SOCIOLINGUISTICA
. Prende il nome di "sociolinguistica" un indirizzo di studi dedicati al linguaggio che ha avuto inizio negli Stati Uniti negli anni Sessanta, e che è tuttora in pieno svolgimento. L'affermazione del carattere interpersonale, sociale del linguaggio è un dato ovvio. Tuttavia il pensiero linguistico non ha tratto conseguenze apprezzabili da questo principio fino a tutto l'Ottocento, quando, all'interno del metodo storico-comparativo, compaiono le prime osservazioni sistematiche sulla differenza linguistica di origine sociale accanto a quella (che attrae un'attenzione preminente) di origine geografica. Alla svolta del secolo, F. de Saussure, che ha subìto del resto l'influenza dell'opera sociologica di E. Durkheim, attribuisce al carattere sociale del linguaggio un posto centrale, e ne fa dipendere principi come quello di "segno" o di "sistema" (struttura), fondamentali per l'analisi della comunicazione linguistica e semiotica. Nei confronti della s. contemporanea si tratta di precedenti epistemologicamente importanti, anche se non sempre diretti, delle due principali direzioni della ricerca attuale: 1) quella rivolta allo studio di comunità linguistiche determinate, considerate nella loro stratificazione sociale e nella variazione linguistica corrispondente (macrosociolinguistica); 2) l'analisi degli "atti linguistici", così come sono condizionati da diverse culture (microsociolinguistica).
La s. parte dalla constatazione che non il monolinguismo, ma la "diglossia" è lo stato abituale di una comunità. Contrariamente a quanto, per deficienza di osservazione e anche per postulato metodologico cosciente, si assume correntemente, una comunità presenta sempre una stratificazione linguistica, che va dalla compresenza di lingue molto diverse (parlate da tutta la popolazione o da una parte) all'uso di varietà più o meno strette di una stessa lingua. Queste riflettono spesso le diverse classi sociali. "Diglossia" è un termine nuovo (coniato da C. A. Ferguson e messo a punto da J. J. Gumperz e J. A. Fishman) che vuol coprire tutti i casi di presenza di diversità linguistica all'interno di una comunità. L'uso di una o dell'altra varietà non è mai indifferente. Fishman ha definito la s. "la disciplina che cerca di determinare (tra l'altro) chi parla che varietà di che lingua a chi, quando e per dir che cosa". Nelle loro ricerche fondamentali alcuni sociolinguisti hanno provato a dare un certo numero di risposte a questi interrogativi calati nelle situazioni concrete più diverse: New York (W. Labov), l'Etiopia (Ferguson), Sauris, un paesino della Carnia dove si parlano un dialetto tedesco, il friulano e l'italiano (N. Denison), ecc. Approfondendo la realtà delle comunicazioni operate con varie lingue, si è messo in evidenza - al di là del presupposto, che rimane fermo, dell'eguaglianza potenziale di tutte le lingue, che possono, date opportune condizioni, esprimere tutto - il diverso valore connotativo che viene sempre attribuito dai parlanti alle singole lingue. Accanto al riconoscimento comune del prestigio di certe lingue, che spinge verso l'unificazione linguistica, la "fedeltà" ad altre lingue e perfino a varietà sentite come socialmente inferiori è all'origine di un movimento contrario, al mantenimento e addirittura all'aumento delle differenze (lo studio della fedeltà linguistica è stato approfondito già da U. Weinreich, in un'opera fondamentale per gl'inizi della s., Languages in contact. Findings and problems, New York 1953; trad. it., Lingue in contatto, Torino 1974). Fenomeni d'importanza capitale, come la formazione del sentimento nazionale, la difesa di un'etnia o la sua rinascita (che passa spesso attraverso una rinascita linguistica), dipendono da fattori linguistici di questo tipo.
Rispetto agli studi storici ottocenteschi che li precedono, i migliori lavori moderni si servono di osservazioni precise e spesso quantificate secondo tecniche aggiornate sia linguistiche che sociologiche. Questo ha permesso risultati nuovi, e di grande rilievo, proprio per il tema centrale della ricerca storica: l'evoluzione della lingua. Labov ha mostrato come i complessi rapporti d'imitazione e di volontaria differenziazione linguistica tra i vari gruppi sociali che vivono in uno stesso ambiente, sono un fattore fondamentale di cambiamento linguistico continuo. Dopo aver mostrato questo per il presente, particolarmente attraverso lo studio della città di New York, Labov ha provato a ricostruire processi analoghi per la storia passata della fonetica inglese (Come usare il presente per spiegare il passato, in Il continuo e il discreto nel linguaggio, Bologna 1977). Indipendentemente dalla s. americana, studi con indirizzo analogo, prevalentemente storici, sono stati condotti nello stesso periodo in Italia. T. De Mauro ha illustrato i diversi aspetti della realtà linguistica italiana nei cento anni trascorsi dall'unificazione, mettendo a fuoco fatti sociali fondamentali, come l'industrializzazione, l'urbanesimo, l'emigrazione, e considerando d'altra parte la dialettica tra italiano e dialetti, le diverse forme dell'italiano, la sua diffusione e i tempi e i modi della riduzione dei dialetti, ecc. (Storia linguistica dell'Italia unita, 1963). Altri studi italiani, come quelli condotti in Piemonte da C. Grassi e altri, si sono sviluppati direttamente sul tronco della dialettologia e della geografia linguistica. L'incontro tra gli studi italiani e quelli provenienti dall'America e dalla Gran Bretagna è ormai in atto, mentre sono limitati, e hanno scarsa eco in Italia, i contributi provenienti dalla Germania, dalla Francia, dall'Unione Sovietica e dall'Est europeo, ecc.
L'altra direzione della ricerca s. collega un tema di linguistica generale, quello degli "atti linguistici" (J. Searle), o delle "funzioni del linguaggio", alle forme specifiche che questi prendono all'interno di diverse culture. Queste ricerche riprendono quello che è stato da tempo uno scambio fruttuoso di metodi e di esperienze tra antropologia e linguistica, soprattutto in America (dove E. Sapir, per es., aveva lavorato sui due fronti) e in Inghilterra (dove è ancora vivo l'insegnamento di B. Malinowski), ma hanno ricevuto nuovo impulso anche da parte filosofica (dalla "filosofia del linguaggio" di Oxford, e in particolare dall'Austin di How to do things with words). Questi studi mettono in luce quale forma linguistica particolare prendano atti quali domandare (per sapere, o per ottenere), ringraziare, scherzare, felicitarsi, offendere, e anche fare un incantesimo, ecc. Facendo questo, da un lato ampliano necessariamente i confini della ricerca linguistica richiedendo un'attenzione programmatica ai contesti e l'assunzione di unità linguistiche di analisi complesse (per es. unità narrative), dall'altro esigono il complemento dello studio dell'attività paralinguistica (a partire dai gesti) e in genere semiotica. Si hanno così esami approfonditi, come quelli di E. Goffman, di comportamenti istituzionalizzati di un membro della società in determinate occasioni. Il carattere rituale di certi comportamenti non esclude, anzi mette in evidenza (come ha sottolineato particolarmente M. A. K. Halliday) la pluralità di opzioni che si presentano al singolo in una situazione, e il valore significativo che ogni scelta assume. Questi studi, detti talvolta di "etnometodologia", consentono all'uomo occidentale una visione spesso nuova del proprio comportamento; la naturale controparte è lo studio dei comportamenti in altre società, che aveva già fornito l'oggetto tradizionale dell'osservazione antropologica. Ma questa prospettiva permette, nuovamente, di rintracciare la diversità dovunque, non solo nelle culture che l'Occidente chiama "esotiche". Si ritorna per questa via alla caratterizzazione sociale in senso pregnante, di ciò che differenzia al suo interno in gruppi e classi una sola società. Limitando l'osservazione ai differenti usi del linguaggio, B. Bernstein ha indicato nelle peculiarità di comportamenti linguistici diversi la radice dell'insuccesso scolastico dei figli delle classi sociali meno elevate in Inghilterra. Le tesi di Bernstein, secondo il quale la borghesia è capace spesso di uso elaborato (esplicito, oggettivizzante) del linguaggio, mentre il proletariato inglese aderisce, il più delle volte senza alternative, a un suo uso ristretto (implicito, indifferente alla funzione "cognitiva"), ha avuto grande eco. In Italia è venuta a incontrarsi con quanto aveva scritto sul tema del possesso della lingua non una personalità accademica, ma un grande educatore come don L. Milani. Nelle sue pagine, d'altra parte, don Milani polemizza vigorosamente contro la vacuità della lingua "borghese", che Bernstein sembra talora proporre senz'altro come modello. Questo modello è stato fatto oggetto di critica anche da Labov, che ha cercato di capire la particolare esperienza culturale e linguistica di un gruppo emarginato, com'è quello del ghetto negro di New York.
Come si vede, dalla s. sono partiti importanti impulsi anche verso un rinnovamento della politica scolastica e della pedagogia, con un'attenzione speciale ai condizionamenti sociali dei processi di apprendimento.
Bibl.: Introduzioni: J.A. Fishman, Sociolinguistics, Rowley (Mass.), 1970 (trad. it., La sociologia del linguaggio, Roma 1975); G. Berruto, La sociolinguistica, Bologna 1974; N. Dittmar, Soziolinguistik, Francoforte s. M. 1973 (trad. it., Manuale di sociolinguistica, Roma-Bari 1978).
Tra le raccolte più significative di autori vari: Readings in the sociology of language (a cura di J. A. Fishman), L'Aia 1966; Advances in the sociology of language (a cura di J. A. Fishman), 2 voll., ivi 1971 e 1972; Language and social context (a cura di P. P. Giglioli), Harmondsworth 1972; Sociolinguistics (a cura di J. B. Pride e J. Holmes), ivi 1972; Communication in face to face interaction (a cura di J. Laver e S. Hutcheson), ivi 1972. In ital.: Rassegna di sociologia, 9 (1968), n. 2 (dedicato alla s.); Linguaggio e società (a cura di P. P. Giglioli), Bologna 1973. Di singoli autori: W. Labov, The social stratification of English in New York City, Washington 1966; A. M. Badia i Margarit, La llengua dels barcelonins, Barcellona 1969; W. Labov, Sociolinguistic patterns, Filadelfia 1972; id., Language in the inner city. Studies in the black English vernacular, ivi 1973; M. A. K. Halliday, Explorations in the functions of language, Londra 1973 (capp. 3 e 4); id., Il continuo e il discreto nel linguaggio, cit., Bologna 1977. In rapporto con l'educazione linguistica: M. A. K. Halliday, A. McIntosh, P. Strevens, The linguistic sciences and language teaching, Londra 1964 (trad. it., Dalla scienza linguistica alla didattica delle lingue, Padova 1968); Class, codes and control (a cura di B. Bernstein), Londra 1971 (con saggi di Bernstein e altri; altri lavori di Bernstein nelle raccolte citate sopra, anche italiane). Per la s. italiana: T. De Mauro, Storia linguistica, cit., Bari 1963 (19755); id., Pedagogia della creatività linguistica, Napoli 1971; Autori vari, Atti del IV Convegno della S.L.I. L'insegnamento dell'italiano in Italia e all'estero, I vol., Roma 1971; G. R. Cardona, Introduzione all'etnolinguistica, Bologna 1976; G. Berruto e M. Berretta, Lezioni di sociolinguistica e linguistica applicata, Napoli 1977, 2 voll., Roma 1977; La lingua italiana oggi: un problema scolastico e sociale (a cura di L. Renzi e M.A. Cortelazzo), Bologna 1977; D. Parisi, Sviluppo del linguaggio e ambiente sociale, Firenze 1977; Atti dell'VIII Congresso della S.L.I. Aspetti sociolinguistici dell'Italia contemporanea (Bressanone 1974).