Abstract
Vengono esaminate le norme del Testo unico della finanza, nonché quelle del codice civile e dei codici di autodisciplina, che si occupano delle società quotate, con particolare riferimento all’informativa societaria, al funzionamento degli organi sociali e ai controlli che presidiano l’attività dei predetti enti.
La disciplina in tema di società quotate nei mercati regolamentati è il precipitato di una complessa e articolata evoluzione normativa che ha perseguito, a partire dagli anni settanta, l’obiettivo di sviluppo dei mercati mobiliari e dell’intermediazione finanziaria (Annunziata, F., La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2014, 9 ss.). Tale evoluzione, sostenuta dalle politiche comunitarie tese a perseguire la costruzione di un mercato unico dei capitali per agevolarne la libera circolazione, si caratterizza per la compenetrazione tra le regole societarie e quelle del mercato dei capitali e per la notevole quantità di fonti normative rilevanti (sovranazionali, comunitarie, nazionali; legislative, regolamentari e autoregolamentari).
La produzione normativa di settore ha progressivamente affrontato le molteplici questioni relative alle società che si appellano al pubblico risparmio, quale canale di finanziamento alternativo al circuito bancario, ed emettono strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati. Gli interventi hanno toccato, segnatamente, l’organizzazione e l’efficiente funzionamento degli organi sociali; la trasparenza degli assetti proprietari della società; il rapporto tra partecipazione al capitale e rischio; la tutela delle minoranze; i controlli interni ed esterni alla società; l’informativa al mercato.
Questo percorso ha preso avvio nel nostro paese con la l. 7.6.1974, n. 216 e con i decreti delegati del 1975 che, in deroga al Codice civile, hanno introdotto alcune prime differenze di disciplina tra società quotate nei mercati regolamentati e non. L’esigenza di assicurare una corretta informazione agli investitori e, più in generale, la trasparenza del mercato mobiliare ha comportato – in capo alle prime – l’imposizione di obblighi di informazione speciali e aggiuntivi, sul rispetto dei quali è stata chiamata a vigilare un’autorità amministrativa indipendente, la Consob. Il legislatore del 1974 è intervenuto anche su alcuni aspetti organizzativi delle società quotate, legiferando, tra l’altro, sull’istituto della rappresentanza in assemblea, sulla convocazione dell’assemblea straordinaria e introducendo la possibilità di emettere azioni di risparmio, ossia titoli di partecipazione al capitale di rischio della società privi del diritto di voto in assemblea, ma dotati di privilegi di natura patrimoniale e fiscale rispetto alle azioni ordinarie (cfr. Nobili, R. - Vitale, M., La riforma delle società per azioni: commento alla legge 7.6.1974, n. 216 e ai decreti delegati, Milano, 1975).
Un intervento più organico in tema di società quotate si è poi avuto con il d. lgs. n. 24.2.1998, n. 58 (c.d. Testo unico della finanza o t.u.f.) che ha, da un lato, sistematizzato il quadro normativo, anche di derivazione comunitaria, stratificatosi negli anni in tema di intermediazione mobiliare; dall’altro, ha innovato diversi aspetti della disciplina societaria. Una compiuta disciplina è attualmente contenuta negli artt. 120-165 septies t.u.f. e si applica alle società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione Europea (art. 119 t.u.f.). Agli emittenti quotati (e a quelli che hanno l’Italia come Stato membro d’origine), che ricomprendono le società con azioni quotate, si applica, altresì, la disciplina in materia di informazioni regolamentate (art. 113 ter t.u.f.) e di informazione finanziaria (art. 154 bis e ss.). Questo corpo di disposizioni è, peraltro, integrato da disposizioni poste in varie fonti.
La riforma del diritto societario del 2003 ha innovato la disciplina delle società azionarie ed ha introdotto nel Codice civile alcune disposizioni specifiche applicabili alle sole società che fanno appello al mercato del capitale di rischio, rilevanti, come tali, anche per le società quotate, previo coordinamento con le eventuali corrispondenti disposizioni del t.u.f. (v. art. 2325 bis c.c.; cfr. Costi, R., Il mercato mobiliare, Torino, 2013, 289 ss.).
Per altro verso, la progressiva sempre maggiore apertura delle società al mercato dei capitali, unita agli scandali finanziari che hanno scosso pesantemente la fiducia degli investitori nel corretto funzionamento del mercato dei capitali nel primo decennio del XXI secolo (si pensi, tra gli altri, ai casi Cirio, Parmalat, Argentina, esaminati nelle loro implicazioni nell’ambito dell’indagine conoscitiva «Rapporti tra il sistema delle imprese i mercati finanziari e la tutela del risparmio», svolta dalle Commissioni finanza e tesoro e industria, commercio, turismo del Senato congiuntamente alle Commissioni finanza e attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati, Sen. della Rep. - Cam. dei Dep., XIV Legislatura, Roma, Marzo 2005, vol. I-IV), ha prodotto, tra l’altro, interventi legislativi (l. n. 28.12.2005, n. 262 e d.lgs. 29.12.2006, n. 303) su alcuni profili di disciplina dell’organo di controllo e, più in generale, sulle modalità di nomina degli organi di amministrazione e controllo (Abbadessa, P. - Cesarini, F., a cura di, La legge per la tutela del risparmio. Un confronto tra giuristi ed economisti, 2007, Bologna).
Ulteriori novità sono derivate dal recepimento, tramite novelle al t.u.f., di numerose direttive comunitarie in tema di emittenti quotati (dir. 2004/109/CE, cd. Direttiva Transparency, sugli obblighi di trasparenza relativi alle informazioni degli emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione e di diffusione al pubblico e stoccaggio delle informazioni che tali emittenti sono tenuti a diffondere; dir. 2004/25/CE, cd. Direttiva OPA, che ha innovato in tema di passivity rule, regole di neutralizzazione, informativa al mercato in pendenza di offerta e prezzo d’offerta; dir. 2006/46/CE, relativa alla redazione e pubblicazione dei conti annuali e delle relazioni sulla gestione; Direttiva 2007/36/CE, c.d. Shareholder’s Directive, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate; dir. 2006/43/CE sulla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati). Altri interventi normativi riguardanti le società quotate sono maturati in ambito nazionale in tema di operazioni con parti correlate (disciplina adottata con Regolamento della Consob n. 17221/2010 su delega contenuta all’art. 2391 bis c.c., commentata da Montalenti, P., Commento all’art. 239-bis - Del. Consob 17221/2010, in Fratini, M. - Gasparri, G., a cura di, Il Testo unico della finanza, Torino, 2012, 2721 ss.); e di equilibrio di genere nella composizione degli organi di amministrazione e controllo delle quotate (l. n. 21.7.2011, n. 120).
Ulteriori nuove disposizioni hanno di recente riguardato società quotate o quotande nella prospettiva di favorire il finanziamento non bancario tramite ricorso al mercato: si tratta, in particolare, degli istituti del voto maggiorato e del voto plurimo (introdotti con d.l. 24.6.2014, n. 91, come modificato con l. 11.8.2014, n. 116; per un commento, v. in termini generali, AA.VV., La deviazione dal principio “un’azione – un voto” e le azioni a voto multiplo, Quaderno giuridico Consob, 5/2014; AA.VV., Voto maggiorato, voto plurimo e modifiche dell'OPA, in Giur. comm., 2015, 211 ss.) e delle nuove norme sulle PMI quotate (come definite all’art. 1, co. 1, lett. w-quater.1) t.u.f.), che introducono per tali imprese una disciplina meno onerosa per quanto riguarda gli obblighi di comunicazione al mercato (art. 120, co. 2, t.u.f.) e più elastica in tema di contendibilità del controllo (art. 106, co.1-ter, t.u.f.).
Nel contempo, a livello di Unione Europea, sembra avviata una nuova stagione legislativa, caratterizzata da iniziative volte, dopo l’avvio della Unione Bancaria (con l’adozione del Regolamento del Consiglio n. 1024/2013 che ha attribuito alla Banca centrale europea compiti specifici in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi; e della dir. 2014/59/UE che ha istituito un regime armonizzato per il risanamento e la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento – c.d. Bank Recovery and Resolution Directive), a semplificare e uniformare la disciplina dei mercati finanziari nella prospettiva della realizzazione della Capital Markets Union (cfr. Lamandini, M. - Ramos Munoz D., EU Financial Law, Milano, 2016, 123 ss.) e tale, in qualche misura, de iure condendo, da avere un certo impatto anche sulle società quotate, nei termini indicati dal Libro Verde della Commissione Europea pubblicato il 18.2.2015, con riferimento agli obiettivi di favorire l’accesso ai finanziamenti alle imprese e diversificarne le fonti.
Sempre in ambito europeo vanno ricordate la dir. Transparency II (dir. 2013/50/UE) sugli obblighi di trasparenza delle informazioni riguardanti gli emittenti quotati, recepita con il d. lgs. 15.2.2016, n. 25; e la dir. Audit (dir. 2014/56/UE) sulla revisione legale dei conti, recepita con d. lgs. 17.7.2016, n. 135, e il relativo Regolamento europeo sugli enti di interesse pubblico (reg. n. 537/2014).
Va, infine, ricordato che confluiscono nel corpus di disciplina delle società quotate le norme adottate da Borsa Italiana quale società di gestione del più importante mercato regolamentato italiano e raccolte in un apposito Codice di autodisciplina, a cui la società quotata è libera di aderire o meno secondo il principio del comply or explain (cfr., AA.VV., L’autodisciplina in materia di corporate governance. Un’analisi dell’esperienza italiana, Quaderno giuridico Consob, 2/2013). La quotazione degli strumenti finanziari emessi da una società consegue, difatti, all’ammissione di tali strumenti alle negoziazioni di Borsa, a seguito di un articolata procedura a valle della quale la società di gestione del mercato regolamentato delibera di accogliere o rigettare la domanda di ammissione presentata dall’emittente, dandone comunicazione al pubblico e alla Consob; l’efficacia del provvedimento è subordinata all’approvazione del prospetto da parte di Consob (v. il Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. nella versione in vigore dal 9.2.2015 e artt. 64 e 94 e ss. del Tuf; per una descrizione della procedura di quotazione, v. Amorosino, S., Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 306 ss.).
Tanto considerato, risulta nel complesso delineato e ormai stratificato, per le società azionarie (società per azioni), società cooperative per azioni, società in accomandita per azioni, banche popolari, mutue assicuratrici) i cui titoli rappresentativi di capitale di rischio e di capitale di debito siano ammessi alle negoziazioni di borsa, un assetto di disciplina che è affatto specifico, essenzialmente per quanto attiene all’informativa societaria, alla composizione e al funzionamento degli organi sociali, e alla revisione dei conti.
Completezza e trasparenza dell’informazione resa dagli emittenti con azioni quotate sono alla base di un corretto ed efficiente rapporto tra questi e il mercato; obiettivo primario dell’informativa societaria è attrarre gli investitori, diversificando e ampliando in tal modo le fonti di finanziamento.
Per informazioni regolamentate si intendono quelle che devono essere pubblicate dagli emittenti quotati o dai soggetti che li controllano, ai sensi delle disposizioni della Parte IV, Titolo III, Capi I e II, Sezioni I, I bis e V bis t.u.f. e nelle norme regolamentari di attuazione e relative all’informazione sugli assetti proprietari, all’informazione finanziaria di natura contabile, a quella di tipo episodico legata a taluni eventi della società e, infine, all’informazione cd. price sensitive. Le informazioni regolamentate sono depositate presso la società di gestione del mercato e la Consob, che detta apposite regole in tema di diffusione, stoccaggio e deposito di tali informazioni (art. 113 ter t.u.f.).
Gli emittenti rendono pubbliche le informazioni regolamentate, assicurando un accesso rapido, non discriminatorio e ragionevolmente idoneo a garantirne l’effettiva diffusione in tutta l’Unione europea (art. 65 bis reg. emittenti). La Consob può rendere pubblico il fatto che i soggetti tenuti alla comunicazione delle informazioni regolamentate non ottemperano ai loro obblighi e può, tra l’altro, sospendere o chiedere che il mercato regolamentato sospenda la negoziazione dei relativi valori mobiliari se ha motivo di sospettare una violazione delle norme in materia e proibire la negoziazione ove accerti la loro violazione (art 113 ter, co. 8-9, t.u.f.). La Consob può inoltre irrogare sanzioni ai soggetti inadempienti (v. art. 193, co.1-quater, t.u.f.).
La disciplina in tema di assetti proprietari delle società quotate mira a dare trasparenza alla compagine sociale, esplicitare il grado di contendibilità dell’emittente, assicurare un migliore funzionamento del mercato del controllo societario (cfr. Giudici, P., Commento all’art. 120, in Fratini, M. - Gasparri, G., Il testo unico della finanza, cit., 1618 ss.). Fin dalla l. n. 216/1974, il legislatore ha dettato una disciplina in tema di partecipazioni rilevanti, che imponeva alle sole società che partecipavano in una quotata in misura superiore al 2% del capitale sociale, un obbligo di comunicazione, da adempiere entro trenta giorni, nei confronti della società partecipata e della Consob. Tale disciplina è stata emendata da numerosi interventi legislativi susseguitisi fino al 1998, quando la materia ha trovato organica sistemazione nel Tuf; da ultimo essa risulta nuovamente modificata a seguito dell’introduzione degli istituti del voto maggiorato e plurimo (v. artt. 127 quinquies e 127 sexies t.u.f.).
A livello di normativa primaria, sono indicate la base di calcolo delle partecipazioni rilevanti, (cioè il capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto oppure il numero complessivo dei diritti di voto – anche sospesi – nelle società con azioni a voto maggiorato o plurimo) e le soglie minime di partecipazione (3% per le società quotate e 5% per le PMI, ex art. 120, co. 2, t.u.f.) da comunicare alla società partecipata e alla Consob. Quest’ultima, in base all’art. 120, co. 2 bis, t.u.f. può prevedere, con provvedimento motivato e per un limitato periodo di tempo, soglie inferiori per società ad elevato valore corrente di mercato e ad azionariato particolarmente diffuso.
Per il resto, la disciplina di settore risulta ampiamente delegificata. Spetta, infatti, alla Consob individuare, tra l’altro: le variazioni delle partecipazioni minime che comportano obbligo di comunicazione; i criteri per il calcolo delle medesime; contenuto, modalità e termini delle comunicazioni e dell’informazione del pubblico e le eventuali deroghe; i casi in cui la detenzione di strumenti finanziari derivati determina obblighi di comunicazione; le ipotesi di esenzione.
La disciplina regolamentare è, a sua volta, frutto del recepimento delle direttive comunitarie. In particolare, la partecipazione al capitale sociale di un emittente quotato, ferma restando la soglia del 3% nel caso in cui la società non sia una PMI, è oggetto di comunicazione se raggiunge, supera (o si riduce sotto) le soglie del 5%, 10%, 15%, 20%, 25%, 30%, 50%, 66,6% e 90%. L’obbligo permane anche quando tali variazioni (ad eccezione della soglia minima), siano provocate da eventi che comportano modifiche del capitale sociale, secondo quanto rappresentato dall’emittente ex art. 85 bis t.u.f. (cd. superamenti passivi). Gli obblighi di comunicazione sono stati estesi anche alle partecipazioni potenziali (cioè alle azioni costituenti il sottostante di strumenti finanziari derivati e altri contratti che, in virtù di un accordo giuridicamente vincolante, attribuiscono al titolare, su iniziativa esclusiva del medesimo, il diritto incondizionato ovvero la discrezionalità di acquistare, tramite consegna fisica, le azioni sottostanti), nonché alle cd. posizioni lunghe in azioni (cioè alle azioni che costituiscono il sottostante di strumenti finanziari derivati o contratti diversi da quelli rilevanti per le partecipazioni potenziali, in grado di determinare l’assunzione di un interesse economico positivamente correlato all’andamento del sottostante).
Tutte le comunicazioni sono effettuate senza indugio e comunque entro quattro giorni di negoziazione decorrenti dal giorno in cui il soggetto è venuto a conoscenza dell’operazione idonea a determinare il sorgere dell’obbligo, indipendentemente dalla data di esecuzione, ovvero da quello in cui il soggetto tenuto all’obbligo è informato degli eventi che modificano il capitale sociale.
La violazione degli obblighi di comunicazione comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria e la sospensione del diritto di voto che, nel silenzio della legge, si ritiene estesa a tutta la partecipazione. In caso di inosservanza del divieto, la deliberazione adottata con il voto o, comunque, il contributo determinante della partecipazione ‘sospesa’, può essere impugnata anche dalla Consob (art. 120, co. 5 e art. 14, co. 5 e 6, t.u.f.).
La disciplina del t.u.f. contiene, inoltre, specifiche previsioni in materia di limiti quantitativi al possesso di partecipazioni reciproche in quanto suscettibili di essere usate come strumento per il potenziamento del controllo da parte di gruppi di comando. L’eventuale superamento di tali soglie comporta la limitazione del diritto di voto relativo alla parte di azioni eccedente e l’obbligo di alienare quest’ultima nei dodici mesi successivi al superamento della soglia (art. 121 t.u.f.).
Una puntuale disciplina in termini di disclosure è prevista anche per i patti parasociali. In primo luogo, il t.u.f. individua le tipologie di patti rilevanti sottoposti a obblighi di comunicazione: si tratta, in generale, dei patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto e, più in particolare, dei patti di consultazione, di blocco, di acquisto concertato, di controllo, e di quelli riguardanti le offerte pubbliche di acquisto (art. 122 t.u.f.). I patti, indipendentemente dalla forma in cui sono stipulati, vanno comunicati alla Consob, pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana, depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sua sede legale e, infine, comunicati alle società interessate. La Consob stabilisce con regolamento modalità e contenuti della comunicazione, dell’estratto e della pubblicazione.
L’inosservanza di detti obblighi determina la nullità del patto (art. 122, co. 3, t.u.f.). Come per le partecipazioni rilevanti e reciproche, i diritti di voto inerenti alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi di comunicazione non possono essere esercitati e in caso di inosservanza, si applica l’art. 14, co. 5-6, t.u.f. (art. 122, co. 4, t.u.f.). Il legislatore ha previsto, tuttavia, una soglia di rilevanza del patto, prevedendone la comunicazione obbligatoria solo nel caso in cui esso aggreghi partecipazioni complessivamente pari o superiori alla soglia minima per le comunicazioni ex art. 120 del Tuf. Sempre sotto il profilo dell’informativa vanno, inoltre, ricordate la relazione sul governo societario e gli assetti proprietari (art. 123 bis t.u.f.), che aggrega e ordina una serie di informazioni che l’emittente è già tenuto a comunicare in base a diverse fonti normative; e la relazione sulla remunerazione (art. 123 ter t.u.f., che oltre a disciplinarne il contenuto, individua le competenze degli organi societari in merito alla sua approvazione). Alla Consob è demandato il compito di individuare con regolamento le informazioni da inserire nella sezione della relazione che illustra la politica della società in tema di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, direttori generali e dirigenti con responsabilità strategiche; la Consob, altresì, con riferimento alla sezione della relazione di cui all’art. 123 ter, co. 4, t.u.f. può individuare i dirigenti con responsabilità strategiche per i quali le informazioni sono fornite in forma nominativa nonché differenziare il livello di dettaglio delle medesime in funzione della dimensione della società.
L’attuale sezione V bis t.u.f. dedicata all’informazione finanziaria è stata introdotta con la l. n. 262/2005 e da ultimo modificata con il recepimento della Direttiva Transparency II. In particolare, con tale intervento è stato modificato l’art. 154 ter, con l’obiettivo di rafforzare l’attendibilità delle informazioni di natura economico-finanziaria. La citata disposizione contiene i documenti contabili che gli emittenti sono tenuti a redigere e pubblicare, nonché il loro contenuto. Si tratta, in particolare, i) della relazione finanziaria annuale, comprendente il progetto di bilancio di esercizio, il bilancio consolidato ove redatto, la relazione sulla gestione e l’attestazione degli organi amministrativi delegati e del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili (a disposizione del pubblico presso la sede sociale, sul sito Internet e con le altre modalità previste dalla Consob, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, assieme alla relazione di revisione redatta dal revisore legale o dalla società di revisione legale, nonché la relazione indicata nell’art. 153 t.u.f., ovvero la relazione dell’organo di controllo); ii) della relazione finanziaria semestrale, comprendente il bilancio semestrale abbreviato, la relazione intermedia sulla gestione e l’attestazione degli organi amministrativi delegati e del dirigente preposto (da pubblicare, entro tre mesi dalla chiusura del primo semestre dell’esercizio, assieme alla relazione sul bilancio semestrale abbreviato del revisore legale o della società di revisione legale, ove redatta). Inoltre, la Consob, con proprio regolamento preceduto da analisi di impatto che esamini, anche in chiave comparatistica una serie di condizioni, può disporre l’obbligo di pubblicare informazioni periodiche aggiuntive consistenti, al più, in una descrizione generale della situazione patrimoniale e dell’andamento economico dell’emittente e delle controllate e in una illustrazione degli eventi rilevanti e delle operazioni che hanno avuto luogo nel periodo di riferimento e la relativa incidenza sull’emittente e le sue controllate. Esercitando la delega regolamentare, Consob ha rimesso agli emittenti la possibilità di comunicare al pubblico tali informazioni, dovendo a) specificare i relativi elementi informativi, in modo che le decisioni adottate risultino chiare e stabili nel tempo e i termini per l’approvazione e la pubblicazione delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive da parte dell’organo competente; b) garantire la coerenza e la correttezza delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive diffuse al pubblico e la comparabilità dei relativi elementi informativi con i corrispondenti dati contenuti nelle relazioni finanziarie precedentemente diffuse al pubblico; c) assicurare un accesso rapido, non discriminatorio e ragionevolmente idoneo a garantirne l’effettiva diffusione delle informazioni in tutta l’Unione Europea. Inoltre, nel caso in cui gli emittenti intendano modificare gli elementi informativi o interrompere la comunicazione al pubblico delle informazioni finanziarie periodiche aggiuntive, rendono pubbliche le decisioni assunte e le relative motivazioni. Ai fini della chiarezza e stabilità dell’informazione societaria, la decisione di interrompere la pubblicazione delle informazioni periodiche aggiuntive è efficace a partire dall’esercizio successivo (cfr. art. 82 ter reg. emittenti).
Fermi gli obblighi di pubblicità previsti da specifiche disposizioni di legge, gli emittenti quotati devono comunicare al pubblico, senza indugio, le informazioni privilegiate di cui all’art. 181 t.u.f. che riguardano direttamente detti emittenti e le società controllate. La Consob stabilisce con regolamento le modalità e i termini di comunicazione delle informazioni (art. 114, co. 1, t.u.f.).
La materia è attualmente disciplinata anche per quanto attiene l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato (art. 180-187 quaterdecies t.u.f.) e sarà interessata dal recepimento della dir. MAD 2 (dir. 2014/57/UE) e dall’applicazione del reg. MAR (reg. UE n. 596/2014) in materia di abusi di mercato (cfr. Vincenzi, S. – Zanchetti, M. – Zoppini, A., Market abuse regulation. Le nuove regole sugli abusi di mercato, Roma, 2016).
L’informazione è privilegiata quando è di carattere preciso, non è stata resa pubblica, concerne direttamente o meno l’emittente o gli strumenti finanziari emessi e, se resa pubblica, può influire sul prezzo di tali strumenti. Tale informazione rileva sotto due profili: è presupposto per l’attivazione degli obblighi di comunicazione sopra richiamati ed è rilevante ai fini del reato di abuso di informazioni privilegiate. Nell’adempimento agli obblighi di comunicazione, gli emittenti quotati possono, sotto la propria responsabilità, ritardare la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, per non pregiudicare i loro legittimi interessi, nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla Consob con il Regolamento Emittenti e sempre che ciò non possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali e che gli stessi soggetti siano in grado di garantirne la riservatezza (art. 114, co. 4 t.u.f.). La Consob, inoltre, può chiedere agli emittenti, ai soggetti che li controllano, agli esponenti aziendali e ai dirigenti, a coloro che detengono una partecipazione rilevante o che partecipano a un patto che siano resi pubblici, con le modalità da essa stabilite, notizie e documenti necessari per l’informazione al pubblico (114, co. 5, t.u.f.). La necessità di ‘gestire’ l’informazione privilegiata comporta alcune ricadute in termini di adempimenti organizzativi e procedurali. In particolare, l’art. 115 bis t.u.f. dispone che gli emittenti quotati e i soggetti da questi controllati, o le persone che agiscono in loro nome o per loro conto, debbano istituire, e mantenere regolarmente aggiornato, un registro delle persone che, in ragione dell’attività lavorativa o professionale ovvero in ragione delle funzioni svolte, hanno accesso alle informazioni privilegiate. La Consob determina con regolamento le modalità di istituzione, tenuta e aggiornamento dei registri. Il Codice di Autodisciplina delle quotate, nel dettagliare il ruolo dell’organo amministrativo, contempla la possibilità che questi, al fine di assicurare la corretta gestione delle informazioni societarie, adotti una procedura per la gestione interna e la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni riguardanti l’emittente, con particolare riferimento alle informazioni privilegiate (art. 1, Criterio applicativo 1.C.1. lett. j).
Le attuali norme del t.u.f. in tema di organo assembleare derivano in larga parte dalla dir. 2007/36/CE volta a favorire la partecipazione dei soci alla vita sociale e l’esercizio, anche transfrontaliero, del diritto di voto da parte degli azionisti di minoranza e stranieri. In particolare, con il d. lgs. n. 27/2010 sono state inserite (ovvero modificate) le disposizioni in tema di avviso di convocazione dell’assemblea (art. 125 bis), relazioni sulle materie all’ordine del giorno (art. 125 ter), sito internet delle società (art. 125 quater), convocazioni successive alla prima (art. 126), integrazione dell’ordine del giorno in assemblea (art. 126 bis), voto per corrispondenza o in via elettronica (art. 127), diritto di porre domande in assemblea (art. 127 ter).
In tema di convocazione dell’assemblea, l’art. 2369 c.c. prevede, salva diversa previsione statutaria, un’unica convocazione per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, mentre l’art. 125 bis t.u.f. disciplina tempi di convocazione diversi a seconda dell’argomento su cui l’assemblea è chiamata a deliberare. Oltre al termine ordinario di 30 giorni, la norma prevede. infatti, due termini abbreviati di ventuno e quindici giorni, rispettivamente per le assemblee previste dagli artt. 2446, 2447 e 2487, c.c., e di autorizzazione all’adozione di misure difensive nel corso di un’OPA; e un termine lungo di quaranta giorni nel caso di assemblee convocate per l’elezione degli organi sociali. L’art. 125 bis si occupa, altresì, di dettagliare il contenuto dell’avviso di convocazione, disponendone la pubblicazione sul sito internet della società. Allo stesso modo, l’organo di amministrazione entro il termine di pubblicazione dell’avviso di convocazione deve mettere a disposizione del pubblico, sul sito internet della società e con le altre modalità stabilite da Consob, una relazione su ciascuna materia all’ordine del giorno (art. 125 ter). Il sito internet è uno strumento cruciale anche per veicolare l’informativa post-assembleare, dovendo la società ivi pubblicare un rendiconto sintetico sugli esiti delle votazioni entro cinque giorni dall’assemblea e i verbali di assemblea entro i successivi trenta giorni (art. 125 quater).
In tema di partecipazione dei soci all’assemblea, alcune disposizioni del Tuf mirano ad arginare il fenomeno dell’assenteismo dei piccoli azionisti, solo parzialmente mitigato dalla presenza in assemblea degli investitori istituzionale e delle associazioni di azionisti. In tal senso si prevede la possibilità di esercitare il voto in via elettronica (art. 127 t.u.f.), demandando alla Consob la disciplina in punto di requisiti essenziali. Sempre al fine di agevolare la partecipazione degli azionisti (segnatamente degli investitori istituzionali), è stato introdotto – con la direttiva comunitaria – un nuovo sistema di legittimazione a partecipare all’assemblea, che porta a prescindere dalle vicende traslative dei titoli azionari successive a una certa data (cd. record date). L’art. 83 sexies, co. 2, t.u.f. prevede, infatti, che al termine della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente alla data fissata per l’assemblea, gli eventuali successivi trasferimenti delle azioni sono da ritenersi irrilevanti ai fini della partecipazione e dell’esercizio del voto in assemblea. La record date retrocede, invece, al venticinquesimo giorno per le azioni che rappresentano l’aliquota minima prevista per la presentazione delle liste ove l’assemblea sia stata convocata per la nomina degli organi sociali (art. 147 ter, co.1 bis, t.u.f.). Importanti novità – in termini di semplificazione – si registrano anche in tema di sollecitazione e raccolta di deleghe, a seguito delle modifiche introdotte con il recepimento della direttiva comunitaria. La sollecitazione di deleghe (art. 136 e ss. t.u.f.) è il procedimento con cui un soggetto (non più necessariamente un intermediario professionale che agisce su incarico del committente) si rivolge ad almeno duecento azionisti (e non alla generalità degli stessi come nella precedente disciplina) chiedendo di aderire a una specifica proposta di voto; la sollecitazione avviene attraverso un prospetto e un modulo di delega, disciplinati da Consob quanto a contenuto e modalità di diffusione. La raccolta di deleghe (art. 141 t.u.f.) è invece promossa da associazioni di azionisti e non costituisce sollecitazione ai sensi dell’art. 136 t.u.f.
Infine, funzionali all’esercizio dei diritti di voice e dei poteri di monitoring da parte dei soci sono le norme che permettono ai singoli soci di porre domande sulle materie all’ordine del giorno anche prima dell’assemblea (art. 127 ter t.u.f.) e a una minoranza qualificata di chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno (art. 126 bis t.u.f.).
Tra le norme del t.u.f. che si occupano di diritti dei soci, si annoverano, inoltre le disposizioni in tema di procedure di acquisto di azioni proprie e della controllante (v. art. 132 t.u.f., riformulato dalla l. n. 262/2005, che definisce, quale l’obiettivo delle procedure, la necessità di assicurare la parità di trattamento tra gli azionisti, demandando a Consob l’individuazione delle relative modalità); nonché alcune norme, non di derivazione comunitaria che riguardano: i) la maggiorazione del dividendo (v. art. 127 quater t.u.f., introdotto in occasione del recepimento della direttiva Shareholder’s che demanda agli statuti la possibilità che ciascuna azione detenuta dallo stesso azionista per un periodo continuativo, comunque non inferiore a un anno, attribuisca il diritto a una maggiorazione non superiore al 10% del dividendo distribuito alle altre azioni); ii) la maggiorazione del voto e il voto plurimo di cui agli artt. 127 quinquies e 127 sexies t.u.f., in base ai quali, derogando al principio ‘one share-one vote’, gli statuti possono disporre l’attribuzione di un voto maggiorato, fino a un massimo di due, per ciascuna azione appartenuta a uno stesso soggetto per un periodo continuativo di ventiquattro mesi decorrenti dalla data di iscrizione in un apposito elenco. Il legislatore disciplina, altresì, le ipotesi di perdita della maggiorazione e di trasferimento della stessa ad azioni spettanti a seguito di operazioni di fusione e scissione di società che preveda maggiorazione del voto, o emesse in esecuzione di un aumento di capitale mediante nuovi conferimenti. Le azioni a voto plurimo, invece, non possono essere introdotte da una società già quotata, ma sono mantenute se emesse anteriormente alla quotazione; inoltre, se lo statuto non dispone diversamente, al fine di mantenere inalterato il rapporto tra le varie categorie di azioni, le società che hanno emesso azioni a voto plurimo o quelle risultanti dalla fusione/scissione di tali società, possono emetterne altre nei casi di aumento di capitale, fusione o scissione.
Infine, agli artt. 145 e ss. è contenuta la disciplina in tema di azioni di risparmio, categoria introdotta nel 1974 e oggetto di profonde modifiche da parte del t.u.f. che ha eliminato – al fine di rivitalizzare l’istituto – le limitazioni normative in merito alla determinazione dei privilegi patrimoniali in favore di una maggiore autonomia statutaria.
Con riferimento all’assemblea vigono specifiche disposizioni in punto di patti parasociali aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto e la preventiva consultazione per l’esercizio del medesimo (v. art. 122, co. 1 e 5, lett. a), t.u.f.). Tali disposizioni sono volte a mitigare gli effetti di tali patti, in particolare l’effetto di conferire indirizzo unitario all’organizzazione e alla gestione sociale (v. Comunicazione Consob DEM/3077483 del 28.11.2003). Per tale ragione, i patti non possono avere durata superiore a tre anni se a tempo determinato e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Essi possono essere stipulati anche a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. A norma dell’art. 123 t.u.f. il preavviso è escluso laddove i paciscenti aderiscano a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio promossa ai sensi degli artt. 106 e 107 t.u.f.. Tali disposizioni si applicano, peraltro, a tutti i patti elencati all’art. 122 t.u.f. (di blocco, di opzione, aventi per oggetto/effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante, di favorire/contrastare gli obiettivi di un’offerta pubblica d’acquisto e scambio).
La riforma del diritto societario del 2003 ha definitivamente sancito il principio secondo cui la gestione dell’impresa – indipendentemente dai modelli di governo societario adottati – «spetta esclusivamente agli amministratori i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale» (art. 2380 bis c.c.). Il potenziamento di questo principio ha posto l’accento su alcuni temi fondamentali relativi all’organo amministrativo – quali struttura, composizione e modalità di elezione dei suoi membri, conflitti di interesse – suscettibili di incidere sulla gestione dell’impresa. Con riferimento alla struttura, la dimensione raggiunta dalle società quotate ha inciso significativamente sull’articolazione interna del consiglio di amministrazione, accentuando il ricorso alla delega di funzioni; valorizzando il ruolo di supervisione (e valutazione) del collegio sulla struttura organizzativa della società, sull’andamento della gestione e operato degli organi delegati (Stella Richter, M., La funzione di controllo del consiglio di amministrazione nelle società per azioni, in Riv. soc., 2012, 663 ss.); individuando in capo ai delegati il compito di curare, in relazione alla natura e alle dimensioni dell’impresa, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e predisporre un adeguato flusso informativo nei confronti del plenum (art. 2381, co. 3-5, c.c.). In questo contesto, il Codice di autodisciplina delle società quotate ha inteso ulteriormente valorizzare il flusso informativo attivato dagli organi delegati prevedendo, a compendio del dovere di agire informato di cui all’art. 2381, co. 5, c.c., che gli amministratori esaminino le informazioni ricevute, avendo cura di richiedere agli stessi ogni chiarimento, approfondimento o integrazione ritenuti necessari od opportuni per una completa e corretta valutazione dei fatti portati all’esame del consiglio. L’art. 150 t.u.f., inoltre, individua in capo agli amministratori un dovere di informazione nei confronti dell’organo di controllo sull’attività svolta, le operazioni di maggiore rilevanza e quelle in cui essi abbiano in interesse.
L’organo di amministrazione della società quotata può articolarsi ulteriormente al suo interno attraverso l’istituzione di comitati consiliari (composti per lo più da amministratori indipendenti), al precipuo scopo di assicurare una gestione corretta e trasparente e ridurre il rischio d’impresa (Bianchi, L.A., Il Tuf e il consiglio di amministrazione degli emittenti, in Riv. soc., 2014, 831 ss.). Taluni di questi comitati (come il Comitato controllo e rischi, il Comitato per la remunerazione e quello per le nomine) sono espressamente raccomandati dal Codice di autodisciplina che fornisce indicazioni su composizione e funzioni. Per consentire un effettivo funzionamento dei comitati, il board deve comporsi in generale di soggetti che abbiano capacità e competenze specifiche, all’interno dei quali poter distinguere tra amministratori esecutivi e non (a seconda che siano destinatari di deleghe o incarichi direttivi), amministratori espressi dalle minoranze e amministratori indipendenti (Tombari, U., Amministratori indipendenti, sistema dei controlli e corporate governance: quale futuro?, in Banca, borsa, 2012, 506 ss.).
Per le società quotate tale obiettivo viene perseguito dalle norme sul voto di lista introdotte con l. n. 262/2005 e modificate dal d. lgs. n. 303/2006 (Stella Richter, M. Commento all’art. 147-ter, in Fratini, M., Gasparri, G., Il testo unico della finanza, cit., 1938 ss.). Secondo l’art. 147 ter t.u.f., lo statuto delle società deve prevedere che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti in base a liste di candidati, determinando la quota minima di capitale richiesta per la loro presentazione (non superiore a un quarantesimo del capitale sociale e o alla diversa misura stabilita da Consob, tenendo contro di capitalizzazione, flottante e assetti proprietari della quotata). Le liste indicano quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di indipendenza; inoltre, almeno uno dei componenti deve essere espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, nemmeno indirettamente, con i soci che hanno presentato la lista risultata prima (v. Comunicazione Consob DEM/9017893 del 26.2.2009).
Infine, la legge stabilisce alcune regole in tema di amministratori indipendenti ed equilibrio di genere. Con riferimento ai primi, si prevede che almeno uno degli amministratori (due se il consiglio ha più di sette componenti) possieda i requisiti di indipendenza previsti per i sindaci (art. 148, co. 3, t.u.f.) ovvero gli ulteriori requisiti indicati da codici di comportamento redatti da società di gestione di mercati regolamentati o associazioni di categoria, se statutariamente richiamati. Per quanto riguarda l’equilibrio di genere, lo statuto deve prevedere un criterio di riparto (da applicare per tre mandati consecutivi) che assicuri al genere meno rappresentato almeno un terzo degli amministratori eletti (art. 147 ter, co. 1-ter, introdotto con l. n. 120/2011). L’equilibrio tra generi deve essere assicurato già in sede di formazione delle liste e nei casi di sostituzione di componenti in corso di mandato. Alla Consob è conferito il potere di diffidare la società inadempiente ad adeguarsi a tale criterio e, in caso di inottemperanza, di sanzionare la società, rimettendola in termini per un successivo adempimento. In caso di ulteriore inottemperanza i componenti eletti decadono dalla carica (Calvosa, L. - Rossi, S., Gli equilibri di genere negli organi di amministrazione e controllo delle imprese, in Osservatorio dir. civ. comm., 2013, 3 ss.).
Un’altra importante tematica che riguarda l’attività dell’organo amministrativo delle società quotate è quella relativa alle operazioni con parti correlate. Secondo l’art. 2391 bis c.c., gli organi di amministrazione delle società quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottano, secondo principi generali indicati dalla Consob, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate, ovvero quelle operazioni che, atteso il particolare rapporto che intercorre con la controparte, fanno presumere un rischio di non congruità sostanziale dell’operazione medesima. Con delibera n. 17221/2010, la Consob ha adottato il Regolamento recante disposizioni in materia di operazioni con parti correlate in cui ha declinato in modo puntuale la definizione di parte correlata, i criteri (quantitativi) di rilevanza delle operazioni, gli obblighi di trasparenza della società verso il mercato delle operazioni con maggiore rilevanza, l’iter procedurale e i presìdi di tutela nella fase di realizzazione dell’operazione, dove un ruolo centrale è assegnato agli amministratori indipendenti raccolti in un apposito comitato. Nelle operazioni di minore rilevanza, quest’ultimo (composto in maggioranza da amministratori indipendenti) è chiamato a esprimere un parere obbligatorio, non vincolante; nelle operazioni di maggiore rilevanza il comitato (composto da soli amministratori indipendenti) deve essere coinvolto nelle trattative e nella fase di preparazione dell’operazione ed è chiamato a rendere un parere obbligatorio e vincolante che, se negativo, può essere superato – ove previsto – solo con un’autorizzazione assembleare (cd. whitewash).
Le norme del codice civile del 1942 sul collegio sindacale delle società azionarie sono state lungamente criticate in quanto foriere di numerose e importanti inefficienze funzionali, per lo più derivanti da un’onerosa allocazione delle funzioni di controllo contabile e di legalità in capo al collegio, dalla struttura semirigida del medesimo (non facilmente adattabile alle dimensioni delle società di maggiori dimensioni) e dalla competenza assembleare in tema di nomina dei suoi componenti che ne faceva espressione della stessa maggioranza che nominava gli amministratori (Campobasso, M., Diritto commerciale, Torino, 2013, 406 s.).
Con riferimento alle società quotate, fin dagli anni settanta, il legislatore ha posto parzialmente rimedio a questi problemi affidando le funzioni di controllo contabile, la valutazione del patrimonio sociale e la certificazione del bilancio a una società di revisione iscritta in un albo speciale (sul tema v. infra). È, però, solo con la legislazione del 1998 che si fornisce – sempre con riferimento alle società quotate – una prima organica risposta ai problemi che la dottrina e la pratica avevano segnalato. In primo luogo, viene ribadita e ulteriormente dettagliata la ripartizione delle competenze con le società di revisione in tema di controllo contabile e certificazione dei bilanci (art. 154 t.u.f.). Sono, inoltre, individuati con chiarezza (art. 149 t.u.f.) gli ambiti di vigilanza del collegio riguardanti: i) l’osservanza della legge e dell’atto costitutivo; ii) il rispetto dei principi di corretta amministrazione; iii) l’adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché l’affidabilità di quest’ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione; iv) le modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento cui la società dichiara di aderire (previsione introdotta con l. n. 262/2005); v) l’adeguatezza delle disposizioni impartite alle controllate dalla società. Tali funzioni sono implementate ricorrendo a poteri istruttori, ispettivi, di controllo, di acquisizione (e scambio) di informazioni sulla società e le sue controllate; poteri di partecipazione alle adunanze di altri organi sociali e convocazione dei medesimi; potere di avvalersi di dipendenti della società, ovvero di propri dipendenti e ausiliari, per l’espletamento delle funzioni attribuite dalla legge (artt. 150, 151 t.u.f.).
Il collegio che riscontra irregolarità nella propria attività di vigilanza deve, senza indugio, darne comunicazione alla Consob e trasmettere i verbali relativi alle riunioni, agli accertamenti svolti e ogni altra documentazione utile (art. 149, co. 3, t.u.f.). Può, inoltre, procedere alla denunzia al tribunale, ai sensi dell’art. 2409, c.c., se ha fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto, in violazione dei loro doveri, gravi irregolarità nella gestione tali da arrecare danno alla società o alle sue controllate. La denunzia al tribunale spetta anche alla Consob, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri di vigilanza del collegio sindacale (art. 152 t.u.f.). I sindaci devono, inoltre, riferire all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio sull’attività di vigilanza svolta, le omissioni e i fatti censurabili rilevati (art. 153 t.u.f.). Specifiche disposizioni valgono per l’individuazione dei poteri esercitabili dall’organo di controllo nel caso di società che abbiano adottato il modello dualistico o monistico (artt. 151 bis e 151 ter t.u.f.).
Anche in punto di struttura e composizione dell’organo di controllo si registrano nel 1998 importanti novità rispetto alle originarie previsioni del codice del 1942. L’art. 148, co. 1, t.u.f. ha rimesso all’atto costitutivo la determinazione del numero dei componenti (comunque non inferiore a tre e a due, rispettivamente per i membri effettivi e per i supplenti) così da poter essere opportunamente adattato in base alla natura dell’attività svolta e alle dimensioni dell’impresa. La previsione originaria in tema di nomina del presidente del collegio (da effettuarsi secondo criteri e modalità previsti in statuto) è stata superata dal legislatore del 2005, per cui il presidente è nominato dall’assemblea tra i sindaci eletti dalla minoranza (art. 148, co. 2-bis, t.u.f.).
I sindaci espressione della minoranza rappresentano una delle maggiori novità in tema di composizione dell’organo di controllo. Nella precedente formulazione, l’art. 148, co. 2, t.u.f. prevedeva che la minoranza potesse nominare almeno due sindaci nel caso di collegio con più di tre membri, demandando agli statuti le modalità concrete per assicurarne l’elezione. Con la l. n. 262/2005 e il d. lgs. n. 303/2006 ai soci di minoranza spetta la nomina di un solo sindaco, indipendentemente dalla consistenza numerica del collegio (la norma è in parte mitigata dall’art. 144 sexies, co. 10, reg. emittenti, che evoca la possibilità per gli statuti di riservare alla minoranza l’elezione di un numero più elevato di sindaci); l’elezione avviene esclusivamente con il voto di lista, demandandosi alla Consob il compito di stabilirne le concrete modalità di attuazione. Diversamente da quanto previsto per gli amministratori (v. artt. 147 ter t.u.f. e 144 quater reg. emittenti), non è richiesto il possesso di una data quota percentuale di partecipazione al capitale sociale quale requisito di legittimazione alla presentazione della lista; ciascun socio può infatti presentarne una, salvo diversa previsione statutaria che, tuttavia, non può prescrivere che detta quota sia più alta di quella determinata ai sensi dell’art. 147 ter del Tuf (art. 144 sexies, co. 2, reg. emittenti). Inoltre, al fine di assicurare l’estraneità del sindaco di minoranza alla compagine dei sindaci eletti dalla maggioranza, la Consob ha individuato un elenco non tassativo di rapporti sintomatici di collegamento tra uno o più soci di riferimento e uno o più soci di minoranza (art. 144 quinquies reg. emittenti), nonché alcune fattispecie in cui l’esistenza di tale collegamento appare più evidente (Comunicazione DEM/DCL/8033950 dell’11.4.2008). Anche per il collegio sindacale, l. n. 120/2011 ha imposto di adottare criteri di riparto che assicurino l’equilibrio di genere in termini sostanzialmente analoghi a quanto già descritto per gli amministratori (art. 148, co. 1-bis, t.u.f.).
Ferme restando le modalità di nomina, la legge individua talune situazioni soggettive che impediscono di assumere l’ufficio di sindaco ovvero ne comportano la decadenza se sopravvenute (art. 148, co. 3, t.u.f.); anche il difetto dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dal d.m. 30.3.2000, n. 162, comporta la decadenza dalla carica (art. 148, co. 4, t.u.f.). Nell’inerzia degli organi sociali competenti (consiglio di amministrazione oppure, nelle società organizzate secondo i sistemi dualistico e monistico, dall’assemblea), la decadenza può essere dichiarata dalla Consob su richiesta di qualsiasi soggetto interessato o qualora abbia avuto comunque notizia dell’esistenza di una causa di decadenza (art. 148, co. 4-quater, t.u.f.).
Il tema della professionalità dei sindaci incrocia la disciplina sui limiti al cumulo agli incarichi, rimessa nella sua versione originale alle previsioni statutarie (v. art. 148, co. 1, lett. d) t.u.f.: lettera poi abrogata dalla legge sul risparmio). Le incertezze applicative della disciplina (che lasciava libere le società di indicare un numero qualsiasi di incarichi senza prevedere sanzioni in caso di superamento) hanno indotto il legislatore ad assegnare alla Consob il compito di stabilire il tetto massimo al cumulo agli incarichi che i componenti degli organi di controllo delle società quotate o con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante possono assumere nelle società per azioni o a responsabilità limitata (art. 148 bis t.u.f.). La Consob ha provveduto a definire tali limiti avendo riguardo all’onerosità e alla complessità di ciascun tipo di incarico, anche in rapporto alla dimensione della società, al numero e alla dimensione delle imprese incluse nel consolidamento, nonché all’estensione e all’articolazione della sua struttura organizzativa (art. 144 terdecies reg. emittenti). La Consob ha inoltre disciplinato termini e modi con cui i sindaci informano l’autorità di controllo che a sua volta pubblica, in luogo dell’emittente, le informazioni acquisite (art. 144 quinquiesdecies reg. emittenti); tali informazioni sono strumentali all’esercizio del potere della Consob di dichiarare la decadenza dagli incarichi dopo il raggiungimento del limite massimo.
La disciplina in materia di revisione contabile si è andata stratificando nel tempo; dal primo intervento del legislatore del 1974 che ha demandato a un revisore esterno le funzioni di controllo contabile, valutazione del patrimonio sociale e certificazione del bilancio, sottraendole al collegio sindacale, si è giunti dopo diversi passaggi normativi al d. lgs. 27.1.2010, n. 39 (cd. Testo unico della revisione) emanato in attuazione della Direttiva 2006/43/CE e che ha raccolto le principali disposizioni di legge prima divise tra c.c. e t.u.f. (Giudici P. La nuova disciplina della revisione legale, in Società, 2010, 533 ss.). Tale decreto è stato ulteriormente modificato a seguito del recepimento della dir. Audit (dir. 2014/56/UE) che assieme al reg. europeo sui requisiti specifici relativi alla revisione legale dei conti di enti di interesse pubblico (reg. n. 537/2014) disciplina attualmente la materia.
Il t.u.rev. individua un ‘sotto-insieme’ di regole per alcune società qualificate come enti di interesse pubblico (‘EIP’), tra cui figurano le società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell’Unione europea (v. art. 16 t.u.rev.). Rispetto ad esse la revisione legale non può essere esercitata dal collegio sindacale (art. 16, co. 2, t.u.rev.), al quale, tuttavia, sono assegnate funzioni di supervisione sul processo di informativa finanziaria, sull’efficacia dei sistemi di controllo interno dell’EIP, nonché sulla revisione legale, con particolare attenzione all’indipendenza dei revisori; e alla corretta applicazione delle regole che sovraintendono la procedura di selezione per il conferimento dell’incarico di revisione, presentando a tal fine una apposita raccomandazione agli amministratori (art. 19 t.u.rev.). Dopo aver disposto in tema di conferimento dell’incarico e durata, indipendenza del revisore e incompatibilità (art. 17 t.u.rev.), il legislatore ha stabilito che la società di revisione debba esprimere, con apposita relazione, da mettere a disposizione del pubblico ai sensi dell’art. 154 ter t.u.f., un giudizio sul bilancio di esercizio (e ove redatto su quello consolidato) e verificare la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili. La competenza in tema di conferimento (e revoca) dell’incarico nonché sul compenso è dell’assemblea chiamata ad approvare il bilancio su proposta motivata dell’organo di controllo. In caso di mancata nomina, la società informa tempestivamente la Consob, esponendo le cause che hanno determinato il ritardo nell’affidamento dell’incarico (art. 159 t.u.f.). Il soggetto incaricato della revisione ha diritto di ottenere dagli amministratori ogni documento e notizia utile per lo svolgimento del proprio compito e può precedere ad accertamenti e controlli. Il collegio sindacale e il revisore si scambiano tempestivamente dati e informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti (art. 150, co. 3, t.u.f.).
Il giudizio formulato dal revisore può essere di quattro tipi: senza e con rilievi, negativo e contenente una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio. Negli ultimi tre casi il revisore espone i motivi della sua decisione e in caso di giudizio negativo, di dichiarata impossibilità di esprimere un giudizio e in presenza di richiami di informativa relativi a dubbi significativi sulla continuità aziendale, informa la Consob (art. 156, co. 4, t.u.f.). La Consob è informata senza indugio anche dei fatti censurabili rilevati nello svolgimento dell’attività di revisione legale (art. 155, co. 2, t.u.f.).
Il giudizio espresso non vincola l’assemblea dei soci che è libera di approvare anche un bilancio che ha ricevuto un giudizio negativo o non passibile di essere giudicato. In presenza di delibera di approvazione del bilancio con giudizio positivo o anche con rilievi del revisore e, tuttavia, non conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione, è previsto un peculiare regime di legittimazione all’impugnazione della delibera da parte dei soci. In tal caso, infatti, sono legittimati all’impugnazione della delibera (oltre che ad attivare altri controlli) solo soci che rappresentano almeno il 5% del capitale sociale (art. 157, co. 1, t.u.f.)
Artt. 113-165 septies t.u.f.; artt. 2325-2451 c.c.; d.lgs. 27.1.2010, n. 39.
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