SOGGETTIVISMO
. Termine filosofico, derivante dal significato che il vocabolo "soggetto" acquista nell'età moderna, quando viene riferito essenzialmente all'attività pensante (v. per ciò soggetto). Esso designa quindi, in generale, ogni concezione che risolva, in qualsiasi modo e misura, la realtà delle cose nella realtà stessa del pensiero che le pensa, o comunque dell'esperienza conoscitiva a cui esse sono presenti. E si specifica perciò, principalmente, in soggettivismo "empirico", quando il soggetto della conoscenza è identificato col singolo individuo in cui essa si realizza, e in soggettivismo "trascendentale", quando questo stesso soggetto è concepito come attività assoluta e universale, immanente di necessità nella consapevolezza di ogni singolo senziente e pensante. Parallelamente, si parla di soggettivismo nel campo della filosofia della pratica quando la norma dell'azione è comunque considerata come dipendente dalla natura stessa dell'agente, e non come trascendente rispetto ad essa; e anche qui il soggettivismo può naturalmente essere empirico, se la norma dell'azione è ridotta all'arbitrio del singolo, e trascendentale, se è invece identificata con un'esigenza universale e necessaria di ogni pensabile volontà.
Nel pensiero antico, essenzialmente orientato verso l'oggettivismo gnoseologico ed etico, il soggettivismo si presenta soltanto come fenomeno di eccezione, e in ultima analisi come manifestazione di crisi: esso mostra infatti soltanto il suo aspetto empirico, quindi negativo rispetto all'oggettività che dovrebbe fondare i valori teoretici e pratici. Così nella sofistica, e specialmente in Protagora, il soggettivismo appare come subordinazione di ogni valore conoscitivo e morale al criterio soggettivo dell'utilità; mentre nello scetticismo, che conclude il pensiero classico, esso si presenta come argomento per negare all'uomo la possibilità di attingere l'oggettività del vero, che nella sua conoscenza risulta sempre soggettivato, e per dedurne quindi l'insussistenza di ogni certezza conoscitiva. Il soggettivismo acquista invece un valore positivo quando, nell'età moderna, la critica campanelliana e cartesiana, riprendendo l'antica scoperta di S. Agostino, avverte come la certezza soggettiva che l'attività pensante ha del suo sussistere costituisca l'unico stabile punto di partenza per il superamento dello stesso scetticismo. E più compiutamente si afferma man mano che la speculazione filosofica riconosce la necessità di dare alla sfera dell'attività pensante un posto sempre maggiore nel quadro dell'universo; giungendo al suo culmine nelle varie concezioni che, dal Leibniz al Berkeley, avvertono l'esigenza di concepire tutto l'universo come risolventesi nella consapevolezza dei pensanti. Tra il Sette e l'Ottocento poi ricaduto in una fase di scetticismo, per opera del Hume, questo assoluto soggettivismo empirico, esso si riafferma come soggettivismo trascendentale in tutte le concezioni idealistiche che, movendo dalla critica kantiana, procedono dai sistemi dei primi grandi postkantiani fino alle più recenti concezioni del pensiero contemporaneo, pur non mancando accanto ad esse varie propaggini dell'antico soggettivismo empirico, talora contemperato variamente con l'altro (empirismo, relativismo, empiriocriticismo, ecc.).