SPAGNA (XXXII, p. 196; App. II, 11, p. 868)
Caratteristico dell'ultimo decennio è stato un deciso sviluppo economico del paese, che ha potuto sanare le profonde ferite in esso aperte dalla guerra civile ed ha altresì cercato di superare le condizioni d'isolamento nelle quali era venuto a trovarsi durante la seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi. Si è pertanto delineato un processo, sia pure lento e faticoso, di trasformazione di molti aspetti della vita economica nazionale.
Popolazione. - La popolazione, di 25.878.000 abitanti nel 1948, è salita a 27.976.755 al censimento del 1950 e a 30.260.953 al 10 gennaio 1959, con una densità di 60,1 ab./km2. Dal 1950 cresce dunque con un ritmo di 200.000 unità annue, che mai era stato registrato in passato; al suo incremento contribuisce anche la minore entità dell'emigrazione, che in taluni degli ultimi anni ha appena superato le 10.000 unità (le punte massime registrate nel 1951 e nel 1955 sono state di poco superiori alle 60.000 unità). L'aumento della popolazione appare diversamente distribuito fra le varie regioni, essendosi registrate le maggiori percentuali d'incremento (in taluni casi pari al 20% negli ultimi quindici anni) nelle province della Nuova Castiglia e della Catalogna e poi in quelle Basche, della Navarra e delle Asturie. Ma soprattutto esso appare concentrato nelle grandi città, a spese delle aree rurali; notevolissimo infatti è lo sviluppo dei maggiori centri urbani, a cominciare da Madrid, che ha quasi raddoppiato la sua popolazione in meno di venti anni (da 1.088.000 ab. nel 1940 a 1.975.666 nel gennaio 1959), mentre Barcellona è giunta a 1.503.312. Sicché se nel complesso degli ultimi cinquant'anni la popolazione totale è aumentata del 50%, la percentuale di quella rurale è scesa da 68 a 48 e quella urbana è invece salita da 32 a 52.
Agricoltura. - Una prima conseguenza del recente rapido sviluppo demografico è stata la necessità di massicce importazioni di derrate alimentari, per esempio di frumento, fino a valori oscillanti per diversi anni attorno ai 4.000.000 di q (per la maggior parte provenienti dall'Argentina). Ma contemporaneamente le migliori cure dedicate all'agricoltura hanno determinato una più elevata produzione: per il frumento si è giunti nel 1958 a 45.500.000 q (su un'area di quasi 4.400.000 ha), sicché negli ultimi anni le importazioni sono nuovamente scese (a meno di 500.000 q annui). Analoghi progressi del resto sono stati compiuti anche per altre colture; la produzione di arance è stata nel 1958-59, malgrado i gravi danni causati dal gelo nell'inverno 1956, di 11.000.000 di q e quella complessiva di agrumi ha superato i 13.000.000 di q, sicché la S. continua a detenere il primo posto anche nella graduatoria mondiale dell'esportazione; la produzione di patate (pur riducendosi le aree occupate dalla coltura) ha toccato negli ultimi anni valori superiori a 43.000.000 di q; le colture di barbabietole della Vecchia Castiglia, dell'Aragona e dell'Andalusia occidentale hanno permesso di raggiungere una produzione di 4.700.000 q di zucchero, che, insieme a 300.000 q ottenuti dalle piantagioni di canna, coprono quasi tutto il fabbisogno nazionale. Gli oliveti, che nel 1958 coprivano 2.000.000 di ha, hanno dato nell'ultimo decennio una produzione media annua di oltre 3.000.000 di q di olio (giungendo addirittura nel 1951 a poco meno di 7.000.000 di q); si tratta sempre dei valori più elevati nella produzione mondiale, ma ne è molto diminuita l'esportazione (200.000 q come media annuale del 1957-58), per effetto del maggior consumo interno. I vigneti (1.317.821 ha di coltura specializzata, oltre a 1.577.000 ha di colture intercalate, e - in ogni caso - tenendo conto dei soli vigneti in produzione) hanno fornito un reddito medio fra 17 e 21.000.000 di hl di vini. La coltura del cotone, d'introduzione relativamente recente, è salita ad una media di 750.000 q. Ed analoghe constatazioni si potrebbero ripetere per molti altri, anzi per quasi tutti i prodotti agricoli.
Il progresso dell'economia agraria spagnola trae profitto in primo luogo dall'acquisizione a coltura di nuove terre; un primo lotto di lavori di colonizzazione, pressoché terminato nel 1955, ha interessato poco meno di 400.000 ha di terre (di cui 200.000 provenienti dallo scorporo di latifondi), dove sono stati creati oltre 100 nuovi villaggi. Sono in corso altri lavori di trasformazione, per quasi 1.000.000 di ha di terre, di cui 650.000 dovranno essere irrigati, mentre è in preparazione un terzo successivo programma che interesserà 750.000 ha. Ai lavori di dissodamento si unisce infatti un poderoso sforzo per aumentare le possibilità d'irrigazione; dal 1948 al 1956 ne hanno beneficiato quasi 400.000 ha, mentre dal 1951 al 1956 le disponibilità irrigue sono aumentate del 40% circa (superando oggi i 14.000.000 di m3), grazie alla costruzione di numerosi sbarramenti su quasi tutti i fiumi maggiori della "meseta". Oggi la superficie irrigata è di 1.633.000 ha, di cui 316.000 occupati da colture arboree (fra cui oliveti in Andalusia, vigneti altrove); l'esecuzione dei recenti lavori ha tolto, quanto a superficie irrigata, il tradizionale primato al Levante, a favore delle province della "meseta" (in quella di Lérida 137.000 ha, in quella di Saragozza 127.000, in quella di Valenza 126.000). Del resto le ulteriori opere in progetto nella conca del Duero renderanno irrigabili altri 325.000 ha. Terzo fattore di progresso dell'agricoltura spagnola è la sua meccanizzazione: dai 4300 trattori esistenti nel 1940 si è passati a 30.000 nel 1956. Vi si aggiungono infine il crescente uso di concimi chimici (l'industria nazionale ne produce oltre 2.000.000 di t, ma modesti quantitativi devono ancora essere importati), una migliore selezione delle specie coltivate e l'adozione di tecniche colturali più progredite.
Complessivamente nel 1956 rimaneva improduttivo soltanto il 10% del territorio; dei 45.000.000 di ha produttivi, 24.500.000 erano coperti da bosco e da altre associazioni vegetali spontanee; circa 20.500.000 ha costituiscono perciò la superficie a coltura. Il reddito agrario-forestale rappresenta tuttora il 45% del reddito nazionale; nell'annata agricola 1957-58 è stato di 172.899 milioni di "pesetas", di cui 52.714 milioni consumati direttamente dai produttori (si tenga conto della circostanza che - essendo diminuita la popolazione rurale - il suo tenore di vita risulta migliorato più sensibilmente di quanto non indichi l'aumento dei consumi). La parte maggiore proviene naturalmente dall'agricoltura: 107.000 milioni, rispetto a 8.500 milioni che provengono dalle foreste e 56.500 milioni dall'allevamento.
Allevamento e pesca. - L'allevamento del bestiame, oltre al tradizionale reddito in carne e lana (per quest'ultima si sono raggiunti 400.000 q), dà una produzione sempre crescente di latte (quasi 34.000.000 di hl nel 1957); nel complesso però la consistenza del patrimonio zootecnico appare incrementata soltanto per i suini. Infine è in sviluppo anche la bachicoltura (che ha prodotto oltre 600.000 kg di bozzoli).
Così pure è aumentato il reddito delle attività di pesca; nel 1958 46.000 imbarcazioni con quasi 300.000 pescatori hanno assicurato 8.000.000 di q di prodotto ittico, proveniente specialmente dalla Galizia (2.620.000 q), dall'Andalusia atlantica e dalla regione cantabrica (quasi 2.000.000 di q per ciascuna). La lavorazione eseguita nelle 350 fabbriche in attività ha interessato più di 1.100.000 q di pesce.
Industria. - Ma ancora maggiore è lo sforzo compiuto per lo sviluppo industriale del paese. In primo luogo sono state considerevolmente sviluppate le disponibilità di energia elettrica, quadruplicandole rispetto al 1940. Nel 1959 la produzione è stata di 16.380 milioni di kWh, di cui 13.380 di origine idrica, in buona parte provenienti da quegli stessi impianti utilizzati anche a scopo irriguo: i più importanti, fra quelli di nuova costruzione, sorgono sull'alto Tago (fornendo energia alla regione di Madrid) e sul Duero (nella provincia di Zamora), ma numerose altre installazioni sono state costruite nei bacini pirenaici e nelle Asturie, in aggiunta a quelle preesistenti, come pure sul Miño, sullo Júcar e sul Guadalquivir. La produzione di carbone è salita nel 1958 a 17.000.000 di t, coprendo praticamente quasi tutto il fabbisogno nazionale, tanto più che è fortemente aumentato il consumo di olî minerali e combustibili; di essi finora il territorio spagnolo non offre alcuna disponibilità, malgrado i numerosi sondaggi e prospezioni effettuati; tuttavia, grazie all'impianto delle raffinerie di Escombreras (presso Cartagena, capaci di lavorare 3.500.000 t annue) e di Santa Cruz de Tenerife, le importazioni di petrolio (che nel 1958 sono ammontate a quasi 6.000.000 di t, contro meno di 1.000.000 di t nel 1940, coprendo più del 21% del consumo spagnolo di energia) si limitano oggi quasi esclusivamente al grezzo; è poi in via di costruzione un oleodotto da Roda (presso Cadice) a Madrid, onde assicurare i rifornimenti alle industrie della capitale e della regione circostante. È invece ancora allo studio l'utilizzazione di eventuali giacimenti di uranio, così come è in fase sperimentale l'impianto di reattori nucleari (a Moncloa, presso Madrid) ed è in via di progettazione l'installazione di centrali nucleari.
Fra le altre risorse minerarie in incremento è la produzione di ferro (nel 1959 sono stati estratti minerali aventi un contenuto in ferro di quasi 2.418.000 t) e quasi raddoppiata quella di piriti, sia di ferro (nel 1958 quasi 1.800.000 t) sia cuprifere, così come è considerevolmente aumentata la quantità di zolfo che ne viene estratta. Infine la S. continua ad essere fra i paesi del mondo che hanno più elevata produzione di piombo, zinco e mercurio; la disponibilità di questi metalli, unendosi ora alla possibilità di disporre di risorse idroelettriche, ha favorito lo sviluppo dell'industria delle ferroleghe, fiorente specialmente nelle province basche.
Considerevolmente aumentata è pure la produzione delle industrie manifatturiere; grazie ai nuovi impianti delle Asturie e della provincia di Vizcaya (Avilés) la siderurgia è giunta a produrre nel 1959 oltre 1.695.000 t di ghisa ed 1.809.600 t di acciaio (ma per altri 3.000.000 di t di acciaio si deve ricorrere all'importazione). La produzione dell'industria chimica, oltre ai concimi di cui già si è detto, è saalita a più di 1.000.000 di t di acido solforico. Particolarmente fiorente poi l'industria dei cementi e dei laterizî; soltanto per gli sbarramenti idrici sono stati prodotti nel 1958 quasi 5.000.000 di t di cementi.
Nei cantieri navali di Cadice, Cartagena ed El Ferrol erano in costruzione nel 1958 oltre 300 fra navi ed imbarcazioni minori (quasi il 50% in più che nel 1957); nello stesso anno sono state varate 145.200 t di naviglio (oltre il 55% in più rispetto al 1957).
Fra le industrie meccaniche, particolarmente sensibile il progresso di quella automobilistica: la FIAT spagnola (SEAT) è stata nazionalizzata ed ora i veicoli sono fabbricati interamente in S.; la Renault dispone dal 1960 di uno stabilimento a Valladolid, uno della Citroën è stato installato a Vigo ed uno della D.K.W. a Victoria, mentre a Madrid continua la sua attività la Pegaso; nel 1958 sono state costruite 40.000 vetture da turismo, oltre a 20.000 motori Diesel, 3500 autocarri e 5000 furgoni. Ad essi bisogna aggiungere 190.000 fra motocicli e "scooters" usciti dai varî stabilimenti della Vespa (Madrid), Lambretta (Eibar), Peugeot (Luchana) e N. S. U. (Baracaldo). Sempre nel 1958, sono state prodotte 250.000 macchine da cucire.
Solo le industrie tessili non hanno incrementato la loro attività; anzi la produzione, eccetto per quelle che lavorano fibre artificiali, si è sempre più ridotta (45.000 t di filati di cotone e 40.000 t di filati di lana nel 1956), per effetto in parte del minor consumo ed in parte delle antiquate attrezzature, pur con un numero di fusi e telai sempre elevato.
Nel complesso il reddito industriale è in continuo aumento (dal 1954 in poi di quasi il 10% per anno); nel 1958 è stato di 150.000 milioni di pesetas, di cui 35.000 provengono dalla metallurgia e siderurgia, 30.000 dalle costruzioni, 15.000 dalle industrie chimiche, 15.000 da quelle alimentari ed altrettanti da quelle tessili.
Comunicazioni. - Considerevoli progressi sono stati compiuti anche nel settore dei trasporti e delle comunicazioni; ciò nonostante e malgrado che la S. sia uno dei pochi paesi d'Europa in cui si costruiscono ancora strade ferrate, la rete ferroviaria è tuttora insufficiente ed attendono di essere compiute opere progettate da diversi decennî. Nel 1957 le linee in esercizio si estendevano per 18.241 km, di cui 2521 elettrificati (molti altri tronchi peraltro sono in via di elettrificazione); il parco dei materiali, notevolmente migliorato, risultava di 3500 locomotori e quasi 80.000 vagoni. Ma i progressi più sensibili riguardano il miglioramento dei servizî, e l'istituzione di comunicazioni rapide sulle linee principali (TAF e Talgo): il traffico è perciò aumentato (del 46% dal 1949 al 1956), ma è anche cresciuta la velocità media (del 16%) e soprattutto sono diminuiti i ritardi (del 52%). Ben maggiore è l'incremento dei trasporti su strada; nel 1957 la rete nazionale constava di oltre 120.000 km, di cui 110.000 di gran traffico (e di essi 75.000 asfaltati); il tronco Cadice-Madrid ha subìto radicali lavori di trasformazione ed altre opere di miglioramento sono in corso (oggi anzi quasi terminate) sulla Madrid-Irun e sulla Madrid-Saragozza. Nel complesso sulle strade spagnole circolano oggi mezzo milione fra vetture ed autocarri (di cui 225.000 importate dall'estero posteriormente al 1950).
Una notevole importanza conserva ciò nonostante la navigazione marittima, anche agli effetti del traffico interno, in parte tuttora svolto per cabotaggio (con un movimento di oltre 25.000.000 di t, rispetto ai 15.000.000 di t del traffico internazionale). La flotta mercantile ha superato - come numero di unità - gli effettivi degli anni anteriori alla guerra civile e ne è poco lontana come stazza (1394 bastimenti per 1.710.818 t nel 1959); ma soprattutto si è modernizzata e nuove unità (specialmente petroliere, navi frigorifere e transatlantici) sono in costruzione. Infine le comunicazioni aeree hanno assunto una speciale importanza, per la rapidità e la comodità dei servizi di collegamento fra le diverse regioni della Spagna: il numero annuo dei passeggeri è oggi di poco inferiore a 1.000.000.
Turismo. - Non bisogna infine dimenticare l'apporto che all'economia spagnola ha dato lo sviluppo recente - e sempre crescente - delle attività turistiche, a sua volta favorito dal miglioramento delle comunicazioni e della attrezzatura recettiva. Il turismo sta diventando un'importante voce attiva della bilancia commerciale spagnola, nella quale peraltro ben chiara è tuttora la prevalenza delle importazioni (manufatti di ogni genere) sulle esportazioni (prodotti dell'agricoltura, minerali, prodotto ittico).
Finanze. - Il reddito nazionale spagnolo è costantemente aumentato negli ultimi anni, passando da 138,4 miliardi di pesetas nel 1950 a 438,5 nel 1958; nello stesso periodo, l'indice dei prezzi all'ingrosso è raddoppiato, e quello del costo della vita è aumentato del 52%.
Il bilancio dello stato viene redatto per periodi comprendenti due anni solari; esso presenta un avanzo abbastanza consistente per gli anni dal 1952 al 1954, un lieve disavanzo nel 1955 e nel 1956, ed è orientato al pareggio negli ultimi anni. Per il biennio 1958-59 le principali entrate risultano costituite per 18 miliardi da imposte dirette, per 23 miliardi da imposte indirette, per 4 miliardi dai proventi dei monopolî; tra le spese troviamo 6 miliardi di pagamenti relativi al debito pubblico, 2 miliardi per pensioni, 10 miliardi pei spese dei ministeri militari, 4 miliardi per l'istruzione, 8 miliardi per i lavori pubblici. Al 31 dicembre 1959, il debito pubblico interno ammontava a 199,4 miliardi di pesetas e quello estero a 15,6 miliardi.
Negli anni più recenti la situazione economica e finanziaria della Spagna è sensibilmente migliorata, come appare dai dati sulla bilancia dei pagamenti (diventata attiva nel 1959 e nel 1960) e da quelli sulle riserve e sull'offerta monetaria interna. Le riserve auree della Banca di Spagna ammontavano a fine 1960, a 590 milioni di dollari U. S. A., e sono salite nel settembre 1961, a quasi 800 di cui 277 di oro e il rimanente in valuta pregiata. Alla fine del 1960, la consistenza dei mezzi di pagamento era valutata in 205 miliardi di pesetas (di cui 76 di biglietti di banca e monete) e il risparmio raccolto dalle banche in 194 miliardi; alla stessa data, l'ammontare dei crediti concessi allo stato risultava di 228 miliardi di pesetas, contro 205 miliardi di crediti concessi al settore privato.
Dall'aprile 1957 alla metà del 1959 il cambio basico della moneta, interessante il 30% delle esportazioni e il 43% delle importazioni era stabilito in 42 pesetas per un dollaro U. S. A.; per le altre importazioni ed esportazioni esistevano dei cambî multipli che andavano dalle 31 alle 126 pesetas per un dollaro U. S. A. Dal luglio 1959, il sistema dei cambî è stato unificato e il valore della moneta è stato fissato in 60 pesetas per un dollaro U. S. A.
Storia.
La posizione d'isolamento diplomatico in cui la S. era stata posta dalla risoluzione dell'Assemblea delle N. U. del 12 dicembre 1946, con cui si raccomandava ai paesi membri dell'organizzazione il ritiro dei proprî rappresentanti diplomatici da Madrid e veniva sanzionata l'esclusione della S. dai diversi organismi delle N. U., cominciò ad attenuarsi nel 1948. Il 1° marzo di quell'anno fu riaperta la frontiera franco-spagnola; il 9 aprile fu concluso un accordo di carattere economico tra S. e Argentina; il 20 settembre fu rinnovato per 10 anni il trattato di amicizia e non aggressione fra S. e Portogallo. Se anche non riuscì al governo di Franco di ottenere l'inclusione della S. nel piano Marshall, e se anche l'anno dopo le N. U. confermarono la posizione del 1946, l'impalcatura dell'isolamento continuò a sfaldarsi sempre più nettamente negli anni successivi: il 4 novembre 1950 l'Assemblea delle N. U. revocò le misure decise nel 1946, nel 1951 si ebbero i primi contatti tra Madrid e Washington, nel 1952 una missione spagnola visitò tutte le capitali dell'Oriente arabo e la S. venne ammessa all'UNESCO. Ma il fattore decisivo dell'inserimento della S. nella vita mondiale, che si concluderà alla fine del 1955 con l'ammissione alle N. U., fu la volontà degli S. U. A. d'includere saldamente nel sistema difensivo occidentale anche la penisola iberica. Nonostante le riserve degli altri governi occidentali, il 26 settembre 1953 Madrid firmò un accordo di mutua difesa e d'aiuto economico con gli S. U. A., che ottennero l'uso di basi navali e aeree spagnole in cambio dell'assistenza economica e di forniture belliche alla Spagna. Dopo gli S. U. A., anche la Gran Bretagna e la Francia si orientarono verso il miglioramento dei proprî rapporti con la Spagna.
Il maggior dinamismo che l'uscita dall'isolamento consentì alla politica estera spagnola si sviluppò su tre direttrici fondamentali: una europea (nel quadro dell'alleanza con Washington), una mediterranea e più specificatamente di avvicinamento al mondo arabo, e una latino-americana. La prima doveva servire al governo di Madrid per rinsaldare i necessarî rapporti con l'Europa occidentale onde superare il pericolo di vedere la S. totalmente esclusa dalle organizzazioni economiche di carattere continentale già operanti o in via di elaborazione. Tale direttiva sfociò nel 1958 nell'associazione di Madrid all'OECE e il 20 luglio 1959 nell'ammissione all'OECE come membro di pieno diritto.
La seconda direttrice rispondeva all'obiettivo di mettere a frutto l'amicizia sempre proclamata per i popoli nordafricani e del Vicino Oriente, come patrimonio atto a presentare la Spagna quale "naturale" intermediaria tra l'Occidente nel suo complesso e il mondo arabo. Tra il 1951 e il 1955 Madrid stipulò con quasi tutti i paesi arabi trattati di amicizia e commercio e accordi culturali. Appena, il 2 marzo 1956, la Francia riconobbe l'indipendenza del Marocco, il governo di Madrid invitò il sultano a recarsi in S. e il 7 aprile venne firmata una dichiarazione comune che riconosceva l'indipendenza del Marocco. Nei contrasti successivi con Rabat per la cosiddetta "zona meridionale" dell'ex-protettorato spagnolo nel Marocco e per il dominio di Sidi Ifni, Madrid, pur non cedendo su tutte le rivendicazioni marocchine, si sforzò di tenere un atteggiamento conciliante, cedendo fra l'altro, il 1° aprile 1958, la "zona meridionale". L'intensità dei contatti con i paesi arabi apparve interamente nel 1957 allorché, tra il 9 e il 14 febbraio, si trovarono contemporaneamente presenti a Madrid il sultano marocchino Mohammed V, il re dell'Arabia saudiana, una delegazione del regno di Libia, e alcuni esponenti politici tunisini e iracheni.
La terza direttrice, infine, si fondava sulle possibilità di manovra offerte nel campo internazionale dai legami con 20 paesi di medesima lingua e caratteristiche affini. Nel maggio del 1953, al Congresso ibero-americano di cooperazione economica, venne approvato un progetto di unione per i pagamenti e di un sistema di preferenze doganali. Da tale direttrice sorse l'iniziativa, nel maggio 1954, di creazione d'una Unione latina avente lo scopo d'incoraggiare e coordinare gli scambî culturali, scientifici, tecnici tra Francia, Italia, S., Portogallo e Repubbliche dell'America Centrale e Meridionale. La cosiddetta politica dell'Hispanidad, diretta a costituire una grande comunità di popoli di lingua ispanica, capace di pesare sulla scena mondiale, non riuscì però a concretarsi: i rapporti fra la S. e le Repubbliche dell'America latina rimasero allo stato di rapporti bilaterali, tra i quali comunque spiccarono, come elemento indicatore dell'orientamento spagnolo, gli accordi per la doppia nazionalità stipulati nel 1958 con il Chile, nel maggio 1959 con il Perù e nel giugno successivo con il Paraguay.
L'impegno di politica estera trovava la più valida giustificazione nelle difficoltà alimentari, economiche e sociali in cui si dibatteva il regime franchista all'interno. Dalla precaria situazione economica ed alimentare prese l'avvio, acquistando gradatamente sempre più un carattere politico, la serie di scioperi, parziali o totali, che dalla primavera 1951 cominciarono a intaccare la solidità interna del regime. Agli scioperi il governo rispose facendo arrestare numerosi avversarî politici, cui veniva attribuita la responsabilità del malcontento e delle agitazioni. Incidenti e manifestazioni ostili assunsero un tono più perentorio dopo il 1956, con larga partecipazione della gioventù studentesca, e su di essi si sovrappose, rendendo più acuto il malessere politico generale, il contrasto tra la Falange da un lato e i militari, i monarchici, la chiesa e l'aristocrazia dall'altro. Il 25 febbraio 1957, sotto la spinta di nuove dimostrazioni antigovernative a Barcellona, a Madrid e a Siviglia, Franco decise di riorganizzare su nuove basi il regime: i ministeri perdettero la precedente autonomia in favore d'una più stretta funzione coordinatrice assunta dal capo del governo, il quale però delegò alcune tra le sue funzioni al sottosegretario alla presidenza, incaricato di controllare l'attività dei titolari dei portafogli per armonizzarne le direttive. Si cominciò con ciò ad attuare la separazione tra le cariche di capo dello stato e capo del governo, procedendo verso quella restaurazione monarchica decisa con la legge di successione del 1947, proseguita con l'incontro tra Franco e Don Juan del 29 dicembre 1954 e sviluppata più tardi con un nuovo incontro tra il capo dello stato e il pretendente al trono nel marzo 1960.
Una delle conseguenze della revisione delle direttive di governo fu la lenta decadenza politica della Falange, costretta a rinunziare ad ogni proposito di predominio e a limitarsi ad affiancare il governo coprendolo con un'azione di penetrazione tra le masse capace d'impedire alla propaganda avversaria - il 30 marzo di quell'anno (1957) la polizia di Madrid annunziò l'arresto di 14 persone e la scoperta di una centrale di propaganda comunista - di fare breccia nel mondo del lavoro. Negli anni successivi la politica interna spagnola continuò a svilupparsi in una situazione bloccata da difficoltà economiche, da contrasti politici all'interno del regime, in gran parte collegati al problema della restaurazione monarchica, e di manifestazioni antigovernative attribuite dal governo ad una cospirazione ordita su scala internazionale e sfruttate in conseguenza come copertura della sua opera di repressione degli avversarî politici. In una tale situazione, anche il piano di stabilizzazione economica deciso dal governo nel 1959, quale contropartita all'ingresso nell'OECE, se diede risultati positivi sotto il profilo strettamente contabile della bilancia dei pagamenti e della riserva delle divise, finì coll'accrescere i motivi di malcontento, dati gli inevitabili contraccolpi del ridimensionamento soprattutto sui lavoratori delle industrie e dei campi e sulla piccola borghesia mercantile che si alimentava con l'attività produttiva nazionale. Dopo lo sciopero generale del 18 giugno 1959, l'atmosfera interna divenne più pesante, anche per il risveglio del regionalismo catalano e basco, e per certa opposizione sorgente da taluni settori del clero cattolico.
Bibl.: M. Fuentes Irurozqui, Viaje a través de la España económica, Madrid 1948; E. Reske-Nielsen, Spanien 1931-48, Copenaghen 1949; Spain: a companion to Spanish studies, a cura di E. A. Peers, 5ª ed., Londra 1956; Economic and commercial conditions in Spain, ivi 1957; G. Brenan, The face of Spain, New York 1958; S. De Madariaga, Spain, a modern history, ivi 1958; I. Sermet, Le renouveau économique de l'Espagne, in Revue géogr. des Pyrénées et du S. O., XXIX, 3 (settembre 1958), pp. 193-239; J. Vicens Vives, História económica de España, Barcellona 1959.
Letteratura.
Sulla letteratura spagnola degli anni seguenti la guerra civile e, poi, dell'immediato dopoguerra europeo, l'immobilità della situazione interna ha avuto un peso sempre determinante: chi fosse indotto a diminuirne l'importanza in vista d'una considerazione autonoma dei valori della narrativa e della poesia, non cadrebbe solo in un errore di valutazione storica, peccherebbe di parzialità anche sul terreno specificamente letterario. Infatti il prolungarsi dell'isolamento politico, mentre ha reso più acuta la tradizionale polemica sulla "enfermedad de España" (sempre alimentata dalla saggistica più responsabile), ha contribuito anche ad accelerare la crisi della poesia e delle poetiche novecentesche - neoromantiche o simboliste - verso un'imprecisata istanza di realismo, suggerendo ai giovani narratori e poeti quei contenuti di protesta, quegli spunti di osservazione analitica e drammatica di ambienti urbani e di situazioni sociali, che per la loro ricchezza e persistenza non è più possibile considerare, oggi, come l'espressione di uno sparuto gruppo d'avanguardia.
Pochi anni sono bastati, dalla fondazione delle riviste Escorial (1941) e Garcilaso (1943), perché il movimento classicista di "Juventud creadora" dimostrasse la propria limitata possibilità di rinnovamento, il proprio carattere di esperienza letteraria chiusa, diversiva ed episodica più che di rottura dei tradizionali contenuti simbolisti e puristi. Di coloro che erano stati gli animatori del movimento pochi sono rimasti fedeli alle premesse della poetica (J. García Nieto), mentre i più dotati, cui si deve un'impareggiabile lezione di affinamento e di coerenza stilistica nell'ambito delle strutture classiche, a cominciare dal sonetto (D. Ridruejo, L. F. Vivanco, L. Panero, L. Rosales), hanno tentato esperienze diverse già a partire dal'45 o hanno taciuto per lungo tempo, e altri ancora hanno percorso intera la parabola che li ha condotti verso forme di rivendicazione realistica e di oggettivazione del loro mondo poetico (R. Morales). Si comprende come questo gruppo abbia avuto influenza assai minore, sulla formazione dei poeti giovanissimi, di altri tentativi che negli stessi anni maestri più anziani, appartenenti alla "generazione del 25", erano andati compiendo tanto al di fuori degli schemi classicheggianti come al limite della loro esperienza primitiva: così, in particolare, Dámaso Alonso, prima con Hijos de la ira (1944) e poi con Hombre y Dios (1955), e Vicente Aleixandre con Sombra del paraíso (1944) e con Mundo a solas (1950). Risolvendo e superando, costoro, l'originario atteggiamento simbolista in un'angosciosa ricerca della "situazione" del poeta nel mondo e fra le cose, e perciò accentuando l'aspetto conoscitivo, umanitario, realistico di quella tendenza esistenziale che in un primo tempo aveva fatto parlare con ragione di una fase neoromantica, hanno finito per imporsi all'inquietudine degli ultimi poeti come voci più stimolanti del chiuso e non prolungabile virtuosismo di "Juventud creadora". Non meraviglia che proprio dall'esempio di Dámaso Alonso abbia preso le mosse la poesia di Blas de Otero (Cántico espiritual, 1942; Angel fieramente humano, 1950), che si è imposta nell'ultimo decennio, accanto a quella di Gabriel Celaya, come l'espressione forse più autentica del gruppo dei poeti giovanissimi (per il quale gli amanti di accorte e astratte periodizzazioni già parlano d'una terza e d'una quarta "generación literaria"). Ma mentre il rapporto con Alonso, e più indirettamente con Aleixndre, L. Cernuda e J. Guillén dimostra come vi sia una linea di continuità e una certa comunanza di travaglio stilistico alla radice delle vecchie e delle nuove poetiche, è chiaro che sulle nuove, innanzi tutto sull'opera di poeti come Otero, Celaya, E. de Nora, J. Hierro, l'istanza etico-politica interviene sempre più decisamente come elemento interno alla necessità medesima del canto: non materia occasionale, ma condizione ineluttabile, che suscita, in comune con l'accennata poesia dei maestri, lo spunto e il linguaggio dell'angoscia, della parola "arraigada", e quell'angoscia e quel linguaggio incanala risolutamente verso una protesta più concreta, in un ambito di notazioni realistiche in mezzo a cui non soltanto il vagheggiato classicismo, ma la stessa possibilità di un discorso simbolico, finiscono per dileguare. Di questa inquietudine, che è insieme formale (contro l'alambiccato surrealismo, il mero ideale classicista o l'arido metaforismo) e ideologica (contro la novecentesca concezione di un'arte "deshumanizada"), si fa interprete già nel '52 l'Antología consultada de la poesia española, a cura di C. Bousoño, che vuol seguire e superare idealmente, a distanza di vent'anni, l'altra famosa antologia dedicata da G. Diego alle voci migliori della sua generazione: inquietudine singolare, giacché ad essa partecipano non soltanto i Celaya e gli Otero ma anche, e in primo piano, artisti come C. Bousoño e J. M. Valverde, i quali si sentono legati ancora alle strutture classiche, a istanze religiose ed intimistiche e, in fondo, a certo aristocratico spirito conservatore, più che non faccia intendere qualche loro occasionale dichiarazione di principio. Non è un caso che negli ultimi anni, di contro a indebolite resistenze conservatrici, facenti gruppo attorno a riviste d'élite (per es.: Poesía española di J. G. Nieto) o accanto a periodici (per es. Insula) e ad altre iniziative di tendenza in fondo tradizionale benché aperte a registrare anche il nuovo e il rivoluzionario (l'Antología de la nueva poesía española curata da J. L. Cano, la collana di "Adonais"), un accentuarsi delle componenti sociali dell'ispirazione, non senza esplicite attitudini materialistiche, caratterizzi i tentativi più numerosi, di poeti spesso giovanissimi (J. Goytisolo, J. López Pacheco, C. Barral, J. Gil de Biedma, J. A. Valente, ecc.) e alimenti lo sforzo teorico di qualche giovane critico (va citato su tutti J. M. Castellet, autore fra l'altro d'una nuova interessante antologia, Veinte años de poesía española, 1960) e di alcune riviste d'avanguardia (Acento, Destino, Poesía de España, ecc.). Pure, anche in queste manifestazioni, risultati poetici acquisiti, talora felicissimi, esigono l'adeguato inquadramento in un ambiente tutto percorso da visibili contraddizioni: il lettore europeo avverte che quell'ansia di rottura e di rinnovamento, ancorché vigorosa come stato d'animo generale, non si è data, o non ha trovato ancora, fondamenti teorici uniformi. Attorno a quel nucleo di disagio politico che è comune a tutti, si agitano impulsi diseguali e discontinui, da un generico anticonformismo alla necessità più o meno celata di punti di appoggio tradizionali, da un cristianesimo ancora vagamente esistenziale a un realismo sociale non definito e non esente da schematismi nelle sue soluzioni letterarie. Ancora: alla rinnovata lettura di Machado, assai coerente e comprensibile anche sul piano del gusto, si accompagnano la platonica e sentimentale suggestione di Unamuno e la riluttanza per Jiménez, e si condanna Ortega e la sua "arte deshumanizada"; ma la necessìtà, che gli si oppone, di una poesia francamente engagée, pensando a D. Alonso e a V. Aleixandre, non fa i conti con le radici che costoro a loro volta affondano, all'origine, proprio nel mondo dell'irrazionale in cui l'orteghismo ebbe vita e ragion d'essere.
In questo senso anche la narrativa e, in misura meno vistosa, il teatro offrono conferme numerose e diverse. Anzi, si può dire che rispetto alla poesia essi facciano da punto di riferimento più immediato per una chiarificazione critica, data l'estrema eloquenza dei contenuti che sono proposti. Molte incertezze erano già alla radice di quella curiosità di lettura, di quella capacità inventiva ed imitativa che permisero a C. J. Cela d'imprimere una coraggiosa svolta al romanzo intorno agli anni '40. Dal primo lavoro, La familia de Pascual Duarte (1942), al maturo e tecnicamente più perfetto La colmena (1951), è stato agevole notare l'acuto senso di discernimento e di superamento di quanto v'era di provinciale nei vecchi moduli del romanzo "costumbrista" e nei capricciosi surrealismi delle "greguerías", e (assai più che in Zunzunegui, moralista tragico o sorridente ma sempre con una sua vena "bilbaína", "locale" insopprimibile) si è potuta valutare in Cela l'ampiezza del tentativo stilistico e strutturale di rinnovamento, attuato grazie all'innesto di tecniche europee e americane nel tronco ininterrotto di una tematica spagnola (ambientale, realistica, mitica). Ora, di quel trapianto non sfuggono al lettore d'oggi certi motivi di esteriorità della prima foga innovatrice, il carattere velleitario, non sempre sorretto da un'adeguata assimilazione, delle letture e dei relativi criterî d'imitazione dei modelli stranieri: in ultima analisi, da La colmena in poi, i sintomi di un graduale ammanierarsi dell'esercizio stilistico a spese proprio d'un risoluto impegno romanzesco. In parte simili, e in parte già diversi per il rapido mutare delle esperienze, i problemi dell'ultima generazione di scrittori, dai fratelli Juan Goytisolo (forse il più tradotto in Francia e in Italia) e Luis Goytisolo Gay, a J. López Pacheco, J. Fernández Santos, Rafael Sánchez Ferlosio, J. Hortelano, Ana María Matute, Carmen Martín Gayte; molti dei quali guardano a Cela come ad un maestro nel senso generico della comunità di certe prospettive di partenza, ma ne riconoscono forse l'influenza culturale più che quella espressamente creativa e letteraria (Cela ha fondato, tra l'altro, nel 1956 una delle riviste di cultura più aggiornate ed "europeizzate" che si abbiano in Spagna, Papeles de Son Armadans). E insomma, mentre è dimostrato una volta di più dai narratori giovanissimi che la risolutezza e l'onestà dell'impulso innovatore, anche sul piano tecnico, è inseparabile dalla coscienza assillante dell'attuale crisi del paese, d'altro canto affiorano ancora ondeggiamenti, perplessità, ingenuità d'impostazione teorica quando occorre impostare il discorso (più volte, quasi troppe volte, affrontato) sulle formule nuove che andrebbero adottate, sulle vecchie che sarebbero da rifiutare. Come in poesia, si reagisce all'eredità teorica di Ortega, e si prende a modello di stile romanzesco un Baroja senza andar oltre il gusto della scelta programmatica, espressione di un omaggio ideale allo spirito del '98 più che vera discendenza sul piano della tecnica del racconto, della struttura del romanzo. Il sospetto d'una informazione sporadica, frutto di mode occasionali, grava spesso sulle letture degli autori stranieri, per cui è possibile avvertire echi di Truman Capote o di Dos Passos, di Pavese o di Vittorini, piuttosto che di altri, senza ragioni valide apparenti, spesso per carenza d'intera documentazione, per difetto inevitabile di circolazione libera di idee e di "casi" letterarî. Ancora, come in poesia, "realismo" è la parola in cui si vuol racchiudere il significato ultimo dei molti e diversi orientamenti. Ed è termine abusato, per lo più inadatto a delimitare entro una poetica omogenea stili e qualità diverse, come quelle d'un J. Goytisolo, ad es., o d'un Ferlosio; scrittore, il primo, fecondissimo perché dotato di una rapida destrezza assimilativa d'ingredienti tecnici (così da Juegos de manos, 1954, a La resaca, 1958), narratore, il secondo, contenuto e schivo da esperimenti facili, tendente piuttosto a una travagliata complessità di stile in cui si sente anche il riflesso di letture di classici spagnoli (El Jarama, 1956). Ma se è prematura, e del resto non indispensabile, la definizione d'una poetica, è indubbio che nell'avvicendarsi delle forze e dei tentativi il gusto va mutando e si vanno rivelando agli occhi del lettore europeo gli albori di una cultura rinnovata. Molti disagi saranno spiegati da un'attenta analisi della condizione di ritardo con cui la migliore arte spagnola s'è fatta incline a un realismo di protesta, essa sola ancora tragicamente rinserrata fra residue angustie totalitarie in un'Europa da tempo tornata alla libertà degli scambî culturali (e, in questo senso, sarà rivelatore il confronto con certi atteggiamenti della nostra narrativa e poesia del periodo fascista). Pure, anche con questi limiti, non si potrà non riconoscere nei nuovi narratori il valore della scoperta di ambienti sociali pressoché inesplorati (centri operai, contadini, vicende della piccola borghesia), scrutati ora con occhio naturalistico (Goytisolo, Santos) ora attraverso il procedimento della "memoria" e l'angolo visuale dell'infanzia (ancora il primo Goytisolo), o con favolose e a un tempo realistiche atmosfere picaresche (Cela, Ferlosio), o, ancora, con sfumature esistenziali, come avviene nello stesso Cela, nel Buero Vallejo del coraggioso dramma Historia de una escalera (1949). Ed è autentico sforzo conoscitivo, sorretto da un'attività editoriale che è rinata miracolosamente proprio nel settore della cultura militante (si pensi, oltre alle numerose riviste citate, soprattutto alla casa editrice Seix Barral di Barcellona, al premio Formentor); sì che la constatazione doverosa delle molte debolezze stilistiche, di taluni atroci schematismi ideologici, è confortata dall'attesa di una maturazione che sembra approssimarsi quanto più si fa stretto l'incontro con le letterature europee e piena e responsabile la coscienza morale della crisi spagnola. Forse proprio in un equilibrio fra l'ansia rinnovatrice, che porta ora a confuse imitazioni di formule europee e americane, e un prudente senso dei valori tradizionali e locali intimamente ispanici (da cui non si distoglie mai, in definitiva, l'attenzione dei migliori, e si vedano il Quevedo e il Cervantes d'un Ferlosio, il sainetismo novecentesco d'un Buero Vallejo, il picarismo stilizzato d'un Cela), consiste la speranza in una letteratura dalla fisionomia determinata, tesa drammaticamente a nuove strutture economiche e politiche, e sia pure, come sembra, entro l'ambito di un'esperienza realistica.
Riflessi profondi di questa problematica non mancano, è naturale, nei saggisti e nei critici letterarî, la cui attività è stata assai fiorente negli ultimi dieci anni, in spagna ed in esilio. Se è sintomatico che filosofi appartenenti, per lo più. alla scuola di Ortega, come X. Zubiri, J. L. Aranguren, J. Ferrater Mora. M. Zambrano, ecc., si siano più volte mossi sul terreno della battaglia culturale (si deve ad Aranguren un penetrante articolo sulla situazione della poesia), giova notare che da qualche tempo il dramma della crisi d'una tradizione ispanica, la sottile percezione dei vecchi istituti cattolici e nazionali insidiati da un isolamento secolare, pervade molti di quegli scritti fra filosofici e saggistici che posseggono ormai struttura e intonazione propria, sulla linea di Unamuno e dello stesso Ortega, di Marañón e di d'Ors. Indicativo sarà l'esempio delle riflessioni che P. Laín Entralgo è andato raccogliendo in un volume dal titolo sintomatico, España como problema (1949), quasi a contrapporlo al concetto pseudo-filosofico o, piuttosto, al vaneggiamento d'una "España sin problema", difeso dalla destra cattolica e nazionalistica (Calvo Serer). E sarà. sopra ogni altro esempio, densa di suggestioni diverse anche per lo storico europeo l'esperienza inconfondibile degli ultimi volumi di A. Castro (España en su historia, 1948; La realidad histórica de España, 1954; Origen, ser y existir de los españoles, 1959), tesi a rivendicare una sorta di autenticità "vitale" o vivencia del popolo spagnolo pur nella constatazione della sua perenne insufficienza e indifferenza verso gli aspetti del progresso europeo; di rincalzo, non meno importante risulterà la discussione e la revisione che dei concetti del Castro è andato elaborando C. Sánchez Albornoz nel suo España, un enigma histórico (1957); l'uno e l'altro suscitando polemiche (ad es. col vecchio saggista liberale L. Araquistain), allargando e diffondendo idee non solo sulle "origini" e i caratteri peculiari della civiltà spagnola, ma, implicitamente, richiamando l'attenzione dell'Europa sul "presente" storico e sul destino politico della Spagna. Tradizione storiografica liberale ed esistenzialismo di radice unamuniana, riflessi dello storicismo tedesco (in particolare di Dilthey) e influenza di Ortega si avvicendano a definire metodologicamente queste esperienze. Sono gli indirizzi che prevalgono a tutt'oggi, benché non sempre con risultati validi; e bisogna anche notare che si fa strada un filone neopositivista (citeremo. ad es., il giovane filosofo M. Sacristán, autore d'una recente monografia su Heidegger) che, domani, potrà allargarsi a scuola e pesare sulla futura battaglia delle idee.
Nella critica letteraria e nella filologia, mentre una cerchia di discepoli è andata creandosi in America. nel campo della linguistica e della stilistica, attorno ad A. Alonso, scomparso prematuramente, scoperte e avvenimenti di notevole interesse sono da registrare per merito della scuola di R. Menéndez Pidal, sempre fiorentissima in Spagna. Basterà citare dello stesso Menéndez Pidal la grande edizione critica in fieri, già in parte pubblicata, del Romancero e la nuova edizione accresciuta degli studî sull'epica francese; il felice ritrovamento e l'interpretazione delle karge mozarabiche all'origine della lirica castigliana e romanza (studî di D. Alonso. R. Menéndez Pidal, E. García Gómez); la scoperta, con relativo studio, di un frammento dell'Amadís quattrocentesco, ad opera di A. Rodrlguez Moñino; i primi estratti del Tesoro de la lengua castellana di S. Gili y Gaya; il primo volume, recentemente pubblicato, del monumentale Dizionario storico della lingua castigliana, a cura della "Real Academia española de la lengua" e sotto la direzione di R. Lapesa; i primi tomi della monumentale Bibliografía de las literaturas hispánicas, edita dal "Consejo de investigaciones científicas" per cura di J. Simón Díaz; e ancora gli studî gongorini di A. Vilanova, quelli herreriani di J. M. Blecua, quelli su Garcilaso e Santillana di R. Lapesa; i varî e notevoli contributi di G. Díaz Plaja, F. Lázaro Carreter, A. Valbuena Prat, M. de Riquer, P. Bohigas. E. Frutos, per non fare che alcuni nomi; e infine l'attività ininterrotta di classiche riviste filologiche come la Revista de Filología española e il Boletín de la Real Academia española.
Quanto agli intellettuali rimasti in esilio, essi sono ancora, come dimostrano parecchi esempî dei quali si è discorso, numerosissimi e operosi. Alcuni ritorni, come quelli di Ortega, di Bergamín, si spiegano in genere con private necessità; mai furono dovuti a capitolazione ideologica, nonostante le lusinghe paternalistiche e certi ambigui tentativi di conciliazione del governo di Madrid. Si può ben dire che una parte cospicua della vita culturale spagnola durante l'ultimo decennio si sia svolta ancora lontano dai confini iberici: e bastino i nomi appunto di A. Castro, C. Sánchez Albornoz. S. de Madariaga. J. Ferrater Mora, M. Zambrano, A. Alonso, J. Casalduero. J. Montesinos, F. de Onís fra i pensatori e i filologi; di R. Sender e A. Barea fra i narratori (artisti di non grande rilievo, e però meritevoli di citazione come esponenti d'una tipica cultura di emigrati, saldamente legata, nell'ispirazione romanzesca, ai vecchi ideali repubblicani); di J. R. Jiménez. J. Guillén, P. Salinas. R. Alberti, L. Cernuda, M. Altolaguirre, L. Felipe, tra i poeti. Fra queste forze culturali, del resto, e quelle "interne" non sembra interrotto il circolo della solidarietà e dei reciproci apporti. Non è un caso che dei poeti in esilio forse il solo Jiménez (consacrato dal premio Nobel poco prima della morte) abbia seguito fino in fondo la propria esperienza individualissima e chiusa (Animal de fondo, 1949); e in altri invece si sia affacciata più o meno perentoria una crisi del vecchio ideale di "poesia pura", e si parli più sovente, in molte opere loro, d'impegno "morale", di prossimità e di aderenza al "reale". Né ciò accade solo in artisti come Alberti, Cernuda, L. Felipe, puristi e simbolisti, se si vuole, riottosi fin dalle origini; è cosa che si avverte nel recente Guillén di Maremagnum (1957) e in talune pagine, anche teoriche, dell'ultimo Salinas. Insomma, si tratta d'inquietudini che sorprendono nel vivo la grande e vetusta tradizione degli esponenti del '25, e fanno pensare, per analogia non remota, agli sforzi dei più giovani intellettuali formatisi entro i confini stessi della patria. Non sembra dubbio che una storia della cultura spagnola degli ultimi venti anni sarà fatta tenendo conto anche di questo rapporto, che ora appare sfumato e di delicato intendimento, ma di cui v'è più d'un segno nei testi della giovane poesia.
Bibl.: Per la consultazione generale: G. Torrente Ballester, Panorama de la literatura española contemporánea, Madrid 1956 (2 voll.), 2ª ed., 1961 (con notevoli aggiunte e un'appendice bibliografica a cura di J. Campos). Cfr. inoltre le serie complete delle riviste Insula, Papeles de Son Armadans, Cuadernos Hispano-Americanos.
Per la poesia: a) Antologie: J. L. Cano, Antología de poetas andaluces contemporáneos, Madrid 1952; O. Macrì, Poesia spagnola del '900, Parma 1952, 2ª ed., ivi 1961 (con ampia introduzione e bibliografia); Antologia consultada de la joven poesía espanola (a cura di C. Bousoño), Santander 1952; Antología de "Adonais", Madrid 1953, 2ª ed., 1956; J. L. Cano, Antología de la nueva poesía española, Madrid 1958; R. Paoli, Antologia di poeti spagnoli d'oggi, in il Verri, ott. 1958; J. M. Castellet, Veinte años de poesía española (1939-59), Barcellona 1960 (con ampio studio introduttivo); D. Puccini, Romancero della Resistenza spagnola (1936-59), Milano 1960 (con ampio studio introduttivo e bibliografia).
b) Critica: J. M. Valverde, Cuestiones de poesía y política, in Revista de estudios politicos, 1948; P. Lain Entralgo, El espìritu de la poesia española contemporánea, in Cuadernos hispano-americanos, 1948; J. L. Aranguren, Nuestro tiempo y la poesía, in Insula, 15 giugno 1950; C. Bo, Riflessioni critiche. I. Poesia spagnola, in Paragone, I (1951); J. M. Valverde, Estudios sobre la palabra poética, Madrid 1952; D. Alonso, Poetas españoles contemporáneos, Madrid 1952; A. Valbuena Prat, La generación de 1927, vista al cabo de 25 años, in Correo literario, IV (1953); M. Di Pinto, Premesse culturali della poesia spagnola contemporanea, in Filologia romanza, III (1954); K. R. Whitmore, A lyrical decade: Spain, 1940-50, in Hispania, XXXVI (1953); V. Aleixandre, Algunos caracteres de la nueva poesía española, Madrid 1955; L. F. Vivanco, introducción a la poesía española contemporánea, ivi 1957; L. Cernuda, Estudios sobre poesía española contemporánea, Madrid-Bogotá 1957; J. L. Aranguren, Crítica y meditación, Madrid 1957; G. Celaya, Doce años después, in Acento, genn. 1959; P. Salinas, El poeta y las fases de la realidad, in Insula, XV, i (1959); C. Bousoño, La poesía de J. A. Valente y el nuevo concepto de originalidad, ibidem, XVI (1961); Jiménez Martos, Nuevos poetas españoles, Madrid 1961; C. Zardoya, Poesía española contemporánea. Estudios temáticos y estilísticos, ivi 1961.
Per la narrativa: a) Antologie: F. García Pavón, Antología de cuentistas españoles contemporáneos (1939-58), Madrid 1959; G. Bellini, Narratori spagnoli del Novecento, Parma 1960; G. Díaz-Plaja, El poema en prosa en España (estudio y antología), Barcellona 1960.
b) Critica: I. Iglesias, La actual novelística española, in Cuadernos, sett. 1952; S. Serrano Poncela, La novela española contemporánea, in La Torre, aprile-giugno 1953; J. M. Castellet, Notas sobre literatura española contemporánea, Barcellona 1955; id., Le roman espagnol depuis quinze ans, in Les lettres nouvelles, 1957; J. L. Alborg, Hora actual de la novela espanola, Madrid 1958; R. Senabre Sampere, La narrativa spagnola attuale, in Il Verri, ottobre 1958; J. Goytisolo, Problemas de la novela, Barcellona 1959; R. Rossi, Guerra civile e società nella narrativa spagnola, in Il Contemporaneo, febbraio 1960, pp. 117-129; O. Macrí, in L'approdo letterario, luglio-settembre 1960; A. Rossi, I giovani di Spagna; verso un realismo, ma quale?, in Paragone, aprile 1961; R. Rossi, Poesie e romanzi spagnoli, in Il Contemporaneo, giugno 1961.
Per gli aspetti culturali e per gli emigrati: cfr. soprattutto A. Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Torino 1959; e l'introduzione di D. Puccini al Romancero cit. Antologie di saggisti sono state curate da D. Franco (España como preocupación, Madrid 1961) e da María de los Angeles Soler (Pensamiento español contemporáneo, ivi 1961).