su modelli teleologici.
Nella visione dell'antichità classica la storia non aveva un punto d'origine, né si svolgeva seguendo una trama complessiva. Gli dei erano incostanti e divisi tra di loro, re e condottieri non erano uomini del destino ma individui astuti, spinti il più delle volte dall'ambizione personale. Lo studio della storia di conseguenza stimolava riflessioni sulla fortuna e sulla moralità individuale. I miti e i racconti frammentari dei viaggiatori fornivano il materiale per la costruzione mentale di mondi alternativi, e i Greci talvolta istituivano una connessione tra pratiche arcaiche, tramandate nella leggenda e nel mito, e costumi dei 'barbari'. Alcuni autori identificavano un'età dell'oro proiettata in un lontano passato, ma i modelli dominanti non suggerivano l'idea di un progresso della civilità, o di un ciclo di inevitabile declino, ed erano piuttosto rari i tentativi di immaginare la condizione originaria della società umana.Nel XVII secolo i filosofi europei elaborarono una spiegazione delle origini dell'uomo che si discostava da quella biblica, sostituendo alla creazione un progetto umano, un contratto sociale originario. L'idea della caduta dal paradiso lasciò il posto a quella di una evoluzione da una condizione originaria analoga a quella delle bestie. Il passaggio dalla natura alla cultura sarebbe stato dettato dalla ragione - gli individui che vivevano in isolamento nello stato di natura si sarebbero persuasi razionalmente che i vantaggi derivanti dall'unione in una società sarebbero stati superiori agli svantaggi. Lo 'stato di natura' era una sorta di esperimento mentale, ma alcuni autori, come ad esempio Locke, avanzarono l'ipotesi che alcune popolazioni selvagge vivessero ancora in tale condizione originaria. "Così al principio tutto il mondo era America" (v. Locke, 1690, cap. V, par. 49).
La vita sociale rappresentava un progresso rispetto all'autonomia individuale propria dello stato selvaggio, ma secondo alcuni filosofi vi sarebbe stato in seguito un processo di involuzione con la comparsa di tiranni che avrebbero tradito il contratto originario.Già nel XVII secolo alcuni autori avevano sostenuto che i popoli 'selvaggi' contemporanei rappresentavano lo stadio primitivo della società moderna (v. Hodgen, 1964), ma fu con l'illuminismo che si affermò un'interpretazione laica della storia universale basata sull'idea di un inevitabile progresso dallo stato originario selvaggio alla barbarie alla più alta condizione umana, la civiltà. Questo nuovo credo laico fu formulato in Francia nella seconda metà del XVIII secolo, in contrapposizione a quelle che i philosophes consideravano essere le forze della reazione e della negazione della ragione, rappresentate soprattutto dalla Chiesa cattolica e dall'ancien régime. Al centro di questa concezione vi era l'idea del progresso universale della razionalità e della scienza, e dell'evoluzione delle istituzioni moderne. Nella visione illuministica la civiltà era impegnata in una immane lotta per soverchiare la resistenza delle culture tradizionali, con il loro bagaglio di superstizioni, pregiudizi irrazionali, e di tremebondo asservimento a governanti cinici.
La civiltà era concepita come un'acquisizione cumulativa che distingueva gli esseri umani dagli animali. Tutti gli uomini sono simili, almeno potenzialmente, e tutti sono in grado di intraprendere il processo di civilizzazione, che dipende dal dono specificamente ed esclusivamente umano della ragione; in via di principio dunque anche i selvaggi e i barbari dovranno pervenire un giorno alla civiltà. La vittoria finale di quest'ultima di fatto è certa, perché essa può ricorrere all'ausilio della scienza - la più alta espressione della ragione, la vera ed efficace conoscenza delle leggi che governano sia la natura che la società.In Francia i termini civilité, politesse e police (ossia osservanza delle leggi) risalgono al XVI secolo. Nel corso del Seicento gli individui in possesso di tali caratteristiche venivano contrapposti a coloro che ne erano privi; i popoli non civilizzati erano definiti 'selvaggi', mentre il termine 'barbari' era riservato ai popoli in uno stadio più avanzato di civiltà. Secondo Febvre, nel corso del XVIII secolo si fece sentire l'esigenza di un nuovo termine in grado di sintetizzare un'idea più generale dell'evoluzione storica emersa con l'avanzare della conoscenza del mondo e con il radicale sviluppo della scienza, sviluppi che erano alla base del progetto dell'Enciclopedia. Gli intellettuali francesi sentivano la necessità di un modello di civilizzazione coerente e unitario che rappresentasse il passaggio dallo stato selvaggio alla barbarie e infine allo stadio supremo della civiltà.
Questo modello di evoluzione culturale si ispirava alla concezione dei rapporti tra le specie proposta da Lamarck nella sua versione della grande catena dell'essere (v. Febvre, 1930). Negli anni sessanta del Settecento il termine civilisé era entrato nell'uso per designare "il processo originario e collettivo in virtù del quale l'umanità è emersa dalla barbarie, e questo uso portava già allora alla definizione della civilisation come stato della società civilizzata" (v. Benveniste, 1966-1974). L'idea della civilisation si affermò parallelamente al termine 'progresso' nella sua accezione attuale. Riflettendo su questi neologismi strettamente interrelati, i filosofi conclusero che essi "descrivono il processo fondamentale della storia e nello stesso tempo il risultato finale di tale processo" (v. Starobinski, 1989).Di fatto, l'idea di civiltà poteva anche essere utilizzata per criticare la decadenza delle società contemporanee. Mirabeau stesso aveva parlato di "falsa civiltà" e di "barbarie della nostra civiltà". Rousseau preferiva una condizione naturale, selvaggia o barbara a una civiltà repressiva. Baudelaire definì la Francia "un paese realmente barbaro", formulando l'ipotesi che forse la civiltà "si è rifugiata in qualche piccola tribù non ancora scoperta". Rimbaud ripudiò la civiltà e invocò l'avvento di una nuova barbarie. Ma in generale, ovviamente, alla civiltà si attribuiva il massimo valore, e la si identificava con il progresso. Nell'uso ortodosso il termine assunse un'aura sacrale - implicando la demonizzazione di qualunque cosa si ritenga rappresenti il contrario - e si prestò di conseguenza a rinfocolare polemiche di ordine politico (v. Starobinski, 1989).
L'idea di civiltà inoltre ben rispondeva alle ambizioni della successiva età imperialistica, che definiva i popoli colonizzati come selvaggi e arretrati.Se i selvaggi rappresentavano la condizione primitiva dell'umanità, mentre la civiltà era il punto d'arrivo del progresso umano, quali erano stati gli stadi intermedi? Un modello evoluzionistico articolato in quattro stadi di sviluppo venne proposto dagli esponenti dell'illuminismo scozzese, in particolare da Adam Smith, Ferguson, Dalrymple e Kames (v. Meek, 1976). I quattro stadi dell'evoluzione sociale erano definiti sulla base dei sistemi economici dominanti: caccia e raccolta, pastorizia, agricoltura e commercio. Si assumeva che le istituzioni sociali e morali dipendessero da queste forme economiche, e che esse progredissero di pari passo. Secondo Turgot, ad esempio, il pensiero si sarebbe evoluto passando da una forma religiosa a una metafisica per approdare infine a una mentalità empirica. Alcuni di questi autori inoltre si servirono di resoconti etnografici sulle società tropicali per ricostruire il modo di vita proprio delle società primitive. Come ebbe a scrivere Ferguson a questo riguardo: "nella loro condizione attuale vediamo riflesse, come in uno specchio, le fattezze dei nostri progenitori" (v. Ferguson, 1767).
La recezione della teoria darwiniana, in particolare dopo la pubblicazione di The descent of man (1871), rivoluzionò i dibattiti sulla condizione primitiva della società umana. Secondo la teoria di Darwin l'uomo comparve in una fase tarda dell'evoluzione della vita sulla Terra. Tutti gli esseri umani discendono da un antenato comune, e sono strettamente imparentati con le scimmie africane. Di conseguenza le prime società umane con tutta probabilità erano affini alle società dei gorilla o degli scimpanzé. Ogni banda, o società, era imperniata su una struttura familiare di qualche tipo; la parentela sarebbe stata quindi la base dell'ordinamento sociale. Darwin riteneva altresì che la forza propulsiva dell'evoluzione umana fosse lo sviluppo del cervello, e i darwiniani conclusero che le popolazioni primitive (nonché le società primitive contemporanee) ferme allo stadio primitivo avessero un cervello meno sviluppato rispetto ai popoli civilizzati, e facoltà intellettuali molto rudimentali.
Alcuni autori hanno messo in discussione l'influenza di Darwin sullo sviluppo del pensiero 'antropologico' di fine Ottocento (v. Burrow, 1966; v. Stocking, 1987). La nuova interpretazione della società primitiva e della sua forma di pensiero che si andò cristallizzando nella seconda metà del secolo viene spesso ricollegata alla rivoluzione darwiniana, e tuttavia i suoi assunti di fondo si rifanno chiaramente alla consolidata tradizione illuministica della storia universale.
È necessario distinguere tra i vari aspetti del messaggio di Darwin, dal momento che le sue tesi più importanti non ebbero tutte la stessa influenza. Nei primi anni settanta dell'Ottocento, la comunità scientifica era convinta in generale dell'antichità della specie umana, e della sua discendenza dai primati. I più influenti antropologi inoltre accettavano (per ragioni di ordine scientifico o teologico) l'idea che il genere umano avesse un'origine comune, sebbene alcuni fossero inclini a ritenere che i fattori ambientali nel corso del tempo avessero creato differenze razziali, dando luogo a significative diversità psichiche tra le varie popolazioni. Boucher de Perthes aveva pubblicato nel 1847 le sue scoperte rivoluzionarie sul Paleolitico francese, sebbene la sua ricerca ricevesse una conferma scientifica solo dopo gli scavi di Brixham Cave del 1858. Nel 1863 Thomas Henry Huxley pubblicò il suo Evidences as to man's place in nature, e Charles Lyell sostenne l'antichità dei fossili umani che erano stati portati alla luce in associazione con strumenti litici, ricollegando queste scoperte alla teoria darwiniana delle origini delle specie (v. Lyell, 1863). Nel 1865 uno stretto collaboratore di Darwin, John Lubbock, pubblicò un'opera, Prehistoric times, che analizzava e sintetizzava le scoperte dell'archeologia e della paleontologia moderne, descrivendo una serie di stadi archeologici che avrebbero scandito l'evoluzione della civiltà dalla sua condizione primitiva.Ma se la teoria dell'origine comune dell'uomo era generalmente accettata, quella della selezione naturale fu messa in discussione da importanti biologi, tra cui anche Huxley.
L'implicazione potenzialmente più sovversiva della teoria della selezione naturale era che nell'evoluzione non è rintracciabile un chiaro percorso progressivo. Tuttavia molti contemporanei di Darwin rimasero fedeli a una idea illuministica di progresso unilineare. Lo stesso Darwin argomentava come se fosse evidente un unico sviluppo nella civiltà umana. Gli antropologi britannici in generale conservarono la fede illuministica nel progresso universale della civiltà umana - idea che poteva combinarsi con una visione vagamente darwiniana, oppure collegarsi alla teoria di una gerarchia delle razze umane. Infine, sebbene il 'darwinismo sociale' divenisse particolarmente influente negli anni ottanta dell'Ottocento, McLennan fu l'unico tra gli antropologi britannici ad accoglierne le idee.Ma anche se non tutte erano strettamente darwiniane, si può individuare un programma comune dietro le teorie della nuova generazione di studiosi che focalizzò l'attenzione su quelle che erano ora definite società primitive (sebbene i termini selvaggio, antico e arcaico fossero correntemente utilizzati come sinonimi).
Una volta stabilita l'antichità della società umana, si rendeva necessario spiegarne l'evoluzione dallo stato selvaggio, o primitivo, alla civiltà. Nelle Researches into the early history of mankind and the development of civilization (1865), Edward Burnett Tylor cercò di dimostrare come vi fosse stata un'evoluzione progressiva nel pensiero, nelle istituzioni e nelle tecnologie, e sottolineò il contrasto tra le forme di pensiero 'primitive' e quelle 'civilizzate'. La spiegazione darwiniana dell'evoluzione umana dava particolare risalto allo sviluppo del cervello, che egli associava con l'assunzione della deambulazione bipede e con lo sviluppo della tecnologia. Se il comportamento umano non era che una variante del comportamento di altri primati, si era però differenziato da questo a seguito della specializzazione intellettuale - una differenziazione che era anche un indubbio progresso. E, a quanto sembrava, i progressi erano continuati via via che la specie si evolveva. Le testimonianze archeologiche attestavano che vi era stato un progresso a lungo termine nel campo della tecnologia. Tylor avanzò ora l'ipotesi che con lo sviluppo dell'intelletto umano fossero progrediti, oltre alla tecnologia, anche il linguaggio, le arti e la comprensione del mondo. In sintesi, la specializzazione del cervello avrebbe prodotto la cultura, e questo processo di evoluzione del cervello, e, con esso, della cultura, era destinato a continuare nel tempo.
Tylor riteneva convincente la teoria darwiniana dell'origine della specie umana da un antenato comune, ma la sua impostazione teorica restava ancorata ai modelli elaborati dall'illuminismo scozzese e dai primi positivisti, in particolare alla tesi di Comte (derivata a sua volta da Turgot) secondo cui nello sviluppo dell'intelletto umano al pensiero teologico sarebbe seguito quello metafisico e in ultimo il pensiero scientifico. Il secondo volume dell'opera Primitive culture (1871) di Tylor era dedicato allo sviluppo della religione, un tema che dominò l'opera degli antropologi britannici della generazione successiva. Secondo Tylor, la religione delle popolazioni primitive era caratterizzata da un politeismo estremamente promiscuo, e consisteva nel propiziarsi il favore di queste divinità attraverso l'offerta di sacrifici. Per definire questa religione primitiva Tylor si servì del concetto di 'animismo'. Le superstizioni più irrazionali sarebbero state via via abbandonate con lo sviluppo della razionalità; in ultimo, secondo Tylor, la scienza avrebbe rimpiazzato qualunque forma di religione. McLennan (v., 1869-1870) sostenne che esisteva una connessione tra le forme religiose più antiche e la struttura della famiglia primitiva. Secondo la sua teoria, ogni gens matrilineare aveva una propria divinità particolare, il totem, che veniva sacrificata nel corso dei rituali più solenni della comunità. L'amico e collega di McLennan, nonché studioso della Bibbia, Robertson Smith avanzò l'ipotesi che lo stesso cristianesimo non fosse che una forma estremamente sofisticata di totemismo: una religione in cui la divinità veniva sacrificata per la salvezza dell'umanità. Questo divenne il tema centrale del Golden bough di Frazer.
Tutti questi autori condividevano l'idea che vi fosse stata un'evoluzione da una forma di pensiero primitiva e infantile a una mentalità scientifica, ma che alcune forme primitive continuassero a sussistere anche nelle società moderne. Le religioni potevano essere ordinate gerarchicamente in base al grado di sofisticazione intellettuale, ma quelle più tarde si erano tutte sviluppate da un sistema teologico primitivo, e conservavano alcune tracce della loro origine. Sopravvivenze dei rituali primitivi si potevano ancora osservare tra gli Aborigeni australiani. Il rituale religioso più importante sarebbe il sacrificio, e le sue origini andrebbero ricercate nelle pratiche primitive 'animistiche', in cui agli dei venivano offerte in pasto le anime di animali sacrificali. Un'implicazione evidente di tale teoria era che anche i riti cristiani sarebbero pervasi da sopravvivenze primitive, e che a tempo debito la religione avrebbe lasciato il posto alla scienza.
Una nuova tradizione di ricerca sulle origini delle istituzioni della civiltà venne inaugurata nel 1861 da Henry Maine nel suo Ancient law, e il dibattito proseguì sino agli anni ottanta dell'Ottocento, con la pubblicazione dell'opera di Engels Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staats (1884). Nonostante le differenze polemiche, gli studiosi della società civile si trovarono ben presto d'accordo sulle tematiche centrali. Le società umane più primitive erano basate sulla parentela, e in particolare erano formate da gruppi di discendenza esogamici. Solo dopo un lunghissimo periodo in cui l'uomo rimase allo stato selvaggio, e a seguito di una grande rivoluzione - la più importante nella storia umana, secondo Henry Maine -, i gruppi di parentela sarebbero stati definitivamente soppiantati da organizzazioni a base territoriale come fondamento della società. Questa rivoluzione fu accompagnata dall'invenzione della proprietà privata e dall'affermarsi del matrimonio monogamico e della famiglia.
Sebbene queste varie teorie presentassero significative differenze, avevano nondimeno molti elementi in comune, e ben presto vi furono tentativi di sintetizzazione (in particolare da parte di Lubbock e di Tylor). Il problema al centro dell'attenzione di questi autori era l'evoluzione delle istituzioni e della conoscenza umane. Tutti si basavano in generale sulle stesse fonti - i testi classici e i resoconti di viaggiatori e di residenti nelle aree tropicali - e si trovavano ad affrontare gli stessi problemi metodologici. Alcuni antropologi speravano di scoprire testimonianze equivalenti ai fossili dei paleontologi, o agli strumenti litici degli archeologi, in grado di gettar luce sulle usanze e sulle credenze dell'umanità preistorica. Forse le antiche pratiche si erano preservate in forme fossili in alcune cerimonie moderne, o in certe forme linguistiche arcaiche. In alternativa, restava il metodo comparativo utilizzato da Darwin che inferiva le caratteristiche delle specie ancestrali da un confronto con i loro discendenti viventi.In ogni caso, l'orientamento di questi autori era storico o evoluzionistico, e i loro modelli erano mutuati dai filosofi, dai geologi e dai paleontologi. Le società umane venivano classificate in base agli stadi di sviluppo, le usanze stratificate come forme fossili di specie viventi. Ma così come un'antica formazione rocciosa poteva ancora emergere in qualche parte del globo, allo stesso modo alcune popolazioni arretrate continuavano a sopravvivere in epoca moderna. Queste società 'primitive' viventi rappresentavano l'antica condizione di quelle più progredite. Era importante quindi scoprire le popolazioni viventi più primitive, ed era opinione largamente condivisa che queste fossero gli Aborigeni australiani. Come scriveva Lewis Morgan, "gli Australiani sono più arretrati dei Polinesiani e molto più arretrati degli indigeni americani. Il loro livello è inferiore a quello dei Neri africani, e quasi al gradino inferiore della scala evolutiva. Le loro istituzioni sociali, pertanto, devono essere più vicine al tipo primitivo di qualsiasi altra popolazione esistente" (v. Morgan, 1877, p. 51).
Una nuova teoria sulle società primitive, inaugurata da Henry Maine in Ancient law del 1861, rese ben presto la 'società primitiva' un oggetto di indagine scientifica. A partire dagli anni sessanta dell'Ottocento gli autori che si occuparono di questo tema tendevano a credere che vi fosse un unico tipo originario di società, ed erano sostanzialmente d'accordo sulle sue caratteristiche essenziali. Un'altra convinzione condivisa era che si potessero rinvenire tracce di questa condizione ancestrale tra le cosiddette popolazioni 'primitive' contemporanee.
Venne definito così un complesso di caratteristiche distintive di tale società primitiva, che possono essere elencate come segue:
a) le società più arcaiche erano organizzate sulla base di rapporti di parentela;
b) al centro di tale organizzazione basata sulla parentela vi erano i gruppi di discendenza;
c) tali gruppi di discendenza erano esogami, ed erano legati reciprocamente da una serie di scambi matrimoniali;
d) le popolazioni primitive veneravano e tabuizzavano spiriti ancestrali, o specie naturali (piante e animali), dalle quali credevano in genere di discendere;
e) queste istituzioni primitive, al pari delle specie estinte, si erano conservate in forma fossile in determinate cerimonie e forme linguistiche, come ad esempio i termini di parentela;
f) infine, per quanto riguarda il destino delle società primitive, si riteneva che con lo sviluppo della proprietà privata, di una superiore morale sessuale e di una comprensione più sofisticata del mondo, si fosse determinato un passaggio dall'organizzazione incentrata sulla parentela a un ordinamento sociale a base territoriale, e a forme di autorità centralizzata. Si trattava del mutamento più rivoluzionario nella storia dell'umanità, che segnò la transizione dalle società antiche o preistoriche a quelle moderne.
Gli autori che elaborarono tali teorie furono principalmente giuristi (in particolare Bachofen, Köhler, Maine, McLennan e Morgan), e le tematiche sulle quali incentrarono l'attenzione - l'evoluzione del matrimonio, della famiglia, della proprietà privata e dello Stato - erano formulate in termini giuridici. La fonte iniziale - la casistica comune - era fornita dal diritto romano. Lo stesso Tylor osservò che lo studio di un fenomeno quale l'esogamia "appartiene propriamente a quella materia interessante, sebbene assai difficile e quasi interamente negletta, rappresentata dalla giurisprudenza comparata delle razze inferiori, e chi non sia versato nel diritto civile non può renderle giustizia" (v. Tylor, 1865, p. 277).
Henry Maine (v., 1861) introdusse in Gran Bretagna la tradizione tedesca della storia del diritto romano, e mutuò dai filologi tedeschi l'idea di una tradizione culturale indoeuropea che abbracciava gran parte dell'Europa, sia antica che moderna, nonché l'India settentrionale. Maine era motivato da uno scopo politico: di orientamento conservatore e contrario alle riforme democratiche in Inghilterra, egli riteneva nondimeno che il compito della Gran Bretagna in India fosse quello di promuovere l'inevitabile passaggio dall'antica forma di proprietà comunitaria a un sistema basato sui diritti individuali. Maine si poneva dunque in contrasto con la tradizione radicale dell'illuminismo. I filosofi radicali del contratto sociale, in particolare Locke e Rousseau, opponevano l'idea di una legge di natura ai costrutti artificiosi e ingiusti della storia, partendo dal presupposto che l'ordine politico avesse avuto inizio con un contratto sociale stipulato da individui liberi. Maine cercò di dimostrare che le prime società erano basate su relazioni di status, ossia, essenzialmente, relazioni familiari, e ripropose, modificandola, l'immagine classica della condizione umana originaria. Al pari di quella descritta nella Bibbia e nell'epica antica, la società originaria ipotizzata da Maine era di tipo patriarcale, strutturata come una famiglia estesa in cui il patriarca esercitava un'autorità illimitata. Le società più primitive sarebbero state soggette all'arbitrio capriccioso di un patriarca dispotico.
Se questa era la situazione originaria, ne conseguiva che la tirannia e lo sfruttamento non erano frutto di un processo di decadenza, come ritenevano i radicali. La libertà individuale, e con essa la libertà di contratto, sarebbe stata riconosciuta solo molto più tardi. Applicando questo modello all'India, Maine sostenne che il ruolo della Gran Bretagna era quello di favorire in questo paese il passaggio dai sistemi di autorità patriarcali, basati sulla famiglia, a una società individualistica basata sul contratto.
Maine riteneva che nella società antica la famiglia patriarcale estesa fosse agnatizia o patrilineare, ossia che i legami di parentela fossero calcolati solo attraverso la linea maschile. Tuttavia, nello stesso anno in cui venne pubblicato Ancient law, uno studioso svizzero di diritto romano, Johannes Bachofen, basandosi sulle stesse fonti - la mitologia greca e il diritto romano - pervenne alla conclusione che la struttura originaria della famiglia era di tipo matriarcale. Un giurista scozzese, John McLennan, arrivò alla stessa conclusione indipendentemente da Bachofen, e ricollegandosi direttamente a Maine. A McLennan si deve inoltre l'introduzione di nuove prospettive teoriche nel dibattito sulle origini della società umana, derivate da Malthus e forse da Darwin (v. McLennan, 1865).Malthus (v., 1798) aveva sostenuto che le società primitive dovevano necessariamente aver praticato una qualche forma di controllo delle nascite, in caso contrario non avrebbero potuto sopravvivere data la scarsità di risorse di un'economia di caccia e raccolta.
McLennan riprese questa idea, affermando che la forma più efficiente di controllo demografico era stata l'infanticidio. Una banda di guerrieri infatti sarebbe stata avvantaggiata nella competizione per le risorse con le altre bande se non fosse stata gravata da un eccesso di donne e di bambini (è probabile che questa idea fosse ispirata alla teoria darwiniana della lotta per la sopravvivenza). Per procurarsi le donne, le bande di guerrieri le avrebbero rapite ai nemici. Poiché le donne erano possedute in comune, la paternità era incerta, e gli unici vincoli di consanguineità certi sarebbero stati quelli tra madre e figli. Di conseguenza, tali società avrebbero riconosciuto solo la discendenza matrilineare. A sostegno di questa teoria, McLennan adduceva come esempi casi di infanticidio femminile e di poliandria tra gli abitanti di alcuni villaggi dell'India settentrionale. Le cerimonie matrimoniali in cui la sposa veniva 'rapita' ritualmente ai familiari, secondo McLennan, erano una sopravvivenza di pratiche più antiche.
Influenzato da McLennan e da Maine, Lewis Henry Morgan sviluppò un'elaborata teoria sulla struttura della parentela nelle società primitive e sulla sua successiva evoluzione. Per provare la sua teoria egli raccolse una notevole quantità di termini di parentela usati nelle società di ogni parte del mondo, affermando che tali terminologie codificavano antiche pratiche matrimoniali: ad esempio, il fatto che uno stesso termine venisse usato per designare il padre e il fratello del padre indicava che in tempi remoti gli uomini condividevano le mogli con i fratelli. I sistemi della terminologia di parentela potevano dunque essere considerati reperti fossili, sopravvivenze che conservavano la struttura di età arcaiche. Le terminologie di parentela più primitive assimilavano tutti i parenti della generazione dei genitori e tutti i parenti della generazione contemporanea, riflettendo la pratica del matrimonio di gruppo in uso in tali società. In Ancient society Morgan (v., 1877) definì una serie di stadi attraverso cui si sarebbe compiuta l'evoluzione dei sistemi di parentela, ricollegandoli a un processo di sviluppo più generale dallo stato selvaggio, alla barbarie alla civiltà.
Negli anni sessanta e settanta dell'Ottocento Maine, McLennan, Morgan e i loro seguaci focalizzarono l'attenzione sulle forme degli antichi sistemi di parentela. Per Maine, la società primitiva sarebbe stata un'associazione di famiglie patriarcali. McLennan sostenne che al principio veniva riconosciuta solo la parentela matrilineare; l'affermarsi del patriarcato avrebbe segnato uno stadio più avanzato di sviluppo sociale, associato alla proprietà privata e all'istituzione del matrimonio. Morgan, dal canto suo, ipotizzò uno stadio di sviluppo ancora più antico, caratterizzato dal matrimonio collettivo di un gruppo di uomini tra loro imparentati con un gruppo di donne anch'esse unite da legami di parentela. Lo stesso riconoscimento dei legami matrilineari rappresenterebbe uno stadio di sviluppo successivo. In The descent of man Darwin (v., 1871) analizzò queste teorie ed espresse scetticismo nei confronti delle tesi della promiscuità e del matriarcato nelle società primitive. A suo avviso, la gelosia sessuale era una caratteristica comune a tutti i mammiferi maschi, e ciò rendeva altamente improbabile l'ipotesi di un possesso comune delle donne. In secondo luogo, egli riteneva che i primati fossero in generale organizzati in bande capeggiate da un maschio dominante e poliginico, e che un modello analogo avesse caratterizzato le prime società umane.
Le teorie di Darwin vennero sviluppate da Westermarck (v., 1891), il quale sostenne che tutti i primati hanno una forma di accoppiamento stabile, e che nelle prime società umane vigevano relazioni matrimoniali esclusive, sicché la famiglia sarebbe esistita già nelle società primitive.Nonostante le opinioni contrastanti sulla struttura degli antichi sistemi di parentela, l'idea di fondo di una società primitiva rimase saldamente radicata, in quanto non dipendeva dalla forma specifica assunta dalla parentela e dal matrimonio. La contrapposizione fondamentale era tra la società primitiva basata sulla parentela e le società storiche in cui i sistemi politici erano basati sul territorio. Secondo le teorie di Maine e di Morgan sarebbe stata la transizione dal 'sangue al suolo' a segnare la linea di demarcazione tra la società antica e quella moderna. A questo riguardo Maine osservava: "La storia delle idee politiche comincia, di fatto, con l'assunto che la parentela di sangue è l'unica possibile base di una comunità che assolve funzioni politiche; e non esiste un altro di quei sovvertimenti di sentimenti che chiamiamo enfaticamente rivoluzioni che sia altrettanto radicale e completo quanto il mutamento che si verifica quando un altro principio - come, ad esempio, quello della contiguità locale - si afferma per la prima volta come base dell'azione politica comune" (v. Maine, 1861, p. 124).
Lo stesso concetto venne espresso da Morgan nel modo seguente: "Tutte le forme di governo sono riducibili a due modelli generali [...]. Il primo, in ordine di tempo, si fonda sulle persone e su relazioni puramente personali [...]. Il secondo si fonda sul territorio e sulla proprietà, e potrebbe essere caratterizzato come uno Stato" (v. Morgan, 1877, pp. 6-7).Questa tesi nella formulazione di Morgan fu ripresa da Engels (v., 1884) e divenne la teoria ortodossa degli autori marxisti.Il modello della struttura della società primitiva che si andò cristallizzando alla fine dell'Ottocento era sorprendentemente semplice. Secondo tale modello, ogni società primitiva era originariamente una totalità organica che si sarebbe poi divisa in due o più segmenti identici, ognuno dei quali faceva risalire la sua discendenza a un singolo fondatore. Tali segmenti erano esogami e in ogni gruppo i beni e le donne sarebbero stati posseduti in comune. Il matrimonio avrebbe assunto la forma di scambi regolari tra gruppi di discendenza. La religione era imperniata sul culto degli antenati. Queste forme sociali si sarebbero conservate nella lingua e nelle cerimonie delle società contemporanee più primitive.
La critica più radicale all'approccio evoluzionistico fu quella sviluppata negli Stati Uniti da Franz Boas e dalla sua scuola nei primi decenni del Novecento. Boas guardava con sospetto le generalizzazioni degli evoluzionisti, cui contrapponeva un approccio 'diffusionista' che cercava di ricostruire l'evoluzione storica specifica di determinate aree geografiche.
Tutte le popolazioni esistenti secondo Boas hanno una struttura psichica simile. "Non esiste alcuna differenza sostanziale tra il modo di pensare dell'uomo primitivo e quello dell'uomo civilizzato", si legge nella prefazione all'edizione del 1938 di The mind of primitive man. Le differenze nei sistemi di credenze e nelle usanze sarebbero frutto dell'invenzione individuale, sotto la pressione di fattori locali, o, più di frequente, a seguito di contatti con altre popolazioni sfociati in una guerra o in un'assimilazione pacifica. Non esiste dunque uno schema universale cui ricondurre i percorsi evolutivi specifici delle varie regioni del mondo.
Gli evoluzionisti avevano postulato l'esistenza di stadi fissi di evoluzione sociale, ognuno dei quali era caratterizzato da un determinato insieme di istituzioni. Secondo le teorie evoluzionistiche, gli elementi distintivi delle società primitive, come ad esempio quella degli Aborigeni australiani, erano l'economia di caccia e raccolta, il matrimonio di gruppo e la discendenza matrilineare, un sistema politico basato sulla parentela e una religione totemica o animistica. Boas e i suoi seguaci dimostrarono che questi assunti erano contraddetti dai dati etnografici. Ad esempio, tra gli Indiani Algonquin - una società di cacciatori-raccoglitori - la famiglia era un'istituzione consolidata. Il 'totemismo', secondo la scuola boasiana, non era che una confluenza di varie credenze e pratiche che potevano presentarsi separatamente, e non era necessariamente associato ai gruppi di discendenza.
Gli stadi di evoluzione, inoltre, non erano distinti così nettamente come aveva supposto, ad esempio, Morgan. La regola di discendenza matrilineare si ritrovava anche in alcuni domini complessi, mentre certe società di cacciatori-raccoglitori avevano sistemi di discendenza patrilineare.Sebbene i boasiani in genere continuassero a parlare di società 'primitive', rifiutavano nondimeno l'idea che si potesse definire un tipo primordiale di società umana. Le teorie della scuola di Boas furono sintetizzate da Lowie (v., 1920) in Primitive society. Secondo Lowie non esisterebbe alcuna correlazione tra forme di sussistenza e forme di organizzazione sociale. "Gli Aborigeni australiani avevano un'economia di caccia e raccolta, così come i Paviotso del Nevada, e sul piano della tecnologia erano fermi al pari di questi allo stadio del Neolitico descritto dagli archeologi europei. Tuttavia, l'organizzazione della vita sociale degli Aborigeni australiani e dei Paviotso non dimostra alcuna somiglianza. Istituzioni quali la sib, le metà, il totemismo e le classi che si ritrovano tra gli Australiani non esistono nemmeno allo stato embrionale tra i Paviotso, e di conseguenza non vi è motivo di assumere che essi siano mai arrivati o regrediti ad una forma di organizzazione familiare simile. Nemmeno sul piano politico esiste alcun accenno di somiglianza" (ibid., p. 418).
Il mutamento culturale sarebbe in larga misura frutto di un processo di diffusione, e ciò sarebbe sufficiente a destituire di ogni validità i modelli evoluzionistici di sviluppo progressivo. "Un tempo si riteneva che gli stadi messi in luce dalla ricerca archeologica nell'Europa occidentale fossero fasi che tutto il genere umano ha dovuto necessariamente attraversare" (ibid., p. 424). Tuttavia le società africane sono passate direttamente dalla manifattura di strumenti litici alla tecnologia del ferro. Non esiste dunque alcuna correlazione diretta tra il livello tecnologico e il grado di sviluppo sociale e politico. Fatta eccezione per il Perù, gli indigeni americani non domesticavano gli animali, e tuttavia sia in Messico che nello Yucatan vennero sviluppate strutture sociali e politiche complesse. Secondo Lowie, nemmeno nelle concezioni morali, nei sistemi di valori o nelle visioni del mondo è possibile individuare un chiaro progresso. Laddove è legittimo istituire un ordinamento gerarchico delle tecnologie in base al criterio di efficienza, non esiste un metodo equivalente per confrontare le varie forme di organizzazione sociale. In altre parole, non esiste un criterio oggettivo in grado di dimostrare che vi è stato un progresso nelle vicende umane.
La scuola funzionalistica dell'antropologia britannica sviluppatasi negli anni venti avanzò ulteriori obiezioni empiriche ai classici modelli evoluzionistici della società primitiva. Westermarck (v., 1891) aveva affermato che la famiglia è un'istituzione universale; assieme al matrimonio essa avrebbe costituito la base delle prime società umane. Partendo da questo presupposto, Malinowski (v., 1913) dimostrò che la società degli Aborigeni australiani era basata sul matrimonio e sulla famiglia nucleare. Radcliffe-Brown (v., 1931), dal canto suo, affermò che la banda degli Aborigeni australiani poteva essere considerata in un certo senso un gruppo territoriale. Se ciò era vero per gli Aborigeni, che venivano ancora considerati la popolazione vivente più primitiva, nulla giustificava l'assunto che i progenitori dell'umanità fossero promiscui, privi di gruppi familiari e organizzati in base alla parentela anziché al territorio.
In ogni caso, l'interesse dei funzionalisti si focalizzava sulle strutture e sulle funzioni delle società moderne, e di conseguenza gli esponenti di questa scuola erano poco inclini a formulare speculazioni sulla forma di società da tempo scomparse. Le famose etnografie di Malinowski sui Trobriandesi si proponevano di dimostrare che non vi era alcuna differenza tra il modo di pensare e i meccanismi psichici dei 'selvaggi' e quelli dei popoli 'civilizzati'. In ogni parte del mondo gli esseri umani tendono a eludere le norme in vista dei propri interessi personali: "ogniqualvolta l'indigeno può eludere le sue obbligazioni senza perdere prestigio o eventuali profitti lo farà, esattamente come lo farebbe un moderno uomo d'affari" (v. Malinowski, 1926, p. 30).
Nondimeno, così come i boasiani continuavano a usare l'espressione 'società primitiva' pur rifiutandone la sostanza, allo stesso modo i classici modelli evoluzionistici influenzarono la classificazione delle società dei funzionalisti. Ad esempio, Fortes ed Evans-Pritchard (v., 1940) adottarono una classificazione tripartita dei sistemi politici africani che riproponeva il modello evoluzionistico di una successione di stadi. Secondo tale classificazione, alcune società (ad esempio quella dei Boscimani) erano organizzate in bande basate sulla parentela; altre (come i Nuer e i Tallensi) erano formate da federazioni di gruppi di discendenza unilineari, ognuno dei quali era associato a un segmento territoriale; altre ancora (ad esempio gli Tswana dell'Africa meridionale, i Kongo di quella centrale, nonché gli emirati dell'area nordoccidentale del continente) erano organizzate in Stati a base territoriale in cui la parentela e la discendenza regolavano solo gli affari interni. Le bande basate sulla parentela avevano un'economia di raccolta, quelle organizzate in lignaggi spesso praticavano la pastorizia, mentre gli Stati associavano agricoltura, pastorizia e commercio.
Di fatto, tale classificazione non era altro che una trasformazione degli stadi evoluzionistici in una tipologia sincronica. Sebbene le speculazioni sulle origini non fossero incoraggiate dalla scuola funzionalista, è evidente che i diversi tipi di società potevano essere ordinati in una sequenza cronologica dal più primitivo al più evoluto.In modo analogo, Lévi-Strauss (v., 1949) propose una classificazione dei sistemi matrimoniali di tipo diacronico, collocandola però nel quadro di una successione implicitamente evoluzionistica. Nella teoria di Lévi-Strauss l'evento cruciale dell'evoluzione sarebbe stato l'introduzione del tabu dell'incesto. La prima norma della società umana, che regolava l'accoppiamento, avrebbe decretato il passaggio dalla natura alla cultura. L'imposizione del tabu dell'incesto obbligava gli uomini a dare in matrimonio le sorelle e le figlie in cambio di mogli per sé e per i propri figli. Questi scambi matrimoniali a loro volta univano i gruppi familiari in una organizzazione sociale. In alcune società - nella fattispecie quelle in cui dominavano 'sistemi elementari' di matrimonio e di parentela - le unità chiave erano costituite da gruppi di discendenza esogami. Nei sistemi 'complessi', per contro, i matrimoni erano regolati individualmente, con l'unico vincolo del tabu dell'incesto. Lévi-Strauss considerava gli Aborigeni australiani come l'esempio per eccellenza di sistema elementare, mentre tutte le società con sistemi di parentela complessa appartenevano al mondo moderno, alle civiltà evolute. L'implicazione - abbastanza esplicita in alcuni passi - era che le società umane primitive si fondavano sul tabu dell'incesto e che tutte praticavano una forma di scambio matrimoniale generalizzato tra gruppi di discendenza.In sintesi, le idee tradizionali sulle caratteristiche di una società primitiva continuavano a sussistere sia nell'antropologia funzionalista che in quella strutturalista, e persino, con buona pace dei boasiani, in alcune correnti dell'antropologia americana.
Negli anni cinquanta Redfield ribadì gli assunti centrali di questo modello teorico, elencando le seguenti caratteristiche della società 'primitiva' (o folk society): essa sarebbe "di piccole dimensioni, isolata, preletterata e omogenea, con un forte senso della solidarietà di gruppo. I modi di vita sono convenzionalizzati in quel sistema coerente che definiamo 'cultura'. Il comportamento è tradizionale, spontaneo, acritico e personale; non esiste un sistema di leggi né l'abitudine all'esperimento e alla riflessione per fini intellettuali. La parentela, le sue relazioni e istituzioni sono le categorie in base alle quali viene ordinata l'esperienza, e il gruppo familiare è la principale unità d'azione. La dimensione sacra prevale su quella secolare; l'economia è basata sullo status più che sul mercato" (v. Redfield, 1947, p. 293).
Tuttavia, se le vecchie concezioni evoluzionistiche sulla natura della società primitiva persistevano, la nozione associata di progresso venne generalmente abbandonata. Su questo punto il consenso degli antropologi era pressoché unanime. Gli antropologi classici partivano dal presupposto che gli esseri umani fossero orginariamente eguali, ma non avessero percorso simultaneamente la via comune verso la civiltà; in realtà, come osserva Lévi-Strauss (v., 1952), il criterio dell'uniformità umana è dato dalla capacità di apprendere, di mutuare, di assimilare, e le grandi conquiste storiche sono state compiute in diverse parti del mondo. Gli evoluzionisti ritenevano erroneamente che vi fosse un criterio univoco del progresso. Tutte le teorie del progresso danno per scontato che gli uomini debbano perseguire gli stessi scopi, e che si differenzino per il fatto di averli o meno raggiunti; in realtà è evidente che ogni società ha propri scopi particolari, e misura il proprio successo secondo criteri differenti.
Negli anni cinquanta e sessanta le concezioni evoluzionistiche conobbero una rinascita nell'ambito dell'antropologia americana, e vennero riproposte in polemica con il relativismo e con il particolarismo storico della scuola di Boas. Alcuni esponenti della scuola neoevoluzionistica, guidata da Leslie White, rivendicarono il territorio abbandonato della teoria sociale vittoriana, pronunciandosi a favore di una storia universale sistematica dell'evoluzione umana attraverso una successione di stadi, a partire da una condizione primitiva comune. Al pari di Morgan e di Tylor, White era un fautore del progresso e riteneva che, nel lungo periodo, vi fosse stato un effettivo avanzamento della civiltà umana, misurabile con criteri oggettivi. Quanto più una società è evoluta, tanto più complessa sarà la sua organizzazione e maggiore la quantità di energia impiegata. Il dispendio di energia, secondo White (v., 1949), costituirebbe il principale indicatore del progresso culturale. Negli anni sessanta alcuni esponenti di questa scuola pubblicarono una serie di testi che delineavano una sequenza evoluzionistica di diversi tipi di società - dalla 'tribù', al 'dominio' (chiefdom), alla 'società rurale'.
Un'altra corrente, guidata da Julian Steward, propose una teoria evoluzionistica di ispirazione darwiniana, secondo cui le culture andrebbero interpretate come forme di adattamento a specifiche sfide ambientali. Più scettico di White nei confronti dei modelli tradizionali di evoluzione unilineare, Steward affermava la necessità di studiare i processi evoluzionistici specifici all'interno di determinate aree culturali, in cui società con un'origine comune erano esposte a condizionamenti ambientali analoghi (v. Steward, 1955).
Marshall Sahlins, un discepolo di White, cercò di sviluppare e sintetizzare questi modelli, proponendo una sintesi dialettica tra la concezione di un'evoluzione universale e progressiva sviluppata da White e la teoria di Steward, che privilegiava i modelli multilineari incentrati sugli adattamenti locali. Secondo Sahlins esisterebbero due tipi di evoluzione, sia nell'ambito biologico che in quello culturale. Da un lato vi è un'evoluzione specifica, che consiste negli adattamenti locali a un particolare ambiente; tale evoluzione si riscontrerebbe sia negli organismi che nelle culture in quanto i sistemi culturali, al pari degli organismi, si adattano a una varietà di condizioni locali. Dall'altro lato vi è un'evoluzione generale che riguarda i mutamenti progressivi e a lungo termine che investono tutte le forme di vita. Le specie superiori si sono evolute gradualmente sino alla comparsa dell'uomo, e un analogo progresso sarebbe avvenuto nell'ambito della cultura. L'evoluzione generale viene assimilata da Sahlins (v., 1960, p. 13) al progresso stesso. Lo studio dell'evoluzione specifica e quello dell'evoluzione generale a suo avviso non sono mutuamente esclusivi, ma possono e devono essere associati. Tutte le specie difatti si evolvono in risposta alle pressioni ambientali attraverso il processo della selezione naturale, ma nel lungo periodo emergono specie sempre più complesse ed efficienti.
Gli studi sugli adattamenti evoluzionistici 'specifici', locali, possono essere sintetizzati in un quadro più ampio dell'evoluzione 'generale'. Gli antropologi, quindi, dovrebbero combinare gli approcci di White e di Steward. Le società delle isole del Pacifico, ad esempio, rappresentano un terreno di studio dell'evoluzione specifica, al pari delle colonie di uccelli delle Galapagos. Nel loro insieme questi esempi di evoluzione specifica nella regione possono essere interpretati come una serie di stadi di un unico processo evoluzionistico. Ognuno di essi può essere collocato in un continuum evolutivo che va dalle comunità egualitarie basate sulla parentela agli Stati gerarchici, e che rappresenta le diverse fasi di un comune percorso storico. Nell'area del Pacifico il punto di partenza, il grado zero del sistema, è rappresentato dalle società melanesiane di piccole dimensioni basate sulla parentela. Le isole Figi costituiscono uno stadio intermedio, in cui la comparsa di leaders politici segna l'avvio di un processo di disgregazione della comunità familiare. Una forma superiore di organizzazione è quella dei piccoli domini della Polinesia orientale. Questo stadio evolutivo ha il suo culmine negli Stati tribali complessi di Tahiti, di Tonga e delle Hawaii (v. Sahlins, 1963).
Nelle società di dimensioni ridotte basate sulla parentela, analoghe a quelle descritte nei resoconti etnografici dalla Nuova Guinea, alcuni leaders carismatici, i cosiddetti big men, sfruttavano un sistema di scambio reciproco per acquistare potere, senza peraltro riuscire a istituzionalizzare la propria carica rendendola ereditaria. Nella Polinesia orientale l'autorità personale e transitoria dei big men aveva lasciato il posto a un ufficio ereditario. Promuovendo la produzione al di là dei bisogni della sussistenza, i leaders potevano contare su una maggiore quantità di risorse e aumentare il loro potere attraverso l'ostentazione di ricchezza e la redistribuzione. La situazione cambiava quando i capi riuscivano ad avere i mezzi sufficienti per costringere i sudditi a produrre un surplus e per appropriarsene sotto forma di tributi. Anche in questo caso tuttavia il loro potere restava instabile. La costante competizione tra i big men poteva sfociare in vere e proprie guerre, e le ineguaglianze spesso fomentavano ribellioni tra i sudditi. Per questo motivo alcuni domini erano soggetti a cicli di frammentazione e accentramento.
Questa analisi dell'evoluzione politica si basava su una contrapposizione tra due tipi di economia: un sistema basato sugli scambi reciproci tra gruppi di parentela e un sistema basato sullo sfruttamento da parte di un capo carismatico. In una serie di saggi scritti principalmente negli anni sessanta Sahlins (v., 1972) spostò l'attenzione su quelle che definì "economie dell'età della pietra", affermando che esistevano due tipi di società, ognuna caratterizzata da una forma specifica di organizzazione economica. Nelle bande e nelle tribù il gruppo domestico costituiva la principale unità di produzione e di consumo, non esistevano forme di sfruttamento né tanto meno di stratificazione sociale. Le economie delle società avanzate, per contro, erano più differenziate e più efficienti. Qui inoltre esisteva lo sfruttamento, in quanto un ristretto gruppo dotato di risorse economiche depredava la maggioranza della popolazione priva di ricchezza.
Le teorie economiche neoclassiche non si applicavano ai meccanismi di un'economia dell'età della pietra, dove gli individui avevano poche esigenze e abbondanti risorse, e agivano in base ai criteri etici della famiglia e del gruppo domestico. Le attività economiche si svolgevano nell'ambito della famiglia, ed erano governate da un''etica della solidarietà parentale'. La maggior parte dei beni era prodotta e consumata all'interno del gruppo domestico, sebbene gli scambi con i vicini e i parenti fornissero una garanzia per i tempi di ristrettezze. Solo una piccola parte della produzione era destinata al mercato. Questi beni - spesso oggetti di valore puramente cerimoniale -venivano scambiati in cicli fissi tra partners prestabiliti. I capi, là dove esistevano, riciclavano sotto forma di feste e di doni i beni ricevuti in tributo. Ogni modalità di scambio esprimeva le relazioni tra i gruppi sociali e all'interno di essi. Secondo Sahlins, questi principî economici precapitalistici erano ancora operanti presso alcune società contemporanee ferme all''età della pietra'. Egli identificava la 'società opulenta originaria' con i Boscimani !Kung, fortunati cacciatori cui erano risparmiati sia la miseria che il duro lavoro, e che incarnavano l'ideale marxista del socialismo primitivo.Alla fine, i vari approcci nell'orientamento neoevoluzionistico furono oggetto delle stesse critiche mosse all'evoluzionismo classico. I 'tipi' o 'stadi' di organizzazione sociale (ovvero bande, tribù, domini personali e Stati) non si conciliavano con la varietà di casi che la ricerca etnografica aveva messo in luce. Gli sviluppi locali sembravano contraddire le aspettative evoluzionistiche. Infine, gli studi che focalizzavano l'attenzione sulle pressioni ecologiche e sugli adattamenti locali non evidenziavano percorsi evoluzionistici, bensì una molteplicità di casi diversi ognuno con una propria, specifica logica locale. Tutto sembrava parlare contro la possibilità di riprendere l'ipotesi di una società 'primitiva' prototipica.
L'evoluzione delle prime forme moderne di Homo sapiens avvenne in Africa circa 150.000 anni fa. Dopo aver raggiunto il Medio Oriente oltre 40.000 anni fa, l'uomo moderno fece la sua comparsa in Europa (circa 35.000 anni fa), dove sostituì la popolazione di Neanderthal. La cultura materiale dell'uomo moderno inizialmente era simile a quella dei neanderthaliani, ma circa 45.000 anni fa si verificò una rivoluzione culturale, o meglio la nascita di una cultura, che gli archeologi identificano con il Paleolitico superiore. Questa nuova cultura apparve solo in associazione con esseri umani pienamente moderni, e la sua introduzione in Europa ad opera della razza di Cro-Magnon probabilmente affrettò, indirettamente, il declino dell'uomo di Neanderthal. Lewis Binford sintetizza nel modo seguente questa trasformazione: "Tra i significativi mutamenti nei contenuti dei reperti archeologici oltre la soglia rappresentata dalla comparsa di gruppi umani pienamente moderni in molte regioni vi sono: l'elaborazione del rito inumatorio; la produzione artistica; gli ornamenti personali; nuovi materiali, come l'osso, il corno e la pietra friabile; spostamenti su lunghe distanze e/o lo scambio di beni; infine, la maggiore varietà nella dimensione, nella durata e nel contenuto dei siti". Binford avanza inoltre l'ipotesi che queste caratteristiche segnalino un'innovazione ancora più fondamentale: la "presenza del linguaggio [...]. In sintesi, esse segnalano la comparsa della cultura" (v. Binford, 1989, pp. 35-36).
È con il Paleolitico superiore, dunque, che appare una forma di vita umana moderna, associata al linguaggio e a una serie di tradizioni culturali complesse, in rapida trasformazione e regionalmente differenziate. Richard Klein afferma che la transizione al Paleolitico superiore "segna la trasformazione più fondamentale del comportamento umano che le testimonianze archeologiche potranno mai rivelare" (v. Klein, 1989, p. 358). Tuttavia tale rivoluzione si compì in un arco di tempo molto lungo, e secondo alcuni archeologi in Europa si affermò soltanto intorno ai 25.000-20.000 anni fa. In Africa il passaggio dalla età della pietra media a quella superiore avvenne solo 20.000 anni fa circa. Ma se il Paleolitico superiore segna l'inizio della cultura umana moderna, a quale tipo di società era collegata?
È certo che le società del Paleolitico superiore erano di piccole dimensioni, con un'economia basata sulla caccia e sulla raccolta. In alcune sepolture vi sono segni di differenziazione sociale, ma per il resto non siamo in grado di dire nulla di specifico sulle strutture sociali e politiche di questi gruppi umani. Le testimonianze archeologiche non consentono nemmeno di trarre conclusioni certe in merito alla divisione del lavoro tra i sessi e sull'organizzazione familiare, sebbene oggi disponiamo di alcuni elementi che dimostrano la formazione di gruppi familiari attorno a centri domestici. Non esiste alcuna testimonianza diretta relativa alle credenze religiose, a parte la diffusione della pratica inumatoria, sebbene alcuni archeologi abbiano tentato di trarre alcune deduzioni dall'arte rupestre associata ad alcuni di questi siti. A quanto risulta vi era una notevole differenziazione regionale delle tecnologie, derivante in parte dalle differenze ecologiche, in parte, forse, dall'affermarsi di stili di vita e di tradizioni locali. Da ciò si può inferire una probabile diversificazione delle credenze religiose, nonché delle istituzioni politiche e sociali. La differenziazione regionale potrebbe aver favorito gli scambi, e ciò trova conferma nei reperti archeologici che dimostrano come il commercio in alcune regioni fosse una pratica ben consolidata. Tuttavia, le deduzioni sociologiche tratte dagli studi archeologici sono sempre controvertibili. Testimonianze attendibili a questo riguardo esistono solo per epoche molto più tarde, e per di più per un numero assai limitato di società, con la comparsa di fonti scritte. In sintesi, sappiamo molto poco sulla natura delle società del Paleolitico superiore, e non siamo nemmeno in grado di dire se e in che misura esse si conformassero a un modello comune.
Esiste una consolidata tradizione di ricerca che considera alcuni popoli contemporanei - talvolta definiti 'primitivi contemporanei' - come l'equivalente delle società del Paleolitico superiore. Era questa, ad esempio, la tesi di fondo dello studio di Sahlins Stone-age economics. Le ricerche più recenti e forse più sofisticate su questo tipo di società riguardano i Boscimani !Kung (o San) del deserto del Kalahari.
Negli anni sessanta e settanta i Boscimani !Kung del Kalahari erano generalmente considerati gli equivalenti dell'uomo primitivo. La ricerca sui !Kung iniziata ad Harvard nei primi anni sessanta aveva precisamente lo scopo di registrare il modo di vita di una popolazione 'primitiva' come esempio vivente delle società del passato.Lo studio sul campo dei !Kung venne iniziato da Richard Lee, il quale dapprima focalizzò l'attenzione sulle attività economiche di questo popolo di cacciatori-raccoglitori. Nonostante i !Kung usassero solo il bastone da scavo, conchiglie d'ostrica come recipienti per l'acqua, pelli per ricavarne vestiti e borse, semplici archi e frecce, e sebbene vivessero in una regione aspra e inospitale, riuscivano ad assicurarsi il sostentamento con il minimo dispendio di lavoro. Gli adulti lavoravano in media due giorni e mezzo alla settimana, e tuttavia la dieta dei !Kung era più che adeguata in base agli standard moderni. Ciò contraddiceva le aspettative di molti antropologi, i quali avevano sostenuto che il livello di vita dei cacciatori-raccoglitori era ai limiti della sussistenza.
Tra i !Kung vi era una divisione del lavoro alquanto avanzata. Sia gli uomini che le donne, ma soprattutto queste ultime, praticavano la raccolta, mentre la caccia era riservata solo agli uomini. La caccia era sotto certi aspetti un'attività paradossale: rischiosa, costosa in termini di dispendio di tempo e di energie, risultava palesemente meno fruttuosa della raccolta. Inoltre, i vegetali costituivano l'elemento essenziale della dieta. Per gran parte dell'anno, solo il 20% del fabbisogno di cibo era fornito dalla caccia. Tuttavia la carne era altamente apprezzata, e nelle stagioni favorevoli poteva fornire sino al 90% delle risorse alimentari - con un consumo medio pro capite di oltre 2 chili al giorno. Nel corso dell'anno, i !Kung traevano il 30-40% del loro apporto calorico dalla carne (v. Lee, 1979).
Sahlins definiva i !Kung come la società opulenta originaria. Il loro relativo benessere indicava che altre comunità di cacciatori-raccoglitori, anche molto primitive, avrebbero potuto svilupparsi in contesti ambientali più favorevoli. Altri autori misero in rilievo l'importanza della caccia tra i !Kung e altri gruppi di raccoglitori. Ciò segnava la principale differenza tra i gruppi umani e i primati, che raramente praticavano la caccia in modo sistematico. Il successo delle pratiche venatorie richiedeva un certo grado di specializzazione tecnica, di pianificazione e di cooperazione, e questo insieme complesso di operazioni presupponeva la divisione del lavoro. Se gli uomini erano impegnati sistematicamente nella caccia, le donne dovevano specializzarsi nella raccolta. Gli adulti inoltre dovevano spartirsi il cibo, e di conseguenza una coppia uomo/donna si sarebbe adattata in modo ottimale alle esigenze economiche della caccia e della raccolta. La divisione del lavoro avrebbe favorito dunque la nascita della famiglia (v. Lee e DeVore, 1968).
Negli anni ottanta questo modello venne sottoposto a una critica radicale. I !Kung, si osservava, erano vissuti per generazioni in contatto con le popolazioni di pastori di lingua Bantu, con i quali intrattenevano scambi economici. Spesso sottomessi politicamente, i !Kung erano regolarmente scacciati dalle regioni più accessibili e ricche di acqua. Lo stesso era accaduto a tutti i gruppi Boscimani per molti secoli. Si trattava dunque di una sottoclasse all'interno di una società complessa ed etnicamente stratificata, e non già degli eredi diretti di una tradizione paleolitica (v. Wilmsen, 1989).
Questa critica 'revisionista' rappresentava, per certi versi, una riproposta delle argomentazioni boasiane, che sottolineavano la specificità degli sviluppi locali rifiutando le generalizzazioni interculturali basate semplicemente sull'esistenza di basi tecnologiche simili. Alcuni studi su altri gruppi di San o Boscimani misero in luce notevoli differenziazioni nelle pratiche matrimoniali, nei modelli di insediamento e di territorialità, nonché nei modi di sussistenza (v. Barnard, 1992). Né, ovviamente, vi era alcuna ragione particolare per privilegiare i Boscimani dell'Africa meridionale come gli esempi più rappresentativi del sistema di vita del Paleolitico superiore. La popolazione Hazda della Tanzania, diversi gruppi Eskimo, gli Aborigeni malesi, i cacciatori-raccoglitori dell'Amazzonia, o il classico caso degli Aborigeni australiani, potevano essere esempi altrettanto validi; ma dallo studio di queste popolazioni emergeva un notevole grado di differenziazione nelle forme di organizzazione sociale e nella cultura, anche all'interno di una stessa area culturale. Inoltre, prima di essere studiate dagli antropologi, queste società erano state soggette per generazioni a un processo di adattamento alle popolazioni vicine di agricoltori, con cui intrattenevano molteplici scambi. Era questa una differenza cruciale tra i raccoglitori contemporanei e le popolazioni vissute prima della domesticazione delle piante e di alcune specie animali.
Sono poche le testimonianze dirette che permetterebbero una ricostruzione, per quanto ipotetica, delle società del Paleolitico superiore. Si trattava con tutta probabilità di comunità di piccole dimensioni di cacciatori-raccoglitori, ma non abbiamo modo di sapere se fossero organizzate in gruppi parentali, se praticassero la poliginia o la poliandria, se adorassero totem, se avessero dei capi (e tanto meno se tale ufficio fosse ereditario), se la vita economica fosse basata sulla divisione del lavoro tra uomini e donne. Nella misura in cui è legittimo far riferimento alle moderne società di raccoglitori per trarre indicazioni sulle condizioni di vita dell'uomo primitivo, si possono azzardare alcune generalizzazioni. La famiglia e il matrimonio risultano essere istituzioni universali; i rapporti di scambio sono istituzionalizzati e formano la base di molti sistemi di organizzazione sociale; solo gli uomini si dedicano alla caccia, mentre le donne si specializzano nella raccolta e nel lavoro domestico. Date le dimensioni ridotte di queste società e la mancanza di beni capitali, la differenziazione sociale è molto limitata. È altresì evidente che i condizionamenti ecologici determinano certe differenze locali, le quali a loro volta favoriscono gli scambi tra diverse popolazioni.
Se non è possibile essere più specifici in merito alla natura delle società del Paleolitico superiore, in che senso una qualche società contemporanea può essere definita 'primitiva'?
Si può ipotizzare che le caratteristiche generali del mondo del Paleolitico superiore sopravvivano tra alcuni gruppi isolati di cacciatori-raccoglitori. Contro questa ipotesi, peraltro, si è obiettato che per molte generazioni non vi sono state società di cacciatori-raccoglitori isolate, e che questo sistema di vita costituisce una nicchia di adattamento in un universo dominato dalla pratica dell'agricoltura. Considerare i Boscimani come una sopravvivenza del Paleolitico sarebbe altrettanto ingiustificato quanto considerare gli Zingari europei come esempi delle civiltà di pastori nomadi del mondo antico.
Il termine 'primitivo' potrebbe essere usato per designare una determinata fase di un percorso evoluzionistico che tutte le popolazioni devono attraversare (v. Gellner, 1988). Una storia evoluzionistica delle popolazioni umane è certamente plausibile se limitata allo sviluppo tecnologico e alla storia estremamente generale della crescita demografica della specie umana nel suo complesso. Questi due elementi sono, ovviamente, strettamente interrelati, e sarebbe possibile in via di principio scrivere una storia universale dell'umanità che abbia come tema il progressivo controllo della natura e la conseguente espansione demografica. È assai difficile, tuttavia, tradurre questa operazione in una storia delle società, in quanto queste sono transitorie, i loro confini sono spesso incerti, e nella maggior parte dei casi sono le relazioni esterne ad avere un ruolo cruciale per comprendere le loro strutture interne. Nel XVIII e nel XIX secolo gli schiavi venivano importati dalle regioni africane per lavorare nelle piantagioni delle Americhe. Le società africane e americane erano entrambe parte di un unico sistema atlantico, il cui funzionamento determinava il loro sviluppo interno, e tuttavia si trattava di società estremamente diverse tra di loro. Sarebbe del tutto ozioso immaginare che un tipo di società si sia evoluta dall'altra.
D'altro canto, se si cerca di delineare un quadro generale della storia universale, si può dimostrare che certe istituzioni appaiono in sequenza nelle testimonianze archeologiche: lo sviluppo dell'agricoltura, la nascita delle città, l'invenzione della scrittura, la formazione del capitalismo, le rivoluzioni industriali e scientifiche, e via dicendo. Molti autori si sono limitati ad associare uno o più di questi sviluppi alla 'civiltà', qualificando come 'primitive' quelle società che non hanno sperimentato queste svolte cruciali. E tuttavia la ricchezza di associazioni legate al termine lo rendono estremamente problematico. Si tratta di popolazioni intrinsecamente 'primitive', o è la loro tecnologia a essere tale? Alcune società considerate primitive sono vissute per generazioni a stretto contatto, e spesso intrattenendo rapporti di scambio più o meno ineguali con gruppi giudicati più progrediti, o addirittura 'civilizzati'. È lecito pensare che la condizione di popoli primitivi sia una conseguenza della loro associazione con vicini più potenti? Diventerebbero forse 'civilizzati' non appena imparassero a leggere e a scrivere, o a far funzionare macchine elettriche? Ovviamente, è più corretto parlare di volta in volta, a seconda della situazione, di società preletterate, o basate sulla raccolta, o di adattamenti a un'economia di raccolta all'interno di strutture politiche ed economiche più ampie, oppure ancora di regioni prive di mezzi di trasporto, e via dicendo.
L'idea di una società primitiva è priva di solide basi scientifiche, sicché sorge spontaneo chiedersi perché essa sia perdurata tanto a lungo tra gli studiosi europei e americani. Una ragione è data dal fatto che questo concetto poteva essere usato per giustificare le politiche colonialistiche e imperialistiche. E tuttavia, l'idea che alcune società siano arretrate, altre più progredite, fu sostenuta anche da molti filosofi radicali, a partire da Marx, il quale amava credere che la storia imponesse un certo progresso. L'idea della società primitiva era funzionale anche a scopi politici più modesti. All'interno del mondo accademico la disciplina antropologica per molti anni assunse il mondo 'primitivo' quale oggetto di studio privilegiato, e quindi aveva un interesse concreto nella sua perpetuazione.Tuttavia l'idea di società primitiva ha dimostrato una persistenza talmente tenace che non è possibile spiegarne il successo semplicemente in termini di interessi specifici di questo tipo (v. Kuper, 1988). Piuttosto, la nozione di 'primitivo' deve essere intesa come necessario complemento di quella di 'civiltà', come il rovescio dell'autoimmagine dell'uomo europeo moderno. La fantascienza crea mondi alternativi proiettati nel futuro per gettar luce sulla situazione presente. Analogamente, la pseudoscienza della società primitiva mira a mettere in rilievo le conquiste più significative della modernità. La definizione della modernità, della civiltà non è stabile, e così la letteratura sulla società primitiva non è omogenea per quanto riguarda i singoli dettagli. Tuttavia è sempre esistita una letteratura di tipo speculativo in cui gli intellettuali moderni hanno rappresentato la propria società come avrebbero voluto che fosse, descrivendo ciò che ritenevano fosse il suo contrario. L'idea di società primitiva si può spiegare solo come controparte della nostra immagine di noi stessi.
(V. anche Antropologia ed etnologia; Cacciatori e raccoglitori, società di; Cultura; Evoluzione culturale umana; Evoluzionismo; Religioni primitive).
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