SPALATO (in croato Split; A. T., 77-78)
È la maggiore città e il principale porto della Dalmazia (1931, ab. 43.808). Spalato è situata su un'insenatura del lato estremo della penisoletta che guarda il canale omonimo e che con l'Isola di Bua separa il mare aperto dal più interno Canale dei Castelli. I terreni eocenici di calcare arenaceo, che costituiscono i colli nei dintorni della città (M. Marian, m. 178), dànno un suolo assai fertile, che con le piogge, superiori a 750 mm. annui e, con le temperature assai miti d'inverno (gennaio 4°) ed elevate d'estate (luglio 25°), favoriscono una ricca vegetazione mediterranea, oggi in gran parte sostituita da colture, soprattutto della vite (30% delle aree coltivate) e dell'olivo. La popolazione vi raggiunge una densità di 150 ab. per kmq.; ancora forte il numero degli Italiani, di fronte e nonostante le continue immigrazioni slave, artificiosamente favorite negli ultimi decennî.
Posta a 5 km. dalle rovine della romana Salona, sviluppatasi in epoche diverse, Spalato presenta anche oggi quartieri a caratteri topografici ben distinti. La Citta Vecchia, entro le mura del palazzo dioclezianeo, e la Città Nuova, sul lato occidentale di essa, guardano ambedue il porto lungo la Riva Vecchia e sono circondate dai sobborghi moderni: lo Stagno e Borgo Grande a ovest, Borgo Pozzobon a nord, Borgo Manus e Borgo Luciaz a oriente. La Città Vecchia è data da un massiccio e compatto quadrilatero, a limiti ben netti entro le mura palatine, lunghe 155 metri nei lati paralleli al mare e 190 negli altri, con quattro torri sporgenti agli angoli ed entro le quali l'abitato è assai denso, ma diviso in quattro parti eguali da due calli che s'incrociano ad angolo retto, e che immettono alle antiche porte del palazzo imperiale. Il secondo nucleo, la Città Nuova, sorse aderente al primo sul lato occidentale verso la marina. Presso la Riva sgorga una sorgente sulfurea utilizzata da un piccolo stabilimento balneare.
Dei sobborghi che circondano la città, e che sono assai più estesi di questa, solo è memorabile il Borgo Manus a NE. del palazzo dioclezianeo, che era sorto ancora nel sec. VII, e il Borgo Luciaz, ad oriente, lungo la Nuova Riva, col porto mercantile e la stazione ferroviaria.
Spalato, oggi capoluogo della provincia del Litorale del regno di Iugoslavia, centro economico della Dalmazia, con attivo commercio di vini, è sede di arcivescovato e di un grandioso museo archeologico. Essa è unita per ferrovia a Sebenico, a Dernis e di qui a Ogulin e alla Croazia; e il suo porto ha relazioni o giornaliere o frequentissime con le città costiere della Dalmazia e con Fiume, Trieste, Pola, Venezia, Ancona e Bari. I suoi dintorni, grazie alla posizione lungo il mare e ai suoi colli verdeggianti di oliveti, di agavi e cipressi, sono fra i più ridenti della Dalmazia, cosicché la città è divenuta anche centro turistico invernale.
Situata in plaga amenissima, tra giardini, orti, frutteti, vigneti e pinete, alle falde del promontorio M. Marian, ch'è tutto un bosco di pini, intersecato d'interessantissime passeggiate, Spalato sorge tra due ottimi porti naturali. Il porto minore a S., è aperto verso il Canale di Spalato di fronte alle isole Bua, Solta e Brazza, con il lungomare (Marina, Riva Vecchia, sotto le mura del Palazzo di Diocleziano, passeggiata tradizionale del mezzodi e vespertina dei cittadini), estendentesi ad arco tra le due Punte, Botticelle (spiaggia per bagni) e S. Stefano (già abbazia benedettina, ora cimitero vecchio), ed è protetto dalla diga, lunga mezzo chilometro, una delle tante opere utilissime di cui l'amministrazione comunale italiana del "podestà mirabile" Antonio Baiamonti arricchì tra il 1870-83 la città. Il porto a N., nel Canale dei Castelli è amplissimo e si interna fino presso alle ruine di Salona. Quest'ultimo è porto industriale, specialmente per le adiacenti ricche cave di marna e relative fabbriche di cemento, industria creata, e in massima parte ancor oggi tenuta, da Italiani.
Il primo nucleo di Spalato, la Città Vecchia con circa 5000 ab., è tutto dentro il quadrato delle mura turrite, ancora ottimamente conservate e quasi interamente visibili, del grandioso palazzo di Diocleziano, costruito nel 293-305 con pietra delle vicine cave di Brazza e Traù.
Il palazzo aveva forma quadrilatera di m. 215 per 176; nella sua disposizione e nel suo aspetto teneva insieme dell'accampamento e della dimora sontuosa alla moda orientale: certo non aveva più nessun punto di contatto con quello che era stato il tipo del palazzo e della villa imperiale del sec. I e II d. C. Sui tre lati rivolti verso terra era chiuso da alte muraglie guarnite da torri angolari con una porta per ciascun lato: la porta principale o porta aurea era quella rivolta verso settentrione ed era, come le altre (porta argentea e ferrea), fiancheggiata da robuste torri poligonali. Il lato di mezzogiorno, verso mare, era invece occupato per tutta la lunghezza del piano superiore da un'ariosa loggia ad archi; nel basso si apriva anche qui una piccola porta (porta aenea). L'interno del quadrilatero era diviso da due strade incrociantisi ad angolo retto, fiancheggiate da portici: nella parte anteriore del palazzo erano le caserme per i pretoriani e le abitazioni per i funzionarî. Nella parte posteriore verso mare, riservata al principe, la strada che proveniva dalla porta aurea, metteva capo ad un peristilio, ai cui lati sorgevano, da una parte entro un'ampia corte il tempio, dall'altra il mausoleo imperiale; di fronte, attraverso un vestibolo circolare a cupola, si accedeva agli appartamenti del sovrano. Partiti architettonici e motivi decorativi rivelano chiaramente derivazioni orientali: è infatti molto probabile che l'ignoto architetto, cui Diocleziano affidò la costruzione del palazzo, fosse originario dall'Oriente; non si può tuttavia negare la persistenza di elementi romani, seppure di carattere militare più che civile, nella pianta e nella disposizione del complesso.
Il palazzo fu anche di capitale importanza per l'ulteriore sviluppo dell'arte italiana, perché qui e tra i ruderi della vicina Salona s'inspirarono i numerosi "lapicidi" scultori e architetti, che operarono nelle molte cave marmifere esistenti in tutti i tempi in Dalmazia; qui nel mausoleo operò il Buvina di Spalato, intagliandovi la porta lignea del duomo; qui Giorgio Orsini di Zara, caposcuola del Rinascimento, maestro dei Laurana e di Giovanni di Traù, operò giovanissimo nel 1420 a consolidare la base del maestoso campanile (sec. XIII) a lato del duomo, e poi nel 1450 costruendo l'altare di S. Anastasio, ancora gotico, perché così voluto dall'Opera del duomo per rispetto al preesistente altare dirimpetto, e s'infiammò allo stile classico. Questi maestri dalmati italiani operarono per le città di Dalmazia e nelle Puglie e nel '400 ad Ancona e in Urbino; e più oltre: con i Laurana a Napoli, Palermo e in Provenza; con Giovanni di Traù a Roma e a Buda. Importanti anche il tesoro e l'archivio capitolare del duomo.
Al colonnato O. del peristilio (la cui leggiadria ariosa fu recentemente, fra le proteste della cittaiinanza, deturpata da un'enorme statua, opera dello scultore Meštrović, rappresentante il vescovo Gregorio de Nona che si vorrebbe fosse stato avversario della latinizzazione della Chiesa dalmatica, mentre dal Bulić fu dimostrato fautore della Chiesa di Roma contro lo scisma), si sono appoggiati con graziose facciate veneziane a balconi, palazzi patrizî; quello nell'angolo interno fu abitato da Ugo Foscolo giovinetto. A S. l'atrio con porta riccamente scolpita immette nel vestibolo (la rotonda) degli appartamenti impenali. Sotto l'atrio una scala (ai lati due sfingi egizie, di cui una, spezzata, in Museo) scende al passaggio sotterraneo (grotte) che per la porta aenea giunge al mare.
Nella Città Vecchia, interessanti le due chiesette preromaniche consacrate negli ambulacri superiori delle mura dioclezianee: San Martino sopra la bella porta aurea e la Madonna del campanile sopra la porta ferrea; nonché le chiese della Buona Morte (detta la Misericordia) e di S. Filippo, con dipinti pregevoli attribuiti a Giovanni di S. Croce e Andrea del Sarto; alcuni bei palazzi patrizî: Cindro, Ivellio, Papali, ecc., con balconi, bifore, portali (sculture attribuite a Giorgio Orsini); qui anche il ghetto e la sinagoga.
Dalla porta ferrea si accede alla Piazza dei Signori (con i bei palazzi veneziani Cambi e del Municipio, ora museo etnografico) nella città nuova, che appoggia i suoi palazzi sul lato O. del palazzo dioclezianeo e che dagli altri lati era cinta di bastioni e torri veneziane, dei quali rimangono visibili ancora alcune parti, il bel torrione ottagono alla Marina e alcuni Leoni di S. Marco. Nelle vie (calli) alcuni bei palazzi patrizî veneziani: Dalla Costa Papali, Milesi, ecc. Interessanti la chiesa di S. Spirito (lapidi tombali) e i resti di S. Maria de Taurello (già monastero benedettino).
Subito fuori le mura romane e veneziane sono venuti sorgendo ed estendendosi i sobborghi, inizialmente abitati dai soli contadini slavi, che qui si rifugiavano da oltr'Alpe (i borghesani): Borgo Grande, tra il M. Marian e la Città Nuova, dalla quale lo separano le costruzioni baiamontiane delle procuratie (in mezzo della piazza una statua del poeta Botić, opera del Meštrović), della fontana monumentale (da cui Baiamonti fece zampillare l'acquedotto dioclezianeo derivante dalle sorgenti del fiume Giadro presso Salona) e del palazzo Baiamonti; interessante la prossima chiesa di S. Francesco con chiostro (fondazione attribuita all'Assisiate nel 1213) con le lapidi tombali dello storico spalatino Tomaso Arcidiacono (morto nel 1268) e dell'umanista Marco Marulo, che dettò la bell'iscrizione funebre per Tomaso; ad E. della città il Borgo Luciaz (deformazione da Arcuzio) tra il bastione Contarini, sul quale in casa Paparella nasceva l'"Assunto di Dalmazia", F. Rismondo (v.), la collina del veneziano Forte Grippi e il mare con l'interessante chiesa e convento di S. Domenico e con la stazione ferroviaria; a NO. il Borgo Pozzobon con il teatro (costruito dopo l'incendio doloso del teatro italiano di Baiamonti) e l'interessantissimo museo archeologico, ricco degli scavi di Salona e del palazzo dioclezianeo; e a NE. il Borgo Manus con l'ospedale civico e il giardino pubblico.
Dintorni: alle falde S. del M. Marian la chiesetta della Madonna del Buon Consiglio nella bella villa, già castello Capogrosso sul mare, ora albergo; più in alto pittorescamente le due cappelle eremitaggi Betlemme e S. Girolamo; a N., verso il porto industriale, interessante la chiesetta di tipo circolare, SS. Trinità, preromanica, ora in rovina, e la chiesetta della Madonna delle Grazie a Paludi (dal sito già paludoso), con convento e chiostro (importanti dipinti, codici miniati, un ritratto, originariamente su tela, firmato da L. Lotto, lapidi tombali scolpite e iscritte delle famiglie patrizie di Spalato). La strada a N., che passa al 5° chilometro da Salona e da Venezia Piccola (Vragnizza), volgendo ad O. continua per Traù lungo la amena riviera dei Sette castelli sotto il M. Caban (o Caprario). I castelli in origine erano 12, fondati in parte già dai liberi comuni di Spalato e di Traù, poi, e meglio fortificati, da Venezia a difesa del mare da incursioni barbariche e piratesche; rimangono: S. Giorgio, Abbadessa (già delle Benedettine di Spalato), Cambi, Vitturi, C. Vecchio, Castello Nuovo, Stafileo. La strada, proseguendo da Salona a N., sale al passo tra i Monti Caban e Mossor (M. Aureus), chiuso dalla fortezza di Clissa, già castrum romano. La strada ad E. per Almissa conduce al santuario della Madonna del Carmine a Poisan.
V. tavv. LV e LVI.
Storia. - Può ritenersi fondata nel 615 quando, invasa la Dalmazia dagli Avaro-Slavi e rotta la resistenza di Salona, milizie salonitane si asserragliarono nel palazzo che l'imperatore Diocleziano aveva fatto costruire in un sito che fino dai tempi preromani portava forse un nome affine a quello dell'umbra Spoleto. Nella poderosa costruzione, rifornite dal mare, le milizie resistettero sino al 639, quando, stabiliti rapporti di pace tra gli Slavi e l'impero, i profughi salonitani, dalle isole dove erano riparati, poterono, sotto la guida di Severo, reinsediarsi sul continente, popolare il palazzo di ogni ordine di cittadini, ristabilire gl'istituti civili e religiosi e continuare in pieno la vita e le tradizioni della distrutta metropoli della Dalmazia. Istituto fondamentale della storia spalatina del Medioevo fu la chiesa metropolitana, erede della chiesa autocefala di Salona, riorganizzata nel 639 da Giovanni da Ravenna, mantenutasi autonoma fino alle lotte delle investiture. Politicamente la città appartenne all'impero romano d'Oriente, dipendendo fino al 751 dall'esarcato di Ravenna, e dopo il 751 dallo stratego del tema di Dalmazia che risiedeva a Zara. Nel 1000 il doge Pietro II Orseolo stabilì la sovranità di Venezia e nel 1060 il papa Niccolò II la gerarchia di Roma. Continuo fu nell'alto Medioevo il conflitto con i finitimi Slavi tendenti a diminuire il territorio e a scuotere l'influenza della metropoli. Da questa lotta la chiesa spalatina uscì pienamente vittoriosa nel 1070 quando, ridotto il regno di Croazia a vassallo della chiesa di Roma, all'archidiocesi di Spalato venne restituita la giurisdizione su tutta l'antica provincia dalmata, nei limiti che aveva avuto sotto l'impero di Roma. Nel 1107, in concorrenza con Venezia, entra in gioco, quale fattore politico, il regno d'Ungheria. La lotta dura fino al 1133, quando l'arpade Stefano II riesce ad assicurare stabilmente la sovranità ungherese sul comune, che si mantenne, salvo un periodo di dominazione bizantina durato dal 1164 al 1180, fino al 18 settembre 1327. Segue un trentennio di amministrazione veneziana, indi, dal 1357 al 1420, nuovamente la diretta sovranità ungherese. Nel 1420 si afferma la piena signoria di Venezia che dura ininterrottamente sino al 12 maggio 1797. Va però ricordato che durante tutto il Medioevo, il comune, all'infuori di ogni sovranità, godette una larga autonomia, sviluppando ed elaborando tutte le forme e gl'istituti del comune medievale italiano. Alla fase priorile, durata sino alla fine del sec. XI, segue il reggimento consolare fino al 1207, indi quella comitale fino al 1239, poi il podestarile, al quale alla fine del XIV e al principio del XV secolo, si alternano brevi intervalli di capitanato del popolo. Un tentativo d'instaurazione di una signoria slava (duca Hervoje, 1403-1411) fu inesorabilmente stroncato dal popolo. Decisivo per l'assetto costituzionale e amministrativo del comune fu il regime podestarile.
Gargano degli Arscindi di Ancona, primo podestà (1239-1242), codificò gli statuti, ricodificati nel 1312 da Percivalle da Fermo. Etnicamente e linguisticamente la latinità, trasformatasi in neolatinità dalmatica, poi in neolatinità veneziana, durò piena e incorrotta fino al sec. XIV. Nel XV e XVI subì un'incrinatura e diede luogo a un bilinguismo nel solo basso popolo, per essere stati da Venezia accolti entro le mura elementi slavi balcanici respinti dai Turchi. Socialmente la popolazione, che nel Medioevo variò dai 10.000 ai 20.000 abitanti, era divisa in nobili, cittadini, popolari e distrettuali. I nobili erano quasi esclusivamente proprietarî fondiarî, i cittadini navigatori e mercanti, i popolari artigiani e lavoratori, i distrettuali contadini, abitanti fuori delle mura. Il comune, eccettuati i periodi di regime consolare e le brevi apparizioni del capitanato del popolo, ebbe, come tutti quelli delle città dalmate, impronta essenzialmente aristocratica. Il passaggio dal comune alla signoria è giuridicamente segnato dalla bolla d'oro, largita da Venezia il 9 luglio 1420, i cui capitoli costituirono il fondamento dell'ulteriore vita storica della città. Da allora Spalato venne retta da un patrizio veneto che, con il titolo di conte e capitano, e con figura di vero e proprio funzionario dell'autorità centrale, governava la città e il territorio per 36 mesi. Florida economicamente e spiritualmente fu la vita per tutto il Quattrocento.
In seguito la pressione turca, il cui primo episodio si ebbe nella scorreria del 4 maggio 1471, la compresse fortemente specie dopo la caduta della fortezza di Clissa (1537), baluardo eretto a difesa contro l'invasione ottomana. Nel sec. XVII, distesesi le relazioni veneto-turche, e riconquistata Clissa nel 1648, vi fu una fiorente ripresa. Spalato divenne frequentatissimo scalo di carovane turche e morlacche e uno dei maggiori centri del traffico adriatico. A questo tempo risale l'arricchimento della classe cittadinesca, la formazione dei grossi patrimonî privati, il rinnovamento edilizio della città e le sue fortificazioni. Caduta Venezia, dopo un breve periodo di torbidi interni, la città, in base al trattato di Campoformio, ru occupata dall'Austria che la tenne fino al 1806. Dal 1806 al 1809 fu annessa al Regno Italico di Napoleone e dal 1809 al 1813 alle Provincie Illiriche. Dal 1814 al 1918 fu sotto l'Austria, conservando puro il suo carattere italiano, accogliendo largamente le idee e partecipando ai movimenti del Risorgimento. Nel 1848, dopo la promulgazione della costituzione austriaca del marzo, il comune, erigendosi a paladino delle tradizioni d'italianità di tutta la provincia, chiese all'imperatore che la Dalmazia fosse annessa al Lombardo-Veneto. Tali sentimenti si espressero particolarmente durante la podesteria di Antonio Baiamonti, che, mentre fu strenuo campione d'italianità, diede tutta la sua opera e il suo patrimonio all'elevazione spirituale, al benessere economico e allo splendore edilizio della città. L'amministrazione del comune si conservò italiana sino a quando l'Austria nelle elezioni del 1882 non ne determinò, con violenze e con brogli elettorali, il passaggio ai Croati. L'italianità si mantenne tuttavia vivissima sì che, quando nel 1918, la città passò alla Iugoslavia, più di 8000 cittadini firmarono una petizione al Congresso della pace a Versailles, chiedendo l'annessione della Dalmazia all'Italia.
Bibl.: Oltre alle raccolte generali di fonti documentarie, indicate alla voce dalmazia, v.: F. Carrara, Archivio capitolare di Spalato, Spalato 1844; A. Krekich, Documenti per la storia di Spalato (1341-1414), in Atti e memorie della società dalmata di storia patria, II (1927), p. 132 segg. Le fonti cronistiche sono costituite da: Tommaso Arcidiacono, Historia Salonitana, Zagabria, Accad. Iugoslava 1893; Mica Madio, Historia, in Programma del Ginnasio superiore di Zara, 1878, pp. 3-61, e in Archivio storico per la Dalmazia, I (1926), p. 33 segg.; Anonimo a Cutheys, Summa historiarum tabula, in Lucius, De regno Dalmatiae, Amsterdam 1666, pp. 381-86. Un'opera di storia municipale organica e complessiva non esiste ancora. Indichiamo i saggi e le monografie più recenti: G. Marcocchia, Lineamenti della storia di Spalato, in Rivista dalmatica, a. IX (1927), fasc. 2° segg., p. 13 segg.; G. Praga, Testi volgari spalatini del trecento, in Atti cit., II (1927), p. 36 segg.; B. Radica, Novi Split. Monografia grada Splita od 1918-30 god. (Spalato nuova. Monogr. sulla città di Spalato dal 1918 al '30), Spalato 1931; A. Selem, Tommaso Arcidiacono e la storia medioevale di Spalato, 2ª ed., Zara 1933; G. Praga, Un diploma inedito del duca Andrea Arpad e la storia di Spalato nel primo duecento, in Archivio, cit., a. IX, fasc. 97 (aprile 1934), p. 3 segg.; Ed. degli statuti: Statuta et leges civitatis Spalati, Zagabria, Accad. Iugosl., 1878; Statuti di Spalato, Spalato 1878. Molti studî e documenti in Bullettino di archeologia e storia dalmata, ivi 1878 segg. Per i monumenti, v.: A. Dudan, La Dalmazia nell'arte italiana, Milano 1921-22; L. V. Bertarelli, Venezia Giulia e Dalmazia, in Guida d'Italia del T. C. I., ivi 1934; per il palazzo di D., v.: G. Niemann, Der Palast D. in Spalato, Vienna 1910; J. Zeiller, Spalato, le palais de D., Parigi 1912; F. Bulić, Kaiser D. Palast in Split, Zagabria 1929.