SONATA
. Nome di una forma di musica strumentale. La parola Sonata ci riporta alle origini stesse della musica per strumenti, se non per il sostantivo, certo per il verbo donde esso deriva. Sonata, infatti, da principio designa indistintamente musica da suonare in contrapposto a musica da cantare, e tale è il senso rimasto sempre alla parola nell'uso popolare e profano. Conviene peraltro osservare che nel Cinquecento neanche tale funzione elementare fu ben distinta, poiché spesso le medesime composizioni si trovano stampate in quel secolo con la dicitura "accomodate per cantar, o per sonar con ogni sorta di strumenti".
I più genuini antenati della sonata (perché nati da una pratica strumentale già sufficientemente distinta dalla pratica vocale) sono pertanto le Arie, Canzoni e Fantasie da sonar del periodo veneziano, che da Andrea Gabrieli prende nome. Si ritiene infatti che il primo e più antico uso della parola sia nelle Sonate a cinque istrumenti di A. Gabrieli; stampate nel 1586, ma di cui non si possiede sino ad oggi nessun esemplare.
Fermandoci al significato primitivo e generale della parola Sonata, dobbiamo ricordare: le Sonate per organo solo e per strumenti di A. Banchieri (1601), che sono o sul tipo della canzone francese o vere e proprie fughe; le Ventuno Canzoni e Sonate di Giovanni Gabrieli (1615), tra le quali rimase celebre la Sonata Pian e Forte; le Sonate da chiesa e da camera a due e a tre di Tarquinio Merula (composte dal 1623 al 1651), tra cui notissima la Sonata cromatica, che è un magistrale Ricercare monotematico; le Sonate a tre di Salomone Rossi, comprese nei suoi quattro libri di Sinfonie, Gagliarde e Sonate (dal 1604 al 1636) e offrenti l'aspetto di temi con variazioni, come la Sonata sopra l'aria di Romanesca, e affini perciò alle partite frescobaldiane. Di Claudio Monteverdi va ricordata a questo punto, per l'analogia della struttura, la Sonata sopra Sancta Maria, nella quale la frase litaniale fa da cantus firmus per la creazione di liberi episodî variati.
Riassumendo, il termine Sonata, dall'ultimo ventennio del secolo XVI al primo terzo del secolo seguente, possiede un significato generico, che gli proviene dal tipo dell'esecuzione (strumentale) e assume poi di volta in volta significato speciale dalle diverse forme a cui esso è applicato, quali la Canzone, il Ricercare, la Partita, distinta, quest'ultima, dal procedimento a variazioni. Ciò coincide con le definizioni teoriche del periodo sopra citato. Infatti, Michele Praetorius nel Syntagma musicum (1615-1620) dice: Sonata a sonando. Spiega poi che la Sonata va distinta dalla Canzone strumentale per essere "di carattere grave e solenne alla maniera dei mottetti". È tuttavia accertato che la letteratura del liuto precede quella degli altri strumenti nell'usar la parola Sonata in un significato affine a quello di Suite, assunto in periodo più recente. La Sonata per liuto di Giacomo Gorzani, pubblicata dal Gardano nel 1651, e riprodotta da O. Chilesotti, consta infatti di due tempi di danza, Pass'a Mezo e Padoana, uniti dal vincolo della tonalità.
È del pari certo che, specialmente col formarsi di una letteratura propria degli strumenti ad arco - e soprattutto del violino - la Sonata è uscita dal senso generico di musica da suonare, ed ha assunto aspetti determinati. Questi furono da principio le due forme di Sonata da camera e Sonata da chiesa. La prima, derivata con ogni probabilità dalle composizioni liutistiche, è sinonimo di quella che prima si chiamò Suite e anche Partita (non nel senso frescobaldiano), e consta cioè di una serie di danze strette dal solo vincolo della tonalità. Queste furono da principio la Pavana e la Gagliarda, sostituite più tardi dal seguito di Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga.
La Sonata da chiesa era invece composta di movimenti alternatamente lenti e veloci in stile imitato (cioè con scrittura a imitazioni tra voce e voce). Gli scambî tra questi due tipi di Sonata non tardarono molto a verificarsi, sì che nelle Sonate da camera si avvicendarono alle danze anche Preludî, Arie, Allegri fugati, temi con variazioni, ecc.
Così se Giov. Batt. Buonamente e Carlo Farina (entrambi intorno al 1625) scrivono tra i primi Sonate da camera nella pretta struttura della Suite, e se Biagio Marini e, ben più tardi, Giov. Batt. Vitali tengono distinte le Sonate da camera da quelle da chiesa, altri compositori della prima metà del 1600, come il Fontana, l'Uccellini, il Neri, il Legrenzi, Nicolaus a Kempis (fiorentino), nelle loro Sonate a più strumenti ad arco con basso (d'organo o di cembalo), s'avviano già al tipo misto. Questo avrà vita abbastanza lunga, se, al principio del Settecento, diverrà normale nelle Sonate, ad es., di Evaristo dall'Abaco, e se verso la metà dello stesso secolo, il padre G. B. Martini alternerà ancora, nelle sue Sonatc per cembalo, Preludî, Adagi, Allegri fugati, temi variati, con Sarabande, Correnti, Gavotte, Gighe. Infine la tenacia delle forme di danza nel tenersi abbarbicate al terreno della Sonata più adulta, giunta cioè al pieno sviluppo della sua vita lirica, è resa manifesta dalla persistente presenza della Giga e del Minuetto nella Sonata dei periodi galante e classico.
La fattura della Sonata, per quasi l'intero sec. XVII, mantiene fede in prevalenza a quello stile polifonico - se non sempre a imitazioni, pur sempre a parti reali - dal quale la stessa rivoluzione monodica non era riuscita a staccarsi del tutto.
Salda base contrappuntistica hanno infatti le Sonate di Giovan Batt. Vitali, di Giov. Maria Bononcini, di Giov. Batt. Bassani, di Giovanni Legrenzi, composte tra il 1660 e la fine di quel secolo. Nel ciclo dei movimenti, le composizioni di questo periodo seguono per lo più l'alternativa a tre, Allegro, Adagio, Allegro o quello a quattro tempi, Grave, Allegro, Grave, Allegro; nella struttura del singolo tempo non si scorge ancora concretata una forma definita, né poteva esserlo, dato l'impegno tematico nel giuoco delle imitazioni. È notevole invece in una Sonata in la minore di G.B. Vitali pubblicata nel 1689 la persistenza di un solo tema in tre dei suoi cinque tempi, quasi presagio della moderna sonata ciclica. È anche da ricordare che, per gran parte del sec. XVII, si chiamarono Sinfonie talune composizioni da camera a due, tre e quattro strumenti e basso, che non sono altro se non vere e proprie Sonate. Tali le Sinfonie da chiesa a due Violini, Viola e Cello di Giovanni Bononcini (figlio del ricordato Giov. Maria), le Dodici sinfonie a 2 Violini, Cello ed Organo (anticipo del quartetto con pianoforte?) del Bassani, ecc.
Gli strumenti a tastiera, come l'organo e il clavicembalo, hanno coltivato la Sonata più tardi di quelli ad arco. Sino ad oltre la metà del Seicento, organisti e clavicembalisti erano dediti piuttosto alle forme del Ricercare, della Toccata, del Capriccio, della Canzone. In parte sotto l'influsso prevalentemente contrappuntistico di queste forme, in parte sotto quello della Sonata da chiesa propria degli strumenti a corda, i compositori di musica per tastiera della seconda metà del sec. XVII scrissero Sonate che sono, o tempi fugati, simili a Ricercari e Canzoni francesi - come le Sonate di Carlo Francesco Pollarolo - ovvero applicazioni cembalistiche delle Sonate da chiesa e di Concerti grossi, o, infine, arieggiano l'antica Toccata per organo. Questi tipi formali si ritrovano tutti nell'opera sonatistica di Bernardo Pasquini (1637-1710) che appare la più importante tra quelle del periodo prescarlattiano.
Così la Sonata in fa magg. pubblicata dal Pauer sembra una vera e propria Toccata sul genere di quelle di Michelangelo Rossi: le quattro Sonate dell'antica ed. Aresti (1680), di cui due a un solo tempo, e due a due tempi, rispecchiano la struttura imitata e fugata della Sonata da chiesa; la Sonata in re minore a due cembali, riprodotta dallo Shedlock, è a tre tempi nello stile dialogato e robusto del Concerto grosso.
Allo sviluppo della Sonata nel Seicento la Germania prese scarsa parte. I più cospicui predecessori di Bach e di Händel, quali Scheidt, Froberger, Buxtehude, Pachelbel, Reinken iniziarono il corale strumentale o figurato e coltivarono la Suite, ma quasi mai la Sonata. Solo di Buxtehude si conoscono sette Sonate per trio di viola da gamba e altre per viola da gamba sola e clavicembalo; omaggio allo strumento (la viola da gamba) che fino al sec. XVIII tenne il posto del violoncello.
A Giovanni Kuhnau, sulla fine del sec. XVII, spetta un posto non secondario nella storia di questa forma. Egli scrisse composizioni di tal genere, attenendosi al tipo a più tempi, che i cembalisti italiani avevano derivato dalla Sonata da chiesa per archi. Il tematismo di Kuhnau è rigido, pedantesco, e privo di fermento inventivo; come finale della Sonata egli introduce spesso la Giga, e lo fa con la tecnica brillante propria degli Italiani, piuttosto che con le maniere fugate frequenti nella struttura di quella danza. Dove invece il Kuhnau ha diritto a un titolo di originalità, è nelle Sonate Bibliche (1700) di carattere descrittivo e a programma. In esse egli alterna brani di stile fugato a episodî omofoni e a noti aspetti di danze, con molti movimenti, in cui sono notevoli l'invenzione ritmica e i tratti di mimetismo musicale.
Ma prima di lasciare la Sonata secentesca, dobbiamo ricordare l'artista che ne riassume gli aspetti e tutti li vivifica con la potenza creativa e l'altezza del magistero: Arcangelo Corelli (1653-1713). La sua produttività di sonatista occupa vent'anni, dal 1681, in cui uscì l'op.1, al 1700, in cui fu pubblicato l'op. 5. Le sessanta composizioni, di cui constano tali opere, si modellano secondo le due specie principali di Sonate. Il tipo della Suite di danze si trova nelle dodici Sonate a tre dell'op. 2 e nella parte II dell'op. 5; il tipo che risulta dalla fusione tra la Sonata da camera e la Sonata da chiesa informa, invece, le Sonate dell'op.1, ancora non scevre da scopi virtuosistici, quelle dell'op. 3, le bellissime dell'op. 4 e le sei della parte I del capolavoro corelliano: l'op. 5, chiusa dalla Follia, che è un tema con variazioni (sul tema, allora celebre, della Folie d'Espagne). A parte la sovrana bellezza dell'ideazione, che forma l'indiscusso pregio artistico delle Sonate di Corelli, il loro valore, rispetto alla vita storica della Sonata, sta in una nuova e originale plastica dei temi, nella capacità del compositore a valersi delle loro virtù germinative per un vero sviluppo sinfonico, nella solida architettura impressa alla forma, dove ormai si distinguono nettamente le parti che la delineano. Specialmente con le Sonate dell'op. 5 (a un violino e basso) l'equilibrio raggiunto in modo perfetto tra l'antico stile contrappuntistico e l'incalzante tendenza del secolo verso la continuità melodica, ha prodotto una mirabile sistemazione della forma, che, pur non essendo ancora la bipartita, reca a un futuro abbastanza lontano un elemento essenziale: la Ripresa del tema nel tono d'impianto.
Il periodo postcorelliano, che si fa coincidere col primo trentennio del Settecento, introdusse nell'evoluzione della forma fattori nuovi. Tali fattori si possono riassumere nei riflessi della Sinfonia d'opera, del Concerto, dell'Aria "col da capo" sulla struttura della Sonata, nella progredita tecnica strumentale (soprattutto del clavicembalo) operante sul suo stile e sulla sua fattura.
Furono principalmente i compositori violinisti epigoni di Corelli, che trasfusero le linee della Sinfonia d'opera (fissate da A. Scarlatti) e quelle del concerto nell'organismo più intimo della Sonata. Questa poi, una volta liberata dalla soggezione ai ritmi prestabiliti delle danze, s'avviò agevolmente al destino che fece di essa il prototipo della lirica strumentale, capace di creare figure, fraseggio, svolgimenti.
Il primo posto in siffatto rivolgimento espressivo e stilistico spetta ad Antonio Vivaldi, la cui qualità di autore di concerti mirabili lo rese naturalmente atto a tradurne gli aspetti nei confini della Sonata. Le Sonate delle opere prima, seconda e quinta del Vivaldi, scritte tra il primo e il secondo decennio del Settecento, mostrano già effettuato tale passaggio; mentre poi, nella ricchezza dell'invenzione ritmica e nel calore del sentimento, aprono la via alla conquista che la Sonata farà nei campi dell'espressione lirica e drammatica. L'importanza decisiva del Vivaldi nell'evoluzione della Sonata è riconosciuta dai più equanimi tra gli storici stranieri, come Roberto Eitner, e confermata da testimonianze del tempo, come quelle contenute nell'autobiografia di J. J. Quantz, flautista e compositore (1697-1773).
Dalla forma corelliana progressi considerevoli compì la Sonata attraverso le opere di F. Geminiani, di F. M. Veracini, di P. A. Locatelli, di G. Tartini. Al Geminiani poi si deve la diffusione della Sonata italiana in Inghilterra; a G. B. Somis, altro allievo di Corelli, l'iniziazione dei sonatisti francesi J.-M. Leclair e G. Guillemain; al Tartini - durante la sua dimora a Praga (1723-25) - quella del boemo J. Stamitz, riconosciuto come capo di quel gruppo dei Mannheimer, al quale la storiografia tedesca attribuisce importanza di pioniere nel campo della Sonata e della Sinfonia.
Ma nel primo trentennio del Settecento un altro agente sonoro, con le proprie caratteristiche foniche e tecniche e con la pleiade di geniali cultori, che ad esso si applicarono, doveva spingere la Sonata su nuove vie espressive e formali: il clavicembalo. Come sempre, naturalmente, il cammino fu fatto a gradi.
D. Zipoli, vissuto nell'ambiente organistico e chiesastico romano ancora memore dei fastigi frescobaldiani, comprende nelle sue Sonate d'intavolatura (1716) Canzoni fugate, tempi di toccata danze e preludî di Suites, Partite, che sono temi con variazioni; A. Della Ciaja tratta con nuovo soffio d' originalità ritmica e armonica fughe, canzoni, toccate, tempi di danza. Al contrario, B. Marcello, dal nativo ambiente veneziano, che fu culla della musica strumentale, è portato a esprimersi in uno stile brillante ed energico, con vere e proprie Sonate per cembalo (1712) da due a quattro tempi, in forma bipartita già ben delineata; F. Durante, nelle Sei Sonate per Cembalo, ritrae la tecnica agile e nervosa dei suoi più noti Studi e Divertimenti, così come questi ultimi per converso si atteggiarono sulla forma della Sonata; Leonardo Leo infine chiama Suites le sue composizioni in tre tempi (Allegro, Adagio o Minuetto, Presto) che sono senz' altro Sonate, ma che tuttavia nei tempi veloci non si modellano sulla forma bipartita.
Quest'ultima fissa definitivamente le proprie basi tonali e le linee della sua architettura con Domenico Scarlatti e poi coi cembalisti italiani del periodo 1730-1770.
Si presenta qui il momento di esaminare questo modello formale. La bipartizione si riferisce alla struttura del singolo tempo, tanto che si tratti dei movimenti della Sonata, quanto delle danze della Suite. Il tema principale è esposto nel tono d'impianto e svolgendosi, si porta verso il tono della dominante; quivi giunto, o prosegue con derivazioni melodiche affini (tipo monotematico) o lascia il posto a un secondo tema (tipo duotematico) che conclude su cadenze dotate di un proprio aspetto ritmico. Qui finisce la prima parte del tempo, fornita di ritornello. La seconda parte, anch'essa ritornellata, esordisce nel tono della dominante con la testa del tema principale, percorre un certo periodo di modulazioni e torna al tono d'impianto, nel quale ricomparisce l'intera seconda metà della prima parte. Ciò nella forma più antica, mentre in uno studio più recente, preceduto però da alcune profetiche e geniali affermazioni (come quelle di Corelli e di altri), fa la sua ricomparsa (ripresa) anche il tema principale.
La paternità della creazione, del progressivo sviluppo di questa forma e del suo passaggio al più moderno modello tripartito, nonché l'iniziativa nei suoi rinnovamenti stilistici ed espressivi, sono stati oggetto di ricerche appassionate - e tutte mosse da scopi di rivendicazione nazionale - da parte degli storici, specialmente italiani, tedeschi e francesi. Oggi, dopo gli studî di Amintore Galli e di Luigi Torchi, dopo gli onesti riconoscimenti di Roberto Eitner, e soprattutto dopo le recenti, ampie e definitive indagini di Fausto Torrefranca, nonché quelle più limitate di Gaetano Cesàri, si deve obbiettivamente concludere che, almeno sino alle più significative e mature affermazioni di Haydn e di Mozart (ultimo terzo del sec. XVIII), la parte preponderante, in tutto ciò che riguarda forma e contenuto della Sonata, fu sostenuta dai compositori italiani, e specialmente dai clavicembalisti, anzitutto veneti, e poi toscani, lombardi, napoletani, bolognesi.
Ma prima di farci in mezzo a questo gruppo numeroso, vivace, fecondo, dobbiamo ricordare l'artista, che come Corelli e Vivaldi per il violino, fu il più rappresentativo per il clavicembalo, e che ragioni d'arte impongono di mettere al primo posto: Domenico Scarlatti. Mentre, vivo l'autore, non furono pubblicate che due raccolte delle sue Sonate, sotto il titolo di Essercizi per Gravicembalo (1730) e Pièces pour le clavecin (prima del i754), parecchie e più copiose collezioni manoscritte erano in possesso di privati: più ricche quelle dell'abate Santini (349 comp.) e dello Czerny (200 comp.). L'edizione moderna più completa, comprendente 550 Sonate in 11 volumi, è quella Ricordi, curata da A. Longo.
Fedele a un solo genere, anzi a una sola forma, la bipartita (ora monotematica, ora duotematica), di cui egli non era stato il creatore, D. Scarlatti effuse le risorse di un genio prodigiosamente vario, policorde, iridescente, in un sì limitato stampo, tanto da sembrare miracoloso l'accordo raggiunto tra la sua fantasia, ardita e spregiudicata, e la rigida disciplina formale liberamente accolta e severamente osservata. L'opera sonatistica di Domenico Scarlatti è isolata e immobile in mezzo al fervido Settecento, adamantino monumento che sta ritto perennemente sulla propria originalità e su una musicalità senza pari, indifferente forse agl'impulsi di rinnovamento, che tutt'intorno battevano inquieti alle porte della modernità. Questi impulsi appaiono invece tradotti nelle attività di cembalisti più o meno geniali, ma certo di statura inferiore a quella di D. Scarlatti. Ricordiamo tra i migliori: Baldassarre Galuppi, operista insigne, G. B. Pescetti, G. Ant. Paganelli, G. Platti, D. Alberti, di scuola veneta; i lombardi G.B. Sammartini, padre della Sinfonia, G. Paladini e G. B. Serini; P. D. Paradisi e J. A. Hasse, di scuola napoletana; l'abate G. De Rossi romano. Sovente questi compositori, le cui Sonate uscirono prima del 1750, adottano il tipo nettamente duotematico della forma bipartita; non di rado introducono la ripresa anche del primo tema; in qualche esemplare, come nella Sonata in si bemolle di Giuseppe Paladini (che il Torrefranca asserisce vicina al 1740) v'è un manifesto sentore di tripartizione.
Tutti infine questi autori, fatte le debite differenze di originalità, usano uno stile lieve, brillante, giovanile, cantabile, capace di slanci lirici e di accenti drammatici, di raffinatezze, di malizie, e comunque immensamente lontano dalle sostenute trame polifoniche delle Sonate-Suites per clavicembalo composte dal padre Martini tra il 1741 e il 1747.
È opportuno qui notare che anacronistici, rispetto all'evoluzione della Sonata, rimasero anche i due più grandi compositori tedeschi della prima metà del Settecento: Bach e Händel. Ambedue coltivano - come molti loro compatrioti - più la Suite di danze che la Sonata, e questa piuttosto per strumenti d'arco (o flauto) e cembalo, che per cembalo solo. Nella Sonata a uno o più strumenti accompagnati sono fedeli al tipo corelliano, sia nel ciclo dei movimenti (ove spesso s'insinuano forme di danza) sia nella struttura fugata o quanto meno a parti reali. Come esemplari da tasto, il solo Bach ha una Sonata in re maggiore per cembalo e le Sei Sonate per organo, in cui la natura del compositore, compenetrata con l'essenza stessa della polifonia, ha la sua più spontanea manifestazione.
L'esempio degli Italiani, diffuso dalle molteplici iniziative editoriali fiorite in Inghilterra, in Germania, in Olanda, e l'opera di propaganda degli stessi compositori italiani, che spesso soggiornarono all'estero, avviarono parecchi musicisti tedeschi a coltivare, oltreché la Suite, in cui i loro compatrioti s'erano immobilizzati da un secolo, anche la Sonata, negli aspetti creati dal genio italiano. Tra di essi vanno ricordati il flautista e cembalista J. J. Quantz, il teorico J. Mattheson, J. Schobert, slesiano, vissuto a Parigi e autore di ben nove opere di Sonate per cembalo con accompagnamento di violino (uno dei primi a introdurre questa moda dilettantesca), Georg Benda, che dalla origine boema trae una scorrevolezza melodica e un' inventiva più vivace di quella dei suoi contemporanei tedeschi, il fecondissimo G. Ph. Telemann, che coltivò tra l'altro l'ouvcrture per cembalo, imitazione per strumenti da tasto della vecchia ouverture lulliana; infine Carlo Filippo Emanuele Bach. Nella persona di questo secondo dei figli di G. S. Bach si vollero un tempo adunare i meriti, che spettano a molti compositori, specialmente italiani, per la creazione della Sonata moderna. Oggi più ponderati studî e un più vigile senso di equità hanno ridotto la figura di F. Emanuele a quella di un degno predecessore di Haydn nel campo della Sonata, notevole specialmente negli atteggiamenti intimi e pensosi di qualche Adagio.
All'influsso italiano rimasero quasi del tutto estranei i clavicembalisti francesi, che si tennero fedeli ai tipi dell'Ordre, della Pièce descrittiva, del Portrait, consoni alla loro indole e al carattere arabescato o danzante della loro musica.
Al secondo periodo dello stile galante, che prepara il passaggio dalla Sonata cembalistica a quella per pianoforte, appartengono: Giov. Maria Rutini, Mattia Vento, G. A. Matielli, Vincenzo Manfredini, Antonio Sacchini, Giuseppe Sarti: autori, tutti questi, in cui il tipo duotematico, con ripresa di ambedue i temi, diviene normale, e si associa talvolta a un ampliamento del periodo modulante che sente già di sviluppo.
A metà Settecento si concreta anche quel modello in miniatura della Sonata che Clementi e Kuhlau chiamarono Sonatina. Ne fu iniziatore il Paganelli già dal 1740, immediato continuatore l'abate G. De Rossi.
Altro genere, ampiamente diffuso dopo il 1760, fu la Sonata per clavicembalo con accompagnamento di Violino, in cui lo strumento ad arco ha una parte modesta e spesso affatto facoltativa, adatta probabilmente a capacità di dilettanti. Lo Schobert, Mattia Vento e, più tardi, Clementi ne hanno lasciati molti esemplari.
Intanto, mentre il clavicembalo continuava a svolgere nello stile galante le sue funzioni storiche, s'affacciava alle soglie del futuro l'altro agente sonoro, che doveva detronizzare il suo delicato predecessore: il pianoforte. Dalle caratteristiche più maschie, dalle sonorità più possenti, dalla più lunga tenuta di suono, dalle maggiori possibilità del legato e del cantabile, che il pianoforte riuniva, rispetto al clavicembalo - oltreché dal mutato orientamento di sensibilità musicale - venne un cambiamento di rotta nello stile e nella struttura della Sonata. I campioni di questa rivoluzione artistica furono Haydn, Clementi, Mozart. La forma del tempo di Sonata che, già attraverso i clavicembalisti del secondo periodo galante e i compositori violinisti della seconda metà del Settecento, s'era orientata verso un principio di tripartizione, diviene con questi tre sommi decisamente tripartita, non tanto per la ripresa di ambedue le idee principali, che già era stata praticata, quanto per la trasformazione dell'antico periodo modulante in un vero e proprio sviluppo. Alle proporzioni, che questa parte di elaborazione. centrale venne prendendo nella Sonata, non fu estraneo l'esempio che ai sonatisti provenne dai cultori della Sinfonia, del Concerto, del Quartetto e forme similari, primi tra i quali Vivaldi, Sammartini, Boccherini. Il modello del primo tempo e del Finale (quando quest'ultimo non sia un Rondò) acquista così nella Sonata classica il seguente aspetto formale:
Esposizione. Vi si presentano i due temi principali, il primo al tono d'impianto, il secondo a quello della dominante, intramezzati da un periodo di congiunzione modulante, detto transizione o ponte, spesso fornito di una propria fisionomia ritmica. La parte è conclusa da cadenze tematicamente caratteristiche, e obbligata al ritornello.
Sviluppo o elaborazione. Dall'intero materiale tematico contenuto nell'esposizione si trae partito per formare episodî di svolgimentti governati da un principio di varietà tonale. Attraverso molteplici modulazioni ci si ritrova infine al tono d'impianto, e giunti a questa tappa, avviene la:
Ripresa o riesposizione, cioè il ritorno di ambedue i temi e dei loro varî nessi, più o meno modificati, specialmente per mantenersi nel tono fondamentale. Può seguire poi una conclusione, detta coda.
Dopo questa prima parte, o tempo, e cioè al centro della Sonata prende posto un Adagio nello schema A-B-A dell'Aria, seguito) - quando vi siano quattro tempi - da un Minuetto. Se il finale non ha la forma del primo tempo, ha quella del Rondò.
La tripartizione favorì, con la netta opposizione dei due temi principali e col fervore dinamico degli sviluppi, quegli elementi di contrasto, in cui si esplicarono i caratteri lirici o drammatici della Sonata moderna.
Precursore di questa fu, piuttosto che Haydn e Mozart, il Clementi, la cui natura artistica inquieta e febbrile si rivela, non nell'insieme delle sue 106 Sonate, ma in quel gruppo di esse - una ventina in tutto - che l'iniziatore dello stile pianistico compose senza preoccupazioni professionali o editoriali.
Vivi e operanti Mozart e Clementi, un altro gruppo di sonatisti si fermò sui confini tra lo stile cembalistico e quello pianistico. Tali sono: Ferdinando Turini, Ferdinando Bertoni, G. Batt. Grazioli, e, prima di essi - quindi precursore - L. Boccherini, nelle Sei sonate per cembalo con violmo obbligato.
Ma nello stesso 1770, anno in cui il Clementi terminava le tre Sonate dell'op. 2, donde si fa iniziare l'era del pianoforte, nasceva Beethoven. Circa un venticinquennio più tardi, questi affermava la sua originalità di sonatista con l'op. 2, dedicata a Haydn, con le due Sonate per violoncello op. 5 e, sul finire del secolo, con le prime tre per violino dell'op. 12. Ereditate le forme già adulte dalle mani dei tre sommi che l'avevano preceduto, Beethoven s' appagò da principio di riempirne lo stampo di un contenuto nuovo per sentimento, per espressione, per tecnica; indi ampliò, secondo le necessità di una sempre più personale invenzione, alcune parti, come lo sviluppo, o l'introduzione lenta, o trasformò il carattere di qualche tempo (il Minuetto, p. es., in Scherzo); da ultimo oltrepassò i già rispettati confini della forma, per seguire il prepotente impulso della fantasia. In questo senso può ancora essere accettata la distinzione dei "tre stili" beethoveniani, proposta da W. v. Lenz; purché si tenga conto che questo processo evolutivo non presenta nessuna rigida divisione di confini.
Sorto, ancora vivo Beethoven, il movimento romantico in Europa, e specialmente nei paesi di stirpe tedesca, il musicista che per primo genuinamente lo impersonò, C. M. Weber, non riuscì altrettanto bene nella Sonata, quanto era riuscito nell'opera teatrale e nell'Ouverture. L'equilibrio tra l'euritmia della forma e gli slanci dell'ideale romantico si stabilisce dopo l'assestamento stilistico di quest'ultimo, già con Schubert, ma più ancora con Mendelssohn e con Schumann. Chopin e Liszt, che con diversissima eco di sentimenti infusero nella Sonata il fascino di una brillante tecnica strumentale; più tardi Brahms l'avviava al neoclassicismo, in opposizione alle intemperanze sì dei compositori virtuosi, sì dei successori ai grandi romantici.
Mentre nella prima metà dell'Ottocento il retaggio beethoveniano della Sonata fu custodito quasi esclusivamente dai Tedeschi, sia per opera dei compositori già nominati, sia per l'attività dei loro minori epigoni, quali Raff, Reissiger, Rheinberger, Jensen, Reinecke, nell'ultimo terzo del secolo entrarono in gara, intorno a questa nobile forma, quasi tutte le nazioni europee. La Francia e il Belgio, che poco avevano partecipato allo sviluppo della sonata durante l'egemonia italiana, attrassero nella sua orbita, sia pianistica sia d'altri strumenti i compositori violinisti Ch. De Bériot, H. Vieuxtemps e poi E. Lalo, C. Saint-Saëns, B. Godard, V. D'Indy, G. Fauré e soprattutto César Franck, al cui nome è legata la forma ciclica (v. appresso). Fecero seguito i moderni C. Debussy e P. Dukas. Le scuole nazionali di recente formazione si diedero anch'esse in diversa misura, a coltivare la Sonata. Così, tra i Russi, A. Rubinstein, P. Cajkovskij, A. Glazunov, S. Rachmaninov e A. Skrjabin offrirono un notevole contributo alla sonata per pianoforte; tra i Cèchi A. Dvořák, V. Novák, Tomašek, L. Janáček; tra gli Scandinavi N. Gade, C. Sindin e soprattutto E. Grieg, nonché il finlandese J. Sibelius.
L'Italia, consacrate durante l'Ottocento le sue più gagliarde attività al melodramma, lasciò che altri sviluppasse le forme strumentali da essa create; tuttavia sullo scorcio del secolo diede mirabili, per quanto isolati, segni di ripresa con Giuseppe Martucci, autore di due Sonate per pianoforte (op. 34 e 41) e di una per violoncello e pianoforte (op. 52), e con Marco Enrico Bossi, a cui si debbono due Sonate per violino e pianoforte (op. 82 e 117) e due per organo (op. 60 e 71).
La forma della Sonata, con i romantici e coi loro successori, rimase sostanzialmente fedele allo schema tripartito, e la sua struttura generale all'ordine dei tre o dei quattro tempi. Possibili varianti morfologiche, tra le più importanti, possono considerarsi: l'adozione del tipo ciclico, in cui i diversi movimenti sono idealmente riuniti dal ritorno di un tema principale; la posposizione dell'Adagio allo Scherzo; la continuità materiale ottenuta col collegamento dei tempi; la libertà nei rapporti tonali tra i due temi del primo tempo o del finale.
Il vigoroso impulso dato alla vita concertistica in ogni regione d'Europa e d'America, durante il sec. XX, ha fatto sì che quasi tutti i musicisti contemporanei abbiano coltivato la musica strumentale, e con essa la Sonata. Però i compositori d'oggi mostrano familiarità piuttosto con la Sonata per uno strumento (ad arco o a fiato) e pianoforte, che con quella prettamente pianistica.
La tendenza a rimettere in onore antiche denominazioni italiane ha indotto parecchi autori a chiamare Sonata a tre, Sonata a quattro, ecc., composizioni che fino a qualche anno indietro si sarebbero classificate per trio o quartetto.
E numerare gli odierni cultori della Sonata porterebbe a oltrepassare di molto i limiti imposti. Si ricordano perciò tra i più cospicui: I. Pizzetti, O. Respighi, F. Alfano, in Italia; P. Hindemith, in Germania; M. Ravel, A. Roussel, A. Honegger, D. Milhaud, in Francia; E. Bloch in Svizzera; I. Stravinskij, S. Prokof′ev in Russia; K. Szimanowski in Polonia; B. Bartók, E. Dohnanyi, L. Kodály in Ungheria; J. Turina in Spagna.
I mutati atteggiamenti stilistici, espressivi, tecnici dell'arte, nel secolo XX, hanno avviato forse la Sonata per sentieri del tutto nuovi? Non sembra, se ci riferiamo alla forma di essa. I compositori d'oggi tentennano tuttora tra gli antichi schemi, già peraltro ammodernati dal secondo romanticismo, e la libera architettura della Fantasia; mentre, per il contenuto e la struttura sonatistica, appaiono soggiogati dai miraggi del sinfonismo. Il che, se amplifica le proporzioni e la densità fonica dei loro lavori, toglie a questi l'intimità, che era nella natura stessa della Sonata.
La forma Sonata ha avuto una trasposizione di grandissima importanza nel concerto per uno strumento solista con orchestra dal tardo Settecento. Le differenze più notevoli fra la Sonata propriamente detta e il Concerto si possono indicare brevemente nelle seguenti: nel Concerto l'esposizione, invece di essere ripetuta integralmente, viene parafrasata - appena terminato il Tutti - dal solista, e verso la fine del 1° tempo trova luogo una corona, sulla quale l'orchestra ha una lunga pausa mentre il solista esegue - spesso improvvisando - una cadenza virtuosistica generalmente intessuta sui temi già uditi.
Bibl.: J. Rochlitz, Für Freunde der Tonkunst, Lipsia 1825-32; J. Faisst, Beiträge zur Geschichte der Cl. Son., Magonza 1846; W. Wasielewsky, Die Violin-Sonate im 17. Jahrh., Berlino 1878; S. Bagge, Die geschichtl. Entwicklung d. Son., Lipsia 1880; R. Eitner, Die Son., in Monatshefte f. M.-Gesch., XX (1888); J. S. Shedlock, The pianof. Son., Londra 1895; H. Riemann, Die Bedeutung der Tanzstücke für die Entstehung der Sonatenform, Lipsia 1895; O. Klauwell, Geschichte der Sonate, Colonia 1899; R. Schuz, Die Sonate, in N. Mus. Zeit., 1902; W. Nagel, Beethoven und seine Klaviersonaten, Langensalza 1903; id., Die Klaviersonaten von J. Brahms, Stoccarda 1915; H. Michel, La Sonate pour Clavier avant Beethoven, Parigi 1907; B. Studeny, Beiträge zur Geschichte der Violin-Sonate, ecc., Monaco 1911; B. Selva, La Sonate, 1913; G. C. Paribeni, Le sonate di Clementi, in Muzio Clementi nella vita e nell'arte, Milano 1922; V. Helfert, Zur Entwicklungsgeschichte der Sonatenform, Lipsia 1925; G. Scuderi, Beethoven, le sonate per pianof., Milano 1926; F. Torrefranca, Le origini italiane del Romanticismo musicale. I primitivi della Sonata moderna, Torino 1930.
Ottime raccolte moderne di musiche riguardanti il periodo primitivo e antico della Sonata sono quelle contenute in Antologia di musica antica e moderna (Tagliapietra), in 18 volumi, l'Arte antica e moderna (primi 6 volumi), in ediz. Ricordi; I classici della musica italiana (vol. III, VIII, IX, XI, XVIII, XXII, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXII, XXXIII, XXXIV) in ediz. Notari, nonché altri volumi di edizioni Ricordi, Carish, ecc.