Spagna
"La soberanía nacional reside en
el pueblo español, del que
emanan los poderes del Estado"
(Costituzione spagnola, art. 1)
Un anno di rottura
di Alfonso Botti
14 marzo
Nelle elezioni legislative il Partito socialista di José Luis Rodríguez Zapatero supera il Partito popolare di quasi 5 punti percentuali. La sconfitta del PP, del tutto inaspettata dato che i sondaggi lo davano concordemente in vantaggio, giunge a tre giorni di distanza dagli attentati alle stazioni di Madrid, rivendicati da Al Qaida e costati la vita a 190 persone.
Gli otto anni del PP
Il 2004 resterà a lungo, per la Spagna e gli spagnoli, l'anno degli attentati compiuti da Al Qaida nelle stazioni ferroviarie madrilene di Atocha, Santa Eugenia ed El Pozo, con 190 vittime. E poi anche l'anno, da un lato, della sorprendente e imprevista sconfitta del Partito Popolare (PP) e dell'eclissi politica di José María Aznar che alla testa di quel partito aveva governato negli ultimi otto anni; dall'altro, del ritorno al governo dei socialisti del PSOE e dell'ascesa del giovane José Luis Rodríguez Zapatero. Anno di rottura, dunque, e di rottura prodottasi in un brevissimo lasso di tempo, poco più di tre giorni, 84 ore circa: quelle intercorse dal momento delle esplosioni sui treni dei lavoratori pendolari la mattina dell'11 marzo alla sera del 14, quando si sono aperte le urne e sono giunte le prime proiezioni dei risultati delle elezioni politiche generali.
La storia conosce accelerazioni improvvise e bruschi cambiamenti di rotta. Tuttavia quello che è successo nel paese iberico tra l'11 e il 14 marzo ha pochi termini di paragone nella storia contemporanea europea. Per comprenderne la portata occorre risalire agli anni e ai mesi precedenti, sia pure attraverso una rapida e schematica ricognizione.
Ininterrottamente al governo dal 1996, il PP aveva presentato un volto diverso nella seconda legislatura. Nella prima (1996-2000), privo della maggioranza parlamentare, era stato costretto a ricorrere all'appoggio di Convergencia i unió (CiU), il partito nazionalista catalano di Jordi Pujol, inducendo con ciò i più a pensare che il partito avesse finalmente superato il tradizionale centralismo e nazionalismo 'spagnolista' delle varie famiglie politiche della destra di cui il PP aveva raccolto l'eredità. La prima legislatura popolare aveva visto una notevole continuità con le precedenti a guida socialista sul piano della politica estera, fatta salva la nuova curvatura atlantica e filoamericana. Si era accresciuto il peso del paese iberico nell'Europa comunitaria e sul piano internazionale, anche in virtù della partecipazione alle missioni militari nei Balcani. Sul piano economico, sfruttando al meglio la positiva congiuntura internazionale, la crescita era stata considerevole. Anche grazie alla nuova legislazione sul lavoro e all'introduzione di rapporti di maggiore flessibilità, era scesa sensibilmente la disoccupazione e, di contro, era cresciuto il tasso d'occupazione. Risultati degni di nota il paese aveva ottenuto pure sul piano della lotta al terrorismo interno incarnato dall'organizzazione indipendentista basca ETA, mentre inseguendo l'opinione pubblica più moderata il PP aveva mutato atteggiamento in materia di immigrazione, privilegiando i problemi dell'ordine e della sicurezza.
Se la vittoria popolare del 1996 non era giunta inattesa, la conferma del 12 marzo 2000 non era mai stata posta in dubbio. Era stata una vittoria scontata, ma anche in questo caso erano state le proporzioni del successo a colpire. Il PP conquistava infatti la maggioranza assoluta dei seggi (183) con il 44,52% dei consensi, mentre i socialisti scendevano al 34%, ottenendo 125 deputati. A sinistra, Izquierda unida dimezzava i consensi (5,4%), ridimensionando ancor più drasticamente il proprio gruppo di deputati (8).
I dati economici che il PP poteva esibire alla fine del 2000 erano una marcia trionfale: crescita dell'economia per il terzo anno consecutivo attorno al 4%; aumento dell'occupazione rispetto al 1999 del 4,1%, che portava a un numero di occupati quale mai si era avuto in Spagna; parallela diminuzione del tasso di disoccupazione sulla popolazione attiva al di sotto del 14%, il più basso dal 1981, con un lieve decremento del lavoro stagionale e un significativo incremento relativo di quello a tempo indeterminato; riduzione del 61,7% del deficit dello Stato rispetto al 1999, per l'incremento delle entrate sulle spese, con la previsione di centrare l'obiettivo previsto di far discendere il deficit pubblico allo 0,3% del PIL; straordinario incremento degli investimenti all'estero. L'unico dato negativo era rappresentato dall'inflazione ancora troppo alta, attorno al 4%.
Dalla conquista della maggioranza assoluta nel 2000, il partito di Aznar aveva iniziato a mostrare un altro volto, sul piano interno e nella politica internazionale. Nel primo caso chiudendo drasticamente la porta in faccia alle richieste dei nazionalismi periferici e attestandosi su una linea di difesa della Costituzione del 1978 che appariva ai più strumentale, contro le proposte di riforma provenienti dal nazionalismo basco e catalano e, in modo ben più cauto, da settori del PSOE. In questo ambito i popolari avevano mostrato assai scarsa duttilità e nessuna propensione alla mediazione con i nazionalismi periferici, cercando con essi lo scontro anziché il dialogo. Più rilevante la discontinuità in politica estera: in un paese nel quale i sentimenti antiamericani erano e rimangono diffusi anche in ampi settori della destra (si pensi all'indicazione di voto per l'astensione in occasione del referendum sulla permanenza della Spagna nella NATO del 12 marzo 1986, data dal fondatore, presidente e leader incontrastato di Alianza Popular, l'ex ministro di Franco e principale mentore di Aznar, Manuel Fraga Iribarne), Aznar, animato dal proposito di far entrare la Spagna nel gruppo dei grandi e consapevole di quanto l'attività dell'ETA danneggiasse l'immagine del paese, aveva colto come grande opportunità che la storia gli offriva l'attentato alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Anzi, aveva da quel momento preso a sviluppare la teoria secondo cui esisteva un unico terrorismo mondiale contro il quale occorreva lottare uniti. In virtù di tale linea, incurante degli orientamenti della stragrande maggioranza degli spagnoli e degli equilibri europei, Aznar aveva poi allineato il proprio paese alla politica estera di George W. Bush, impegnandosi in prima persona nella guerra in Iraq. Non taciuti gli obiettivi: ottenere aiuti logistici e tecnologici dagli USA nella lotta contro l'ETA, ricollocare il paese iberico nello scacchiere europeo rompendo l'asse franco-tedesco e avvicinarsi al gruppo dei grandi, espressa ambizione del leader spagnolo. Era dunque forte la discontinuità introdotta da Aznar in politica estera, una discontinuità che collocava la Spagna allo stesso tempo nel punto più vicino agli interessi statunitensi della sua storia e nel punto più lontano dall'asse franco-tedesco e dei fondatori dell'Unione Europea della storia dell'Unione, a notevole distanza, infine, dalle indicazioni del papa e della Conferenza episcopale spagnola, che aveva fatto sentire la propria voce contro la guerra con una nota pastorale resa pubblica il 20 febbraio 2003.
Dopo aver lasciato correre le voci più diverse, Aznar aveva finalmente indicato ai primi di settembre del 2003 il candidato a succedergli alla guida del governo e, in un secondo momento, del partito. La scelta era caduta su Mariano Rajoy, originario della Galizia, classe 1955, in Alianza Popular dal 1977, già ministro della Pubblica amministrazione nel 1996, dell'Educazione e cultura dal 1999, poi dell'Interno. E proprio Rajoy sembrava destinato a vincere le elezioni del 14 marzo 2004, secondo i sondaggi e le previsioni degli analisti politici che discrepavano solo sulle dimensioni della vittoria. Vero è che nelle amministrative del 25 maggio 2003 i socialisti erano tornati a superare in termini di voti i popolari e che sempre i socialisti erano andati bene nelle elezioni catalane del 23 novembre successivo. Con tutto ciò, l'unica incertezza sembrava riguardare le dimensioni del successo del PP. Avrebbe Rajoy confermato la precedente maggioranza assoluta o il PP si sarebbe dovuto accontentare della maggioranza semplice con il conseguente ritorno alla situazione del 1996? Una possibilità confortata dall'esito degli ultimi sondaggi nei quali la distanza dei socialisti dai popolari decresceva costantemente, ma anche soluzione auspicata da non pochi elettori moderati, irritati dalle prepotenze e dall'arroganza manifestate negli ultimi tempi dal partito al governo.
Gli attentati e le elezioni
Poi, alla vigilia del voto, le dieci esplosioni: il fumo, le grida, il sangue, i corpi lacerati, le membra sparse e riarse, il panico, lo sgomento, le voci, le accuse, i silenzi ignari e quelli colpevoli.
L'attentato di Madrid era annunciato. O meglio, un attentato era annunciato. Che i più stretti alleati di Bush avrebbero pagato a caro prezzo le proprie scelte, il terrorismo islamista lo aveva affermato a chiare lettere in diverse occasioni. Minacce prontamente recepite dai servizi di intelligenza, interni e sul piano internazionale, che non avevano mancato di trasmettere le informazioni del caso. Per altro verso, troppe volte l'organizzazione terrorista basca aveva fatto sentire la propria voce durante le competizioni elettorali. Un'azione dell'ETA era dunque prevedibile, attesa e paventata. Tra l'altro, una valigia contenente esplosivo era stata trovata la vigilia di Natale nel treno che da Irún giunge a Madrid e in un furgone scoperto a Cuenca erano stati rinvenuti 500 kg di esplosivo. Non stupisce, pertanto, che nei momenti immediatamente successivi alle tremende esplosioni quasi tutti gli spagnoli abbiano pensato all'ETA. Così faceva, per esempio, il capo del governo basco, il lehendakari Juan José Ibarretxe, primo dei politici a pronunciarsi e ad attribuire la responsabilità della strage all'organizzazione terrorista basca.
Passato lo spaesamento dei primi istanti, con il trascorrere delle ore, però, varie erano le opzioni che si aprivano al PP. Anzitutto quella di comportarsi in modo cauto: dire di non sapere e aspettare i risultati delle indagini. Sarebbe stato prudente e gli elettori avrebbero con tutta probabilità apprezzato tale virtù. Per di più, operando in questo modo il PP avrebbe tenuto fede al patto antiterrorismo stipulato con il PSOE nel 2000 (un 'Patto di Stato', nel lessico spagnolo) che vincolava i contraenti a non utilizzare strumentalmente per fini elettorali la minaccia rappresentata dal terrorismo e la lotta contro di esso. Esisteva inoltre una seconda possibilità: attribuire la responsabilità all'unico terrorismo mondiale di cui aveva parlato Aznar dopo l'11 settembre. Il governo popolare avrebbe dimostrato in tal modo coerenza interpretativa e anche in questo caso gli elettori non gli avrebbero voltato le spalle. All'emergere dei primi indizi che indicavano la paternità del terrorismo islamista, avrebbe potuto alludervi e fare appello al forte orgoglio nazionale degli spagnoli (anche scontando le resistenze dei nazionalisti baschi e catalani) per chiamarli a raccolta sotto le bandiere della patria ferita. La storia non si fa con i 'se', recita un ritornello che gli storici non hanno coniato e che i migliori di essi non sottoscriverebbero dal momento che le ipotesi plausibili fanno parte del ventaglio delle possibilità che lo storico deve prendere in considerazione. Ed è assai probabile che un PP che non avesse taciuto le responsabilità dell'attentato a mano a mano che queste emergevano non sarebbe stato punito dagli elettori.
Invece per tutta la giornata dell'attentato e per tutto il giorno successivo il PP ha intenzionalmente additato all'opinione pubblica la pista dell'ETA: dapprima con il ministro dell'Interno Ángel Acebes che alle ore 13.15 dell'11 marzo è comparso davanti alla stampa dichiarando che il governo non aveva alcun dubbio al riguardo; poco dopo, verso le 14.00, con lo stesso Aznar che all'organizzazione terrorista basca ha alluso pur senza nominarla espressamente; quindi con la nota riservata del ministro degli Esteri, Ana Palacio, che verso le 17.30 dello stesso giorno invitava tutti gli ambasciatori a non perdere occasione per "confermare la paternità dell'ETA di questi brutali attentati"; infine la sera, intorno alle 20, ancora con Acebes che, pur ribadendo che la pista principale continuava a essere quella dell'ETA, non scartava altre possibilità. In ritardo e solo su forti pressioni (addirittura del monarca, stando a quanto si è letto, più tardi di quelle provenienti dalla piazza) il governo spagnolo ha ammesso altre possibilità e sostenuto l'esistenza di un'altra pista investigativa. Non solo. Risultano varie telefonate di Aznar e di altri esponenti del governo ai direttori di vari organi di informazione per orientare l'opinione pubblica in un'unica direzione. Il 12 marzo alle ore 11 Aznar confermava che i principali sospetti gravavano sull'ETA, priorità ribadita da Acebes nella dichiarazione delle 18.15. Poco dopo, attraverso una telefonata che gli inquirenti giudicavano attendibile, l'ETA declinava ogni responsabilità negli attentati, ma Acebes replicava di non credere a questa dichiarazione. Fin dalla mattina degli attentati, poi, Arnaldo Ortegi, il portavoce di Herri Batasuna, il disciolto partito considerato fiancheggiatore dell'organizzazione terrorista basca, aveva dichiarato che né per gli obiettivi, né per il modus operandi il massacro poteva essere attribuito all'ETA, mentre poteva essere un'operazione di settori della resistenza araba; di lì a poco era stato rinvenuto un furgone nei pressi della stazione di Alcalá de Henares con esplosivo, detonatori e versetti del Corano; era giunta, infine, nella serata sempre dell'11, una rivendicazione al quotidiano arabo Al Quds al Arabi, che si pubblica a Londra, nella quale un gruppo collegato ad Al Qaida si assumeva la paternità degli attentati.
Gli osservatori più informati e gli analisti più affidabili hanno giudicato strumentale la gestione politica delle ore successive all'attentato da parte del governo Aznar che, indicando agli elettori spagnoli l'ETA come responsabile, cercava di mettersi al riparo dall'accusa di aver in qualche modo 'provocato' il terrorismo islamista con la decisione di sostenere la politica di Bush sull'Iraq. In questo modo la vigilia del voto, la giornata chiamata 'di riflessione', in cui deve tacere la propaganda elettorale, veniva increspata dalle manifestazioni autoconvocate davanti alle sedi del PP di alcune migliaia di cittadini che protestavano contro le reticenze, le manipolazioni e i depistaggi del governo. L'indomani, 14 marzo, il voto con un'affluenza alle urne che sin dalla diffusione dei primi dati al riguardo lasciava presagire sorprese e che si sarebbe rivelata alla fine significativamente maggiore in tutte le 52 circoscrizioni, segnando il dato conclusivo un incremento dell'8,5% di votanti sulla percentuale del 2000.
Rimasti sostanzialmente invariati, sempre in relazione ai dati del 2000, i voti in bianco e le schede nulle, con l'eccezione delle città di Ceuta e Melilla - dove i popolari hanno incrementato i consensi per l'intransigente difesa della comunità spagnola nei riguardi del Marocco - in nessuna circoscrizione il PP ha mantenuto le percentuali del 2000 giungendo a veri e propri crolli, come nelle tre circoscrizioni basche e nella Navarra. In tutte le circoscrizioni i socialisti hanno avuto un aumento di voti, con punte massime a La Coruña, Lugo e León, dove il PSOE è cresciuto di circa 15 punti percentuali.
Il PP ha conosciuto una sonora sconfitta in termini assoluti e percentuali. Nelle circoscrizioni in cui era maggioritario le distanze dal PSOE si sono considerevolmente ridotte o si è verificato il sorpasso. Ricapitolando, i socialisti hanno ottenuto il 43,27% delle preferenze e conquistato 164 deputati, contro rispettivamente il 34,16% e 125 seggi del 2000. I popolari sono scesi al 38,31% dei consensi e a 148 deputati, contro il 44,52% e 183 seggi delle precedenti elezioni generali. Con il PSOE, l'unico raggruppamento che ha guadagnato voti è stata Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) che, mantenendo le straordinarie posizioni raggiunte nel novembre 2003 nelle elezioni autonome catalane, ha eletto 8 deputati da uno che ne aveva. Il Partido nacionalista vasco (PNV), la Chunta Aragonesista ed Eusko Alkartasuna hanno mantenuto i propri seggi, rispettivamente 7, 1 e 1, mentre tutti gli altri partiti li hanno persi: Convergencia i unió passando da 15 a 10, Izquierda unida da 9 a 5, Coalición canaria da 4 a 3, Bloque nacionalista galego da 3 a 2, Partido andalucista da 1 a 0.
Il candidato socialista ha conquistato, in termini di consenso, più voti di quanti non avessero ottenuti tutti i suoi predecessori: né Felipe González nelle elezioni del 1982, con 10.127.392 voti, né José María Aznar nel 2000, con 10.321.178 voti, avevano riscosso le preferenze che Rodríguez Zapatero ha portato a casa la sera del 14 marzo: 11.026.163.
Consideriamo ora alcuni casi particolari. Nei Paesi baschi, rispetto alle politiche del 2000, il PNV ha confermato i 7 seggi con un lieve incremento percentuale; l'altra formazione nazionalista, Eusko Alkartasuna ha conservato il proprio seggio; il PP ne ha persi 3 con un decremento percentuale di oltre 10 punti; i socialisti ne hanno guadagnati 3 crescendo di oltre 3 punti in percentuale. In Catalogna i socialisti sono passati dal 34,13% e 17 deputati del 2000 al 39,50% dei suffragi e a 21 deputati, aumentando di oltre 7 punti percentuali anche rispetto alle elezioni per il Parlamento catalano del 16 novembre 2003, quando non erano andati oltre il 31,07%. I popolari sono scesi dal 22,79% e 12 seggi del 2000 al 15,53% e ai 6 seggi attuali. Tutto ciò mentre nel voto per il Parlamento regionale dell'Andalusia, espresso lo stesso 14 marzo, il PSOE ha riconquistato la maggioranza assoluta dei voti ottenuta solo nel 1982 salendo al 50,22% dei consensi (con 61 seggi) contro il 44,3% (con 52 seggi) del 2000, mentre i popolari sono scesi al 31,78% (37 deputati regionali) dal 38,01 (46 deputati) del 2000.
Contati i voti, non sono mancati, a caldo, i commenti più sconsiderati. Per la verità più altrove che in Spagna si è sentito parlare di voto emotivo e di vittoria del terrorismo, addirittura duplice all'indomani dell'annuncio di Rodríguez Zapatero che avrebbe anticipato il ritiro del contingente spagnolo dal teatro delle operazioni iracheno, originariamente previsto per il 30 giugno 2004. Ma si è trattato di osservazioni faziose che non hanno trovato riscontro nell'inchiesta effettuata dal governativo Centro de investigaciones sociológicas (CIS) all'indomani delle elezioni politiche, dai cui risultati si evince che l'attentato non avrebbe influito per nulla per il 71,3% degli intervistati, avrebbe influito poco per il 7%, abbastanza per l'11,4% e molto per il 10,1%. Interrogati sul senso di tale influenza, il 21,9% degli intervistati che avevano riconosciuto una certa influenza sul proprio voto dei fatti dell'11 marzo ha risposto di essersi sentito spinto a votare, quando in precedenza non aveva pensato di farlo; il 13,5% ha risposto di aver cambiato il voto e il 53,8% di essersi sentito rafforzato nell'intenzione di voto maturata in precedenza. Da questi dati è possibile pervenire alla conclusione che gli attentati hanno influito soprattutto sull'affluenza al voto e in due direzioni: incentivando gli elettori socialisti ad andare a votare e disincentivando una quota degli elettori popolari. Significative, infine, le risposte alla domanda rivolta agli elettori del PP e del PSOE sull'influenza degli attentati. Ne risulta che solo l'1,5% degli elettori popolari si riferisce agli attentati e alle loro conseguenze per motivare il proprio voto, contro il 9,4% degli elettori socialisti.
Mirata a stabilire l'influenza degli attentati, però, l'inchiesta trascurava di sondare il peso e il ruolo che ha avuto sul voto la gestione politica sul piano dell'informazione circa gli attentati.
Senza poter escludere che una parte degli elettori, alla luce dei tragici avvenimenti, abbia effettivamente riconsiderato la bontà della scelta compiuta dal governo popolare di assecondare la politica irachena di Bush e abbia manifestato il proprio disagio o non andando a votare (nel caso dell'elettore del PP) oppure andandoci (nel caso dell'elettore in precedenza deluso del PSOE) o cambiando il proprio voto dal PP al PSOE, resta il fatto che gli intervistati non hanno avuto modo di chiarire se ciò che ha influito sul loro voto sono stati gli attentati oppure la risposta e l'interpretazione degli stessi fornita dal governo.
L'eclissi di Aznar
Si diceva che il 2004 ha rappresentato anche l'anno dell'eclissi di Aznar. A ben guardare pochi uomini politici sono riusciti a far evaporare in così poco tempo il patrimonio di credibilità accumulato in otto anni di governo. E per quanto la seconda legislatura popolare avesse visto, specie nell'ultimo biennio, scivoloni, sortite arroganti e cadute anche di stile, Aznar era senza dubbio riuscito a svolgere un'efficace politica anti-inflazionistica, a centrare le condizioni previste da Maastricht e a far giungere la Spagna tra i primi paesi all'appuntamento con l'euro, a ridurre progressivamente fino ad annullarlo il debito pubblico, a privatizzare con successo una cinquantina di pubbliche imprese, a creare, includendovi anche i precari, quasi cinque milioni di nuovi posti di lavoro.
Uscito di scena, in attesa del bilancio equanime del tempo, che giudizio dare dell'uomo politico e del paese che ha lasciato? Di Aznar resterà probabilmente il merito di aver condotto in porto il rinnovamento della destra spagnola, cioè la trasformazione di un coacervo rissoso di forze nostalgiche del passato franchista, statalista in economia e centralista per quanto concerne la visione dello Stato, in una compagine politica moderna, democratica, liberista in economia e attaccata a una Costituzione che, specie sul piano dell'organizzazione dello Stato e dell'esistenza di altre nazionalità nel suo contesto, contiene ingredienti che le destre tradizionali spagnole non avevano mai digerito. Il paradosso di un partito schierato a intransigente difesa, cioè contro ogni ipotesi di riforma, di una Costituzione alla elaborazione della quale ha contribuito assai poco e nella quale per alcuni tratti non si riconosce, la dice lunga sulla strada fatta percorrere da Aznar al PP. Di contro, ben altra è la situazione che il leader popolare ha contribuito a creare sul piano interno e per quanto concerne la politica estera. Egli ha lasciato un paese in cui i contrasti dei Paesi baschi e della Catalogna con Madrid sono più aspri di come li aveva trovati e con i rispettivi nazionalismi più forti e su posizioni più radicali di quelle di otto anni prima. Lascia irrisolta la 'questione nazionale' sulla quale si era tanto impegnato, proponendo, non sempre con il tatto dovuto, il tradizionale nazionalismo 'spagnolista' appena ritoccato in chiave di patriottismo costituzionale. Passando al piano internazionale, dopo tanto fumo propagandistico e aver fatto balenare all'opinione pubblica spagnola che grazie all'amicizia con Blair si potesse venire a capo dell'annoso problema, ha lasciato la situazione di Gibilterra come stava; di gran lunga peggiori di come le aveva trovate, invece, ha lasciato le relazioni con il Marocco, mentre la svolta filoamericana in politica estera ha alienato al paese iberico sia le simpatie di alcuni paesi latino-americani, sia quelle di alcuni paesi arabi moderati, quando proprio dei particolari rapporti con entrambi la Spagna aveva tratto motivi di vanto. Otto anni dopo l'ascesa al governo, Aznar è uscito di scena fortemente ridimensionato e come statista addirittura distrutto dagli errori compiuti nelle fatidiche 84 ore di cui si è più volte detto nelle pagine precedenti. Errori, si badi bene, dovuti non a uno sbandamento momentaneo o a un'inadeguatezza improvvisa, ma alle (impreviste) conseguenze della linea politica lucidamente imboccata all'indomani dell'11 settembre 2001 e perseguita con coerenza fino all'11 marzo 2004.
Il nuovo leader
Non resta che tracciare un sommario profilo del nuovo leader socialista. Nato a Valladolid nel 1960 e cresciuto nel seno di una famiglia di tradizioni socialiste (uno dei suoi nonni, militare, venne fucilato dalle truppe franchiste), José Luis Rodríguez Zapatero appare come un uomo tanto mite e garbato nei tratti, quanto deciso nella difesa dei principi in cui crede. Eletto deputato appena ventiseienne nelle elezioni politiche del 1986, è stato sempre confermato nelle elezioni successive. Risultato vincitore per un pugno di voti sul concorrente, José Bono, il 22 luglio 2000 al termine del 35° Congresso socialista, alla testa della corrente denominata Nueva vía formata da un gruppo di giovani deputati insofferenti della tutela dei capi storici del socialismo spagnolo, Rodríguez Zapatero è giunto direttamente dal partito alla Moncloa, senza avere alle spalle esperienze amministrative di nessun tipo. Dall'ascesa ai vertici del partito, l'unico momento di difficoltà lo ha vissuto nel giugno del 2003, quando, dopo le elezioni vinte nella Comunità autonoma di Madrid, la defezione di alcuni neoeletti del PSOE portò a nuove elezioni il 26 ottobre e al rovesciamento del risultato che era stato ottenuto qualche mese prima.
Nell'ambito del socialismo europeo, Rodríguez Zapatero appare destinato a occupare uno spazio tutto suo, tanto distante da Blair per quel che riguarda la visione internazionale e l'Europa, quanto dal socialismo francese per ciò che concerne il ruolo dello Stato. Alcuni hanno visto nei suoi discorsi e programmi il riverbero delle posizioni che il filosofo della politica irlandese Philip Pettit ha consegnato nel suo Republicanism (trad. it. Repubblicanesimo.
Una teoria della libertà e del governo, Milano, Feltrinelli, 2000; ed. orig., 1997). Altri hanno ricamato a partire da una dichiarazione dello stesso leader socialista che definiva il proprio come un 'socialismo libertario'. Di socialismo de los ciudadanos (dei cittadini, o forse meglio, della cittadinanza) Rodríguez Zapatero ha parlato anche il 4 luglio 2004, nell'intervento conclusivo al 36° Congresso del PSOE, elencando le idee che lo compongono con queste parole: "La sottomissione dei governi e degli uomini alle leggi e solo alle leggi, la ribellione contro qualunque tipo di dominio, il rispetto della diversità delle identità nel nostro paese, il rispetto dell'identità della persona e dei suoi diritti, una preoccupazione per la convivenza sul piano universale, una uguaglianza effettiva tra gli uomini e le donne, diritti crescenti delle persone nella vita pubblica, il dovere della partecipazione collettiva, la cultura come virtù pubblica, la società laica, la passione per la conoscenza, lo sforzo per l'educazione e, naturalmente, la condanna radicale della violenza e delle guerre". A questo ha aggiunto quali valori civili che i socialisti dovrebbero praticare "l'austerità, l'umiltà, l'amore per la libertà, la preoccupazione per la sorte degli altri, l'impegno, l'onestà, la generosità". Ma è prematuro stabilire parentele e affinità per un uomo che ha un passato assai esiguo da esibire e davanti, salvo imprevisti politici, molto futuro da riempire di contenuti.
Appena conosciuto il risultato delle elezioni, Rodríguez Zapatero ha confermato il ritiro delle truppe spagnole dall'Iraq, per poi spiegarne le ragioni a tu per tu, assieme alle linee generali di quella che sarà la sua politica estera, nei primi incontri con i leader europei e mondiali il 24 marzo, in occasione dei funerali delle vittime dell'attentato. Ma è nel discorso di investitura del 15 aprile che il leader socialista ha tracciato le linee politiche della futura amministrazione: riforma limitata della Costituzione (del Senato, delle norme che regolano la successione al trono aprendo l'accesso anche per via femminile, inserimento nel testo costituzionale di una menzione esplicita alle 17 comunità, alle due città autonome e alla Costituzione dell'Unione Europea), ritiro delle truppe dall'Iraq, sostegno alle proposte di riforma degli statuti di autonomia, immediata sospensione della controversa Ley de calidad educativa, interventi per ridurre il precariato nel mondo del lavoro, una nuova politica per la casa, aumento dei salari e delle pensioni minime, riconoscimento del diritto per transessuali e omosessuali di contrarre matrimonio.
Nel voto di fiducia del 16 aprile Rodríguez Zapatero ha ottenuto 183 voti: oltre ai socialisti (164) hanno votato a favore i rappresentanti di Esquerra Republicana de Catalunya (8), Izquierda unida (5), Coalición canaria (3), Bloque nacionalista galego (2) e Chunta Aragonesista (1). Si sono astenuti Convergencia i unió (10), Partido nacionalista vasco (7), Eusko Alkartasuna (1), Nafarroa bai (1), mentre solo i popolari hanno espresso voto contrario (148).
Ha poi formato un governo composto di sedici ministri, la metà dei quali donne. Due i vicepresidenti: il ministro alla Presidenza e portavoce del governo, María Teresa Fernández de la Vega e quello dell'Economia e delle finanze, Pedro Solbes. Un sommario esame della compagine consente di fissarne alcune caratteristiche. L'età media è di 50 anni, essendo Solbes il più avanti negli anni (62) e Juan Fernando López Aguilar, ministro della Giustizia, il più giovane (43). Per quanto concerne la formazione tutti, con una sola eccezione, provengono da studi giuridici o economici e diversi possono vantare studi in entrambi i campi. Alcuni vengono dalla seconda fascia della docenza universitaria, assai di più dall'amministrazione dello Stato o delle comunità autonome, altri da precedenti incarichi politici a livello nazionale e internazionale, come il ministro dell'Economia e delle finanze, Solbes, già allo stesso dicastero nell'ultimo gabinetto di Felipe González (1993-96) e poi Commissario agli affari economici dell'Unione Europea, o come il ministro degli Esteri, Miguel Ángel Moratinos, già ambasciatore in Israele, poi inviato speciale dell'Unione Europea per il processo di pace in Medio Oriente. O, infine, da incarichi regionali come José Bono, neoministro della Difesa e ininterrottamente alla presidenza della Comunità di Castilla-La Mancha dal 1983, per sei mandati sempre con la maggioranza assoluta.
Varia, ma con alcuni vuoti, la provenienza regionale, a testimonianza del non eccessivo peso assegnato alla geopolitica. Senza clamorose rotture, ma in significativa discontinuità rispetto all'ultimo governo socialista, la compagine governativa appare disposta sia ad avvalersi dell'esperienza indiscussa maturata da alcune donne e da alcuni uomini sul piano interno e internazionale, sia a scommettere su donne e uomini per la prima volta messi alla prova.
Sul piano internazionale i primi passi di Rodríguez Zapatero sono stati, come si è detto, il ritiro delle truppe dall'Iraq, decisione votata dal Congresso dei deputati il 13 maggio 2004, con 185 voti a favore, quattro astensioni e i soli voti contrari del PP (141). Nel frattempo il premier spagnolo aveva già effettuato un viaggio in Marocco e incontrato Mohamed VI il 24 aprile, chiaro segno della volontà di invertire l'atteggiamento muro contro muro tenuto da Aznar nei riguardi del paese sull'altra sponda dello stretto di Gibilterra. Aveva anche manifestato da una parte la volontà di riavvicinamento a Francia e Germania, dall'altra quella di svolgere una politica iberoamericana indipendente da Washington. Insomma: si tratta di un ritorno nel solco della politica estera della Spagna democratica prima che Aznar ne deviasse drasticamente il corso, all'indomani dell'11 settembre. Anche per quanto riguarda la Costituzione Europea, il nuovo leader spagnolo ha manifestato il desiderio di superare le difficoltà frapposte da Aznar al suo varo.
Non meno significativi i primi gesti compiuti sul piano interno: avvio di un giro di consultazioni con tutti i presidenti delle Comunità Autonome, annuncio che ai vertici bilaterali con Francia e Portogallo saranno invitati i rappresentati delle Comunità Autonome confinanti; richiesta all'UE che il catalano, l'euskera e il galiziano ottengano il riconoscimento giuridico di cui tuttora sono privi; accoglimento dei progetti di riforma degli Statuti di autonomia e di riforma costituzionale (come presidente della Commissione costituzionale del Congresso dei deputati è stato eletto, anche con il voto dei popolari, Alfonso Guerra); avvio della riforma dei mezzi di comunicazione pubblici a partire dalla nomina di una commissione di saggi incaricata di formulare le proposte di modifica dello statuto della RTVE, che è in vigore dal 1980.
Saranno proprio i problemi interni il decisivo banco di prova per il nuovo leader socialista, il quale dovrà essere capace di affrontare e avviare a soluzione la complessa questione nazionale che a distanza di un quarto di secolo dall'entrata in vigore della Costituzione resta irrisolta sul tappeto. Per la prima volta dal ritorno della democrazia e dalla creazione dello Stato delle autonomie nel dopo Franco, a Barcellona c'è un governo affine a quello di Madrid. Da parte loro, dopo le prime reazioni dettate dall'amarezza, i popolari hanno incassato il colpo e riconosciuto la piena legittimità della vittoria socialista. Per la prima volta dopo molti anni dalla Moncloa sono venute parole distensive e di dialogo sul problema basco: una disponibilità che i nazionalisti baschi, moderati e radicali, non dovrebbero lasciarsi sfuggire.
La casa reale
Un bilancio del 2004 spagnolo risulterebbe senz'altro incompleto senza un cenno al matrimonio dell'erede al trono, il principe Felipe con Letizia Ortíz, celebrato con tutto il fasto della circostanza nella cattedrale dell'Almudena a Madrid il 22 maggio. La cerimonia è stata seguita da una vasta folla e ha avuto un notevole impatto mediatico. Di qui trarre conclusioni sullo stato dell'istituzione monarchica in Spagna sarebbe compiere un passo più lungo della gamba. Dall'incoronazione di re Juan Carlos è finora esistita nel paese iberico una sorta di tacita intesa per risparmiare o comunque lasciare fuori da qualsiasi polemica i sovrani. Un patto non scritto, senza termini di paragone con le altre tradizionali monarchie europee, scrupolosamente osservato dai media che hanno steso una specie di coltre protettiva attorno al re, che il rispetto degli spagnoli e della stampa se lo è conquistato con il ruolo svolto durante la transizione, poi in occasione del tentativo di colpo di Stato del colonnello Tejero il 23 febbraio 1981 e, ultimamente, con le semplici, dirette e commosse parole che ha saputo trovare dopo gli attentati dell'11 marzo.
Ma qualcosa inizia anche su questo fronte a cambiare, non nel senso di far traballare l'istituto monarchico che appare tuttora assai solido, quanto piuttosto nella direzione di far affiorare la componente repubblicana del paese, finora silenziosa, e un certo, benché minimo, dibattito sulla forma istituzionale. Stando a un sondaggio effettuato dal CIS alcuni giorni dopo le nozze del principe Felipe, il 55% degli intervistati si sarebbe detto d'accordo con l'affermazione secondo la quale la monarchia sarebbe un'istituzione superata da tempo. Alla stessa domanda nel 2000 aveva dato risposta affermativa il 48,8% degli intervistati.
La novità, più che nella variata percentuale di chi considera obsoleta la monarchia come forma di governo, risiede nella rilevanza che la stampa ha dato al sondaggio: un altro segno dei tempi che questo volume dedicato al 2004 non può fare a meno di registrare.
La Spagna del dopo Franco
La transizione alla democrazia
Nel periodo precedente la morte di Franco la Spagna si trovò ad affrontare i variegati problemi posti dall'accelerato sviluppo dell'economia e della società, cui l'autorità politica rispose alternando periodi di freno ad altri di cauta liberalizzazione. La dinamica del potere continuò a lungo a svolgersi attraverso gruppi ristretti: ai tradizionali quadri provenienti dal falangismo e dalle altre forze favorevoli al regime si affiancarono esponenti dell'associazione cattolica Opus Dei, che furono in gran parte gli artefici del rinnovamento economico. Di contro, l'opposizione interna si fece sempre più articolata. In gran parte essa era formata da categorie e personalità che in precedenza avevano sostenuto il regime: studenti universitari, docenti, ecclesiastici, ex ministri ecc. A questi si aggiunsero con maggiore combattività gli operai organizzati nelle Comisiones Obreras, sindacati clandestini sviluppatisi parallelamente al sindacato unico ufficiale, che riuscirono a imporsi ai datori di lavoro come effettiva controparte. La conflittualità si espresse in ripetute agitazioni studentesche, in scioperi massicci, in manifestazioni di dissenso da parte di intellettuali. Oltre a ciò si ebbe una recrudescenza delle istanze rivoluzionarie, spesso connesse con rivendicazioni separatistiche, perseguite da gruppi minoritari armati. La repressione, in una situazione di isolamento internazionale, si sviluppò a vari livelli: dalle esecuzioni capitali alle condanne a morte poi commutate, alle forti pene detentive contro dirigenti sindacali clandestini, alle dichiarazioni di stato di emergenza con relativa sospensione delle garanzie costituzionali.
In questo contesto il regime franchista impostò una soluzione graduale del problema istituzionale. Nel 1962 fu assegnata per la prima volta la carica di vicepresidente, che avrebbe automaticamente assunto la guida del paese in caso di incapacità o di morte di Franco. Nel 1966 si ebbe la promulgazione di una legge organica con la quale i poteri del capo dello Stato erano separati da quelli del presidente del governo, scelto dal capo dello Stato e responsabile soltanto di fronte a lui; di fatto però i due poteri continuarono a essere assommati nella persona di Franco. Nel luglio 1969 le Cortes approvarono la legge che restaurava la monarchia, designando Juan Carlos di Borbone principe di Spagna e successore di Franco come capo dello Stato.
Nel 1974, con la nomina di Carlos Arias Navarro, per la prima volta dal 1939 la Spagna ebbe un civile a capo del governo. In quello stesso anno Juan Carlos, a causa di un'infermità dell'ormai ottuagenario Franco, assunse per 46 giorni la supplenza della carica di capo dello Stato. Nel gennaio 1975 l'approvazione di una legge in base alla quale tutte le associazioni che avessero avuto almeno 25.000 aderenti avrebbero potuto svolgere attività politica sotto la supervisione del Movimiento, il partito unico franchista, dava la possibilità di costruire embrioni di partiti politici. Durante l'ultima malattia di Franco il principe designato fu di nuovo capo dello Stato ad interim. Diventò infine re subito dopo la morte del dittatore, avvenuta il 20 novembre 1975.
I primi, cauti intenti di riforma si tradussero nell'annuncio dell'istituzione di un Parlamento bicamerale. Arias Navarro, troppo compromesso con il franchismo, fu sostituito nel luglio 1976 da Adolfo Suárez González, il quale, nonostante fosse il segretario generale del Movimiento, seppe guidare abilmente la liquidazione del vecchio assetto del regime. Vennero legalizzati i partiti a esclusione di quelli di estrema sinistra o favorevoli al separatismo e furono gradualmente liberati i prigionieri politici. L'istituzione di un Congreso di 350 deputati liberamente eletti, e di un Senado composto di 207 senatori eletti, oltre che di alcuni altri designati dal sovrano, fu approvata dalle Cortes e anche da un referendum popolare. Il processo di democratizzazione procedette, non senza temporanee stasi, fino a determinare la concessione della totale libertà di organizzazione politica e sindacale e il rientro degli esiliati.
Il 15 giugno 1977 si tennero elezioni a suffragio universale, che videro il successo dell'UCD (Union de centro democrático) del premier Suárez e del PSOE (Partido socialista obrero español). Il 6 dicembre 1978 un referendum popolare approvò con larga maggioranza la nuova Costituzione, anche se le astensioni toccarono un livello molto alto (33% dell'elettorato), specialmente nelle province basche dove appena un terzo degli iscritti si dichiarò a favore. La Costituzione sancisce il ruolo di partiti e sindacati, l'ordinamento regionale e la piena separazione fra Stato e Chiesa, in un quadro istituzionale monarchico.
L'egemonia socialista
Il cambio della dirigenza politica, ma non del sistema istituzionale e sociale, caratterizzò la vita pubblica della Spagna nel decennio successivo. Il processo di omologazione ai modelli politici, economici, culturali e sociali prevalenti nell'Europa occidentale, iniziato già nell'ultima fase dell'epoca franchista, appariva ormai concluso: il parziale isolamento internazionale del paese finì ufficialmente con l'adesione all'Alleanza Atlantica (maggio 1982) e alla Comunità economica europea (gennaio 1986).
Il decennio si aprì con le dimissioni (gennaio 1981) di Suárez, sostituito da Leopoldo Calvo Sotelo, già vicepresidente del Consiglio ed esponente della destra dell'UCD. In occasione dell'insediamento del nuovo esecutivo si registrò una clamorosa manifestazione di ostilità di una parte delle Forze armate alla democrazia: i parlamentari furono sequestrati all'interno del Congreso da un gruppo di militi della Guardia Civil guidati dal tenente colonnello Antonio Tejero. Il tentativo di colpo di Stato, appoggiato in provincia da alcuni ufficiali generali, rientrò grazie all'azione decisa di re Juan Carlos e si risolse nella condanna di una trentina di ufficiali a pene detentive. Alla necessità di controllare i militari, offrendo loro in cambio dell'accettazione della democrazia positive contropartite, può in parte ricondursi la più rilevante iniziativa del governo di Calvo Sotelo: l'ingresso della Spagna nella NATO, nonostante l'opposizione delle sinistre e della parte più nazionalista della destra. Malgrado altri importanti provvedimenti, la debolezza del governo venne evidenziata da incertezze nella gestione di alcuni scandali, da rovesci nelle elezioni dei primi parlamenti della Galizia e dell'Andalusia e soprattutto dai crescenti contrasti sorti all'interno dell'UCD. Nel 1982 si tennero elezioni anticipate: il partito al governo subì un tracollo superiore alle aspettative, mentre il partito socialista con il 46% dei suffragi ottenne, grazie al sistema elettorale vigente (proporzionale corretto con l'esclusione delle liste al di sotto della quota 3%), la maggioranza assoluta dei seggi.
Ebbe così inizio l'era dei governi socialisti, guidati ininterrottamente dal dicembre 1982 al 1996 dal segretario del partito Felipe González e per i quali fu determinante l'appoggio del ceto medio. Nella conquista del suo sostegno un ruolo importante fu giocato dalla rinuncia delle sinistre a esigere verità e giustizia per il lungo periodo della dittatura franchista, grazie all'adesione a quel pacto de olvido ("patto dell'oblio") per il quale, morto Franco, sinistra e destra decisero di astenersi dal ritornare su un passato lacerante. Il nuovo esecutivo diede prova di molta moderazione e abbandonò rapidamente sia il linguaggio marxista sia la serie di riforme strutturali promesse all'origine. Specialmente in campo economico e finanziario furono adottati interventi in linea con i meccanismi del mercato, il che permise alla nuova classe politica di ottenere la fiducia dei tradizionali centri capitalistici. Si continuò a liberare gradualmente l'economia dai vincoli vigenti nel periodo franchista sia all'interno sia verso l'estero; limitate misure furono adottate per ridurre l'alto tasso di disoccupazione, rimasto a lungo il più elevato in Europa. In termini strettamente economici tale linea permise di ridurre i settori assistiti e favorì una ristrutturazione basata sulla competitività, esaltando le capacità degli imprenditori nazionali, sempre più presenti sui mercati internazionali specie dopo l'adesione del paese alla CEE.
Una giovane classe politica, rapidamente formatasi, si sostituì capillarmente alla precedente. Alcuni settori della società civile rimproveravano al PSOE un'eccessiva arroganza nella gestione del potere per aver posto propri uomini in ogni ambito della vita pubblica; soltanto sporadiche critiche provennero tuttavia dagli ambienti intellettuali, date l'attenzione e le generose provvidenze riservate dal governo alla cultura e ai suoi operatori. Accentuati cambiamenti nel costume (allontanamento dalla morale tradizionale in materia religiosa, sessuale e comportamentale in genere) interessarono la società spagnola, almeno nelle grandi città. Già il governo Suárez nel gennaio 1979 aveva stipulato con i rappresentanti della Chiesa cattolica, in ottemperanza dell'art. 16 della Costituzione, quattro accordi sostitutivi del precedente Concordato che fra l'altro formalizzavano l'indipendenza dello Stato da ogni confessione e disciplinavano l'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche. Qualche frizione si manifestò fra il governo González e la gerarchia ecclesiastica in merito alla legalizzazione dell'aborto e ai maggiori controlli voluti dal governo sulle scuole private.
La politica estera del governo socialista si presentò più dinamica di quella dei precedenti governi centristi, ma non se ne discostò sostanzialmente. Particolarmente rilevante fu il cambio di rotta in merito alla presenza della Spagna nella NATO. Già fautore di un ritiro dall'Alleanza quando era all'opposizione, González, una volta asceso alla presidenza del governo, dapprima congelò la questione: quando poi, nel marzo 1986, finì per convocare un referendum popolare da tempo promesso, impegnò tutta la forza propagandistica del governo e del partito per far accettare la permanenza del paese nella NATO, pur con una serie di salvaguardie della sovranità nazionale e dietro la promessa di un parziale ritiro delle truppe statunitensi, poi realizzatasi con la stipula di un nuovo accordo di difesa con gli Stati Uniti. Sullo scenario europeo, durante il primo semestre del 1989 la Spagna assunse per la prima volta la presidenza della CEE e nel luglio dello stesso anno un esponente del PSOE, Enrique Barón Crespo, fu eletto a capo del Parlamento Europeo.
La prevalenza socialista andò via via ridimensionandosi nelle tornate elettorali generali della seconda metà degli anni Ottanta, anticipate rispetto alla scadenza normale della legislatura e caratterizzate da una bassa affluenza di votanti, segno non ultimo di una caduta di tensione e di ideali. Si adottò il termine desencanto per indicare il venir meno delle più rosee aspettative connesse all'avvento della democrazia, e si coniò il neologismo pasotismo ("noncuranza") per significare il rifiuto, specie da parte della gioventù, di ogni preoccupazione civile, politica e sociale. Il calo dei consensi socialisti non avvantaggiò tuttavia in misura significativa le opposizioni di destra e di sinistra, incapaci di produrre una valida alternativa al partito di governo. Il maggiore schieramento dell'opposizione, AP (Alianza popular), in cui erano confluite diverse correnti, dall'estrema destra ai liberali, fu a lungo travagliato dal ritiro e poi dal ritorno del suo massimo dirigente, Manuel Fraga Iribarne, ex ministro del regime franchista. Anche presentandosi in cartelli più vasti raggruppanti altre formazioni non riuscì a ottenere affermazioni significative nelle tornate elettorali del 1986 e del 1989.
All'indomani delle elezioni dell'ottobre 1989 la vita politica spagnola fu sconvolta da una serie di scandali, legati a episodi di corruzione che coinvolsero esponenti sia del PSOE sia dell'opposizione. L'immagine del PSOE fu ulteriormente danneggiata da rivelazioni relative all'irregolare finanziamento del partito, mentre l'economia del paese, dopo alcuni anni di espansione, a partire dal 1992 entrava in una fase di forte recessione. Per il giugno 1993 González annunciò le elezioni politiche generali, che si risolsero nella perdita della maggioranza assoluta da parte del PSOE e in un incremento del PP (Partido popular) di José María Aznar. Nonostante ciò, González inaugurò il suo quarto governo, assumendo la guida di un'amministrazione di minoranza che godeva dell'appoggio di alcuni partiti regionali.
Il problema delle autonomie regionali
La fine del precedente centralismo fu un altro dei caratteri che differenziarono la Spagna democratica. Un nuovo ordinamento di tipo regionale fu attuato in più tappe a partire dal 1978. Allo scopo di attenuare l'impatto politico prodotto dalla concessione di un'effettiva autonomia alle regioni (Paesi baschi, Catalogna e, in minor misura, Galizia) aventi specifici caratteri di differenziazione come la lingua, tutto il territorio spagnolo fu diviso in 17 Comunità Autonome dotate di un proprio parlamento, giunta di governo, amministrazione, bandiera. Il processo, inevitabilmente, assunse caratteri anche artificiali poiché si dovettero creare regioni mai esistite prima (per es. Castilla-La Mancha, Cantabria, La Rioja, Madrid ecc.), e fece lievitare vertiginosamente le spese amministrative correnti in uno Stato che nel periodo di Franco era invece all'ultimo posto in merito tra i paesi dell'OCSE. La concessione di uno statuto speciale, più ampio di quello ordinario, alle tre regioni linguisticamente diverse sopra ricordate non ebbe un grosso impatto in Galizia, che non mostrava seri intenti separatistici, e sembrò soddisfare sostanzialmente le istanze di autonomia della Catalogna, dove si consolidò rapidamente il partito moderato d'ispirazione nazionalista CiU (Convergencia i unió). Invece nei Paesi baschi (Euskadi) il riconoscimento di una forte autonomia non attenuò le tensioni esistenti.
Alle istanze indipendentistiche di una parte della popolazione basca rimase collegata la persistenza del terrorismo in Spagna. La lotta condotta dall'ETA (Euskadi ta Askatasuna, "Patria basca e libertà") contro le 'forze di occupazione spagnoliste' non si spense infatti con l'avvento della democrazia. Nel 1977 fu concessa l'amnistia per i militanti baschi in carcere; sul finire del 1979 erano detenuti nuovamente più di 100 separatisti e circa 450 erano quelli rifugiati in Francia. Sanguinosi attentati contro le forze di polizia, l'esercito e anche uomini politici e magistrati, nei Paesi baschi ma pure a Madrid e in altre città spagnole causarono centinaia di vittime negli anni Ottanta. Alle violenze dell'ETA la polizia rispose impiegando a volte anche mezzi illegali, come le eliminazioni fisiche di noti esponenti dell'ETA compiute anche all'estero dai GAL (Grupos antiterroristas de liberación). La rivendicazione indipendentista continuava a godere d'altra parte dell'appoggio di una parte non trascurabile della popolazione, come mostravano le periodiche manifestazioni di massa e i risultati elettorali conseguiti dal partito Herri Batasuna ("Unità del popolo"), braccio politico dell'ETA. Inoltre, nonostante le condanne verbali del terrorismo, appariva ambigua la posizione degli altri meno radicali partiti a base etnica presenti nella regione.
La Spagna di Aznar
Gli anni Novanta segnarono il passaggio dalla guida di governo socialista a quella di centro-destra del PP: un cambiamento politico di rilievo che non sembrò tuttavia influire sul terreno più generalmente sociale ed economico. Sia dal punto di vista delle infrastrutture sia da quello dell'apparato produttivo, della mentalità e dei comportamenti, il paese proseguì lungo la strada già intrapresa di una profonda modernizzazione. Drammatica e complessa rimase invece la questione basca, la cui soluzione sembrava ancora agli inizi del nuovo millennio difficile e lontana.
Decisiva per il crollo di popolarità del PSOE fu, come si è già accennato, l'esplosione degli scandali che dal 1989 coinvolsero, a più riprese, anno dopo anno, molti uomini politici socialisti e numerosi esponenti della classe dirigente dell'ultimo decennio. Il coinvolgimento, inoltre, di importanti esponenti del mondo finanziario finì con l'erodere la fiducia dei risparmiatori nella solidità e nella correttezza del sistema bancario del paese: il più grave episodio riguardò il fallimento nel 1993 del Banco español de credito, il cui massimo dirigente, Mario Conde, fu accusato e poi condannato per frode e appropriazione indebita. A ciò si aggiunse lo scandalo delle rivelazioni sui rapporti dell'esecutivo con i GAL, indicati come responsabili dell'uccisione di numerosi esponenti dell'ETA in Spagna e in Francia. Nell'aprile 1995 quattordici ex funzionari del Ministero dell'Interno furono condannati perché ritenuti colpevoli di aver istituito e finanziato i GAL. L'eco della condanna e il seguito delle indagini sul coinvolgimento nell'affaire dello stesso primo ministro e dei ministri della Difesa e dell'Interno, Rafael Vera e José Barrionuevo, indebolirono ulteriormente il governo, mentre la CiU ritirava ufficialmente il proprio appoggio esterno. Le elezioni anticipate, cui González si trovò a dover ricorrere di nuovo e che si tennero nel marzo 1996, registrarono un'ulteriore perdita di voti da parte del PSOE, ponendo così fine alla lunga fase dell'egemonia socialista.
Della formazione del nuovo governo fu incaricato il leader del PP, Aznar, che aveva iniziato a imporsi sulla scena politica a partire dai primi anni Novanta. Nato nel 1989 da Alianza popular a opera di Fraga Iribarne, nel 1990 il PP era passato sotto la guida di Aznar che ne aveva accentuato gli elementi moderati e centristi. Da allora il PP era cambiato: dotato di un gruppo dirigente nuovo e più giovane, aveva assunto un carattere unitario sulla base di una linea moderata di centro-destra, pur mantenendo l'eterogeneità interna del passato.
Solo dopo un lungo negoziato Aznar riuscì a ottenere l'appoggio esterno dei partiti nazionalisti moderati su un programma che, accanto all'obiettivo prioritario di ridurre deficit pubblico e tasso di inflazione, prevedeva un rafforzamento delle già avanzate autonomie regionali. Il nuovo governo si trovò subito a dover affrontare forti tensioni sociali seguite alle prime misure d'austerità introdotte, le quali non impedirono comunque al premier di ottenere l'approvazione parlamentare del suo 'piano di stabilità economica'. Più minaccioso fu il contraccolpo della ripresa del terrorismo dell'ETA.
La questione basca, come sempre al centro della vita del paese, si andò modificando nel corso della seconda metà degli anni Novanta. Il periodo tra il 1996 e il 1998 fu contrassegnato da un ininterrotto succedersi di atti terroristici a opera dell'organizzazione indipendentista, che iniziò a colpire, con una strategia diversa dal passato, uomini politici locali ed esponenti del partito al governo, mentre per autofinanziarsi ricorreva a sistematiche estorsioni a danno di uomini d'affari e imprenditori. L'attività terroristica provocò una progressiva presa di distanza dell'opinione pubblica basca dalle ragioni del movimento indipendentista. Una dura condanna fu espressa a livello nazionale nelle imponenti manifestazioni del luglio 1997 quando, in seguito all'assassinio da parte dell'ETA di un giovane consigliere del PP, Miguel Ángel Blanco, centinaia di migliaia di persone sfilarono nelle principali città della Spagna, comprese quelle della regione basca. Un'inversione di tendenza sembrò delinearsi tra la fine del 1998 e l'inizio del 1999. Nel settembre 1998 l'ETA proclamò una tregua unilaterale a chiusura dei 30 anni di lotte per l'indipendenza, mentre la sua ala politica, Herri Batasuna, per la prima volta nella sua storia si dichiarò favorevole a partecipare a governi locali. Anche da parte del governo popolare si ebbe un cambiamento di linea: abbandonata la scelta della fermezza, adottata nei due anni precedenti, a partire dal giugno 1999 Aznar avviò una serie di incontri con i dirigenti dell'ETA, mentre nel mese successivo il Tribunale costituzionale emetteva una sentenza di assoluzione dei dirigenti dell'Herri Batasuna in carcere dal dicembre 1997. Ma la tregua durò poco. Nel novembre 1999 la ripresa da parte dell'ETA dell'attività terroristica, con tutta la violenza del passato, riaprì drammaticamente la questione basca.
All'inizio del 2000, nonostante la mancanza della maggioranza assoluta al Congresso dei deputati che lo aveva sempre costretto a negoziare con i partiti nazionalisti il loro appoggio esterno, Aznar e il suo governo sembravano godere di un largo consenso per aver saputo assicurare al paese una stabilità governativa e importanti successi sul piano economico. L'economia spagnola aveva infatti conosciuto una crescita significativa sull'onda della ripresa già in atto a partire dal 1994, crescita che aveva attenuato in larga misura i costi della politica di rigore messa in atto per ottemperare agli impegni assunti con la firma del Trattato di Maastricht. Anzi, anche in Spagna come in altri paesi europei la sfida rappresentata dall'ingresso nell'Unione economica e monetaria costituì un momento di forte coesione nazionale. Frutto di tale atmosfera politica fu, per esempio, l'accordo fra sindacati e imprenditori in materia di diritto del lavoro che riguardò temi come le cause di licenziamento o i contratti di lavoro a durata indeterminata.
Le elezioni legislative del marzo 2000 assegnarono ad Aznar e al suo partito una netta vittoria che, garantendogli la maggioranza assoluta alle Cortes, gli consentì di governare fino al 2004 senza dover più far ricorso all'appoggio dei partiti nazionalisti.