Vedi Spagna dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Spagna è stata un fiorente impero coloniale tra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo (il cosiddetto Siglo de oro): possedeva numerose colonie soprattutto nell’America meridionale, dove l’eredità culturale iberica è tuttora viva e la lingua spagnola, fra le più parlate al mondo, è la più usata. Marocco a parte, la Spagna perse i suoi possedimenti nel Diciannovesimo secolo, prima delle altre potenze europee, ed entrò in una fase di declino, anche per il ritardo con cui affrontò la rivoluzione industriale. Il paese, che si è dichiarato neutrale durante le due guerre mondiali, ha vissuto una guerra civile devastante negli anni Trenta e, in seguito, un lungo periodo di isolamento internazionale durante la dittatura franchista. In seguito alla morte, nel 1975, del generale Francisco Franco e alla fine della dittatura, il paese ha attraversato un delicato processo di transizione guidato dal Re Juan Carlos – che il 19 giugno 2014 ha abdicato in favore del figlio Felipe, salito al trono con il titolo di Felipe VI – e da figure di spicco come Adolfo Suarez e Felipe Gonzalez che, grazie al loro operato, hanno garantito alla Spagna il perseguimento di una politica estera non solo nel rispetto della propria tradizione latino-americana ma anche e soprattutto nel rafforzamento del proprio ruolo all’interno dei processi euro-atlantici. Il paese è entrato nella Nato nel 1982 e poi nella Comunità economica europea nel 1986 assieme al Portogallo. L’integrazione europea, che è tuttora la priorità politica del paese, ha favorito il successivo sviluppo economico e sociale. In più, i membri del processo di integrazione europeo sono i principali partner per commercio e investimenti. Il paese è parte della zona euro e degli accordi di Schengen. Rivendica un maggiore utilizzo della lingua spagnola nel contesto europeo, ma ha un impatto relativamente limitato sulle politiche dell’Unione Europea (Eu). Inoltre, pur essendo tuttora la quinta economia tra gli stati Eu, la profonda crisi attuale ne limita l’influenza. Nel primo semestre del 2010 la Spagna ha guidato per la quarta volta la presidenza del Consiglio dell’Eu. Altre direttrici fondamentali della politica estera spagnola sono l’America Latina e il Nord Africa. Il legame culturale con le ex colonie latinoamericane è molto forte e l’immigrazione dall’America Latina è un fenomeno di rilievo. La Spagna promuove i summit Eu-America Latina e partecipa attivamente a quelli annuali iberoamericani dei capi di stato e di governo. Rispetto all’esecutivo Zapatero (2004-11), il governo guidato da Mariano Rajoy ha promosso una minore cooperazione politica nei confronti delle ex colonie. Ciononostante la Spagna rimane uno dei maggiori investitori in America Latina attraverso partecipazioni in settori chiave dell’economia quali il bancario, l’energetico e i servizi pubblici. I rapporti con il Nord Africa e la stabilità della regione rappresentano un’altra priorità della politica estera spagnola. Madrid promuove l’Unione per il Mediterraneo nell’ambito Eu e il Dialogo 5+5, volto a rafforzare la cooperazione del Mediterraneo occidentale. I rapporti con il Marocco, geograficamente contiguo, rivestono un ruolo particolare e il governo spagnolo ha interesse alla cooperazione in materia di sicurezza, per far fronte a terrorismo e immigrazione clandestina. Nonostante le tensioni per le rivendicazioni marocchine di sovranità sulle exclave spagnole di Ceuta e Melilla, sotto il controllo spagnolo da più di mezzo secolo, le relazioni tra i due paesi sono strette e la Spagna ha promosso la concessione a Rabat dello status avanzato di associazione con l’Eu. Di rilievo anche i rapporti con il Medio Oriente dove la Spagna è presente con le sue truppe nell’ambito della missione Unifil delle Nazioni Unite in Libano. A livello europeo, Madrid intrattiene relazioni diplomatiche politiche cordiali con le principali potenze continentali. Recentemente sono tuttavia riemerse alcune tensioni con il Regno Unito in merito alla questione di Gibilterra, un caso che ha rischiato di sfociare in un incidente diplomatico. Per quanto riguarda gli Usa, la cooperazione nell’ambito della difesa è regolata da un trattato del 1989, che consente a Washington di mantenere alcune basi militari sul territorio spagnolo. Nel 2004 il ritiro delle truppe dall’Iraq da parte dell’allora neoeletto premier José Luis Rodríguez Zapatero ha determinato un raffreddamento delle relazioni. Da allora rimangono tiepide, complice anche la profonda crisi economica che spinge l’attuale governo di Mariano Rajoy a occuparsi principalmente della politica interna, sebbene i due paesi restino importanti alleati nella lotta al terrorismo e partner di rilievo per i rispettivi investimenti esteri. La Spagna ha ampliato gli orizzonti della politica estera, soprattutto puntando ai Balcani occidentali (partecipa alla missione Eufor) e all’Asia, in particolare India e Cina, anche per rafforzare la cooperazione economica. A livello globale, la Spagna è un’attiva promotrice del multilateralismo e del rafforzamento delle Nazioni Unite. Nel 2004 il governo Zapatero, assieme a quello turco, ha proposto la creazione dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite (Unaoc), istituita nel 2005. L’Alleanza mira ad approfondire la conoscenza e le relazioni tra i popoli, a promuovere la convivenza pacifica e a contrastare l’estremismo.
La democrazia fu restaurata in Spagna dopo la morte del generale Franco nel 1975. Il principe Juan Carlos di Borbone, scelto da Franco come proprio successore nel 1969, divenne re e nel 1976 nominò Adolfo Suárez come primo ministro. Nel giro di pochi mesi, i partiti furono legalizzati, furono indette libere elezioni per la prima volta in quarant’anni e la nuova Costituzione democratica fu approvata con il referendum del 1978. La Spagna si presenta come una monarchia parlamentare multipartitica. Re Felipe VI è il capo dello stato e detiene limitati poteri cerimoniali, tra cui il comando delle Forze Armate e la nomina del premier e dei ministri del governo.
Il potere legislativo è affidato a un parlamento bicamerale (Cortes Generales): la Camera bassa (Congreso de los Diputados) è composta di 350 membri eletti nelle circoscrizioni provinciali per quattro anni (Ceuta e Melilla sono rappresentate da un deputato ciascuno); la Camera alta (Senado) a rappresentanza territoriale è costituita da 259 senatori, di cui 208 eletti a suffragio universale diretto e 51 scelti dalle assemblee legislative delle comunità autonome. La divisione amministrativa spagnola prevede 17 comunità autonome e due città autonome (Ceuta e Melilla). La Spagna è uno dei paesi europei che ha attuato un decentramento più radicale. Al governo di alcune realtà notoriamente autonomiste come i Paesi Baschi o la Catalogna vi sono partiti come la Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), Convergència i Unió (CiU) e il Partido Nazionalista Vasco (Pnv, in basco: Euzko Alderdi Jeltzalea) che pongono come priorità dell’azione di governo la questione indipendentista. Le comunità, indebitate a causa di una spesa pubblica molto elevata negli anni della crescita spagnola che le espone oggi al rischio default, hanno alimentato allo stesso tempo le richieste separatiste/autonomiste di alcune realtà. Oltre ai Paesi Baschi, la Catalogna rappresenta ad oggi il caso più spinoso per il governo centrale di Madrid.
Dal ritorno alla democrazia il paese ha visto un’alternanza al potere tra il Partido Popular (Pp) e il Partido Socialista Obrero Español (Psoe). Dal dicembre 2011, il Pp guida a maggioranza assoluta un esecutivo che ha posto fine a oltre un decennio di governi socialisti. Il Pp, già partito di governo tra il 1996 e il 2004 con José María Aznar, è tornato alla guida del paese nel 2011 con Mariano Rajoy. Le elezioni anticipate del novembre 2011, indette dall’allora primo ministro Zapatero, forzato dalla crisi economica internazionale che ha messo a dura prova l’economia spagnola, minacciando la stabilità stessa del paese, hanno fatto registrare la vittoria del Pp. Conquistando 186 seggi sui 350 disponibili, il partito di Rajoy si è assicurato la maggioranza assoluta, relegando all’opposizione il Psoe. Il partito, negli ultimi anni, ha attraversato una difficile fase di transizione tra vecchia e nuova guardia che ha portato il giovane Pedro Pérez-Sánchez Castejón ad assumere la segreteria dello stesso il 26 luglio 2014, al posto di Alfredo Pérez Rubalcaba, dopo la disfatta del Psoe alle elezioni europee del 25 maggio 2014. Nelle stesse consultazioni ha fatto rumore invece il successo di Podemos, partito di sinistra fondato nel gennaio 2014 da alcuni attivisti legati al Movimiento 15-M, noto anche come il movimento degli indignados.
La Spagna è un paese etnicamente molto omogeneo nel quale sono tuttavia presenti istanze indipendentiste di alcune regioni storiche (in particolare i Paesi Baschi e la Catalogna) che si distinguono per motivi linguistici e culturali. La Spagna è anche un paese relativamente poco popolato se confrontato con i grandi stati dell’Europa occidentale, con una densità di quasi 93 abitanti per chilometro quadrato (paragonabile a quella greca, mentre Italia, Germania e Regno Unito superano tutte i 200 abitanti per chilometro quadrato).
È un paese a forte tradizione cattolica: soltanto al termine del franchismo la Costituzione del 1978 ha abolito il cattolicesimo come religione di stato. Negli ultimi decenni, le persone che si dichiarano cattoliche sono scese dal 90% degli anni Ottanta al 73% dell’ottobre 2010, mentre più di un quinto degli spagnoli afferma di non appartenere ad alcuna confessione religiosa. Tra i cattolici il 55% ammette di non assistere mai a una funzione religiosa.
Tra il 2000 e il 2008 la popolazione è aumentata di più di 5 milioni di persone (13%), prevalentemente per effetto dell’immigrazione dall’estero. Nel dicembre 2010 la Spagna è stata il secondo paese europeo per stranieri residenti (5 milioni di persone), dietro la Germania (circa sette milioni). Gli alti flussi migratori hanno fatto crescere significativamente la popolazione musulmana, anche se si tratta soltanto del 2% del totale. Negli ultimi mesi il tema dell’immigrazione, in particolare quella clandestina, ha creato un ampio dibattito sui media e nella società civile soprattutto per il rischio di infiltrazioni jihadiste nelle realtà extracontinentali spagnole. Mete principali del costante flusso di profughi sono state, infatti, le città di Ceuta e Melilla e le Isole Canarie.
L’immigrazione ha poi contribuito ad abbassare l’età mediana di una popolazione relativamente anziana, che negli anni Novanta stava attraversando una fase di deciso declino demografico (nel 1998 il tasso di fecondità era 1,16 figli per donna, mentre oggi è salito a 1,32). Gli stranieri, che rappresentavano nel 2012 il 12,1% della popolazione spagnola – negli anni Novanta si aggiravano attorno all’1,5% – hanno contribuito a sgravare il sistema pensionistico di una parte della pressione provocata dai trend demografici ispanici. Il costo della previdenza sociale resta uno dei problemi principali. Come avvenuto in altre realtà occidentali, l’alta aspettativa di vita ha allargato la fascia di persone con più di 65 anni (l’attuale età pensionabile), che nel 2012 ha superato il 17% della popolazione. Secondo stime delle Nazioni Unite, la tendenza pare difficilmente arrestabile: se il trend si mantenesse costante, entro il 2025, un quinto della popolazione avrà più di 65 anni, ed entro il 2050 la quota potrebbe comprendere un terzo degli abitanti. La Spagna è un paese democratico dalla seconda metà degli anni Settanta, dopo circa 35 anni di regime autoritario sotto Francisco Franco. Durante il primo trentennio di democrazia i diritti della società civile sono progrediti a ritmi serrati ma è stato soprattutto nell’ultimo decennio, e più precisamente dall’elezione di Zapatero nel 2004, che la Spagna ha emanato alcune leggi sui diritti civili tra le più avanzate d’Europa. Innanzitutto, dal 2007 sono in vigore le quote rosa sulle liste elettorali: le donne devono costituire il 50% dei candidati. Le conseguenze sono state evidenti da subito: le donne rappresentano il 36% dei deputati eletti alla Camera bassa nel 2012. La nuova legislazione sull’aborto, regolamentato per la prima volta da una legge del 1985, è entrata in vigore nel luglio 2010: prevede maggiori possibilità per ricorrervi. La legge è stata preceduta da una forte contestazione da parte del mondo cattolico, sfociata in manifestazioni di piazza nell’ottobre 2009 alle quali hanno partecipato quasi un milione di persone. È corretto sottolineare che, sebbene l’aborto fosse consentito solo in determinati casi (nel caso in cui la gravidanza fosse conseguenza di una violenza sessuale, o qualora fosse in pericolo immediato la salute fisica o mentale della madre, o infine nel caso in cui il feto soffrisse di malformazioni o handicap mentali), le applicazioni estensive della legge avevano già ampliato i casi di aborto medico dai 54.000 del 1998 ai 112.000 nel 2007.
Le unioni tra persone dello stesso sesso sono infine regolate da una legge che, entrata in vigore nel luglio 2010, ha legalizzato il matrimonio egualitario. La stessa legge ha inoltre reso legale anche l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. Benché la misura fosse prevista nel programma elettorale del Psoe e godesse del consenso di circa due terzi dell’opinione pubblica, ha scatenato una polemica anche da parte dei vertici della Chiesa cattolica. Un’altra misura che ha creato forti divisioni è stata la legalizzazione dell’eutanasia. La disposizione, anch’essa prevista nel programma elettorale del Psoe, è stata rigettata dallo stesso partito in un voto in aula nel 2007. I sondaggi più recenti mostrano che il sostegno popolare a favore della legalizzazione dell’eutanasia è ampio, ma nel 2008 uno scandalo legato ad alcuni casi di morte assistita per almeno 400 pazienti terminali, che ha coinvolto 15 medici (poi scagionati da tutte le accuse), ha reso più complicato l’avvio di un nuovo iter legislativo.
Sotto il profilo dell’istruzione, il forte ruolo della scuola pubblica è cresciuto fino al 2002, quando il Pp ha approvato una riforma che rafforzava la posizione delle scuole private (frequentate da un terzo degli alunni delle scuole medie superiori) e restringeva le possibilità di accesso all’università. Nel 2005, tuttavia, il governo socialista di Zapatero ha ribaltato gran parte di questi cambiamenti. La controversia ideologica che si è aperta circa il processo di riforma del sistema scolastico non ha giovato alla qualità dell’istruzione stessa, che oggi tocca livelli tra i più bassi tra i paesi Oecd: le carenze più gravi si riscontrano nella lettura e nella matematica.
Al termine della dittatura franchista, nel 1975, la Spagna era ancora un paese prevalentemente agricolo. Il forte sviluppo economico conosciuto tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta venne bloccato dall’impatto della crisi energetica del 1973 e dalla conseguente crisi economica che si protrasse durante l’intero periodo di transizione verso la democrazia. Dalla seconda metà degli anni Novanta la Spagna ha invece conosciuto uno sviluppo economico tra i più rapidi in Europa. Nel periodo 1997-2007 il pil è cresciuto a una media annua del 3,8%, e nello stesso periodo il reddito pro capite è più che raddoppiato. Nel frattempo, il contributo al pil dei diversi settori economici è andato mutando. Il terziario è passato da una posizione di subalternità a quella attuale, dove contribuisce a oltre due terzi del prodotto interno lordo trainato dal settore dei servizi e dal turismo: la Spagna è la seconda meta europea dopo la Francia e quarta assoluta al mondo per arrivi dall’estero. Malgrado le attente politiche di bilancio, la crisi economica globale del 2008-09 ha provocato un deficit elevato (ha toccato l’11% del pil nel 2009, il 9% nel 2010 e il 10,6% nel 2012), ben oltre la soglia del 3% formalmente consentita dai parametri di Maastricht, portando il paese in una pesante recessione.
La crisi ha portato allo scoperto le debolezze strutturali che affliggono il paese: da un lato, l’eccessiva esposizione finanziaria delle banche spagnole ha influito sulla stretta del credito, dall’altro lo scoppio della bolla immobiliare ha abbattuto il valore delle case (-12% dall’inizio della crisi) facendo sprofondare il settore edilizio in una grave crisi. La pesante eredità dell’era Zapatero ha costretto così l’attuale governo Rajoy a varare una serie di riforme in materia di finanza pubblica, fisco e mercato del lavoro volte a riequilibrare le finanze pubbliche e a ridurre la disoccupazione (giunta al 26%), in particolare quella giovanile (oltre il 50%). L’adozione di tali provvedimenti ha permesso all’esecutivo spagnolo di ricevere assistenza finanziaria da Bruxelles, quantificabile in 100 miliardi di euro in aiuti provenienti dal meccanismo europeo di stabilità (Esm), di cui una quarantina sono stati già restituiti. Ciononostante la situazione di crisi non può definirsi totalmente rientrata, anche se il paese sta facendo dei passi avanti verso la stabilizzazione economica e finanziaria. Una dimostrazione di ciò è data dal ribasso dello spread tra i bonos spagnoli e i bund tedeschi e dalla riduzione dell’inflazione e del deficit di bilancio (dall’11% nel 2009 al 7% nel 2013). Tuttavia l’ancora alta disoccupazione, il pesante rapporto debito/pil (ormai prossimo al 100% del pil) e i crescenti debiti nel settore pubblico e privato rimangono le principali sfide per una piena stabilità del sistema finanziario nazionale e per un recupero della competitività del sistema economico spagnolo nei confronti dei principali concorrenti europei.
La Spagna produce circa il 40% del carbone consumato e quantità molto ridotte di petrolio e gas. Dipende quindi in larga misura dalle importazioni, poiché compra dall’estero il 60% del carbone che utilizza, il 98% del petrolio (che rappresenta la prima fonte del mix energetico nazionale) e quasi il 100% del gas. Le importazioni di gas sono piuttosto diversificate: grazie ai gasdotti Meg e Medgaz (quest’ultimo, operativo dal marzo 2011, collega direttamente Spagna e Algeria aggirando il Marocco), la Spagna può ricevere rispettivamente un massimo di 12 e 8 miliardi di metri cubi all’anno dall’Algeria. Nel 2012 dall’Algeria è giunto circa il 40% del gas totale. D’altra parte il paese possiede sei rigassificatori (e altri tre dovrebbero essere costruiti entro il 2016) e quindi riceve gas liquefatto anche da Nigeria (13,9%), Qatar (13,8%), Norvegia (11,5%), Perù (7,2%) e Trinidad e Tobago (7,5%). La Spagna è così divenuta il primo paese Eu per diversificazione e sviluppo della tecnologia del gas naturale liquefatto (lng) e il quarto importatore al mondo di lng dopo Giappone, Corea del Sud e Regno Unito. Questi risultati, che migliorano notevolmente il livello di sicurezza energetica del paese, sono una conquista recente visto che, ancora nel 2001, il paese importava il 70% del gas dall’Algeria.
Anche le importazioni di petrolio sono piuttosto diversificate: nel 2008 la prima fonte energetica del paese arrivava da circa 20 stati e in particolare da Russia (15%), Messico (13%), Iran (12%), Arabia Saudita (11%), Libia (10%) e Nigeria (9%). La Spagna possiede inoltre dieci raffinerie di petrolio.
Per garantirsi maggiore sicurezza, il paese ha inoltre promosso lo sviluppo dell’energia nucleare e delle rinnovabili. Sono in funzione otto centrali nucleari che producono circa l’11% del mix energetico, anche se il governo prevede di ridurre tale quota. Viceversa, le rinnovabili rivestono ancora una piccola quota del mix energetico (6,1%, esclusi il legname e altre biomasse), ma il governo ne sta promuovendo lo sviluppo, in particolare quello dell’energia eolica (la Spagna ha la terza più elevata capacità di generazione al mondo). È stata inoltre avviata una stretta cooperazione con il Portogallo con la creazione del mercato iberico dell’elettricità, e si sta lavorando a un analogo mercato unico del gas.
Riguardo alla politica ambientale, il paese ha adottato nel 2007 una strategia contro il cambiamento climatico e per produrre energia pulita, che prevede numerose misure per migliorare l’efficienza, stimolare lo sviluppo delle rinnovabili e la ricerca. Inoltre, il governo spagnolo si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2 dell’80% entro il 2050, prevedendo di eliminare il consumo di carbone.
La sfida che la Spagna ha affrontato a lungo sul terreno della sicurezza è stata duplice: da un lato doveva difendersi da attacchi terroristici di gruppi nazionali sul proprio territorio, dall’altro, pur in assenza di minacce dirette, ha avuto un ruolo importante nelle missioni internazionali. Gli attentati ferroviari avvenuti a Madrid l’11 marzo 2004 hanno in qualche modo modificato lo scenario e fatto passare in secondo piano la minaccia terroristica interna, surclassata dal terrorismo internazionale di matrice islamica. Dalla fine del franchismo la Spagna ha riaffermato a più riprese l’impegno nelle più rilevanti organizzazioni internazionali occidentali: l’Eu e la Nato. Per quanto riguarda quest’ultima, la Spagna è entrata nel 1982, ma solo dal 1999 ha deciso di partecipare alla struttura militare integrata. Oggi il paese ospita cinque quartieri generali Nato. I buoni rapporti con gli Usa sono stati sanciti nel 2001 dall’assenso spagnolo all’allargamento della base militare americana a Rota – che accoglie circa 4000 unità tra soldati e civili statunitensi – e dalla partecipazione di Madrid alle missioni internazionali in Afghanistan e in Iraq. L’elezione di Zapatero nel 2004, contrario alla guerra, ha portato al ritiro del contingente spagnolo in Iraq a un anno esatto dall’inizio della missione e dopo gli attentati di Madrid (aprile 2004). Ciò non ha tuttavia comportato un minore impegno della Spagna sul fronte internazionale, che è stato ribadito dalla scelta di proseguire la partecipazione alla missione di peacekeeping Unifil in Libano, della quale la Spagna ha assunto il comando nel gennaio 2010.
Sul fronte interno, il terrorismo indipendentista e i rapporti tra il governo e l’Eta continuano a rappresentare un problema irrisolto, nonostante i tentativi degli ultimi anni (in particolare la mediazione del 2006 portata avanti dal governo Zapatero) di trovare una soluzione politica. Nell’ottobre 2011 l’organizzazione separatista ha annunciato l’impegno a superare il confronto armato e ha invitato i governi di Madrid e Parigi ad aprire un dialogo per trovare una soluzione al conflitto durato oltre 40 anni. Allo stesso tempo, i vertici dell’organizzazione hanno invitato i rappresentanti dell’Izquierda Abertzale (le correnti della sinistra marxista basca) a rinunciare alla violenza e a entrare nella legalità politica, rafforzando la causa e il sostegno nazionalista all’indipendenza basca.
Il 2 giugno 2014 il re di Spagna Juan Carlos I di Borbone ha annunciato in diretta televisiva la sua intenzione di voler lasciare il trono in favore del fi glio Felipe. La notizia ha in parte colto di sorpresa i media e il paese ed era stata anticipata poche ore prima dal primo ministro durante una conferenza stampa d’urgenza convocata lo stesso giorno, nella quale Rajoy ha ricordato il sovrano uscente come «il più grande difensore infaticabile della democrazia e degli interessi spagnoli nel mondo». Il contributo di Juan Carlos fu infatti decisivo nell’ambito del processo di democratizzazione del paese, avendo sventato il colpo di stato militare del 23 febbraio 1981 del colonnello della Guardia Civil Antonio Tejero. Un episodio che lo ha reso molto popolare e amato nel paese, almeno fi no agli ultimi anni del secolo scorso quando una serie di scandali personali e familiari hanno intaccato la sua credibilità e quella dell’istituto che rappresentava, la monarchia, facendo supporre a molti analisti che la causa della successione fosse dovuta anche a una questione di opportunità politica. La cerimonia di incoronazione è avvenuta il 19 giugno a Madrid al palazzo della Zarzuela, la residenza privata del re di Spagna, dove Felipe VI ha ricevuto l’incarico uffi ciale dal dimissionario Juan Carlos quale nuovo capo di stato e delle forze armate. Il re ha poi tenuto un discorso a camere riunite al Congreso de los Diputados nel quale ha ricordato le sfi de presenti e future per la Spagna promettendo di governare su «un paese unito e diverso». Felipe VI ha fatto riferimento alle tensioni tra le diverse comunidades autonomas e ai rischi per l’unità nazionale qualora la Catalogna decidesse di secedere dal governo centrale di Madrid.
Il tanto atteso referendum sull’indipendenza della Catalogna alla fine non si è tenuto. Più che la bocciatura del parlamento di Madrid e del Tribunale supremo spagnolo – con quest’ultimo che ha accolto il ricorso del governo Rajoy contro la consultazione –, è stato lo stesso presidente della Generalitat locale Artur Mas a bloccare il referendum del 9 novembre 2014 che avrebbe potuto concedere una storica indipendenza alla comunità autonoma catalana. Mas ha precisato che una consultazione, dal valore esclusivamente simbolico, si sarebbe tenuta comunque il 9 novembre e avrebbe contenuto lo stesso quesito del referendum. La decisione del presidente catalano giunge dopo i duri scontri registrati non solo con il governo centrale di Madrid ma anche per le tensioni interne al suo stesso esecutivo, nel quale i partiti minori pro-referenfum hanno evidenziato il ‘nonsense’ di una consultazione priva dei crismi della piena legalità. Infatti, il punto focale che ha costretto Mas all’annullamento del voto risiede proprio nella sua assenza di un valore costituzionale legittimo e quindi i suoi effetti saranno da dichiarare nulli.
La Costituzione spagnola, infatti, non contempla la possibilità di tenere un referendum sulla sovranità che non includa il voto di tutti i cittadini spagnoli. Come rilevato dai giudici dell’Avvocatura di stato spagnola qualora anche avesse vinto il sì non avrebbe avuto altro che un valore simbolico, sebbene racchiudesse un’innegabile dote politica. È proprio su questo punto che Mas e il suo gruppo pro-secessione hanno costruito un’intera campagna anti-centralismo che ormai perdura da oltre quattro anni. Alla base del contrasto tra Barcellona e Madrid vi sarebbe lo strappo consumato nel 2010 quando il Tribunale supremo ha bocciato la Costituzione catalana che attribuiva maggiore autonomia alla Generalitat.
Euskadi ta Askatasuna (Eta) – letteralmente ‘Paesi Baschi e libertà’ – fu fondata il 31 luglio del 1959 da alcuni studenti nazionalisti convinti che il Partido Nacionalista Vasco (Pnv) rappresentasse gli interessi baschi in modo inadeguato all’epoca del franchismo. Il movimento univa l’ideologia antispagnola e ultracattolica del fondatore del Pnv, Sabino Arana, all’ispirazione marxista-leninista; il suo obiettivo era l’indipendenza della regione basca dalla Spagna. Considerata un’organizzazione terroristica dal governo spagnolo e, dal 2001, anche dall’Eu, l’Eta si è resa responsabile di più di 800 omicidi e di migliaia di rapimenti, le cui vittime appartenevano prevalentemente a polizia ed esercito. Il primo attentato risale al giugno 1968. L’attività terroristica si è però impennata dopo la morte di Franco, nella seconda metà degli anni Settanta, per poi diminuire d’intensità. L’Eta ha rotto le tregue da essa stessa dichiarate ben otto volte. La penultima nel 2006, quando annunciò un cessate il fuoco permanente per poi infrangerlo con gli attacchi all’aeroporto Barajas di Madrid del dicembre 2006, dopo che Zapatero aveva stabilito l’apertura di un canale di dialogo e si era reso disponibile a numerose concessioni. L’Eta ha dichiarato un nuovo cessate il fuoco permanente nel gennaio 2011 accolto tuttavia con molto scetticismo dal governo e dall’opinione pubblica ma anche dal Pnv.
Braccio politico dell’Eta è stato il partito radicale di sinistra Batasuna, fondato nel 1978 con il nome di Herri Batasuna (‘Unità del popolo’). In lotta per l’indipendenza dei Paesi Baschi, è stato dichiarato illegale e bandito nel 2003 dal Tribunale supremo spagnolo. Sulla questione si è pronunciata nel 2009 anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ritenendo la dissoluzione del partito un’esigenza sociale. Nel febbraio 2011 è stato creato il nuovo partito basco, Sortu, che ha dichiarato di rifiutare la violenza. L’aspirazione del movimento era partecipare alle elezioni locali del maggio 2011 nei Paesi Baschi. La richiesta fu respinta dalla Corte suprema spagnola perché il partito fu ritenuto una diretta prosecuzione di Batasuna. Solo nel giugno 2012 la Corte suprema ha legalizzato la posizione di Sortu riconoscendone il diritto di associazione politica.