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Fiorente impero coloniale tra il 16° e il 17° secolo (il cosiddetto Siglo de oro), la Spagna possedeva numerose colonie situate prevalentemente nell’America centrale e meridionale, dove tuttora è presente l’eredità culturale iberica ed è diffusa la lingua spagnola – la seconda più parlata al mondo. Tuttavia, ad eccezione del Marocco, la Spagna perse il suo vasto impero nel 19° secolo, prima delle altre potenze europee, ed entrò in una fase di declino, anche a causa del ritardo nella rivoluzione industriale. Inoltre il paese, pur dichiarandosi neutrale durante le due guerre mondiali, ha vissuto una guerra civile devastante negli anni Trenta e, in seguito, un lungo periodo di isolamento internazionale durante la dittatura franchista.
È dopo la morte del generale Francisco Franco, nel 1975, che si delinea l’attuale assetto politico. L’allontanamento dall’isolamento del periodo franchista, la restaurazione dei rapporti diplomatici e l’integrazione nelle organizzazioni dell’Europa occidentale divennero il principale obiettivo della politica estera spagnola. Il paese divenne membro della Nato nel 1982 e poi della Comunità Economica Europea nel 1986, insieme al Portogallo. L’integrazione europea, che è tuttora la prima priorità politica del paese, ha favorito il successivo sviluppo economico e sociale spagnolo: la Spagna ha infatti ricevuto fondi netti equivalenti allo 0,8% del pil ogni anno dal 1987 e i membri del processo di integrazione europeo sono i principali partner per commercio e investimenti. Il paese è parte della zona euro e degli Accordi di Schengen, rivendica un maggiore utilizzo della lingua spagnola, ma ha un impatto relativamente limitato sulle politiche dell’Unione Europea (Eu). Inoltre, pur essendo tuttora la quinta economia tra gli stati Eu, la profonda crisi attuale ne limita in parte l’influenza. Nel primo semestre del 2010 la Spagna ha guidato per la quarta volta la presidenza del Consiglio dell’Eu: principali obiettivi erano un maggiore coordinamento europeo per far fronte alla crisi economica, la politica dell’immigrazione (il cui interesse unisce la Spagna ai paesi del Mediterraneo), il ruolo globale dell’Europa e il coordinamento delle politiche di aiuto allo sviluppo nella prospettiva del vertice Eu-Africa, tenutosi nel novembre 2010.
Gli altri ambiti tradizionali della politica estera spagnola riguardano i rapporti con l’America Latina e quelli con il Nord Africa. Infatti, il legame culturale con le ex colonie latinoamericane è molto forte e l’immigrazione dall’America Latina è un fenomeno di rilievo. La Spagna promuove i summit Eu-America Latina e partecipa attivamente ai summit annuali iberoamericani dei capi di stato e di governo. Il governo Zapatero ha inoltre promosso una maggiore cooperazione politica, soprattutto con le amministrazioni di sinistra di Brasile e Venezuela, che tuttavia si è rivelata poco efficace. Sebbene la Spagna commerci e investa soprattutto con altri membri Eu e gli Stati Uniti, negli anni Novanta era il primo investitore in America Latina e ancora oggi detiene una delle prime posizioni: le multinazionali spagnole hanno investito in settori chiave quali il settore bancario, energetico e dei servizi pubblici in generale.
I rapporti con il Nord Africa e la stabilità della regione rappresentano un’altra priorità della politica estera spagnola. La Spagna promuove l’Unione per il Mediterraneo nell’ambito Eu e il ‘Dialogo 5+5’, volto a rafforzare la cooperazione del Mediterraneo occidentale. I rapporti con il Marocco, geograficamente contiguo, rivestono un ruolo particolare e il governo spagnolo ha interesse alla cooperazione in materia di sicurezza, per far fronte a terrorismo e immigrazione clandestina. Nonostante le tensioni per le rivendicazioni marocchine di sovranità sulle exclavi spagnole di Ceuta e Melilla, sotto il controllo spagnolo da più di mezzo secolo, le relazioni tra i due paesi sono strette e la Spagna ha promosso la concessione al Marocco dello ‘status avanzato’ da parte dell’Eu. Di rilievo anche i rapporti con il Medio Oriente, dove attualmente la Spagna è presente con le proprie truppe nell’ambito della missione delle Nazioni Unite in Libano (Unifil).
Circa il rapporto con gli Stati Uniti, la cooperazione nell’ambito della difesa è oggi regolata da un trattato del 1989, che consente agli Stati Uniti di mantenere alcune basi militari sul territorio spagnolo. Nel 2004 il ritiro delle truppe dall’Iraq da parte del neoeletto governo Zapatero ha determinato un raffreddamento delle relazioni e da allora continuano gli sforzi per riprendere rapporti più amichevoli, sebbene i due paesi rimangano importanti alleati nella lotta al terrorismo e partner di rilievo per i rispettivi investimenti esteri.
Infine, la Spagna ha ampliato gli orizzonti della politica estera verso nuovi scacchieri, soprattutto nei Balcani occidentali (partecipa alla missione Eufor) e in Asia, in particolare in India e Cina, anche al fine di rafforzare la cooperazione economica.
A livello globale, la Spagna è un’attiva promotrice del multilateralismo e del rafforzamento delle Nazioni Unite. Nel 2004 il governo Zapatero, insieme a quello turco, ha proposto la creazione dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite (Unaoc), istituita nel 2005 nell’ambito delle Nazioni Unite. L’Alleanza mira ad approfondire la conoscenza e le relazioni tra i popoli al di là delle culture e delle religioni, promuovere la convivenza pacifica e contrastare l’estremismo.
Nel luglio 2000 José Luis Rodríguez Zapatero, uno sconosciuto deputato di León neanche quarantenne, viene eletto segretario del Psoe. Nel decennio che segue Zapatero brucia le tappe di una fulminante carriera politica: fresco di nomina mette mano al rinnovamento del partito, riuscendo a infondere speranza agli elettori delusi dagli scandali che avevano travolto i governi socialisti negli anni Novanta; nel 2004 conquista per la prima volta la presidenza del governo e nel 2008 viene rieletto per un secondo mandato. La Spagna di Zapatero è spesso al centro dell’attenzione internazionale: fanno notizia i cambiamenti messi in cantiere dal suo premier e, nel bene e nel male, i dati sull’andamento dell’economia. Eppure i due esecutivi guidati da Zapatero sono tra loro molto diversi ed è il successo del primo che spiega, almeno in parte, le difficoltà del secondo.
Nel primo mandato Zapatero fa del cambiamento la sua bandiera politica. L’agenda delle trasformazioni è fittissima: la riforma degli statuti delle comunità autonome, destinata ad accrescerne l’autonomia fiscale; la ridefinizione del welfare con una ley de dependencia per l’assistenza alle persone non autosufficienti; il negoziato con i terroristi baschi dell’Eta per mettere fine alla violenza una volta per tutte; la ‘legge sulla memoria’, che per la prima volta offre un risarcimento morale e materiale alle vittime della guerra civile e del franchismo. Le iniziative del governo che attirano la massima attenzione, però, sono quelle sui diritti civili come la legge contro la violenza di genere, che difende le donne dai maltrattamenti dei propri compagni; il matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso; il divorzio rapido; il corso di educazione per la cittadinanza e i diritti umani nelle scuole; le norme a favore della ricerca sulle cellule embrionali; e la legge sull’uguaglianza di genere, volta a garantire la rappresentanza paritaria nei consigli di amministrazione e nelle liste elettorali.
L’attività riformatrice non è senza fallimenti (come nelle trattative con l’Eta) o senza conflitti (con il Partido Popular, la Chiesa spagnola e i settori conservatori), ma Zapatero riesce a realizzare gran parte del programma con cui è stato eletto. Il progetto riformatore, d’altra parte, può contare su una situazione economica che non desta preoccupazioni: il pil cresce vigoroso al 3,6% annuo (media 2004-07), mentre nel 2007 la disoccupazione tocca il livello più basso dal 1990 (8,3%) e il governo dispone di un rassicurante surplus di bilancio (1,9%). In queste condizioni è possibile raddoppiare la spesa per l’istruzione, aumentare le pensioni e i salari minimi, e investire in infrastrutture che portano il paese in vetta alla graduatoria europea dell’alta velocità ferroviaria.
E tuttavia la forte crescita spagnola poggia sui piedi d’argilla dell’espansione del settore edilizio, che nel 2007 rappresenta l’11% del pil. La ‘bolla immobiliare’ si gonfia per anni, grazie ai bassi tassi d’interesse reali portati in Spagna dall’euro, agli incentivi fiscali a favore del mattone e all’offerta di costruzioni per i cittadini nord-europei che comprano sulla costa e per gli immigrati assorbiti dal boom economico. Gli squilibri strutturali dell’economia sono noti a Zapatero, che però non riesce a modificare il modello di crescita esistente. L’ambizioso passaggio dall’economia ‘del mattone’ a quella ‘dei chip’ – costruita sull’innovazione, le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, le energie rinnovabili e le biotecnologie – viene teorizzato, ma rinviato al futuro. Il buon andamento economico e il protagonismo assunto dai cambiamenti politici e sociali nell’agenda governativa convergono nel rimandare riforme più strutturali.
Il costo di questa scelta viene alla luce nel secondo mandato di Zapatero, quando la crisi finanziaria internazionale genera in Spagna una frenata più brusca che negli altri paesi europei e un’impennata del tasso di disoccupazione al 20,1% (2010), il più alto dell’Eu, che sale al 41,6% tra i giovani con meno di 25 anni (contro il 20,7% dell’Europa, secondo i dati Eurostat). La crisi costringe il governo a rivedere programmi e priorità, abbandonando costose strategie di mutamento. Ma la svolta non è facile per Zapatero, che inizialmente continua a finanziare infrastrutture, welfare e misure di sostegno al consumo. Il risultato è un netto peggioramento del bilancio, con il surplus del 2007 che diventa un deficit a due cifre già nel 2009. Le pressioni dei conti pubblici e dell’Europa obbligano infine il governo a mettere in cantiere misure di austerità per ridurre il deficit e riforme strutturali come quella del mercato del lavoro (2010) e delle pensioni (2011).
La recessione economica che contrassegna il secondo governo Zapatero si riflette in una marcata perdita di consensi: nel 2010 il primo sciopero generale dal 2002 sancisce il venir meno dell’appoggio dei sindacati, mentre i sondaggi segnalano la crescita costante del Partido popular (Pp) nelle intenzioni di voto. Le elezioni del resto, previste per la primavera del 2012, si giocheranno proprio sulla capacità del Pp di costituire un’alternativa credibile al Psoe. In Spagna la maggioranza degli elettori è storicamente identificata con il centro-sinistra e il Pp ha governato solo per due mandati (1996-2004). L’opposizione condotta dal leader popolare Mariano Rajoy non è stata finora in grado di offrire né un sostegno bipartisan alle misure anticrisi, né un progetto alternativo a quello del governo. Il Pp, inoltre, è diviso da faide interne e coinvolto in inchieste giudiziarie che hanno messo a nudo diffusi fenomeni di corruzione, finanziamento illecito e affarismo immobiliare. In questo quadro, l’era del Psoe potrebbe prolungarsi per un’altra legislatura anche se sotto una leadership diversa da quella di Zapatero, che nell’aprile 2011 ha annunciato di non voler ricandidarsi a un terzo mandato.
La democrazia fu restaurata in Spagna dopo la morte del generale Franco nel 1975. Il principe Juan Carlos di Borbone, scelto da Franco come proprio successore nel 1969, divenne re e nel 1976 nominò Adolfo Suárez come primo ministro. Quindi, nel giro di pochi mesi, i partiti furono legalizzati, per la prima volta in quarant’anni vennero indette libere elezioni e la nuova Costituzione democratica fu approvata con il referendum del 1978. Essa prevede che la Spagna sia una monarchia parlamentare. Il re è il capo di stato, egli arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni e assume la più alta rappresentanza dello stato spagnolo nelle relazioni internazionali. Il potere legislativo è affidato a un Parlamento bicamerale (Cortes generales): la Camera bassa è composta da 350 membri eletti nelle circoscrizioni provinciali per quattro anni (Ceuta e Melilla sono rappresentate da un deputato ciascuna), mentre i membri del Senato, la Camera di rappresentanza territoriale, sono 259, di cui 208 eletti a suffragio universale diretto e 51 scelti dalle assemblee legislative delle comunità autonome. Il primo ministro, a capo dell’esecutivo, è nominato dal re e gode della fiducia della Camera bassa.
I due maggiori partiti spagnoli sono il Partido Socialista Obrero Español (Psoe) e il Partido Popular (Pp). Il Psoe ha guidato il governo numerose volte dagli anni Ottanta: dal 1982 al 1996 l’esecutivo è stato presieduto da Felipe González, mentre dal 2004 José Luis Rodríguez Zapatero è capo del governo. Il Pp ha invece governato il paese tra il 1996 e il 2004, periodo in cui il primo ministro José María Aznar ha avviato delle politiche di liberalizzazione, ha fatto entrare la Spagna nella zona euro, ha deciso la partecipazione alla missione Nato nella ex Iugoslavia, ha appoggiato l’intervento militare in Iraq e in Afghanistan e ha reso la Spagna un alleato chiave degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo dopo l’11 settembre 2001. In seguito, le elezioni del 2004, avvenute tre giorni dopo gli attacchi terroristici di Madrid, hanno portato alla vittoria del Psoe, anche a causa della rivendicazione da parte di al-Qaida, che smentì l’affrettata attribuzione dell’attentato all’Eta fatta dal governo Aznar. Il ritorno del Psoe ha comportato una rapida inversione della politica estera: pur continuando a sostenere gli sforzi per la ricostruzione del paese, Zapatero ha ritirato le truppe spagnole dall’Iraq. Allo stesso tempo, il nuovo primo ministro ha mantenuto le truppe in Afghanistan e ha continuato a partecipare alle iniziative per la lotta al terrorismo. Zapatero è stato rieletto alle elezioni del marzo 2008 e, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta, governa con il sostegno del Partido Nacionalista Vasco (Pnv) di centro-destra. Nell’aprile 2008 ha nominato 17 ministri, di cui nove donne.
La divisione amministrativa spagnola prevede 17 comunità autonome e 2 città autonome (Ceuta e Melilla) e la Spagna è uno dei paesi europei dove il decentramento è più profondo. Inoltre, al governo vi sono partiti come la Esquerra Republicana de Catalunya, Convergència i Unió e il Partido Nacionalista Vasco che pongono la questione dell’autonomia in cima alle loro priorità. Le numerose istanze separatiste, in particolare basche e catalane, che chiedono una sempre maggiore autonomia, hanno contribuito alla posizione spagnola circa la questione del Kosovo, che la Spagna non riconosce nonostante la posizione opposta della maggioranza dei membri Eu.
La Costituzione del 1978, che si basa sull’indissolubile unità della nazione, riconosce il diritto all’autonomia delle nazionalità e comunità spagnole così come la solidarietà tra le medesime, delineando le principali caratteristiche del decentramento spagnolo. In seguito è stato avviato un processo ampio e graduale di decentramento politico che, secondo alcuni osservatori, ha portato la Spagna a essere uno stato quasi federale. Ogni comunità ha un proprio statuto di autonomia che disciplina l’organizzazione e il funzionamento del Parlamento e del governo locale, le competenze della comunità, gli aspetti amministrativi, gli aspetti civili come la lingua e gli emblemi, i rapporti con lo stato e le altre comunità autonome. Le comunità dispongono inoltre di grande autonomia nella gestione economico-finanziaria e possono approvare i propri bilanci annuali e determinare le proprie risorse mediante l’imposizione di tasse, contributi speciali e prezzi pubblici. Allo stesso tempo, sono previsti meccanismi di solidarietà finanziaria interterritoriale e un livello minimo per la prestazione dei servizi fondamentali su tutto il territorio nazionale.
Con un referendum del giugno 2006 i catalani hanno approvato il nuovo statuto regionale di autogoverno che garantisce maggiore autonomia nel settore fiscale, giudiziario, dei trasporti e delle politiche migratorie. Il referendum non ha però registrato un’elevata affluenza, come invece auspicato dal Psoe che aveva appoggiato tale processo, e, in seguito, l’opposizione ha presentato un ricorso davanti alla Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionali 14 dei 223 articoli dello statuto.
La Spagna è un paese etnicamente molto omogeneo, nel quale sono tuttavia presenti forti istanze autonomiste o indipendentiste da parte delle popolazioni di alcune regioni storiche (in particolare i Paesi Baschi e la Catalogna), che si distinguono per differenze linguistiche e culturali. È anche un paese relativamente poco popolato, se confrontato con i grandi stati dell’Europa occidentale, con una densità di popolazione di 90 abitanti per chilometro quadrato (paragonabile a quella greca, mentre Italia, Germania e Regno Unito superano tutte i 200 abitanti per chilometro quadrato).
Paese a forte tradizione cattolica, soltanto al termine del franchismo la Costituzione del 1978 abolì il cattolicesimo quale religione di stato. Negli ultimi decenni le persone che si dichiarano cattoliche sono scese dal 90% della popolazione degli anni Ottanta al 73% dell’ottobre 2010, mentre più di un quinto della popolazione dichiara di non appartenere ad alcuna confessione religiosa, e tra i cattolici il 55% dichiara di non assistere mai a una funzione religiosa.
Tra il 2000 e il 2008 la popolazione è aumentata di più di 5 milioni di persone (+13%), prevalentemente a causa dell’immigrazione dall’estero, e a dicembre 2010 la Spagna risulta essere il secondo paese europeo per numero di stranieri residenti (5 milioni di persone), dietro alla Germania (circa 7 milioni). Gli alti flussi migratori in entrata hanno fatto crescere significativamente la popolazione musulmana, anche se ancora oggi questa si aggira attorno al 2% della popolazione complessiva.
L’immigrazione ha contribuito ad abbassare l’età mediana di una popolazione relativamente anziana e che negli anni Novanta stava attraversando una fase di deciso declino demografico (nel 1998 il tasso di fecondità era 1,16 figli per donna). Oggi gli stranieri rappresentano circa il 12% dell’intera popolazione spagnola – negli anni Novanta si aggiravano attorno all’1,5% – e una percentuale maggiore di immigrati è in età da lavoro rispetto alla popolazione autoctona.
Questo ha contribuito a sgravare il sistema pensionistico di una parte della pressione che oggi vi insiste a causa dei trend demografici. Tuttavia, il costo della previdenza sociale resta uno dei problemi principali del paese. Come è avvenuto in molti altri paesi occidentali, l’alta aspettativa di vita della popolazione ha provocato l’espansione della fascia di persone con età superiore a 65 anni (l’attuale età pensionabile), che nel 2008 aveva raggiunto il 17% della popolazione totale. Secondo stime delle Nazioni Unite, peraltro, la tendenza sembrerebbe difficilmente arrestabile: se il trend rimanesse questo, entro il 2025 un quinto della popolazione avrà più di 65 anni, ed entro il 2050 tale quota potrebbe giungere a comprendere un terzo degli abitanti del paese.
La Spagna è un paese democratico dalla seconda metà degli anni Settanta, dopo aver trascorso circa trentacinque anni di regime autoritario sotto Franco. Durante il primo trentennio di democrazia i diritti della società civile sono progrediti a ritmi serrati. Ma è nell’ultimo decennio, e più precisamente dall’elezione di Zapatero nel 2004, che in Spagna si è concentrata la produzione di alcune tra le leggi sui diritti civili più avanzate d’Europa. Innanzitutto, dal 2007 sono in vigore le quote rosa sulle liste elettorali, che da quel momento devono annoverare donne per il 50% dei nominativi. Le conseguenze sono state evidenti da subito: il 36% dei deputati eletti alla Camera bassa nel 2008 è donna. In secondo luogo, la nuova legislazione sull’aborto, regolamentato per la prima volta da una legge del 1985, è entrata in vigore a luglio 2010, prevedendone un’ampia liberalizzazione. La legge è stata preceduta da una forte contestazione del mondo cattolico, sfociata in manifestazioni di piazza nell’ottobre 2009, cui ha partecipato quasi un milione di persone. Si deve tuttavia sottolineare come, sebbene in precedenza l’aborto fosse consentito solo nei casi in cui la gravidanza fosse conseguenza di uno stupro, o qualora fosse in pericolo l’immediata salute fisica o la salute mentale della madre, o infine nel caso in cui il feto avesse sofferto di malformazioni o handicap mentali, le applicazioni estensive della legge avevano ampliato i casi di aborto medico dai 54.000 del 1998 ai 112.000 nel 2007.
I rapporti tra coppie dello stesso sesso sono inoltre attualmente regolamentati da una legge che, entrata in vigore nel luglio 2010, ha legalizzato il matrimonio omosessuale. A quella data la Spagna era il terzo paese al mondo a farlo, dopo i Paesi Bassi e il Belgio. La stessa legge ha inoltre reso legale anche l’adozione da parte di coppie omosessuali. Nonostante la misura fosse prevista nel programma elettorale del Psoe e godesse del consenso di circa due terzi dell’opinione pubblica, essa ha scatenato una polemica che è giunta a coinvolgere alti esponenti della Chiesa cattolica.
Un’altra misura che ha ingenerato forti divisioni all’interno della società spagnola è stata quella della legalizzazione dell’eutanasia. La disposizione, anch’essa inizialmente prevista nel programma elettorale del Psoe, è stata rigettata dallo stesso partito in un voto in aula nel 2007. I sondaggi più recenti mostrano che il sostegno popolare a favore di una legge nel senso della legalizzazione dell’eutanasia è ampio, ma nel 2008 uno scandalo concernente casi di morte assistita nei confronti di almeno 400 pazienti terminali, e che ha coinvolto 15 medici (poi scagionati da tutte le accuse), ha reso più complicato l’avvio di un nuovo iter legislativo.
Sotto il profilo dell’istruzione, il forte ruolo della scuola pubblica è andato espandendosi fino al 2002, quando il Pp ha approvato una riforma che rafforzava la posizione delle scuole private (attualmente frequentate da un terzo degli alunni delle scuole medie superiori) e restringeva le possibilità di accesso all’università. Nel 2005, tuttavia, il governo socialista di Zapatero ha ribaltato gran parte di questi cambiamenti. La controversia ideologica apertasi attorno al processo di riforma del sistema scolastico non sembra aver giovato alla qualità dell’istruzione stessa, che oggi tocca livelli tra i più bassi tra i paesi Oecd: le carenze più gravi degli scolari si riscontrano nell’abilità di lettura e nella matematica.
Al termine della dittatura franchista, nel 1975, la Spagna era ancora un paese prevalentemente agricolo. Il forte sviluppo economico conosciuto dal paese tra gli anni Cinquanta e i primi anni Settanta venne frustrato dall’impatto della crisi energetica del 1973 e dalla conseguente crisi economica, che si protrasse durante l’intero periodo di transizione verso la democrazia.
Tra il 1975 e il 1990 il sistema economico è intercorso in molte trasformazioni, che ne hanno consentito un livello di crescita modesto ma costante. Dalla seconda metà degli anni Novanta la Spagna ha invece conosciuto uno sviluppo economico tra i più rapidi in Europa. Nel periodo 1997-2007 il pil è infatti cresciuto a una media annua del 3,8%, e nello stesso periodo il reddito pro capite è più che raddoppiato. Nel frattempo, il contributo al pil dei diversi settori economici è andato mutando, facendo crescere il ruolo terziario da una posizione subalterna fino alle dimensioni attuali, nelle quali è responsabile di più di due terzi del pil prodotto dal paese. I servizi si concentrano in prevalenza nel turismo: la Spagna è infatti la seconda meta europea per turismo dall’estero. Il settore industriale, nel frattempo, si è dimostrato resistente alla transizione verso l’economia dei servizi, soprattutto a causa di un deciso sviluppo del settore dell’edilizia destinata al turismo (14% del pil, l’intera metà della produzione industriale del paese) e dei forti investimenti nel miglioramento delle infrastrutture. Nel 2009 la Spagna è inoltre risultata il secondo produttore di veicoli a motore in Europa (2,2 milioni di vetture), seconda solo alla Germania (5,2 milioni), dopo aver scavalcato di misura la Francia (2 milioni).
Gli sforzi per riuscire a vedersi garantito l’accesso all’area euro sin dall’inaugurazione della moneta unica (coronati dall’ingresso spagnolo nella nascente eurozona nel 1999) spronarono la Spagna a imboccare la strada del rientro dal costante deficit di bilancio, che aveva afflitto il paese durante il primo periodo democratico. Nel 2001, per la prima volta dal termine della dittatura, il governo raggiunse il pareggio di bilancio, continuando su quella linea fino al 2007. Malgrado le attente politiche di bilancio, l’avvio della crisi economica globale l’anno successivo ha sprofondato il paese in un territorio di deficit elevati (giunti a toccare il 11% del pil nel 2009 e il 9% nel 2010), ben oltre la soglia del 3% del pil formalmente consentita dai parametri di Maastricht.
Proprio la crisi ha portato allo scoperto quelle debolezze strutturali che da tempo affliggono il paese, e che sembravano costituire un problema crescente ma procrastinabile durante il periodo del grande sviluppo economico. L’eccessiva esposizione finanziaria delle banche e degli istituti di credito spagnoli ha influito sulla stretta del credito subita dall’economia, mentre lo scoppio della bolla immobiliare accumulatasi negli anni precedenti ha abbattuto il valore delle case (−12% dall’inizio della crisi, ma secondo gli analisti gli immobili restano tuttora fortemente sopravvalutati e ci si attendono ulteriori correzioni nei prossimi anni) e si è ripercossa sull’importante settore dell’edilizia.
Per questa ragione è oggi in discussione una riforma delle pensioni che dovrebbe innalzare l’età pensionabile da 65 a 67 anni. Infine, il tasso di disoccupazione delle persone con meno di 25 anni di età ha raggiunto picchi tra i più alti al mondo, superando il 41% a gennaio 2010, mentre la disoccupazione totale registrata oltrepassa il 20% della popolazione attiva. Questa situazione ha portato, dal maggio 2011, migliaia di giovani a manifestare il proprio disagio attraverso una protesta permanente nelle piazze delle maggiori città spagnole, dando vita al cosiddetto movimento degli indignados.
Gli effetti della crisi non sono però stati solo negativi: il cronico deficit di bilancia commerciale della Spagna, storicamente attorno al 10% del pil, è rientrato al 4%, sebbene questo sia da attribuirsi a un rapido calo delle importazioni, e non a un aumento delle esportazioni del paese. Accanto a questo dato va inoltre specificato che le condizioni debitorie del paese sono comunque peggiorate, dal momento che la crisi del credito internazionale ha alzato il costo dei capitali necessari per finanziare il deficit commerciale.
Le relazioni commerciali bilaterali spagnole si concentrano verso gli altri paesi europei (circa il 65% del commercio complessivo), ma grande importanza riveste anche l’interscambio con l’America Latina.
Nel 1996 la Spagna diventò il primo investitore estero nella regione latinoamericana (in quell’anno verso i paesi della regione giunsero 6,3 miliardi di dollari). L’anno precedente, per la prima volta in un secolo, le esportazioni spagnole verso l’America Latina superarono quelle verso gli Stati Uniti. Nel decennio chiusosi nel 2000, inoltre, più del 20% delle acquisizioni e fusioni nella regione latinoamericana furono operate da imprese spagnole. Tra le imprese con grandi interessi nella regione oggi figurano il gruppo Telefonica, azienda leader nel settore delle telecomunicazioni, e Sol, la più grande catena di hotel spagnoli.
Questo trend di maggiori investimenti nella regione è rallentato nell’ultima parte degli anni Novanta, per conoscere poi una brusca inversione di tendenza durante la fase più acuta della crisi del debito sovrano in Argentina (2001). Dal 2004, tuttavia, i rapporti economici con la regione sono ripresi. Se da una parte, infatti, il quinquennio 2004-09 è stato travagliato da relazioni economiche più tese con quei paesi ¬ soprattutto Venezuela, Bolivia e Nicaragua ¬ che hanno adottato politiche social-populiste di nazionalizzazione, protezione delle imprese nazionali e diffidenza verso gli investimenti esteri, percepiti come tentativi di colonizzazione indiretta, dall’altra l’intensità dei rapporti economici e degli investimenti totali nella regione è giunta nel 2008 a superare quella fatta registrare negli anni Novanta.
La Spagna produce circa il 40% del carbone consumato e quantità molto ridotte di petrolio e gas. Essa dipende quindi in larga misura dalle importazioni, poiché compra dall’estero il 60% del carbone che utilizza, il 98% del petrolio (che rappresenta la prima fonte del mix energetico nazionale) e quasi il 100% del gas. Le importazioni di gas sono però piuttosto diversificate: attraverso i gasdotti Meg e Medgaz (quest’ultimo, operativo dal marzo 2011, collega direttamente Spagna e Algeria aggirando il Marocco), la Spagna può ricevere rispettivamente un massimo di 12 e 8 giga metri cubi (Gmc) all’anno dall’Algeria. Nel 2009 dall’Algeria è giunto il 33,7% del gas totale. D’altra parte il paese possiede sei rigassificatori (e altri tre dovrebbero essere costruiti entro il 2016) e quindi riceve gas liquefatto anche da Nigeria (13,9%), Qatar (13,8%), Trinidad e Tobago (11,6%), Egitto (11,3%) e altri paesi. La Spagna è così divenuta il primo paese Eu per diversificazione e sviluppo della tecnologia del gas naturale liquefatto (Gnl) e il terzo importatore al mondo di Gnl dopo Giappone e Corea del Sud.
Tali risultati, che migliorano notevolmente il livello di sicurezza energetica del paese, sono una conquista recente visto che, ancora nel 2001, il paese importava il 70% del gas dall’Algeria.
Anche le importazioni di petrolio sono piuttosto diversificate: nel 2008 la prima fonte energetica del paese arrivava da circa 20 stati e in particolare da Russia (15%), Messico (13%), Iran (12%), Arabia saudita (11%), Libia (10%) e Nigeria (9%). La Spagna possiede inoltre 10 raffinerie petrolifere.
Al fine di garantirsi maggiore sicurezza energetica, il paese ha promosso lo sviluppo dell’energia nucleare e delle rinnovabili. Esso possiede otto centrali nucleari che producono circa l’11% del mix energetico, anche se il governo prevede di ridurre tale quota. Viceversa, le rinnovabili rivestono ancora una piccola quota del mix energetico (3,7%, esclusi il legname e altre biomasse), ma il governo ne sta promuovendo lo sviluppo, in particolare dell’energia eolica (sulla quale ha la terza più elevata capacità di generazione al mondo).
La Spagna ha inoltre avviato una stretta cooperazione con il Portogallo, con il quale ha creato il Mercato iberico dell’elettricità e sta lavorando a un analogo mercato unico del gas.
Circa la politica ambientale, il paese ha adottato nel 2007 una strategia per il cambiamento climatico e l’energia pulita che prevede numerose misure, tra cui efficienza energetica, sviluppo delle rinnovabili, ricerca e sviluppo. Secondo gli impegni presi in ambito Eu la Spagna dovrebbe ridurre le emissioni di gas serra a circa il 15% sopra i livelli del 1990 tra il 2008 e il 2012; tuttavia, nel 2007 le emissioni erano ancora del 53% superiori ai livelli del 1990. Inoltre, il governo spagnolo si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2 dell’80% entro il 2050, prevedendo di eliminare il consumo di carbone.
La sfida che la Spagna affronta sul terreno della sicurezza è duplice: da un lato essa si trova a dover salvaguardare il proprio territorio da atti terroristici (sicurezza interna), mentre dall’altro, pur in assenza di minacce chiare direttamente rivolte al paese nell’attuale scenario internazionale, manifesta comunque l’intenzione di partecipare a quelle missioni che contribuiscono alla stabilità del sistema (sicurezza esterna). Dall’inizio del nuovo secolo le due esigenze sono sembrate convergere in maniera sempre più stretta, culminando con gli attentati ferroviari a Madrid del marzo 2004 che per un certo periodo di tempo hanno relegato in secondo piano la minaccia terroristica interna, surclassata dalla minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamica.
Per preservare la propria sicurezza internazionale, dalla fine del franchismo la Spagna ha continuamente riaffermato il proprio forte impegno all’interno delle più rilevanti organizzazioni internazionali occidentali: l’Eu e la Nato. Per quanto riguarda quest’ultima, la Spagna vi ha fatto il suo ingresso nel 1982, ma solo dal 1999 ha deciso di partecipare alla sua struttura militare integrata. Oggi il paese ospita cinque quartieri generali Nato sul proprio territorio. I buoni rapporti con gli Stati Uniti, superpotenza e alleato atlantico, sono stati sanciti nel 2001 dall’assenso spagnolo a una notevole espansione della base militare americana a Rota (nel 2009 in Spagna stazionavano circa 1300 soldati statunitensi) e dalla partecipazione di Madrid alle missioni internazionali in Afghanistan e in Iraq. Tuttavia, proprio l’elezione di Zapatero nel 2004 sull’onda degli attentati di Madrid, contrario alla guerra in Iraq, ha condotto al ritiro del contingente spagnolo dopo un anno esatto dall’inizio della missione (aprile 2004). Ciò non ha tuttavia comportato un minore impegno della Spagna sul fronte internazionale, che al contrario è stato ribadito con la scelta di proseguire la propria partecipazione alla missione di peacekeeping Unifil, in Libano, della quale la Spagna stessa ha assunto il comando nel gennaio 2010.
Sul fronte interno, il nodo del terrorismo indipendentista e dei rapporti tra il governo e l’ETA continua invece a rappresentare un problema vessante e ad oggi ancora irrisolto.
Euskadi ta Askatasuna (Eta), letteralmente ‘Paese Basco e libertà’, fu fondato il 31 luglio del 1959 da alcuni studenti nazionalisti, convinti che il Partido Nacionalista Vasco (Pnv) rappresentasse gli interessi baschi in modo inadeguato all’epoca del franchismo. Il movimento univa l’ideologia antispagnola e ultracattolica del fondatore del Pnv, Sabino Arana, all’ispirazione marxista-leninista; il suo obiettivo era l’indipendenza della regione basca dalla Spagna.
Considerata un’organizzazione terroristica dal governo spagnolo e, dal 2001, anche dall’Eu, l’Eta si è resa responsabile di più di 800 omicidi e di migliaia di rapimenti, le cui vittime sono state prevalentemente polizia ed esercito. Il primo attentato ha avuto luogo nel giugno 1968, ma l’attività terroristica ha avuto un’impennata dopo la morte di Franco, nella seconda metà degli anni Settanta, per poi diminuire d’intensità. L’Eta ha rotto le tregue da essa stessa dichiarate ben otto volte, l’ultima volta nel 2006, quando dichiarò un cessate il fuoco permanente per poi infrangerlo con gli attacchi all’aeroporto Barajas di Madrid del dicembre 2006, dopo che Zapatero aveva stabilito l’apertura di un canale di dialogo, mettendo sul piatto parecchie concessioni. L’Eta ha dichiarato un altro cessate il fuoco permanente nel gennaio 2011, che tuttavia è stato accolto con molto scetticismo dal governo e dall’opinione pubblica, ma anche dal Partito nazionalista basco.
Braccio politico dell’Eta è stato il partito radicale di sinistra Batasuna, fondato nel 1978 con il nome di Herri Batasuna (‘Unità del popolo’). Esso si è battuto per l’indipendenza dei Paesi Baschi, ma è stato dichiarato illegale e bandito nel 2003 dal Tribunale supremo spagnolo. Sul punto si è poi pronunciata nel 2009 anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha ritenuto la dissoluzione del partito un’urgente esigenza sociale al fine di mantenere la sicurezza pubblica, l’ordine e la tutela dei diritti e delle libertà. Nel febbraio 2011 è stato creato il nuovo partito basco Sortu che ha dichiarato di respingere la violenza ma che aspirava a partecipare alle elezioni del maggio 2011 nei Paesi Baschi. Tuttavia la Corte suprema spagnola ha annunciato di avere respinto la richiesta di iscrizione del nuovo partito per le elezioni amministrative e regionali del 25 maggio 2011.