SPAGNA
(XXXII, p. 169; App. I, p. 1011; II, II, p. 868; III, II, p. 782; IV, III, p. 379)
In applicazione della Costituzione entrata in vigore il 28 dicembre 1978, il territorio spagnolo è stato suddiviso in 17 Comunidades autónomas, ciascuna dotata di organi legislativi ed esecutivi propri, con ampia giurisdizione: Paese Basco e Catalogna ebbero le rispettive elezioni nel marzo 1980, la Galizia nell'ottobre 1981, l'Andalusia nel maggio 1982, e le restanti nel maggio 1983. Varie Comunità autonome, nel cui ambito permangono le tradizionali ripartizioni provinciali, hanno adottato ufficialmente il bilinguismo, parificando le parlate locali (euskara, catalano, gallego) al castigliano.
Popolazione. - Al censimento del 1991 la popolazione ammontava a 38.748.053 ab. (77 ab./km2); era di 37.682.355 al 1° marzo 1981. Con un coefficiente di accrescimento annuo sceso dall'1% o poco più degli anni Settanta allo 0,2% del periodo 1987-92, la popolazione spagnola nell'ultimo decennio ha mantenuto un saldo lievemente positivo, ben distribuito fra le varie Comunità del paese, se si eccettua qualche isolato caso sopra la media (Madrid, Murcia). Inversamente, si registrano situazioni stazionarie in pochissime province (Ávila, Segovia e Soria in Castiglia-León; Huesca e Teruel in Aragona) e un lieve calo nella sola provincia di Santa Cruz de Tenerife, nelle Canarie, peraltro in via di riequilibrio. Questi dati nascondono, tuttavia, il permanere di squilibri socio-economici fra il Sud e il resto della S., squilibri che continuano ad alimentare forti migrazioni interne e internazionali ormai molto attenuate rispetto al passato anche recente. Nello stesso senso, va sottolineata la tendenza costante all'inurbamento, ancora netta benché privilegi ora − come negli altri paesi sviluppati − le città medie più che le metropoli. La capitale, Madrid, nel 1991 contava 2.909.792 abitanti.
Condizioni economiche. - Sebbene la S. sia oggi da considerare la quinta potenza industriale dell'Europa comunitaria, e fra le prime dieci al mondo, la sua economia resta largamente caratterizzata dalle produzioni agricole, cui provvede il 10,1% (1992) della popolazione attiva. Nel 1992 il reddito pro capite ammontava a oltre 14.000 dollari ma nel 1993, in conseguenza della debolezza della peseta sui mercati internazionali, è tornato a 13.650 dollari. Nell'intervallo 1985-93, in termini reali, il reddito si è incrementato, mediamente, del 3,1% l'anno.
Sempre rilevanti, a livello mondiale, sono le produzioni di agrumi (4,9 milioni di t nel 1992), di olive (0,3 milioni di t), di olio di oliva (0,6 milioni di t), di vino (37 milioni di hl), di ortaggi, frutta e fiori. Queste ultime hanno orientato la riconversione dovuta all'inserimento progressivo nel mercato agricolo comunitario, soprattutto in quanto primizie, e risultano in continuo aumento grazie anche al notevole ampliamento delle aree irrigue (specie nelle regioni del Levante) e delle serre (in provincia di Almería, con circa 10.000 ha, si ha il più esteso insieme di serre d'Europa). Permangono, tuttavia, anche alcune caratteristiche tradizionali negative, come la scarsa produttività nella cerealicoltura (circa il 30% della produttività media dell'Unione Europea), e nella viticoltura che, pur vantando la superficie coltivata più estesa al mondo, ha una produzione assai al di sotto di quelle italiana e francese. In ampia misura, comunque, si tratta delle conseguenze di vincoli ambientali (aridità, acclività, ecc.) difficilmente eludibili, tanto che l'Unione Europea considera sfavorito circa il 60% delle terre agricole spagnole, e a cui si tenta di ovviare con interventi di valorizzazione e recupero, cui da molti anni si dedicano ingenti risorse. Strutturale, invece, è lo squilibrio fondiario, ancora assai pesante: le aziende con meno di 2 ha sono il 41% del totale e si dividono l'1,6% della superficie agraria; inversamente, il 2,6% delle aziende possiede più di 100 ha e copre complessivamente il 61,8% della superficie agraria. Infine, sempre relativamente al settore primario, va richiamata l'importanza della pesca (con una nutrita flotta d'altura) e dell'allevamento ovino.
Il rapido processo d'industrializzazione che si è registrato negli ultimi tre decenni ha reso complessivamente insufficienti ai bisogni interni le pur notevoli risorse minerarie spagnole. Sono tuttavia aumentate negli ultimi anni le produzioni di carbone (13,9 milioni di t nel 1991) e lignite (19,6 milioni), di zinco (206.300 t nel 1992), rame, gas naturale, uranio, oro, mentre risultano in calo o appena stabili le produzioni di piombo (31.000 t), ferro (1,6 milioni di t), piriti cuprifere (1,6 milioni di t nel 1990, in parte esportate), e quasi abbandonata quella del mercurio. L'industria di trasformazione, che occupa circa un quinto degli attivi, è orientata soprattutto verso la metalmeccanica, il tessile (cotone) e, più recentemente, la chimica di base. Specialmente importante è il settore metalmeccanico, con le antiche attività siderurgiche (tradizionalmente concentrate nel Paese Basco, nelle Asturie e nel Levante), che continuano a dare un prodotto quantitativamente importante ma ormai stabilizzato da anni, e con le industrie meccaniche, prime fra tutte quella automobilistica (che, con 1.790.000 autovetture prodotte nel 1992, per circa due terzi esportate, si situa al terzo posto in Europa e al quinto nella produzione mondiale per paese), e quella cantieristica. Parallelamente alla crescita industriale, si è naturalmente registrato un incremento della dotazione energetica, con una potenza installata (1991) di oltre 43,6 milioni di kW e una produzione di 155.700 milioni di kWh, di cui un quinto di origine idrica e circa il doppio di origine nucleare (in nove centrali termonucleari). Da notare, infine, la crescita del settore delle costruzioni e dei lavori pubblici, sostenuta anche da vasti interventi d'infrastrutturazione stradale.
Sempre meglio inserita nell'Unione Europea e quasi allineata, quanto a condizioni socio-economiche medie, agli altri paesi, la S. sembra dover risolvere soprattutto problemi strutturali di ordine sociale, anche se le condizioni dell'economia non sono completamente rassicuranti, come dimostra la bilancia commerciale (ormai quasi interamente relativa a scambi intracomunitari) negli ultimi anni in deficit permanente, solo in parte compensata da un sempre crescente afflusso turistico (52,3 milioni di presenze nel 1992).
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Politica economica e finanziaria. - All'inizio degli anni Ottanta l'economia spagnola è stata caratterizzata da un modesto tasso di crescita (meno dell'1% nel periodo 1980-82), da un tasso d'inflazione più elevato rispetto a quello medio dei paesi europei e da ampi disavanzi della bilancia dei pagamenti di parte corrente (circa il 2,5% del PIL annuo). Nel 1983 le autorità hanno intrapreso un processo di aggiustamento basato su una considerevole restrizione della politica monetaria. Questo processo è stato rafforzato da una politica dei redditi volta a promuovere una significativa diminuzione dei salari reali e da una svalutazione dell'8% della peseta nel dicembre del 1982. Non sono stati invece conseguiti risultati di rilievo nel contenimento della spesa pubblica: nonostante un aumento della pressione fiscale, nel 1985 il disavanzo pubblico, quale riflesso di un rapida crescita dei consumi e dei pagamenti per interessi, aveva raggiunto il 7% del PIL.
La restrizione monetaria ha assicurato un miglioramento della situazione dei conti con l'estero e dell'inflazione. Nel 1985 il saldo di parte corrente ha infatti presentato un avanzo dell'ordine del 2% del PIL, mentre il tasso d'aumento dei prezzi al consumo, da oltre il 14% del 1982, è sceso al 7%. In questo periodo anche i profitti delle imprese sono notevolmente migliorati. Il processo di aggiustamento ha tuttavia comportato una contrazione della domanda interna, soprattutto quella per investimenti, e un aumento del tasso di disoccupazione che è salito dal 16% del 1982 al 21,5% del 1985. Il deterioramento della situazione del mercato del lavoro ha spinto le autorità spagnole a rendere meno restrittive le condizioni finanziarie; a partire dal 1985, infatti, sono stati introdotti sgravi d'imposta e incentivi fiscali agli investimenti. Nel 1986 la spesa pubblica ha continuato a essere di stimolo all'attività economica attraverso la rapida crescita dei consumi e dell'occupazione, determinata in parte dal processo di decentramento regionale. Ciononostante, l'introduzione dell'IVA, l'aumento delle imposte sui prodotti petroliferi e di altre tasse, insieme alla ripresa dell'attività economica, hanno contribuito al sensibile aumento delle entrate statali e alla riduzione del disavanzo pubblico in rapporto al PIL (dal 7% del 1985 al 6% del 1986). La ripresa del credito al settore privato, l'aumento dei salari reali, la riduzione di alcune rigidità strutturali nel mercato del lavoro, insieme al favorevole andamento delle ragioni di scambio, hanno consentito una sensibile accelerazione del tasso di crescita nel triennio 1987-89 (più del 5% medio annuo). In questo periodo il tasso d'inflazione è sceso di quasi quattro punti percentuali, intorno al 6%, mentre il deficit pubblico in rapporto al PIL è sceso di tre punti percentuali.
I primi anni Novanta sono risultati più difficili per l'economia spagnola: il tasso di crescita del PIL è andato progressivamente diminuendo, fino a risultare negativo nel 1993. Il tasso d'inflazione ha fatto registrare solo limitati miglioramenti, mentre è cresciuto sia il disavanzo pubblico (dal 2,8% del PIL del 1989 al 7,5% del 1993), sia il tasso di disoccupazione (dal 17,3% al 22,7%). Nonostante gli sforzi delle autorità volti ad aumentare la competitività e la produttività delle imprese, il vincolo estero è tornato a farsi stringente. Il disavanzo di parte corrente è salito dagli 11 miliardi di dollari del 1989 ai 18 del 1992 con un miglioramento (4,2 miliardi di dollari di disavanzo) nel 1993 dovuto alla svalutazione della peseta. Nel 1994 il paese è entrato in una fase di ripresa guidata dalle esportazioni, cosicché il PIL ha ripreso a crescere, sebbene in presenza di un aumento della disoccupazione. Nel marzo 1995 la peseta, investita dalla crisi valutaria internazionale, ha subito un'ulteriore svalutazione.
Storia. - Il cambio della dirigenza politica, ma non del sistema istituzionale e sociale, ha caratterizzato la storia della S. negli anni Ottanta. Il processo di omologazione ai modelli politici, economici, culturali e sociali prevalenti nell'Europa occidentale, iniziato già negli ultimi anni dell'epoca franchista, appare ormai concluso: il parziale isolamento internazionale del paese è finito altresì ufficialmente con l'adesione all'Alleanza Atlantica (maggio 1982) e alla Comunità Economica Europea (gennaio 1986).
Le elezioni politiche generali che si tennero nel 1979, successivamente all'approvazione della Costituzione, parvero confermare il radicamento della centrista Unión de Centro Democrático (UCD), creazione del primo ministro A. Suárez González, artefice della transizione alla democrazia. Tuttavia le difficoltà create dalla sfavorevole congiuntura economica, l'insuccesso registrato dal partito di maggioranza nelle prime consultazioni per i Parlamenti della Catalogna e dei Paesi Baschi (marzo 1980) e la crescente opposizione in seno all'UCD spinsero Suárez a dimettersi dal governo nel gennaio 1981. Lo sostituì L. Calvo Sotelo, già vicepresidente del Consiglio nell'ultimo ministero ed esponente della destra dell'UCD.
In occasione dell'insediamento del nuovo esecutivo si registrò la più clamorosa manifestazione dell'ostilità di una parte delle forze armate alla democrazia, attraverso il sequestro dei parlamentari all'interno del Congreso (Camera dei deputati) da parte di militi della Guardia Civil (corpo di polizia equivalente all'arma dei Carabinieri in Italia) guidati dal ten. colonnello A. Tejero. Il tentativo di colpo di stato, appoggiato in provincia da alcuni ufficiali generali, tra cui a Valenza da J. Milans del Bosch, rientrò grazie all'azione decisa di re Juan Carlos: una trentina di ufficiali vennero condannati a pene detentive. Più tardi, nell'ottobre 1983, venne scoperto un altro complotto militare, e anche in seguito si sono avuti a tratti moti d'insofferenza negli ambienti castrensi: le autorità civili li hanno fronteggiati sia con provvedimenti disciplinari sia, soprattutto, con una politica di miglioramenti salariali, di maggiori stanziamenti per la difesa, e di riforme (a quella del 1977 è seguito, nel 1983, un piano di ampia modernizzazione).
Alla necessità di controllare i militari offrendo loro, in cambio dell'accettazione della democrazia, positive contropartite, può in parte ricondursi la più rilevante iniziativa del governo di Calvo Sotelo: l'ingresso della S. nella NATO (con alcune riserve in merito alla piena integrazione militare) nel maggio 1982, nonostante l'opposizione delle sinistre e della parte più nazionalista della destra. Il provvedimento, cui nel luglio seguì il rinnovo del patto di difesa con gli Stati Uniti, segnò una scansione di rilievo, data la riluttanza della S. negli ultimi due secoli a entrare in alleanze internazionali. Malgrado altri importanti provvedimenti (specie la legge del giugno 1981 sul divorzio), la debolezza del governo di Calvo Sotelo venne evidenziata da incertezze nella gestione di alcuni scandali, da rovesci nelle elezioni dei primi Parlamenti della Galizia e dell'Andalusia (rispettivamente, ottobre 1981 e maggio 1982) e, soprattutto, dai crescenti contrasti interni all'UCD: lo stesso Suárez nel luglio 1982 fondò un nuovo partito, il Centro Democrático y Social (CDS). Come già nel 1979, furono anticipate le elezioni, che si tennero nell'ottobre 1982. L'UCD subì un tracollo ben superiore alle aspettative ottenendo soltanto 12 seggi nel Congresso (non molto dissimile fu il risultato per il Senato, seppure in questo siano presenti anche 49 membri designati dalle regioni). Il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), con il 46% dei suffragi ottenne, grazie al sistema elettorale vigente (proporzionale corretto che favorisce le formazioni maggiori e preclude l'accesso alle liste che non ottengano almeno il 3%), la maggioranza assoluta (202 deputati su 350); parte dei voti moderati già dell'UCD si riversarono sulla formazione di centro-destra Alianza Popular (106 seggi); i comunisti (PCE) ebbero soltanto quattro deputati, e due il CDS di Suárez. Da allora i socialisti ebbero il monopolio del governo, guidato ininterrottamente dal dicembre 1982 dal segretario del partito, F. González. Il nuovo esecutivo diede prova di molta moderazione e abbandonò rapidamente sia il linguaggio marxista sia la serie di riforme di struttura promesse all'origine. Specialmente in campo economico e finanziario furono adottati interventi in linea con i meccanismi del mercato, il che permise alla nuova classe politica di ottenere la fiducia dei tradizionali centri capitalistici. Si continuò a liberare gradualmente l'economia dai vincoli vigenti nel periodo franchista sia all'interno sia verso l'estero; limitate misure (per lo più una politica di sussidi, specie a favore dei lavoratori agricoli) furono adottate per ridurre l'alto tasso di disoccupazione, a lungo il più elevato in Europa (nel 1986 più di 3 milioni, pari al 21% della forza lavoro). In termini strettamente economici tale linea permise di ridurre i settori assistiti (acciaierie, cantieri navali, ecc.) e favorì una ristrutturazione basata sulla competitività, esaltando le capacità degli imprenditori nazionali, sempre più presenti sui mercati internazionali specie dopo le opportunità offerte dall'adesione alla CEE. Politicamente, la linea centrista seguita di fatto dal governo tolse altresì all'opposizione moderata ogni concreto motivo di contestazione. L'inegualitaria ripartizione del nuovo benessere suscitò tuttavia rimostranze da parte dei ceti sociali meno favoriti. Lo stesso sindacato socialista, l'Unión General de los Trabajadores (UGT), finì per dissociarsi alla fine del 1987 dalla politica governativa e per porre termine al collateralismo anche elettorale sino ad allora attuato: insieme al principale sindacato dell'opposizione, le filocomuniste Comisiones Obreras, diede poi vita a manifestazioni di dissenso, tra cui uno sciopero generale che paralizzò nel dicembre 1988 l'attività delle grandi città.
Una parte della società civile rimproverava altresì al PSOE un'eccessiva arroganza nella gestione del potere per aver posto propri uomini in ogni settore della vita pubblica. Rapida apparve invero la formazione di una giovane classe politica, che si sostituì capillarmente alla precedente. Soltanto sporadiche critiche provennero tuttavia dagli ambienti intellettuali, data l'attenzione e le generose provvidenze riservate dal governo alla cultura e ai suoi operatori. Accentuati cambiamenti nel costume (allontanamento dalla morale tradizionale in materia religiosa, sessuale, e comportamentale in genere) interessarono la società spagnola, almeno nelle maggiori città. Il governo Suárez nel gennaio 1979 aveva stipulato con i rappresentanti della Chiesa cattolica, in ottemperanza all'art. 16 della Costituzione, quattro accordi sostitutivi del precedente concordato (tradotti in legge ordinaria nel dicembre successivo) in merito all'indipendenza dello stato da ogni confessione, all'insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, ecc. Qualche frizione successivamente si manifestò tra il governo González e la gerarchia ecclesiastica in merito alla legalizzazione dell'aborto e ai maggiori controlli voluti dal governo sulle scuole private (più del 30% degli alunni frequentano una scuola confessionale). Analogamente a quanto si verifica in altri paesi dell'Occidente, e forse in misura anche più accentuata rispetto a quelli, si registrava in S. una caduta di tensione e di ideali: si adottò il termine desencanto per indicare il venir meno delle più rosee aspettative connesse all'avvento della democrazia, e si coniò il neologismo pasotismo ("noncuranza") per significare il rifiuto, specie della gioventù, di ogni preoccupazione civile, politica e sociale.
La fine del precedente centralismo fu un altro dei caratteri che differenziarono la S. democratica. In più tappe dal 1978 si attuò un ordinamento regionale. Allo scopo di attenuare l'impatto politico prodotto dalla concessione di un'effettiva autonomia alle regioni (Paesi Baschi e Catalogna; in minor misura, Galizia) aventi specifici caratteri di differenziazione come la lingua, tutto il territorio spagnolo fu diviso in 17 comunità autonome dotate di un proprio parlamento (eletto per quattro anni), giunta di governo, amministrazione, bandiera. Il processo, inevitabilmente, assunse caratteri anche artificiali poiché si dovettero creare regioni mai esistite prima (per es., Castiglia-La Mancha, Cantabria, La Rioja, Madrid, ecc.), e fece lievitare vertiginosamente le spese amministrative correnti in uno stato che nel periodo di Franco era invece all'ultimo posto in merito tra i paesi dell'OCSE. La concessione di uno statuto speciale, più ampio di quello ordinario, alle tre regioni linguisticamente diverse sopra ricordate pare aver soddisfatto sostanzialmente le istanze di autonomia della Catalogna: là si consolidò rapidamente (maggioranza assoluta nel Parlamento regionale, e 18 seggi nel Congreso di Madrid alle elezioni del 1989) un partito moderato d'ispirazione nazionalista, Convergencia i Unió (CiU), che, sotto la guida indiscussa del finanziere J. Pujol, divenne concorrente del PSOE, partito che in Catalogna è al secondo posto grazie ai suffragi ottenuti tra gli immigrati. Se la Galizia non ha mai mostrato seri intenti separatistici (la maggiore forza politica è Alianza Popular), nei Paesi Baschi (Euskadi) la concessione di una forte autonomia (comprendente altresì una polizia propria) non attenuò le tensioni esistenti. Alle istanze indipendentistiche di una parte della popolazione basca rimaneva collegata la persistenza del terrorismo in S. (minori azioni armate sono state condotte, comunque, anche da gruppi eversivi di altra provenienza, come i GRAPO, genericamente di estrema sinistra, e la catalana Terra Lliure).
La lotta condotta dall'ETA contro le ''forze di occupazione spagnoliste'' non si spense con l'avvento della democrazia. Nell'ottobre 1977 uscì dal carcere l'ultimo terrorista e prese la via dell'esilio: sul finire del 1979 erano nuovamente detenuti più di cento separatisti, e circa 450 erano rifugiati in Francia. Sanguinosi attentati compiuti contro le forze di polizia, l'esercito e anche uomini politici e magistrati, all'interno di Euskadi ma pure a Madrid e in altre città spagnole, causarono centinaia di vittime negli anni Ottanta (talvolta i terroristi colpirono in modo indiscriminato anche la popolazione civile, specie nel 1987, quando una bomba in un supermercato di Barcellona causò venti morti). Alle violenze dell'ETA la polizia rispose impiegando a volte anche mezzi illegali, e i Grupos Antiterroristas de Liberación (GAL) presero dal 1983 a eliminare fisicamente noti esponenti dell'ETA anche all'estero. Il mutamento di politica della Francia, che specie dal 1986 ha cessato di tollerare gli sconfinamenti, e gli accordi stipulati dal governo di Madrid con una serie di paesi africani e latinoamericani per un tacito confino laggiù di alcuni terroristi, non diedero i risultati sperati; a più riprese furono annodati, e poi interrotti, negoziati segreti tra le parti. La questione appariva infatti bloccata dall'intransigenza dell'ala più dura dell'ETA. La rivendicazione indipendentista continuava a godere del resto dell'appoggio di una parte non trascurabile della popolazione, come mostravano le periodiche manifestazioni di massa e i risultati elettorali conseguiti dal partito Herri Batasuna (HB, "Unità del popolo"), braccio politico dell'ETA (4 deputati nel Congresso di Madrid eletto nel 1989, e 13 nel Parlamento basco formatosi nel 1986). Inoltre, nonostante le condanne verbali del terrorismo, ambigua appariva spesso la posizione degli altri meno radicali partiti a base etnica presenti nella regione: il cattolico-moderato Partido Nacionalista Vasco (PNV), già maggioritario ma dimezzatosi dopo una scissione nel 1986 (5 deputati a Madrid e 17 nel Parlamento autonomo a Vitoria); il gruppo di centro-sinistra Eusko Alkartasuna (EA, "Solidarietà basca", 13 seggi a Vitoria); il partito dell'estrema sinistra tradizionale, ma etnico, Euskadiko Ezquerra (EE, "Sinistra basca", 9 seggi a Vitoria). Limitati apparivano i consensi nella regione ai partiti centristi spagnoli (CDS e CP, con due deputati ciascuno): la popolazione non nazionalista concentrava i propri voti sui socialisti (PSE-PSOE). Costoro, dopo la scissione che aveva interessato il PNV, erano, con 19 seggi, il maggior gruppo presente nel Parlamento autonomo, ma risultavano minoritari rispetto alla somma di tutti i partiti baschi: dal 1987 la regione ebbe comunque un governo di coalizione formato dal PNV e dai socialisti. L'economia delle Province Basche, precedentemente in testa nelle statistiche nazionali, continuava nel frattempo a decadere, a causa della pratica di taglieggiamenti e rapimenti impiegata per finanziarsi dall'ETA contro gli imprenditori, conseguenza della quale furono la chiusura delle fabbriche o il loro trasferimento nelle regioni adiacenti.
Nelle altre comunità autonome i parlamenti furono eletti la prima volta nel maggio 1983 e vi prevalsero i partiti nazionali. La dinamica elettorale, comprendendo le consultazioni municipali, regionali, nazionali e per il Parlamento Europeo, è risultata oscillante. La prevalenza socialista è stata via via ridimensionata ma non annullata. Nelle elezioni politiche generali del giugno 1986 e ottobre 1989, di nuovo anticipate rispetto alla scadenza normale della legislatura e sempre caratterizzate da una bassa affluenza di votanti, i deputati del PSOE si ridussero, nell'ordine, a 184 e poi a 176. Il calo dei consensi socialisti tuttavia non avvantaggiò in misura significativa le opposizioni di destra e di sinistra, incapaci di produrre una valida alternativa al partito di governo. Il maggiore schieramento dell'opposizione, Alianza Popular, fu a lungo travagliato dal ritiro e poi dal ritorno del suo massimo dirigente, M. Fraga Iribarne, e anche presentandosi in cartelli più vasti raggruppanti altre formazioni (dapprima Coalición Popular, poi PP, Partido Popular) non andò al di là di 105 e 106 seggi, rispettivamente nel 1986 e 1989. Il CDS cercò, senza trovarla, un'autonoma collocazione al centro e, in fase ascendente a metà del decennio (19 deputati nel 1986 e un buon successo nelle elezioni locali, regionali ed europee del 1987), calò poi a 14 seggi nel 1989. I comunisti, dopo l'allontanamento del segretario S. Carrillo, già teorico dell'eurocomunismo, si frazionarono in più partiti: la coalizione Izquierda Unida (IU) guidata dal PCE ottenne 7 seggi nel 1986 e 17 nel 1989.
Dopo le elezioni politiche dell'ottobre 1989, la vita politica della S. fu caratterizzata da una serie di scandali legati a episodi di corruzione, che coinvolsero esponenti sia del PSOE, sia del PP. Nel 1990 J. Guerra, fratello del vicepresidente del Consiglio, fu accusato di essersi servito delle sue conoscenze politiche per mettere insieme una considerevole fortuna personale. Nello stesso anno fu arrestato per corruzione il tesoriere del PP, R. Naseiro, mentre quello del PSOE, C. Navarro, fu costretto a dimettersi nel giugno 1991 perché coinvolto in uno scandalo. All'inizio del 1993 l'immagine del Partito socialista, che nelle elezioni locali e dei parlamenti regionali tenutesi nel maggio 1991 aveva perso il controllo di diverse importanti città (il CDS aveva subito perdite tali che A. Suárez si era dimesso), fu ulteriormente danneggiata da rivelazioni relative all'irregolare finanziamento del partito. L'economia del paese, dopo alcuni anni di espansione, a partire dal 1992 era intanto entrata in una fase di forte recessione. La continua perdita di posti di lavoro (nel 1994 il tasso di disoccupazione giunse al 24,3%) e la flessione della produzione industriale, particolarmente nel settore automobilistico, determinarono la più grave crisi degli ultimi trent'anni. La peseta fu svalutata del 5% nel settembre 1992, ancora del 6% nel novembre e dell'8% nel maggio 1993. I contraccolpi nel paese non tardarono: nel novembre 1992 più di un milione di lavoratori del settore pubblico partecipò a uno sciopero contro il blocco delle retribuzioni, mentre nel marzo 1993 una ''marcia verde'' di agricoltori culminò in una dimostrazione di più di 100.000 persone a Madrid. Continuavano anche le violenze dell'ETA, nonostante i duri colpi inferti dal governo all'organizzazione: nel settembre 1990 fu arrestato in Francia J.J. Zabaleta Elosegui (''Waldo''), il numero due dell'ETA e nel marzo 1992 fu catturato F. Mugica Garmendia (''Pakito''), leader dell'ala militare dell'organizzazione.
A causa dello scandalo che aveva portato alla luce un sistema illegale di finanziamento del PSOE e per il protrarsi della crisi economica, nell'aprile 1993 González annunciò le elezioni politiche generali per il giugno di quello stesso anno. Il PSOE perse la maggioranza assoluta e scese a 159 seggi, il PP incrementò la sua rappresentanza ottenendo 141 seggi, mentre la IU ne ebbe 18, la CiU 17 e il PNV 5. La CDS perse tutti i suoi seggi. In seguito a questi risultati elettorali, il PSOE aprì negoziati con la CiU e il PNV, ma non si riuscì a trovare un accordo. Nonostante ciò nel luglio 1993 González inaugurò il suo quarto governo, assumendo la guida di un'amministrazione di minoranza che gode dell'appoggio di alcuni partiti regionali, come la CiU e il PNV. Di fronte al tentativo del governo di avviare a soluzione la crisi economica intervenendo sulla spesa pubblica e in particolare sui sussidi di disoccupazione, fu indetto dai sindacati nel gennaio 1994 uno sciopero generale di 24 ore, attraverso il quale si voleva respingere anche il progetto governativo di introdurre una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Nel primo trimestre del 1994, tuttavia, dopo più di un anno di recessione, il prodotto interno lordo registrava un modesto incremento.
Le elezioni comunali e regionali tenutesi nel maggio 1995 videro una nuova battuta d'arresto delle forze governative: il PP, guidato da J.M. Aznar, ottenne rispettivamente il 35,3% e il 44,6% dei voti, contro il 30,8% e il 31,5% del PSOE di González. Questi risultati comportarono un considerevole ridimensionamento del potere dei socialisti nei comuni e nelle regioni e la rinnovata richiesta di elezioni politiche anticipate da parte del centro-destra.
La politica estera del governo socialista è apparsa più dinamica di quella dei precedenti governi centristi, ma non se ne è sostanzialmente discostata. Particolarmente rilevante è stato il cambio di rotta in merito alla presenza della S. nella NATO. Già fautore di un ritiro dall'alleanza quando era all'opposizione, González, una volta asceso alla presidenza del governo, dapprima congelò la questione: quando poi, nel marzo 1986, finì per convocare un referendum popolare da tempo promesso, impegnò tutta la forza propagandistica del governo e del partito per far accettare la permanenza del paese nella NATO, pur con una serie di salvaguardie della sovranità nazionale e dietro la promessa di un parziale ritiro delle truppe statunitensi. Tale posizione mise in difficoltà le opposizioni di centro e centro-destra, al punto che queste invitarono i propri sostenitori all'astensione; i voti contrari dell'estrema sinistra, dei neutralisti e dei pochi radicali nostalgici del passato regime non valsero a rovesciare l'opzione governativa, che vinse con un certo margine. Nel 1988 González annunciò il ritiro delle forze statunitensi dalla base aerea di Torreón de Ardoz, nelle vicinanze di Madrid, e la riduzione degli effettivi in altre basi; successivamente fu stipulato un nuovo accordo di difesa con gli Stati Uniti. Il governo socialista non ha risparmiato occasionali critiche alla politica seguita dagli Stati Uniti, specie in America latina, continente di cui la S., per ragioni storiche e linguistiche, si è assunta la difesa in seno all'Unione Europea. Nel primo semestre del 1989 la S. assunse per la prima volta la presidenza della CEE; un esponente del PSOE, E. Barón, fu altresì eletto a capo del Parlamento Europeo nel luglio 1989. Nel novembre 1992 fu completata la ratifica del Trattato di Unione europea di Maastricht e nello stesso periodo la S. inviò un contingente di truppe in Bosnia, partecipando per la prima volta a una missione di pace delle Nazioni Unite.
Bibl.: J. Meliá, Así cayó Adolfo Suárez, Barcellona 1981; Diez años en la vida de los españoles, ivi 1986; R. Gunther, Spain after Franco: the making of a competitive party system, Berkeley 1988; P.J. Ramírez, La rosa y el capullo. Cara y cruz del felipismo, Barcellona 1989; La decada del cambio: diez años de gobierno socialista 1982-1992, Madrid 1992; La decada socialista: el ocaso de Felipe González, ivi 1992; R.E. Martinez, Business and democracy in Spain, Westport 1993; L'Espagne aujourd'hui: dix années de gouvernement socialiste, Parigi 1993.
Lingua. - Si stima che il castigliano sia attualmente la lingua madre o familiare di più di 32 milioni di abitanti della S. su un totale di circa 39 milioni, e che occupi in esclusiva circa l'82% del territorio, mentre il resto è condiviso con le altre lingue parlate da secoli in S. e aventi, a eccezione del basco, la sua stessa origine. La Costituzione del 1978 ha appunto stabilito giuridicamente il rapporto tra il castigliano e le altre lingue.
Secondo l'art. 3, punto 1, "il castigliano è la lingua ufficiale dello stato"; ma al tempo stesso si segnala che "anche le altre lingue spagnole saranno ufficiali nelle rispettive Comunità autonome d'accordo con i loro statuti" (punto 2) e che "la ricchezza delle diverse modalità linguistiche di Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione" (punto 3). Tutto ciò viene ripreso, in effetti, negli statuti di autonomia di Catalogna (1979, art. 3), Province Basche (1979, art. 6), Galizia (1981, art. 5), Comunità Valenciana (1982, art. 7) e Baleari (1983, art. 3), che affermano la co-ufficialità della lingua "propria della Comunità" e del castigliano. Nel caso della Navarra, secondo la Ley de Reintegración y Amejoramiento del Régimen Foral (1982, art. 9), è il castigliano "la lingua ufficiale" di questa Comunità autonoma, ma altrettanto lo è il basco nelle sue zone bascofone (Nordovest della provincia). In altri statuti, come quello di Aragona (1982, art. 7) e delle Asturie (1982, art. 4), si assicura protezione alle modalità linguistiche della Comunità (fablas e bable rispettivamente).
Non è ancora possibile valutare la portata e i risultati dei processi necessari alla normalizzazione linguistica, già in via di realizzazione nelle Comunità autonome bilingui. Com'è stato osservato, un adeguato ordinamento nell'insegnamento delle lingue e la non coincidenza tra i confini politico-amministrativi di alcune delle Comunità (stabiliti in base alla divisione provinciale vigente, disegnata nel 1833) e quelli delle rispettive aree linguistiche sono, probabilmente, i problemi principali.
In quanto al nome della lingua ufficiale dello stato, sebbene il testo costituzionale e quello dei vari statuti specifichi quello di ''castigliano'' (ed è questa la denominazione generalmente preferita dai parlanti delle Comunità autonome bilingui), continua a essere molto comune, d'accordo con la tradizione, l'uso indistinto di ''spagnolo'', specialmente tra i parlanti monolingui del castigliano. Anche nell'uso tecnico linguistico si usa molto frequentemente il termine ''spagnolo'' in quanto sembra più adeguato per il riferimento espresso alla ''lingua comune'', un'entità linguistica che non s'identifica più con la varietà utilizzata nella regione delle sue antiche origini e che comprende e riflette gli apporti di tutti i suoi utenti indipendentemente dalla loro provenienza. Inoltre permette di ricordare un'importante differenziazione interna della lingua sul piano fonico: in effetti, è diffuso tra gli specialisti l'uso del tecnicismo ''spagnolo castigliano'' distinto da ''spagnolo atlantico'' anche detto ''spagnolo di tendenza evolutiva'' o ''di tendenza andalusista''. Con il primo si allude a un tipo di lingua più propria alla metà settentrionale della S., comprese le aree bilingui, e anche alle zone interne e alle terre alte d'America (eccezion fatta per il ''seseo''), più omogenea e dalla pronuncia più conservatrice e salda nel consonantismo. Il secondo corrisponde alla lingua parlata nella metà meridionale della penisola, nelle isole Canarie e nelle terre basse e costiere d'America, dalla pronuncia più rilassata nelle consonanti, innovatrice e con grande eterogeneità di soluzioni.
Per quanto riguarda l'uso generale, come accade in altre lingue romanze, l'aspetto più vistoso nella lingua attuale è la presenza, soprattutto a causa dei mezzi di comunicazione, di un gran numero di stranierismi, principalmente anglicismi, che interessano in modo particolare il livello lessico-semantico. A loro volta, l'abbondanza di queste parole con consonanti finali diverse da quelle tradizionali (-l, -n, -r, -s, -d, -z) e l'imitazione, in tal caso, dei modi stranieri di formare il plurale (consonante +−s) si ripercuotono a livello fonico e morfologico generando tipi di singolari e di plurali anomali (robot, robots). Il mantenimento di questa situazione coesiste, secondo i livelli d'uso, con l'adattamento alle norme fonomorfologiche ereditate: il Diccionario della Real Academia (199221) riporta, per es., club (questa è la forma in uso) e clube, pl. clubes; boicot e boicoteo (pl. boicoteos; cfr. boicotear), ma unicamente complot, ecc.
Bibl.: Ch. Pratt, El anglicismo en el español peninsular contemporáneo, Madrid 1980; J. Mondéjar Cumpián, ''Castellano'' y ''Español'' dos nombres para una lengua, Granada 1981; AA.VV., El bilingüismo: Problemática y realidad, in Revista de Occidente, 10-11 (febbraio 1982); A. López García, El rumor de los desarraigados. Conflicto de lenguas en la península ibérica, Barcellona 1985; G. Salvador, J. Neira, M.T. Echenique, G. Colón, C. García, Mapa lingüístico de la España actual, Madrid 1986; G. Salvador, Lengua española y lenguas de España, Barcellona 1987; Els processos de normalització lingüística al'Estat espanyol actual, a cura di R. Alemany Ferrer, Alicante 1988; Las lenguas románicas españolas tras la Constitución de 1978, a cura di A. Juárez, Granada 1988; R. Lapesa, Historia de la lengua española, Madrid 19919; M. Siguan, España plurilingüe, ivi 1992; E. Lorenzo, El español de hoy, lengua en ebullición, ivi 19944.
Letteratura. - Dal punto di vista letterario, il 1975, anno della morte di F. Franco e inizio per la S. di un processo di transizione che, in un decennio, porterà il paese alla normalità democratica, non è di per sé significativo, né costituisce un punto di partenza: dell'arte si può segnalare un'origine, più che un principio. E in effetti, la letteratura spagnola aveva vissuto la stagione del rinnovamento già nel decennio precedente e, a metà degli anni Settanta, i processi erano pienamente operanti. Tuttavia, per la S. attuale, il 1975 non è un anno qualsiasi, ma ha il significato di una data-simbolo, carica di valori emotivi e psicologici, in quanto segna la fine di un quarantennale regime autoritario e, dunque, il ripristino delle libertà e della democrazia.
Sul piano più strettamente letterario, quella data ha effetti immediati, importanti e significativi. Anzitutto, si conclude la lunga e drammatica esperienza dell'esilio, con il ritorno degli intellettuali e degli scrittori. L'elenco è assai lungo, ma tra i più rappresentativi vanno ricordati R. Chacel (n. 1898), M. Andújar (n. 1913), F. Ayala (n. 1906), R.J. Sender (1902-1982), R. Alberti (n. 1902), J. Guillén (1893-1986), J.A. Valente (n. 1929), F. Arrabal (n. 1932), ecc.; di conseguenza, finisce la tradizionale distinzione, costante nel quarantennio franchista, tra ''letteratura dell'interno'' e ''letteratura dell'esilio'', per cui d'ora in avanti vi sarà, come sempre, una sola letteratura in lingua spagnola. Scompare, inoltre, la censura ufficiale, che già aveva attenuato i rigori negli ultimi anni del regime e che aveva condizionato gli scrittori e sottratto al pubblico la conoscenza di un'ampia produzione letteraria. Vengono così riproposti testi mutilati in precedenza o pubblicati all'estero, mentre per la prima volta gli scrittori esiliati possono stampare in patria le loro opere più recenti. Così, tra il 1975 e il 1976, entrano liberamente in circolazione tre dei migliori romanzi dell'inizio degli anni Settanta, già usciti in Messico: Recuento (1973) di L. Goytisolo, Si te dicen que caí (1973) di J. Marsé e Juan sin tierra (1975) di J. Goytisolo, proibiti durante il regime franchista.
Il recupero della normalità letteraria si accompagna, almeno in una primissima fase, con un vistoso fenomeno di politicizzazione a oltranza, che produce un profluvio di narrazioni politiche e memorialistiche. Nell'euforia della libertà, esse uniscono il sensazionalismo politico, la pornografia venale e un linguaggio alla moda quali ingredienti di ambigui e spregiudicati compromessi con la denuncia, con la violenza espressiva e l'ironia feroce e grottesca. Contestualmente, entrano in crisi le piccole case editrici progressiste, spesso semiclandestine, che avevano alimentato discretamente la vita culturale spagnola pubblicando soprattutto testi stranieri; e prende corpo il fenomeno dell'industria editoriale che coltiva, con opportunismo politico e semplificazione letteraria, il romanzo tradizionale, più o meno borghese e cosmopolita, conformista e internazionale, per un pubblico ancora incerto, confuso e avido di nostalgie. Il maggiore rappresentante di questo tipo di romanzo è F. Vizcaíno Casas (n. 1926), autore prolifico di annuali best-sellers.
Con l'avvento della libertà, infine, si scioglie un nodo problematico che aveva dominato il mondo letterario spagnolo per lunghi anni: l'illusione della cosiddetta ''creatività nascosta'', la convinzione cioè che, non potendo pubblicare a causa della censura, molti scrittori spagnoli conservassero nei cassetti opere importanti, impegnate, di grande valore. Frutto di una sorta di sovradeterminazione ideologica, acuita dalle obiettive e gravi limitazioni subite nel passato, l'illusione si riverbera come delusione, quando si constata che non sono venute alla luce opere che potevano costituire i chiari segni del cambiamento. L'inquietudine, esistenziale e intellettuale, è inoltre alimentata dall'ambivalenza e dal disorientamento prodotti da una situazione in cui il vecchio e il nuovo continuano a convivere e si fa fatica a venire a capo delle direzioni del futuro; per cui negli scrittori s'insinua il dubbio di aver "sognato un sogno" (Alberti). La crisi conseguente si manifesta con una sorta di percorso ''a ritroso'', cioè con un diffuso ripercorrere il passato, reimmergendosi in esso, con memoria vigile e problematica, quasi voltando le spalle al presente. In questo senso, non esiste affatto una letteratura o quantomeno un romanzo della transizione, né un romanzo sulla transizione. I riferimenti alla realtà immediata spagnola sorgono in forma collaterale, come un aspetto in più della condizione di certi personaggi, sottoposti a un determinato ambiente. Al di là di questo, si tratta piuttosto del romanzo di coloro che, dall'oggi, scrutano il passaggio della storia immediatamente precedente. C'è, insomma, una narrativa in cambiamento non una narrativa sul cambiamento.
Sul piano estetico, gli autentici mutamenti nel romanzo spagnolo erano già cominciati negli anni Sessanta. Il primo e più emblematico rappresentante della svolta narrativa è L. Martín Santos (1924-1964), il quale con Tiempo de silencio (1962) dà un contributo fondamentale per mettere in crisi i presupposti del romanzo sociale e, in genere, del realismo tradizionale, privilegiando una peculiare attenzione allo stile, al linguaggio, alla struttura narrativa. Nel corso del decennio successivo, la corrente rinnovatrice si consolida con l'assimilazione della lezione della narrativa latinoamericana, cui s'aggiunge quella, più mediata, dei maggiori scrittori esiliati.
Tuttavia, in quel clima storico di difficile apertura, lo sforzo per la transizione democratica e la conseguente dialettica individuo-società riescono ad accelerare e ad accentuare tensioni problematiche − presenti o latenti − che si manifestano, sul piano della scrittura, come spazio per sperimentare possibilità, utopie, libertà. Si acuisce la ricerca del senso dell'esistenza nel senso della scrittura e si esibiscono problemi formali per rispondere, con un'etica artistica radicale, alla fine del clima di repressione franchista. In particolare, la rivendicazione del corpo verrà a rimpiazzare la fede perduta, gli ideali frustrati o irraggiungibili, le ideologie in crisi. Nella tensione tra individuo-collettività-totalità-scrittura, il romanzo cerca un nuovo punto di appoggio che dia significato al caos e promuova l'autoanalisi e la fantasia. Si tratta di una dimensione problematica e di una volontà di dialogo emozionale, memoriale e dialettica, non intellettuale o didattica: un dialogo che ha sullo sfondo l'angustia esistenziale, tra l'ansia di comunicazione vitale e di verità personale e le costrizioni e le chiusure dei codici sociali; infine, tra ciò che avrebbe potuto essere, in un clima di libertà, e ciò che irrimediabilmente è stato e non potrà più essere. In questi anni assistiamo alla piena maturità della generazione che aveva esordito nel decennio precedente (o anche prima). Tra gli altri, pubblicano ora alcune delle loro opere più significative J. Goytisolo (Juan sin tierra, 1975; Makbara, 1980), G. Torrente Ballester (n. 1910: Fragmentos del Apocalipsis, 1977; La islas de los jacintos cortados, 1980), L. Goytisolo (Los verdes del mayo hasta el mar, 1976; La cólera de Aquíles, 1978; Teoría del conocimiento, 1981). Accanto a questa generazione di romanzieri e accanto ai maestri più anziani, ancora operanti e vitali (C.J. Cela, n. 1916; M. Delibes, n. 1920), la linea rinnovatrice e sperimentale si arricchisce, verso la metà degli anni Settanta, di narratori più giovani, le cui fonti d'ispirazione vanno cercate nel magistero dei maggiori romanzieri della precedente generazione e degli scrittori latinoamericani. Ma il maestro riconosciuto è certamente J. Benet (n. 1927), che con Saúl ante Samuel (1980) e El áire de un crímen (1980) è visto come colui che ha maturato la tradizione, innestandovi con grande e superiore originalità le tensioni rinnovatrici.
Questi narratori esprimono un intenso desiderio di stile e un atteggiamento di rigore nei confronti della parola. Nelle loro opere il riferimento alla realtà avviene sempre sotto i molteplici aspetti di una focalizzazione multipla. La scrittura autobiografica e una certa distanza dal referente immediato − politico, morale, geografico − ne sono le coordinate dominanti, che si ricollegano, del resto, alle esperienze avviate nel decennio precedente. Nella nuova fase storica, inoltre, lo scrittore non è più una figura pubblica che denuncia o si autoaccusa in forma più o meno collettiva, come era avvenuto fino ad allora, ma è un individuo isolato, che assume le personali responsabilità e non ha più alcuna delega etico-politica, ma rappresenta solo se stesso. Da qui, la dominanza problematica, come si accennava, imperniata su una sorta di esame contrastivo presente/passato, quale frutto della presa di coscienza personale e della conquista di una diversa lucidità, date dalla distanza e dall'uscita dalle condizioni repressive e alienanti. Per alcuni scrittori, tema centrale diventa il ricordo delle angustie educative e delle limitazioni culturali ed etiche, nonché il processo di superamento che porta gradualmente alla scoperta della realtà personale e sociale: Las corrupciones, di J. Torbado (1941-1974); Fauna, di H. Vázquez Azpiri (n. 1931); Los males sagrados (1973) e Las ninfas (1976) di F. Umbral (n. 1935); El infierno y la brisa (1971), Diálogos del anochecer (1972), Fabián y Sabas (1982), di J.M. Vaz de Soto (n. 1938); Celia muerde la manzana, di M.L. Melcón. Per altri, sono i riferimenti più strettamente politici a testimoniare una sorta di perdita dell'innocenza, come in Autobiografía de Federico Sánchez (1977) di J. Semprún (n. 1923), Lectura insólita de ''El Capital'' (1977) di R. Guerra Garrido (n. 1935); La verdad sobre el caso Savolta (1975) e La ciudad de los prodigios (1986) di E. Mendoza (n. 1943); La soledad del manager (1977; trad. it., 1993) di M. Vázquez Montalbán (n. 1939). Per altri, infine, il passato è visto con una sorta di amaro scetticismo del presente, come in La noche en casa (1977) di J.M. Guelbenzu (n. 1944) e in Mortal y rosa (1975), di F. Umbral.
Tuttavia, seppure in maniera obliqua e non vistosa, anche l'ambiente del momento filtra nella narrativa, almeno in due tipi di manifestazioni che in qualche modo riflettono, con acute sensibilità, certe problematiche legate a quegli anni. Alcuni autori, infatti, affrontano il tema del terrorismo, che costituisce una delle più gravi minacce alla pacifica convivenza e alla normalità democratica della S.: C. Zaragoza (n. 1923), X. Berenguer (n. 1947), J. Serra y Fabras (n. 1947), tra gli altri, scrivono opere che non hanno più il taglio della denuncia politica di un tempo, ma esprimono piuttosto un impegno etico generale e una riflessione sulla condizione umana. Per altro verso, le tensioni del presente emergono, sia pure in una dimensione umoristica e obliqua, in certe opere narrative anch'esse prive della tensione polemica e di denuncia sociale del passato: si tratta di una significativa fioritura di romanzi polizieschi, o meglio, scritti secondo gli schemi del romanzo poliziesco e volti a dare una visione espressionistica della società del momento. È un genere coltivato da scrittori di prima qualità e di grandi risorse narrative come Mendoza o Benet o come, soprattutto, Vázquez Montalbán, autore fra l'altro del fortunato ciclo di cui è protagonista il detective Pepe Carvalho.
Nel complesso, la seconda metà degli anni Settanta vede fiorire una narrativa vigorosa e in piena espansione. Sono maturate le tendenze precedenti: i romanzieri della generazione anteriore offrono ora un'opera matura, mentre i più giovani, che avevano fatto le prime prove a cavallo dei due decenni, trovano nel clima di libertà l'ispirazione e gli strumenti per scrivere romanzi che, pur senza esprimere un rifiuto generazionale, rappresentano una peculiare dimensione problematica, più connotata dalla nuova situazione e dalle nuove condizioni in cui appaiono. Non c'è stata alcuna rottura, insomma, ma l'arricchimento progressivo di un metodo narrativo aperto all'evoluzione. Nella seconda metà del decennio, il panorama letterario è interessato da un peculiare e significativo fenomeno: entrano in scena molte giovani narratrici, come mai si era visto in passato. La presenza femminile emerge non come gruppo o tendenza, ma come definite individualità, che si affiancano, con specificità di scrittura e di problematiche, alle poche e ancora attive scrittrici dei decenni precedenti (R. Chacel; C. Martín Gaite, n. 1925). Le giovani narratrici pubblicano romanzi d'ispirazione femminile, ma anche femminista, che mai avrebbero potuto uscire appena qualche anno prima. Si tratta, in genere, di storie familiari e sociali, in cui predominano atmosfere morbose, intrise di erotismo (fino all'erotismo lesbico) e di rapporti uomo-donna in cui esplodono le tensioni psicologiche, educative, storiche della borghesia spagnola. Tra i titoli più significativi vanno almeno segnalati El mismo mar de todos los verano (1978) e El amor es un juego solitario (1979) di E. Tusquets (n. 1936); Tiempo de cerezas (1977) di M. Roig (1946-1991); Burdeos (1980) di S. Puértola Villanueva (n. 1947); Te trataré como una reína (1979) di R. Montero (n. 1951).
Agli inizi degli anni Ottanta, superata la fase caotica e ricca di tensioni dell'immediato postfranchismo, accanto alla stabilità politica la S. conosce un accelerato sviluppo economico e il conseguente benessere. In pochi anni tutto il paese cambia volto, manifestando un'intensa e articolata vitalità culturale. Anche il panorama letterario vive graduali mutamenti significativi: declina inesorabilmente il romanzo sperimentale, specie nelle sue forme più esasperate e aggressive; e dopo qualche iniziale difficoltà, gli scrittori degli anni Settanta si avviano in direzione di una narrativa più tradizionale, di buona qualità, scrivendo opere in cui rinasce l'interesse per la storia narrata, per l'analisi della storia e per lo svolgimento tematico coerente.
Ma la vera svolta non è data dal ritorno al romanzo classico e tradizionale di autori comunque noti e affermati, quanto dalla comparsa di una nuova generazione di giovani scrittori, che presentano spiccate peculiarità culturali, espressive e tematiche, e che costituiscono la novità più rilevante degli anni Ottanta. Si tratta dei cosiddetti ''nuovi narratori'', individualisti, liberi e cosmopoliti che, programmaticamente, si propongono di voltare le spalle alla tradizione letteraria spagnola, rompendo polemicamente con i temi, i problemi, le forme che alimentavano il lavoro delle generazioni precedenti. Essi cercano ispirazione, influenze e modelli fuori del loro paese, senza farsi bloccare da frontiere e da tradizioni e senza alcuna esigenza di rappresentare realtà e problematiche tipicamente spagnole. Producono così una narrativa in cui predominano i temi urbani (la vita delle grandi città, i suoi segni, i simboli, i linguaggi, le classi medie, i rapporti uomo-donna, il sesso, la droga, la musica); ogni spazio insomma in cui si affollano masse di uomini e di donne diventa lo scenario delle loro storie, quale espressione di una generale condizione dei tempi più che come questione peculiare di un paese. Il trattamento di questi temi, inoltre, non muove da alcun tentativo di denuncia o di riflessione, ma da una sorta di pessimistica e fatalistica accettazione di una realtà di fatto, rappresentata con venature ironiche, scettiche e non di rado umoristiche.
La tradizione letteraria straniera appare a questi giovani scrittori un oggetto di ricreazione personale e soggettiva: ne deriva nelle loro opere la presenza di una varietà di stili, di tendenze, di generi che convivono con apparente grande facilità. Si dedicano con passione e con entusiasmo a comporre romanzi ben costruiti, lavorando sulle strutture narrative e sulle leggi proprie del genere. È una generazione di scrittori che ha deciso di uscire dall'autarchia letteraria, preferendo allontanarsi da sé e dal proprio ambiente fino a far diventare ciò che è ''straniero'' una caratteristica problematica peculiare, un fondamento di stile e un segno distintivo. Il suo cosmopolitismo letterario è frutto non di una qualche mentalità internazionale, ma piuttosto di una tensione prospettica e di un'apertura polemica (sul piano espressivo e tematico, oltre che culturale) perseguite per sottrarsi alle angustie e ai condizionamenti della recente storia spagnola, nonché al provincialismo delle idee, con l'obiettivo di avventurarsi nella condizione dell'uomo contemporaneo.
Questi giovani scrittori, infine, non costituiscono una particolare scuola e nemmeno un gruppo: perciò, più che di nuova narrativa, è adeguato parlare di ''nuovi narratori'', cioè della presenza sulla scena letteraria spagnola di individualità diverse tra loro, ma strettamente vincolate a tendenze letterarie straniere. Naturalmente, la fuoriuscita polemica dall'alveo della tradizione spagnola non potrà che essere temporanea. Con tutta probabilità, si tratta di una sorta di traversata del deserto, dopo la quale dovranno ritornare alle proprie origini e radici, sia pure con accresciuta maturità e diversa sensibilità. È una generazione letteraria in movimento, ancora in preda a diffidenze e a perplessità. Tra gli autori più rappresentativi si possono segnalare: B. Pottecher (n. 1961) per Ciertos tonos del negro (1985); J. Ferrero (n. 1952) per Bélver Yin (1982); C. Fernández Cubas (n. 1945) per El año de Gracia (1985); A. García Morales (n. 1945) per El Sur/Bene (1985) e El silencio de las sirenas (1985); A. Basualdo (n. 1945) per Oldsmobile 1962 (1985); A. Muñóz Molina (n. 1956) per Beatus ille (1985); I. Martínez de Pisón (n. 1960) per La ternura del dragón (1984).
Anche per la poesia, il rinnovamento delle forme e dei temi avviene verso la fine degli anni Sessanta. Il nuovo atteggiamento estetico troverà la sua prima manifestazione nell'antologia Nueve novísimos poetas españoles (1970) curata da J.M. Castellet (n. 1926). Entrano in crisi allora l'estetica dominante (il realismo) e due dei suoi postulati fondamentali: l'impegno dell'intellettuale e la concezione della poesia come comunicazione (libertà, democrazia, denuncia politica, ecc.). I poeti ''novissimi'' polemizzano con la tradizione della poesia ''sociale'', e alla nozione di comunicazione sostituiscono quella di una poesia intesa come conoscenza e, in primo luogo, come specifico trattamento del linguaggio, senza sottostare a precettive tematiche. Si avvia così un processo che porterà al rapido esaurimento della tendenza centrale della poesia spagnola del dopoguerra. Il cambiamento di coscienza poetica è alimentato dal rifiuto della tradizione spagnola, dalla riscoperta di autori ''maledetti'' (O. Paz, J. Lezama Lima, O. Girondo), dalla lezione di T.S. Eliot, E. Pound, W.B. Yeats e dei surrealisti francesi, dal disinteresse per le forme tradizionali e dall'esperienza della cultura dei mass media. Al di là delle singole differenze, esiste un comune sentimento, che è la perdita della fiducia nel valore attivo della parola poetica, col conseguente scetticismo sulle possibilità della poesia di cambiare il mondo (Vázquez Montalbán; F. de Azúa, n. 1944), mentre diventa preminente l'esaltazione dell'autonomia dell'opera d'arte, con una difesa rigorosa dell'immaginazione e un assorbente interesse per lo studio dello stile e del linguaggio. Tuttavia, malgrado i continui riferimenti al mondo dei mass media, la formazione culturale di quasi tutti i poeti ''novissimi'' consisteva essenzialmente in una conoscenza più o meno approfondita della tradizione letteraria, sulla quale operavano in maniera critica e riflessiva; e non solo della letteratura, ma anche della pittura e della musica; e su questi riferimenti vanno elaborando la loro scrittura poetica F. de Azúa, P. Gimferrer (n. 1945), G. Carnero (n. 1947). Accanto ai ''nove'' antologizzati da Castellet vengono emergendo altri poeti, che voltano le spalle alla poesia imperante fino alla fine degli anni Sessanta. Trovano le loro radici soprattutto nella lezione della ''generazione del '27'' e anche in alcuni nomi più recenti, come quelli del gruppo Cántico di Córdoba o come J.M. Caballero Bonald (n. 1926) e A. Canales (n. 1923). Alcuni difendono l'etica del linguaggio − A. Colinas (n. 1946), J. Talens (n. 1946), J.L. Jover (n. 1946), J. Siles (n. 1951) −, mentre altri − L.A. de Villena (n. 1951), A. de Cuenca (n. 1950) − l'esperienza e la vita come fonte della poesia.
A metà degli anni Settanta una delle caratteristiche peculiari della poesia spagnola era l'accento posto sulle tradizioni e le letture straniere (specie da parte dei ''novissimi''). Si manifesta allora una reazione in non pochi poeti, che proclamano il proprio attaccamento alle radici nazionali. Il loro obiettivo è quello di fare una poesia e di offrire prospettive diverse, sia rispetto ai ''novissimi'' sia rispetto alla poesia sociale del decennio precedente. Una sistemazione antologica dei nomi più significativi è quella operata da V. Pozanco (n. 1940) in Nueves poetas del resurgimiento (1976). Questi poeti ''risorti'' esprimono un forte senso di ribellione e di denuncia contro l'egemonia e la manipolazione del linguaggio dei mass-media (soprattutto cinema e televisione), manifestando la propria fiducia nel linguaggio scritto; elaborano una poesia neobarocca e neosimbolistica e, soprattutto, rivendicano il radicamento nella tradizione spagnola, ricercando le fonti d'ispirazione nella poesia del Secolo d'Oro, oltre che nella cultura greco-latina. Tra i più significativi esponenti di questa corrente segnaliamo C. Peri Rossi (n. 1941), L. Izquierdo (1936) e J. Siles (n. 1951). Anche J. Batlló (n. 1939) propone un'ampia scelta di poeti, che costituisce un ventaglio significativo delle presenze più interessanti a metà degli anni Settanta: Poetas españoles postcontemporáneos (1974). Molti di questi poeti non si muovono più all'interno dell'orientamento segnato dai ''novissimi'', anche se alcuni, almeno all'inizio, ne erano stati influenzati (soprattutto dal maggiore, Gimferrer). Tra i più dotati vi sono J.M. Ullán (n. 1944), J. Talens, A. Martínez Sarrión (n. 1939), A. Carvajal (n. 1943), G. Carnero, E. Padorno (n. 1942).
In tutti è essenziale la concezione del processo poetico come avventura linguistica e della poesia come modalità di conoscenza. Secondo alcuni (in particolare Talens), la poesia, nella sua essenziale problematicità, ruota intorno alla messa in discussione del poeta e, più che all'autocontemplazione, deve collaborare alla trasformazione della realtà. Nella volontà di restaurare il primato del linguaggio, si annida l'affermazione di un principio etico che, sotto diverse ottiche, informa molta di questa poesia. È un postulato generale formulato da Gimferrer nei seguenti termini: "Ogni poesia che non persegue la lotta esplicita o tacita al sistema repressivo della società si deve considerare complice di quel sistema". Queste affermazioni ''sovversive'' corroborano il carattere d'impegno contro il regime franchista da parte di un vasto fronte poetico, a volte nascosto sotto l'apparente esteticismo e le forzature polemico-linguistiche. È infatti il momento ''teorico'' della poesia che, fondandosi sugli apporti della linguistica, della semiotica, della psicoanalisi, costruisce i propri universi testuali, con la volontà di smascherare e di rifiutare i meccanismi repressivi, uniformanti e disumanizzanti del potere.
Verso la fine del decennio, però, la fase più polemica e controversa della giovane poesia spagnola (egemonizzata dai ''novissimi'') va praticamente esaurendosi, nel senso che alcuni tentano di affrancarsi dalle tensioni di gruppo e di ricercare una propria strada. Non si tratta di un abbandono netto dell'estetica precedente, ma di un approfondimento delle ragioni del fare poetico, che, depurate dagli eccessi e dalle precedenti impazienze, darà frutti migliori e più maturi con G. Carnero (El azar objetivo, 1975), A. Colinas (Sepulcro en Tarquinia, 1976, Astrolabio, 1979), L.M. Panero (n. 1948: Narciso, 1979; Last river Together, 1980; El que no ve, 1980), L.A. de Villena (El viaje a Bisancio, 1976; Hymnica, 1979); J. Siles (Alegoría, 1977), oltre a Gimferrer, che raccoglie le prove più valide in Poesía 1970-1977 (1978). Si tratta, insomma, di un'evoluzione di giovani poeti (hanno quasi tutti intorno ai trent'anni), caratterizzata dal tentativo di affinare la ricerca e raggiungere una personale visione del mondo mediante la depurazione, nel magma delle influenze, di sicure affinità elettive.
Questi esiti, in realtà, non sono stupefacenti. L'esordio dei ''novissimi'' e di molti poeti della ''generazione del '70'' era avvenuto all'insegna della rottura d'avanguardia, anche se non erano nel profondo poeti di avanguardia. Si comportavano apparentemente come tali, sotto la pressione delle condizioni culturali dell'epoca. Il loro obiettivo era quello di svecchiare la poesia spagnola per collegarsi alle esperienze europee e alla ''generazione del '27''; e perciò dovevano colpire i bersagli più immediati e dominanti (la tradizione della poesia sociale e di quella esistenzialistico-religiosa), con l'imposizione polemica di atteggiamenti culturali e di gusti estetici che risultavano nuovi nella S. del tempo. Ma, in realtà, erano giovani dotati di una solida formazione culturale e letteraria tradizionale, che lievita lentamente ed emerge quando si esaurisce la primitiva tensione polemica. Nella seconda metà del decennio l'estetica ''veneziana'' della prima fase ha già i caratteri dell'epigonismo residuale, e anche lo sperimentalismo linguistico e impegnato declina lentamente. Ora si avverte con maggiore nitidezza l'esigenza di ricercare una propria cifra culturale e poetica, approfondendo e delineando percorsi i cui indizi erano già presenti negli anni precedenti: l'esperienza della poesia classica, per de Villena o per A. de Cuenca; del romanticismo, per Colinas; della poesia pura, per Siles; e così via. Accanto alla ricerca di una voce più personale, sulla scia di peculiari sensibilità e influssi poetici, si sviluppa l'attenzione a concezioni e valori fino ad allora trascurati: la vita come fonte d'ispirazione, l'esperienza del dialogo e, sul piano formale, una più accurata fattura del testo poetico. Questi sviluppi si accompagnano a un processo di avvicinamento alla poesia degli anni Cinquanta, almeno nelle sue più ricche e problematiche individualità: J. Gil de Biedma (n. 1929), C. Bousoño (n. 1923), J.A. Valente (n. 1929).
Nello stesso periodo fanno le loro prime apparizioni e pubblicano i loro primi libri alcuni poeti che cronologicamente appartengono alla ''generazione del '70'', ma che erano vissuti ai margini dell'estetica ''novissima''. Tra gli altri, F. Ortiz (n. 1947), F. Bejarano (n. 1945), A. Rossetti (n. 1950), V. Bates (n. 1948), A. Linares (n. 1952) producono una poesia che li avvicina ai nuovi esiti cui erano pervenuti i ''novissimi'', soprattutto nel rapporto con la tradizione classica e nella stima e ammirazione verso alcuni esponenti della poesia degli anni Cinquanta. In questo senso, la seconda metà del decennio vede la piena maturità dei ''novissimi'' e dei poeti degli anni Settanta (specie andalusi) che avevano percorso strade parallele e che ora operano sulla stessa lunghezza d'onda poetica e culturale.
All'inizio degli anni Ottanta, infine, una nuova generazione poetica muove i primi passi, manifestando una peculiare sensibilità verso il recupero del privato, dell'esperienza della quotidianità e della tradizione letteraria. Essa ha già un nome: si tratta dei postnovísimos, secondo la definizione coniata da de Villena, che ne ha anche tracciato profili e caratterizzazioni. La presenza di questi giovani si manifesta in modo discreto, in quanto operano in regime non di rottura col passato, ma di continuità; non costituiscono gruppo né emanano proclami, programmi o polemiche; anzi, non avendo un'estetica dominante o esclusiva, acquistano un carattere di apertura e di pluralità: l'ora ''teorica'' della poesia è tramontata, ed è scoccata l'ora ''lirica''. Anche se questi poeti presentano una grande varietà di ascendenze e di scelte culturali e poetiche, è già possibile rintracciare, nei più dotati, alcune linee di preferenza: il mondo classico, la poesia pura (minimalista) e la sensibilità del rock. Alla prima tendenza si possono ascrivere alcuni poeti che riescono a utilizzare le fonti classiche con risultati rigorosi, sia sul piano metrico che su quello poetico. I testi più maturi e significativi sono quelli di F. Benítez Reyes (n. 1960), Paraíso manuscrito (1982) e Los vanos mundos (1985); di J. Llamazares (n. 1955), La lentitud de los bueyes (1979) e Memoria de la nieve (1985); di J. Gutiérrez (n. 1955), El don de la derrota (1981); di M. Más, La hora transparente (1985). L'altra linea tendenziale di ricerca muove dai postulati della poesia pura, con forti esiti e modulazioni mentali. Sono poeti che cercano di esprimere lo stupore dell'idea o del sentimento con radicale essenzialità di risorse linguistiche, fino a sfiorare, talvolta, la concentrazione espressiva del minimalismo. Tra questi, i più determinati nell'esplorare le ragioni segrete e intime del loro fare poetico sono J.M. Castillo Navarro (n. 1928: Selva, 1983), J. Riechmann (n. 1962: Diálogo de la herida, 1985); I. Paesa (El oscuro, 1983). Vi sono infine altri giovani che sentono decisamente l'influsso della sensibilità del rock, inteso non solo come musica ma come esperienza di vita e di cultura, cui si accompagnano con echi della beat generation americana e, in alcuni casi, con ascendenze espressioniste o surrealiste: e citeremo L. García Montero (n. 1958) per El jardín extranjero (1982) ed Egloga de los rascacielos (1984); B. Andreu (n. 1959) per De una niña de provincias que se vino a vivir en un Chagall (1981-83) e Báculo de babel (1983); A. Muñóz Petisme (n. 1959) per Cosmética y terror (1984) e El Océano de las Escrituras (1986). La peculiarità di questa tendenza risiede non nell'uso degli innesti o delle citazioni (presenti anche in altri poeti, specie nei ''novissimi''), ma nella scrittura poetica che viene, per così dire, saturata dalla visione del mondo che la dimensione di vita e di esperienza ''moderna'' porta con sé.
Questi giovani poeti costituiscono una generazione ''normale'', in quanto disponibile al viaggio e all'avventura culturale, che produce ricchezza di mescolanze estetiche e poetiche, varianti ecletticamente mobili da un libro all'altro e spesso all'interno dello stesso libro. La loro estrema disponibilità estetica convive col rifiuto di ogni esclusivismo, anche se si manifestano in loro tentazioni e preferenze. Voltando le spalle alle chiusure tipiche dell'avanguardia, si offrono, con movimento d'intenso desiderio, alla disponibilità del fare poetico d'ogni secolo. Non si oppongono, in via di principio, a niente: si sforzano solo di salvare e d'imporre l'individualità dello scrittore, teso nel suo tentativo di ricerca (e di dominio, nei casi meglio riusciti) della diacronia letteraria; cercano di riandare alla culla ideale della poesia, dirigendo verso di essa profondi sguardi e lasciandosi penetrare dalle forme esemplari, con aperture al tesoro di immagini, idee, emozioni del passato, che opera come acuta risorsa organica, in una fervida aspirazione verso la luce.
In questo senso, è una generazione che ha un rapporto obliquo col presente, insieme emozionale e contraddittorio. Vive immersa nell'ambiente circostante e tende a far vedere una vita quotidiana diversa, senza pudori e senza velature − la musica, il sesso, la droga, i miti e i riti giovanili, la riscoperta del corpo, ecc. −, cercando di renderli col linguaggio sincopato e segmentato degli audiovisivi, ma, insieme, mescolandoli alla più rigorosa tradizione letteraria, densa di immagini raffinate e di trasparenza creativa. L'estrema rottura del letterario convive con il maggior rispetto della tradizione e la maggior mimesi della letteratura. Naturalmente, questo modo di fare poesia è esposto a rischi e pericoli, che s'intravvedono nei giovani meno dotati di personalità; il rapporto con la tradizione e con la grande poesia del passato può essere vivificante, ma può portare anche a sterili mimetismi, malgrado l'apparente buona fattura dei testi, fino all'occultamento o alla mancanza di formazione di una voce personale, per cui si finisce col cadere nel tradizionalismo più epigonale. I pericoli sono ancora maggiori sulla linea della poesia pura, in quanto più esposta al formalismo intellettualistico, povero di risultati autentici, sotto la veste di una criptica essenzialità linguistica.
Per alcuni critici, le modalità di presenza di questi giovani poeti, l'ampiezza delle loro scelte, la disponibilità a mettersi in contatto con la diacronia letteraria, potrebbero far supporre che si tratti di una generazione di transizione verso esiti ''forti'' del prossimo futuro. Ma secondo altri la stessa apertura culturale e il desiderio di un rapporto intenso con la tradizione possono costituire il fondamento decisivo per alimentare una poesia ancora acerba, ma meno dogmatica e più riflessiva, e soprattutto aperta a sviluppi maturi e significativi. In questo senso, la generazione di poeti dei primi anni Ottanta, partita da linee evolutrici e continuatrici di certe esperienze del decennio precedente, potrebbe sviluppare un più rigoroso e illuminato fare poetico.
Bibl.: AA.VV., El año literario español, a cura di A. Amorós, 6 voll., Madrid 1974-79; C. García Moral, R.M. Pereda, Jóven poesía española, ivi 1979; M. Urbano, Antología consultada de la nueva poesía andaluza, Siviglia 1980; V. Pozanco, Segunda antología del resurgimiento, Barcellona 1980; Poesía española contemporánea (1939-1980), a cura di F. Rubio e J.L. Falcó, Madrid 1981; Historia y crítica de la literatura española. Época contemporánea (1939-1980), a cura di F. Rico e D. Ynduráin, Barcellona 1981; AA.VV., La cultura spagnola durante e dopo il franchismo, a cura di O. Lottini e M.C. Ruta, Roma 1982; AA.VV., España 1975-1980. Conflictos y logros de la democracía, Madrid 1982; J.M. Martínez Cachero, La novela española actual, in Boletín Informativo de la Fundación Juan March, 121 (1982), pp. 3-14; M.E. Bravo, Ante la novela de la democracía: reflexiones sobre sus raíces, in Insula, 444-45 (1983), pp. 1-24; S. Alonso, La novela en la transición (1976-1981), Madrid 1983; J.M. Martínez Cachero, La novela española entre 1936 y 1980, ivi 1985; A.L. de Villena, Postnovísimos, ivi 1986; J.L. García Martín, La generación de los ochenta, Valencia 1988; Dictionary of the literature of the Iberian Peninsula, a cura di G. Bleiberg, M. Ihrie e J. Pérez, Westport (Connecticut)-Londra 1993.
Archeologia. - Negli ultimi decenni è continuata in S. un'intensa attività archeologica: gli scavi hanno interessato siti di diverse epoche, dalla preistorica al periodo arabo. Delle città è stata indagata l'edilizia pubblica e monumentale, nonché quella privata e residenziale, né sono mancati studi sui più diversi aspetti economici del paese.
Gli scavi condotti a Mérida negli ultimi anni Ottanta hanno fornito nuovi dati sulla città. Nella chiesa di S. Eulalia, che si trova fuori del recinto murario, sono emersi due peristili, appartenenti a due distinte abitazioni, da collocare cronologicamente nella prima metà del 1° secolo d.C. Nella zona del foro sono venuti alla luce elementi architettonici che si ritiene siano pertinenti a un edificio pubblico, parte del recinto del tempio di Diana e di quello del foro stesso. Inoltre gli scavi e i sondaggi hanno permesso di definire ulteriormente il sistema viario grazie all'individuazione di alcuni tratti del decumano massimo e di alcune porte cittadine con le relative strade di accesso. Ad Ampurias (prov. Gerona) recenti indagini hanno rivelato l'esistenza di ben tre diverse cinte murarie, di cui la più antica risale al 4° secolo a.C. A essa fa seguito una seconda cinta pertinente al 3° secolo a.C., sostituita nel secolo successivo da altre mura, precedentemente giudicate per la loro tecnica costruttiva ellenistiche. L'ultima cinta muraria è costruita a circa 15 m di distanza dalla precedente e ha una porta d'accesso alla città fiancheggiata da due torrioni.
A Sagunto (prov. Valencia), sulla collina dove già sorgeva la città preromana distrutta da Annibale nel 218 a.C., sono stati localizzati i resti di alcuni edifici pubblici pertinenti all'abitato romano. In particolare è stato scoperto un tempio repubblicano (2° secolo a.C.) con cella tripartita che, in seguito alla riorganizzazione urbanistica della città in età augustea, fu inglobato nel foro (60 × 60 m) di nuova costruzione. Sul suo lato occidentale si trova una basilica a tre navate, lunga più di 40 m, su quello opposto si susseguono una serie di tabernae. Anche a Valeria (prov. Cuenca) gli scavi hanno messo in luce un ricco foro della prima età imperiale, esempio della grandiosità di mezzi che in questo periodo caratterizza gli arredi urbani. Sui due lati corti del foro si trovano rispettivamente la basilica e il tempio, sui lati lunghi sono collocate le tabernae, secondo uno schema caratteristico della prima età imperiale.
I recenti dati acquisiti su Tarragona hanno permesso di dare una nuova interpretazione a un complesso scavato al centro della città negli anni 1925-28, che in passato si riteneva fosse il foro. Oggi invece appare più probabile l'ipotesi che si tratti di una basilica, edificata nell'ambito del programma di rinnovamento urbanistico in età augustea, quando la città divenne capitale della provincia. Durante gli scavi sono emersi capitelli corinzi, frammenti di architravi, fregi e altri elementi architettonici che hanno permesso la ricostruzione della struttura interna della basilica.
Negli ultimi tre decenni sono state condotte numerose campagne di scavo nel luogo detto Cerro de Cabeza del Griego (prov. Cuenca), dove si trovano i resti dell'abitato di Segobriga. Oltre alla cinta muraria sono stati scavati il teatro e l'anfiteatro, che risalgono entrambi ai primi decenni dell'età imperiale (30-60 d.C.) quando, in seguito alle rifondazioni augustee, molte città in S. furono arricchite di nuovi edifici pubblici. Del teatro si è conservata la parte inferiore della cavea e l'orchestra con le parodoi. Il pulpito è caratterizzato da nicchie semicircolari alternate ad altre quadrangolari, mentre la scena, che risale al 2° secolo d.C., si articola in una nicchia centrale fiancheggiata da due rettangolari. Anche a Clunia (prov. Burgos) sono state condotte indagini sul teatro di età tiberiana. La costruzione è addossata alla collina, tanto che la media e la somma cavea non poggiano su sostruzioni, come solitamente avviene per i teatri romani, ma sono direttamente costruite nella roccia. Della decorazione del teatro, che doveva essere non in marmo ma in pietra calcarea, rimangono numerosi frammenti architettonici, un'iscrizione e la statua di un togato. Le indagini condotte a Las Medulas (prov. León), in una miniera d'oro, rientrano nell'ambito delle ricerche sui molteplici aspetti dell'economia ispanica, tra cui aveva un ruolo importante l'attività estrattiva. La suddetta miniera fu attiva per circa 150 anni, dal 1° secolo d.C. agli inizi del 3° secolo d.C. Nel corso delle ricerche sono emerse le tracce di due diversi metodi di estrazione del metallo. Nella città ispano-musulmana di Vascos (prov. Toledo) le campagne di scavo condotte dal 1981 al 1983 hanno portato alla luce dei bagni arabi, probabilmente pubblici, e una serie di altri edifici poco distanti. I bagni sembrano risalire al 10° secolo, mentre il loro abbandono va collocato, in concomitanza con quello della città, alla fine dell'11° secolo o agli inizi di quello successivo.
Bibl.: R. Izquierdo Benito, Los baños arabes de Vascos (Navalmoralejo-Toledo), in Noticiario arqueologico hispanico, 28 (1986), pp. 194-242; B. Burkhard, Archäologische Forschungen in Spanien, in Klio, 70 (1988), pp. 209-14; AA.VV., Excavationes arqueologicas en Merida 1986-1990, in Extremadura arqueologica, 2 (1991), pp. 599-609; P. De Palol e al., Clunia O, Studia varia cluniacensia, Valladolid 1991; W. Trillmich, Hispania Antiqua, Denkmäler der Römerzeit, Magonza 1993 (cfr. ivi la bibliografia citata).
Arte. - Prima di tracciare un profilo dell'arte spagnola degli anni Ottanta e inizi Novanta è necessario riconsiderare brevemente le esperienze maturate nel decennio precedente che hanno messo in discussione l'arte degli anni Sessanta, caratterizzata da uno spirito provocatorio, radicale e irriverente.
L'arte degli anni Settanta si presenta meno incline a rotture e a sperimentalismi: il ritorno alla pittura come produzione specifica, in un pluralismo formale, fa risaltare il carattere soggettivistico di un atteggiamento che, rifugiandosi nell'ambito di mitologie individuali, si disinteressa di concezioni dell'arte come fenomeno o prodotto sociale. Soprattutto a partire dalla fine della dittatura franchista (1975) e nei primi anni del regime democratico, si assiste a un momento d'introspezione, in cui si consolida la collocazione apolitica, il cosmopolitismo e l'apertura all'arte internazionale. In contrasto con la generazione artistica precedente, i protagonisti dell'arte spagnola degli anni Settanta sono artisti che gravitano nell'ambito del minimalismo (F. Abad, N. Criado, X. Franquesa, X. Grau, R. Llimós, J. Navarro Baldeweg, ecc.), dell'arte concettuale, che trova particolare espressione nella corrente catalana (F. Amat, J. Benito, A. Corazón, F. García Sevilla, R. Herreros, A. Mercader, A. Muntadas, C. Pazos, C. Santos, L. Utrilla, ecc.) e di un neo-astrattismo, per lo più affine alle ricerche del gruppo francese Support-Surface (J.M. Broto, G. Delgado, X. Grau, M. Quejido, J. Rubio, J. Teixidor, G. Tena, ecc.).
Un ampio spettro di esperienze nell'elaborazione dell'immagine si rileva, in questo periodo, dall'opera di numerosi altri artisti (pittori, scultori, ceramisti, ecc.) che operano anche al di fuori dei grandi centri, alcuni già attivi negli anni Sessanta e molti che continueranno a lavorare nel decennio successivo: S. Aguilar, J.L. Alexanco, D. Argimón, R. Armengol, F. Artigau, E. Asins, J. Ballester, A. Blasco, M. Boix, M. Cárdenas, J. Francés, A. Galván, T. Gancedo, J. Grau-Garriga, J. Guinovart, A. Heras, J. López Hernández, R. Martí Quinto, E. Mestre, J. Michavila, A. Miró, M.H. Mompó, E. Mus, A. Nagel, L. Pericot, D. Quintero, A. Rafols-Casamada, R. Ramírez Blanco, E. Sala, S. Sevilla, S. Soria, R. de Soto, R. Ugarte, J.M. Yturralde, ecc. Si devono aggiungere a questi i nomi di L. Gordillo, A. Fraile, D. Villalba, che faranno da ponte con la generazione successiva. Si evidenzia, dunque, negli anni Settanta, un'arte dai parametri più flessibili che non ha ricevuto dalle istituzioni ufficiali la promozione necessaria a un riconoscimento internazionale.
Dopo il 1979, in S. ha luogo un intenso processo di apertura alle più avanzate tendenze internazionali. Nel periodo del consolidamento democratico si manifesta una crisi della modernità e dei modelli dell'avanguardia che contribuisce a rinforzare la consapevolezza di vivere un momento storico-culturale peculiare, in connessione con fenomeni emergenti nel panorama della contemporanea cultura occidentale. Il postmoderno è la nuova atmosfera culturale in cui s'iscrivono le più cospicue ricerche di questi anni. Abbandonata l'attitudine anticipatrice propria delle avanguardie, con i suoi caratteri di radicalismo e irriverenza, emerge negli anni Ottanta una nuova sensibilità − pluralista, antidogmatica, pragmatica e, in certi aspetti, neoconservatrice − che rinuncia all'ottimismo storico senza sentirsi spinta a contribuire, con l'arte, a una rigenerazione morale e culturale della società. Così, le ''utopie moderne'' sono sostituite dall'accettazione del quadro di riferimento sociale e culturale del momento. Questa nuova sensibilità è sostenuta dalla civiltà postindustriale specialmente nei suoi aspetti più eclettici. Nell'assenza di una direttrice egemonica di stile, o di movimenti e tendenze dominanti, una grande eterogeneità di proposte artistiche viene convogliata nel ''regno'' del presente, crogiuolo di un comune sistema di valori ''orizzontali'', privo di gerarchia. Quest'estetica della simultaneità, che è in effetti la constatazione del declino dei miti moderni, riduce le antinomie, favorendo la coesistenza di estremi assiologici. Priva di un impegno etico esplicito, quest'arte, soprattutto dopo la metà degli anni Ottanta, mentre sperimenta un evidente processo di desacralizzazione, si mostra sempre più incline alle tentazioni del mercato. Nel far ricorso all'ambiguità e all'ironia, le diverse manifestazioni artistiche, sfumando le frontiere convenzionali tra i generi, evidenziano una natura provvisoria, citazionista, sofisticata. L'influsso delle tecniche proprie dei mass media, in particolare visivi, incoraggia la frammentazione e la serializzazione. Queste esperienze, rivisitando il passato della storia dell'arte, in particolare del periodo delle avanguardie, si presentano spesso come effimero revival, evidente nella continua riproposizione, in forma attualizzata, di stilemi storici. Rivendicando un edonismo di esplicita matrice soggettivista, questi artisti, sovente definiti iperindividualisti, neonarcisisti, neoromantici, s'immergono nella ritrovata mitologia della sfera privata. Abolita ormai ogni opposizione tra figurativo e astratto, questa nuova estetica − nihilista e vitalista allo stesso tempo, tinta di scetticismo, senza idee totalizzanti − si sintonizza perfettamente con il clima postmoderno. È per questa consonanza che l'arte spagnola degli anni Ottanta offre caratteri formali sempre più somiglianti alle coeve esperienze internazionali.
Questa caratterizzazione non comporta, tuttavia, una sottovalutazione dell'interesse suscitato dalle proposte di un considerevole numero di artisti − molti dei quali vanno riconosciuti tra i più validi a livello internazionale − che hanno saputo tradurre la nuova sensibilità in termini molto personali. Nomi come quelli di M. Barceló (n. 1957), J.M. Sicilia (n. 1954), G. Pérez Villalta, F. García Sevilla (n. 1949), per la pittura, e quelli di M. Navarro (n. 1945) e S. Solano (n. 1946), per la scultura, pongono la ricerca artistica spagnola tra le più interessanti nel campo contemporaneo. In vari centri −Madrid, Catalogna, Province Basche, Galizia, Andalusia, Canarie, ecc. −operano artisti ormai consacrati, che iniziarono la loro attività già negli anni Settanta, accanto ad altri conosciuti o appena emergenti, tutti alla ricerca di una nuova immagine. Si possono ricordare, tra gli altri, per la pittura: A. Albacete, C. Alcolea, R. Agredano, J. Bennássar, J.M. Bermejo, J.M. Broto, P. Cabrera, C. Calvo, M.A. Campano, V. Civera, Ch. Cobo, A. Cortázar, P. Espaliu, C. Franco, M. Lamas, J.M. Lazkano, V. Mira, J. Savater, G. Sin, J. Suárez, R. Torres, I. Tovar, J. Uslé. Nel campo della scultura e delle installazioni, particolarmente vivace in quest'ultimo decennio: A. Abad, T. Badiola, E. Bellotti, J. Bordes, S. Calatrava, J. Cardells, T. Carr, R. Catania, R. Cotanda, M.L. Fernández, T. Gallardo, C. Iglesias, P. Irazu, C. Jerez, D. Lechuga, F. Leiro, E. Lootz, A. Marco, E. Martínez, S. Miralles, M. Miura, J.L. Moraza, J. Muñoz, C. Pazos, J. Plensa, J. Romero, M. Saiz, A. Schlosser, F. Sinaga, M. Valdés.
La cultura artistica spagnola, nel periodo in esame, è stata profondamente influenzata anche da una nuova politica culturale ufficiale che ha reso possibile l'attuazione di importanti retrospettive di maestri moderni, spagnoli e internazionali, nonché di panoramiche sull'arte statunitense successiva alla seconda guerra mondiale. Altro elemento importante è stata l'apertura di nuovi centri e musei pubblici dedicati all'arte contemporanea − il Centro de arte Reina Sofia di Madrid, l'IVAM di Valencia e il Centro atlántico de arte moderno di Las Palmas − che hanno permesso il collegamento con i grandi circuiti espositivi internazionali. Notevole è anche il fenomeno delle numerose pubblicazioni relative a tematiche artistiche, tra cui le riviste Lápiz, Cimal, Figura, Arena e Kalías, e infine lo sviluppo del mercato, di cui sintomo evidente è la creazione della fiera ARCO di Madrid e la nascita di nuove gallerie d'arte contemporanea. Vedi tav. f.t.
Bibl.: S. Marchán Fiz, Del arte objetual al arte de concepto. Epílogo sobre la sensibilidad ''postmoderna'', Madrid 1986; F. Calvo Serraller, Del futuro al pasado. Vanguardia y tradición en el arte español contemporáneo, ivi 1988; AA.VV., La nuova scultura spagnola, in Contemporanea, 5 (gennaio-febbraio 1989), pp. 73-85.
Architettura. - Per quanto riguarda l'architettura, il cambiamento politico, iniziato con l'ascesa al trono di Juan Carlos i e culminato con la promulgazione della Costituzione, non provocò bruschi mutamenti, poiché continuarono a lavorare gli stessi architetti più famosi, accanto ad altri delle nuove generazioni.
Dal 1982, con il governo socialista, crebbe il numero delle opere pubbliche in conseguenza dell'incremento delle imposte statali e locali che alimentarono le aziende dello stato. I comuni, i governi autonomi e lo stato diedero inizio a grandi opere sia nel settore pubblico che in quello privato. A Barcellona, per es., il comune creò un'azienda municipale chiamata ''Iniciativas, S.A.'', specializzata nella costruzione di alberghi, ristrutturazione di edifici privati e restauro di monumenti. Gli architetti a cui furono affidati i lavori erano gli stessi del 1975, e gli stili da essi adottati furono quelli allora di moda: una certa continuità basata sul razionalismo di Le Corbusier, sempre preso a modello dalle scuole di architettura, un certo ''brutalismo'' con edifici di mattoni a faccia vista, e l'inserimento dello stile postmoderno.
Gli organismi dello stato investirono molte risorse per acquisire l'opera di architetti esterni, mentre i propri funzionari venivano impiegati per compiti solo burocratici. Nonostante ciò non si sono avuti sempre buoni risultati. Ne sono un esempio il riordinamento del Moll de la Fusta, nel porto di Barcellona, che dopo si dovette rettificare, o la Casa della Cultura, di fronte alla chiesa barocca della Carità, a Siviglia.
Gli edifici più notevoli di questo periodo sono le sedi degli istituti bancari. Nel 1980, J.J. Sáinz de Oiza progettò il Banco de Bilbao a Madrid, con facciata in vetro e metallo d'indubbia originalità. Sempre nella capitale, R. Moneo, che aveva costruito, nel 1977, la sede di Bankinter, è anche autore del Museo Archeologico di Mérida, nell'Estremadura, opera molto discussa per l'eccessivo monumentalismo; ha inoltre disegnato il Palazzo Comunale di Logroño (La Rioja) nel 1980. Dal complesso insieme di opere realizzate in questo periodo non si può dedurre un linguaggio che sia loro più o meno comune, e soltanto la capacità compositiva di alcuni architetti giunse a creare edifici interessanti per le loro corrette proporzioni.
J.A. Corrales fu l'autore, nel 1982, di una casa ad Aravaca di misure ammirevoli; A. Campo completò il Palazzo Comunale di Ferre, in Galizia. Più personale e interessante, dal punto di vista costruttivo, è l'opera di F. Higueras, autore (1984) del Museo López Torres a Tomelloso de la Mancha e del villino di La Macarrona di Samosaguas a Madrid (1976). L'opera postuma di J.A. Coderch de Sentmenat (1913-1984), il migliore degli architetti spagnoli contemporanei, fu l'ampliamento della Scuola di architettura di Barcellona, le cui linee curve e il trattamento sfumato della luce naturale indicano un superamento tanto del razionalismo che dell'organicismo. Sempre a Barcellona va ricordata la linea morbida ed equilibrata del Velodromo di Orta, di Borrell y Rius; meno riuscito il restauro del Palazzo della Musica, del Convento de los Angeles e della Casa Serra, ora sede del governo provinciale. Edifici di grande apertura sono gli auditori musicali di Granada e di Madrid, nonché rilevanti opere d'ingegneria urbanistica, come il ponte di S. Calatrava a San Martín (Barcellona) e il passaggio pedonale sopraelevato di C. Fernández Casado sulla Ronda Litoral di Barcellona.
L'architettura spagnola dopo il 1989 è stata caratterizzata da due eventi eccezionali: la celebrazione dei xxv Giochi Olimpici a Barcellona del luglio 1992, e l'Esposizione Universale tenutasi a Siviglia nel periodo aprile-ottobre dello stesso anno.
In vista delle Olimpiadi, a Barcellona venne ripreso un piano di strade a traffico veloce progettato nel 1962, che non era stato possibile realizzare per mancanza di mezzi. Esso consiste essenzialmente nelle cosiddette Rondas, una nella parte alta della città (Ronda de Dalt), e un'altra, parallela al mare, detta Ronda Litoral. Queste Rondas, o tangenziali, su diversi livelli, servono da collegamento con le autostrade che escono da Barcellona, e hanno permesso un incremento della circolazione dei veicoli privati nella città. Dal punto di vista architettonico non apportano nulla di nuovo, salvo alcuni elementi decorativi d'avanguardia. Per migliorare le comunicazioni audiovisive, furono costruite due alte torri metalliche. Sul fianco della montagna del Tibidabo fu innalzata la torre dell'architetto inglese N. Foster, il cui fissaggio mediante cavi d'acciaio produce una forte sensazione d'instabilità, ma che risulta sproporzionata rispetto al paesaggio e agli edifici circostanti. Sul Montjuïc venne eretta la torre dell'azienda telefonica, opera dell'architetto e ingegnere valenziano S. Calatrava Valls. Totalmente bianca, di forme molto slanciate, costituisce la più moderna e la migliore delle opere realizzate per le Olimpiadi.
Sempre sul Montjuïc, già sede dell'Esposizione Universale del 1929, vennero realizzati numerosi impianti sportivi. Il vecchio stadio del 1929 fu ristrutturato con una tribuna provvista di una copertura metallica, opera dell'architetto italiano V. Gregotti, mentre l'ampliamento delle gradinate e il restauro delle facciate venne affidato agli architetti spagnoli F. Correa, A. Milá, J. Margarit e C. Buxadé. Accanto allo stadio venne innalzato il padiglione coperto dell'architetto giapponese A. Isozaki, la cui struttura fu montata a terra e sollevata poi per mezzo di pompe idrauliche. Il suo aspetto interno è molto gradevole, ma esteriormente risulta troppo attaccato al terreno ed è privo di slancio. Venne anche costruito l'Istituto nazionale di Educazione fisica su progetto dell'architetto R. Bofill. Il Villaggio Olimpico, totalmente nuovo, situato in un luogo dove si sono dovuti demolire moltissimi edifici e deviare il percorso della ferrovia e del gran collettore del Bogatell, appare come un insieme di costruzioni senza alcun rapporto fra loro. Il piano urbanistico di Bohigas, Martorell e Mackay è assai discutibile per la costruzione di due altissimi grattacieli proprio davanti al mare. Altre ristrutturazioni o costruzioni di nuovi edifici non furono terminate entro i tempi previsti, come il Museo di Arte contemporanea, nel centro storico, o la ristrutturazione del Museo d'Arte della Catalogna, nel Palazzo Nazionale del 1929, secondo un progetto di G. Aulenti.
A Siviglia e nella cosiddetta isola della Cartuja, sul fiume Guadalquivir, sono stati costruiti gli edifici dell'Esposizione Universale del 1992, che coincideva con il 5° centenario della scoperta dell'America. Si costruì, inoltre, il nuovo aeroporto su progetto dell'architetto R. Moneo e il teatro dell'opera della Maestranza. L'Esposizione sull'isola della Cartuja ha occupato 215 ha; più di 100 paesi e 20 grandi aziende, altrettante organizzazioni internazionali e 17 Comunità autonome spagnole hanno innalzato i propri padiglioni. L'accesso all'isola è stato reso possibile grazie a quattro moderni ponti di audace costruzione. Nell'asse centrale dell'Esposizione sono stati posti i padiglioni tematici dedicati al Secolo 15°, alla Navigazione, al Presente e al Futuro. Sono stati realizzati l'Omnimax, un Teatro Spaziale per 400 persone che possono contemplare immagini proiettate su una cupola di quasi 30 m di diametro; un auditorium all'aperto per 6000 spettatori; il cosiddetto Palenque, arena coperta per rappresentazioni musicali e di danza; e inoltre uno stadio, impianti di canottaggio, parchi giochi per i bambini e numerosi alberghi, tra i quali si distingue il lussuoso Príncipe de Asturias.
Uno spazio di 500.000 m2 è stato destinato a parchi e giardini: per l'Expo '92 di Siviglia è stata così costruita la più grande zona verde d'Europa, con 400 diverse specie di piante, 350.000 alberi e numerosissimi pergolati metallici per sostenere una grande quantità di piante rampicanti e offrire ai visitatori fresco e ombra. Un grande spettacolo notturno con raggi laser e fuochi artificiali si è ripetuto ogni sera sul grande lago situato accanto al padiglione della Spagna. Un centinaio di ristoranti e moltissimi bar e chioschi sono stati distribuiti in tutta l'area. Significativi, tra gli altri, il padiglione della S., con un'importante collezione di opere d'arte; dell'Italia, di enormi dimensioni; del Vaticano, d'interesse museografico; della Francia, di originale struttura; del Giappone, con una lussuosa costruzione lignea e un cinema rotante; della Norvegia, intorno a un enorme blocco di ghiaccio. Tra i padiglioni delle Comunità autonome spagnole, si distinguevano quello di Castiglia-León, quello delle Asturie, con la riproduzione della preistorica grotta di Altamira, quello di Valenza e quello delle Canarie. Nell'edificio dell'antica Cartuja (Certosa) de las Cuevas venne allestita un'esposizione di opere d'arte provenienti dai più importanti musei del mondo. Complementare all'esposizione nella Cartuja e nei padiglioni della S. e del Vaticano, la mostra allestita all'interno della Cattedrale di Siviglia, basata sui suoi fondi artistici. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Arquitectos 124, Información del Consejo Superior de Colegios de Arquitectos de España, 79-89, Madrid 1979-89; Quaderns d'Arquitectura i Urbanisme, Collegi d'Arquitectes de Catalunya, Barcellona 1979-89; AA.VV., Historia de la Arquitectura Española, 5, ivi 1985; L. Cirlot, Historia Universal de las Artes, ii-i, Madrid 1993.
Musica. - Il periodo che si apre con il crollo della democrazia (1939) sotto l'urto della guerra civile e l'avvento della dittatura franchista, che costrinse all'esilio le personalità più eminenti del mondo musicale spagnolo, comportò una profonda involuzione per la vita musicale del paese. Dal punto di vista compositivo esso fu generalmente improntato, secondo le intenzioni del regime, alla produzione di ''musica facile'', di stile neoclassico e legata alla tradizione popolare.
Le figure più rappresentative della musica spagnola degli anni Quaranta sono quelle di J. Turina (1882-1949) e di J. Rodrigo (n. 1902), che conquistò buona fama anche all'estero con il Concierto de Aranjuez per chitarra e orchestra (1939); entrambi particolarmente attivi a Madrid, che in quegli anni si avviò a divenire praticamente l'unico centro musicale della S. franchista. Più indipendente la produzione musicale di E. Halffter (1905-1989), che fin dagli anni Venti si era affermato con opere significative, come la Sinfonietta (1925) e la Sonatina (1928): egli è rimasto fedele alla lezione di M. De Falla, di cui fu allievo, ancora in lavori di anni più recenti, come Atlantida, per soli, coro e orchestra (1967, rivista nel 1976). A parte devono essere ricordati alcuni compositori catalani, come F. Mompou (1893-1987), autore di musiche per pianoforte e opere vocali (si ricordi l'oratorio Improperiae, per violino, coro e orchestra, del 1964), E. Toldrà (1895-1962), che nel 1944 fondò l'Orchestra Municipale di Barcellona, assieme al Teatro del Liceo, l'unico centro musicale della città di quegli anni, e il più giovane X. Montsalvatge (n. 1911), che fin dai primi anni della dittatura divenne la figura in certa misura egemone della vita musicale di Barcellona (presso il cui conservatorio assunse negli anni Settanta la cattedra di Composizione).
Con gli anni Cinquanta, anche la S. si aprì all'influenza delle avanguardie europee: le generazioni più giovani si rifecero alla tecnica dodecafonica e al serialismo, tentando di realizzare così una prima presa di distanza dall'estetica del regime. Tra i compositori catalani sensibili alle nuove influenze si ricordano − oltre ai più anziani, come R. Gerhard (1896-1970) e J. Homs (n. 1906), che furono i primi nel loro paese a riprendere la tecnica dodecafonica − i più giovani J.M. Mestres-Quadreny (n. 1929) e X. Benguerel (n. 1931).
Di Mestres-Quadreny si ricorda Musica da cámara 1 e 2 (1961), in cui l'autore fa uso della serie, e Ibémia (1969), dove viene sperimentato il mezzo elettronico; agli anni Ottanta appartengono la Sinfonia en mi bemoll (1983) e il Concert d'Estiu per flauto, 2 percussioni e nastro (1984). Benguerel ha fatto uso del serialismo in Paraules de cada día (1964), mentre una nuova fase nel suo sviluppo compositivo si apre negli anni Settanta con Arbor per soli, coro e 4 voci recitanti (1972), e Vermélia per 4 chitarre (1976). Alla generazione di compositori catalani che si sono formati durante gli anni della guerra appartengono ancora J. Comellas (n. 1913), M. Valls (n. 1920), J. Casanovas (n. 1924) e J. Cercós (n. 1926).
I primi significativi movimenti dell'avanguardia spagnola si ebbero a Madrid per opera di un gruppo di compositori riunitosi nel 1958 intorno al Grupo Nueva Musica, promosso da R. Barce (n. 1928): per quanto abbia avuto vita piuttosto breve (si sciolse infatti nel 1959), esso iniziò un periodo d'intensa attività concertistica rivolta all'esecuzione di musica dell'avanguardia sia spagnola che straniera, e anche di ricerca teorica, soprattutto attraverso la formazione di nuove riviste specializzate, come Sonda (1967-74), diretta dallo stesso Barce. I più importanti dei serialisti spagnoli degli anni Cinquanta sono L. De Pablo (n. 1930) e C. Halffter (n. 1930).
De Pablo ha fondato nel 1959 il gruppo d'avanguardia Tiempo y Musica, specializzato nell'esecuzione di musica cameristica contemporanea (1959-63), nonché Alea (1965), il primo studio di sperimentazione elettroacustica nel suo paese. Egli è autore di un numero assai ampio di composizioni, che coprono pressoché tutti i generi; alla sua straordinaria preparazione teorica nel 1981 è stato conferito il premio Dallapiccola per l'insieme dell'opera. Halffter, tra i fondatori del Grupo Nueva Musica, s'impose nel panorama della nuova musica con la Sonata per violino solo (1959) e le Microformas per orchestra (1960). Negli anni Settanta ha insegnato presso l'Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt (1960).
Insieme a Halffter hanno insegnato al conservatorio di Madrid due compositori che hanno dato un contributo notevole ai recenti sviluppi della musica spagnola: il già citato Barce e C.A. Bernaola (n. 1929). Barce ha svolto un lavoro importante nella diffusione dell'avanguardia nel suo paese anche a livello teorico, elaborando la teoria delle ''armonie di livello'', cui egli si è rifatto già nelle sue prime composizioni, come l'Estudio de Densidades (1965). Agli anni più recenti appartengono fra l'altro i 48 Preludios per pianoforte (1973-82) e la Sinfonia II (1982). Bernaola, che è stato allievo di O. Messiaen e B. Maderna a Darmstadt, ha aderito al serialismo (Sinfonietta progressiva, 1961), elaborando poi uno stile più personale attraverso la sperimentazione dei generi più diversi. Del 1975 è Ayer... soñé que soñaba per quartetto vocale e 16 strumentisti.
Tra gli eventi che caratterizzano la nuova musica catalana degli anni Sessanta occorre ricordare il ciclo di concerti ''musica aperta'', organizzato dal Club 49 di J. Prats (1888-1970), e la nascita (1963) del Festival Internazionale di Barcellona, grazie al quale venne alla ribalta una nuova generazione di compositori, fra cui J. Guinjoan (n. 1931), L. Balada (n. 1933), J. Soler (n. 1935), S. Pueyo (n. 1935), J. Cervelló (n. 1935). Negli anni Settanta ha potuto mettersi in luce un gruppo di giovani compositori, soprattutto grazie all'attività del Gruppo Catalano di Musica Contemporanea (1969): C. Guinovart (n. 1941), D. Pedrós (n. 1942), J. Alcaraz (n. 1943), A. Sarda (n. 1943), J.L. Moraleda (n. 1943) e A. Bofill (n. 1944). Di quegli anni è la fondazione del Laboratorio di Musica Eletroacustica Phonos, cui partecipò A. Lewin-Richter (n. 1937), e del Grupo Instrumental Catalano, per opera del quale si sono potute conoscere le opere dei più giovani compositori catalani, come L. Gasser (n. 1951), J. Rodriguez-Picó (n. 1953), L. Balsach (n. 1953), B. Casablancas (n. 1956) e J. Navarrete (n. 1956).
Con la morte di F. Franco e l'instaurazione della democrazia, anche nel campo musicale si sono avuti i primi segni di apertura e di rinnovamento (del 1977 è la fondazione della Asociación de Compositores Sinfónicos Españoles, che fino ad allora aveva avuto una vita clandestina). Con i compositori delle generazioni più giovani si ha un ritorno alle forme musicali più tradizionali: il più significativo esponente di questa corrente, definita post-seriale, è T. Marco (n. 1942). Allievo a Darmstadt di P. Boulez e G. Ligeti, Marco ha collaborato nel 1967 alla composizione di Ensemble di K. Stockhausen, e nello stesso anno ha fondato lo Estudio Nueva Generación. Insegna attualmente al conservatorio di Madrid. A partire dagli anni Settanta egli ha raggiunto una piena maturità espressiva in lavori come L'Invitation au voyage per soprano, 3 clarinetti, pianoforte e percussioni (1971), e Nuba per 6 strumenti (1973). Accanto a Marco, occorre ricordare ancora F. Cano (n. 1940), J. Villa-Rojo (n. 1940) e C. Cruz de Castro (n. 1941).
Bibl.: W.-E. von Lewinski, Vier katalanische Komponisten in Barcelona, in Melos, 1971, pp. 92-103; C. Le Bordays, La musique espagnole, Parigi 1977; R. Barce, La musica contemporanea spagnola e i suoi condizionamenti, in Musica/Realtà, 1980, pp. 119-30; J.M. Mestres-Quadreny, La nuova musica in Catalogna negli ultimi trent'anni, ibid., 1981, pp. 41-55; 14 compositores españoles de hoy, a cura di E. Casares Rodicio, Oviedo 1982; S. Gut, D. Tosi, Il mondo contemporaneo, in Storia della Musica, diretta da M.-C. Beltrando-Patier, Parigi 1982 (trad. it., Roma 1985), pp. 210 ss.; T. Marco, Spanish music in the twentieth century, Cambridge (Mass.) 1993.
Cinema. - La prima proiezione pubblica del cinematografo Lumière risale in S. al 15 maggio 1896. Ad essa seguì un'intensa attività produttiva: molti furono infatti i pionieri che si cimentarono rivelando talento e inventiva. A E. Jimeno Correas si deve la prima ripresa documentaria del cinema spagnolo, Salida de la misa de doce del Pilar de Zaragoza (1896), mentre a F. Gelabert si attribuisce l'esordio del cinema di racconto con Rina en un café (1897). Nonostante questi precoci e promettenti debutti, gli anni del muto non offrirono opere di particolare rilievo, in prevalenza ispirate al folklore regionale o alle zarzuelas. L'avvento del sonoro influì negativamente, giacché le compagnie statunitensi, forti del loro apparato tecnico d'avanguardia, tentarono d'impadronirsi del mercato giungendo a produrre film direttamente in lingua spagnola. Successivamente si diede luogo a una migliore organizzazione con la nascita di nuove compagnie (da ricordare la CEA, la Filmofono, la Cifesa) e la costruzione di molti studi cinematografici. È in questi anni che L. Buñuel (1900-1983), reduce dagli ''scandalosi'' Un chien andalou (1928) e L'Age d'or (1930) girati in Francia, diventa il regista simbolo della Filmofono. Al grande maestro si affiancano numerosi cineasti, che pur limitandosi a dirigere commedie leggere e film di netta matrice populista, contribuiscono a far fiorire l'industria cinematografica.
Il periodo d'oro è spezzato dalla guerra civile (1936-39) che diede peraltro impulso al documentarismo e al cinema di propaganda. Alle file del fronte dell'opposizione aderirono illustri intellettuali e cineasti di ogni paese − come A. Malraux, J. Ivens, P. Strand − che offrirono il proprio contributo girando reportages di guerra e documentari; mentre i franchisti si adoperarono a girare film di esaltazione delle tradizioni nazionali, delle spedizioni coloniali e dei valori religiosi. Con la fine della seconda guerra mondiale e il consolidarsi del franchismo il cinema di regime aumentò la sua forza. Sono anni bui, in cui la cinematografia è vittima di una forte censura, diretta e indiretta; rari sono infatti i cineasti che osano uscire dai binari della commedia, del film di genere, del calligrafismo più vieto. Nell'intero arco degli anni Cinquanta pochissimi sono i tentativi di cinema ''eversivo'': L. Berlanga (Bienvenido, Mister Marshall!, Benvenuto Mister Marshall, 1952; Plácido, 1961; El verdugo, La ballata del boia, 1963), J.A. Bardem (Esa pareja feliz, Questa coppia felice, e Muerte de un ciclista, Gli egoisti, 1955; Calle Major, 1956), l'esule M. Ferreri (El pisito, L'appartamentino, 1958; Los chicos, I ragazzi, 1959; El cochecito, La carrozzella, 1960) sono infatti gli unici registi che apertamente mostrano di opporsi all'orientamento ideologico imperante.
Diversa la situazione nei decenni successivi: a partire dall'inizio degli anni Sessanta, infatti, accanto al sempre attivo Buñuel − frequentemente costretto a girare fuori dalla patria − cominciò a operare una serie di agguerriti registi, per lo più usciti dalle scuole di cinema di Madrid e Barcellona. M. Camus (Volver a vivir, Tornare a vivere, 1966), J. Diamante (Tiempo de amor, Tempo d'amore, 1964; El arte de vivir, L'arte di vivere, 1968), J. Camino (Los felices sesenta, I felici sessanta, 1963; Las largas vacaciones del 36, Le lunghe vacanze del 36, 1975), A. Fons (La busca, La cerca, 1967), J. Grau (Noche de verano, Il peccato, 1962) sono i maggiori esponenti della rinascita del cinema spagnolo; accanto a questi vanno ricordati V. Aranda (Fata Morgana, 1966) e P. Portabella (fondatore della Scuola di Barcellona nel 1960, produttore fra l'altro di Viridiana di Buñuel, oltre che sceneggiatore e regista), i quali rappresentano il lato più onirico e sperimentale del movimento. Un posto a sé merita C. Saura, il maggior cineasta del paese dopo Buñuel.
Saura per oltre vent'anni ha perseguito una personale poetica, tesa per lo più a mettere a nudo i rapporti di potere tra gli individui e il profondo vuoto della borghesia. Tra i suoi film ricordiamo: Los golfos (I piccoli delinquenti, 1959); Llanto por un bandido (I cavalieri della vendetta, 1963); La caza (La caccia, 1965); Peppermint frappé (1967); El jardin de las delicias (Il giardino delle delizie, 1970); Ana y los lobos (Anna e i lupi, 1972); Cria cuervos (1976); Carmen (Carmen Story, 1983); Los zancos (I trampoli, 1984); Ay, Carmela! (1989); La noche oscura (La notte scura, 1989); Dispara! (Spara!, 1993).
Alla morte di Franco la cinematografia ebbe un ulteriore risveglio, che si trasformerà ben presto in un vero e proprio boom: il cinema diviene infatti il portavoce privilegiato della frenesia che segue la fine della dittatura. L'esponente più emblematico della ritrovata vitalità artistica è P. Almodovar, i cui film allegri, ironici, estremi − La Ley del deseo (La legge del desiderio, 1986); Mujeres al borde de un ataque de nervios (Donne sull'orlo di una crisi di nervi, 1988); Átame (Légami, 1990); Tacones lejanos (Tacchi a spillo, 1991); Kika (1993) − ben rappresentano il nuovo corso del cinema spagnolo. Al suo fianco, nella risonanza internazionale, si è posto J. Bigas Luna, con Las edades de Lulu (Le età di Lulù, 1990) e con la trilogia ''erotico-filosofica'' formata da Jamón Jamón (Prosciutto, prosciutto, 1993), Huevos de oro (Uova d'oro, 1994) e La teta y la luna (La tetta e la luna, 1994). Mentre buoni professionisti si confermano G. Suarez (Don Juan en los Infiernos, 1991), P. Mirò (Beltenebros, 1992; Tiempo de mariposas, Tempo di farfalle, 1994), P. Olea (El maestro de esgrima, Il maestro di scherma, 1992) e F. Trueba, vincitore di un premio Oscar con Belle époque (1992). Un contributo importante all'''umor nero'' che caratterizza il cinema spagnolo ha dato fin dal 1959 lo sceneggiatore R. Azcona. Da segnalare l'importante ruolo svolto nella cinematografia della S. dalla produzione catalana e dai festival internazionali di San Sebastian, Valladolid e Valencia.
Bibl.: E. Larraz, Le cinéma espagnol des origines à nos jours, Parigi 1986.