Abstract
Viene esaminato il complesso settore di competenza dell’Unione europea denominato Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, profondamente modificato in virtù dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Particolare attenzione è prestata alla delimitazione delle competenze dell’Unione e alle procedure, ordinarie e speciali, previste per l’adozione degli atti normativi.
L’istituzione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» è menzionata già nel preambolo del Trattato sull’Unione europea (TUE) dove è concepita come funzionale all’agevolazione della libera circolazione delle persone. Tale spazio è quanto l’Unione «offre» ai propri cittadini, che vi possono circolare liberamente e in condizioni di sicurezza e di giustizia accessibili a tutti (art. 3, par. 2, TUE). Ciascuno dei tre elementi - libertà, sicurezza e giustizia - richiede la realizzazione di obiettivi parziali, il conseguimento dei quali concorre all’obbiettivo finale della costruzione dello spazio. Così quest’ultimo viene ad identificare in maniera sintetica un settore di competenza concorrente dell’Unione europea, articolato in diverse materie, tutte ricomprese nel titolo V del TFUE: frontiere, asilo e immigrazione; cooperazione giudiziaria in materia civile; cooperazione giudiziaria in materia penale; cooperazione di polizia.
La stretta connessione con la libertà di circolazione delle persone fa sì che si soglia contemplare tra le materie di tale settore anche i diritti dei cittadini dell’Unione europea e le norme sulla non discriminazione che hanno però una collocazione diversa nel sistema dei Trattati.
Come in tutte le competenze di natura concorrente (art. 4, punto 2, lett. j), TFUE) l’Unione può adottare atti in base ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità (art. 5 TUE) mentre gli Stati possono intervenire solo nella misura in cui l’Unione non abbia esercitato la propria o se l’Unione abbia deciso di cessare una competenza già avviata (art. 2, par. 2, TFUE). In via di principio l’Unione può adottare qualsiasi misura: atto vincolante o non vincolante, norme minime o di completa armonizzazione. Vi sono tuttavia delle eccezioni laddove disposizioni specifiche escludano misure di armonizzazione relativamente a singole competenze od obblighino ad adottare uno specifico atto normativo (art. 85, punto 1, par. 2, TFUE).
Grazie al Trattato di Lisbona ed all’eliminazione della struttura cd. dei “tre pilastri”, l’attuazione delle competenze designate dal titolo V del TFUE avviene attraverso le regole procedurali ordinarie, caratterizzata dall’intervento del Parlamento europeo come codecisore e dall’adozione delle delibere da parte del Consiglio a maggioranza qualificata (artt. 289 e 294 TFUE). Di notevole rilievo rispetto all’era “pre-Lisbona” è anche il cambiamento relativo al ruolo della Corte di giustizia, che ha acquisito piena competenza anche in questo settore. L’unica eccezione è costituita dagli atti già adottati in base al terzo pilastro che, fino al 1° dicembre 2014, manterranno le caratteristiche vigenti al momento della loro adozione, ivi compreso il ruolo limitato della Corte di giustizia (art. 10 del Protocollo n. 36 Sulle disposizioni transitorie; si veda anche Corte di giustizia, sentenza del 7.6.2012, C-27/11, Vinkov, non ancora pubblicata).
Nella determinazione delle singole misure normative l’Unione è vincolata al rispetto «dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri» (art. 67 TFUE). Il riferimento, innovativo, al rispetto dei diversi ordinamenti giuridici e alle differenti tradizioni giuridiche richiede alle istituzioni europee di tener conto delle diversità esistenti tra i diversi ordinamenti nell’elaborazione degli atti relativi al titolo V; verosimilmente la clausola è stata inserita in relazione prevalentemente alle misure in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria sia civile sia penale. In base poi all’art. 68 del TFUE il Consiglio europeo definirà gli orientamenti strategici generali per la pianificazione legislativa e operativa nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La norma specifica la competenza generale del Consiglio a definire gli orientamenti politici generali e a stabilire i successivi sviluppi normativi sulla base di una programmazione quinquennale: così in passato sono stati adottati due programmi (Tampere 1999-2004; Aja: 2004-2009) e l’ultimo, il Programma di Stoccolma (2010-2014) è quello attualmente in vigore (Programma di Stoccolma per il periodo 2010-2014, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, in GUUE C 115/2010). L’attuazione dei programmi di azione è costantemente monitorata dalla Commissione europea, ai quali rapporti si rinvia per il dettaglio analitico delle diverse disposizioni adottate o in corso di approvazione (v. www.ec.europa.eu; si veda anche www.statewatch.org).
L’art. 72 TFUE espressamente prevede che le disposizioni del nuovo titolo V del TFUE non ostano all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Si tratta di una sorta di riserva di competenza che autorizza gli Stati ad adottare atti anche laddove ci siano normative dell’Unione che potrebbero dunque essere derogate dagli Stati, fermo restando che le nozioni di ordine pubblico e sicurezza interna devono essere intese come nozioni di diritto dell’Unione europea e, quindi, devono essere interpretate secondo quanto la Corte ha avuto modo di affermare in materia di limiti alla circolazione delle persone e delle merci dove vigono analoghi limiti all’applicazione delle libertà sancite dal Trattato.
Infine l’art. 70 TFUE espressamente prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, individui le modalità di valutazione delle politiche del titolo V, condotte dalla Commissione congiuntamente agli Stati membri relativamente all’attuazione delle politiche dell’UE. Si tratta di una norma volta a coinvolgere gli Stati membri nel processo di valutazione sull’attuazione al fine di favorire il principio del riconoscimento reciproco. Verosimilmente il settore privilegiato di questa valutazione sarà la giustizia civile e penale ma anche in materia di immigrazione vi sono alcuni ambiti nei quali la valutazione potrebbe essere rilevante: ad esempio in relazione al mutuo riconoscimento dei provvedimenti di allontanamento o alla circolazione dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.
Si consideri anche che quando il rinvio venga chiesto nell’ambito di un procedimento nel quale vi sia una questione relativa alla limitazione della libertà personale è possibile richiedere una procedura di urgenza, introdotta per ridurre i tempi di trattazione della questione pregiudiziale, eccessivamente lunghi per la tipologia di fattispecie in rilievo in materia di Spazio di libertà, sicurezza e giustizia («PPU», in vigore dal 3 marzo 2008).
Il protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia esclude tali Stati dall’applicazione di tutte le norme del titolo V TFUE. L’esclusione concerne anche il cd. “acquis di Schengen” come risulta dal protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen integrato nell’ambito dell’Unione europea, il quale riformula il protocollo allegato al Trattato di Amsterdam del 1997 con il quale il sistema Schengen (accordo, convenzione di applicazione e norme di applicazione) era stato incorporato nell’ambito del Trattato sull’Unione europea.
Regno Unito e Irlanda non sono, dunque, vincolati in alcun modo a meno che ciascuno di essi non decida di aderire ad una singola misura adottata, notificandolo entro tre mesi dal momento della presentazione della proposta o in qualsiasi momento successivo all’adozione dell’atto (Corte di giustizia, sentenza del 18.12.2007, Regno Unito c. Consiglio, C-77/05 e C-137/05, in Raccolta 2007, 11459 ss.). La stessa disposizione si applica alle misure proposte per modificare atti in vigore ai quali Regno Unito e Irlanda hanno aderito, sebbene in questo caso la loro partecipazione possa essere ritenuta necessaria per non vanificare l’efficacia della modifica. Due disposizioni specifiche riguardano poi solo l’Irlanda: una dispone la possibilità di non essere più vincolata dal protocollo e, quindi, di cessare nei suoi riguardi il regime di applicazione differenziata; l’altra concerne la non applicazione del protocollo alle misure adottate in base all’art. 75 del TFUE, ossia alle misure adottate per la prevenzione del terrorismo e delle attività connesse. La prassi mostra che Regno Unito e Irlanda hanno aderito a tutti gli atti adottati in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile nonché a tutti gli atti in materia di cooperazione di polizia, ivi incluse le misure di polizia degli atti normativi costituenti sviluppo dell’acquis di Schengen.
Lievemente diversa è la disciplina contenuta nel protocollo n. 22 sulla posizione della Danimarca del tutto esclusa dalla partecipazione alle misure adottate nell’ambito dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia ad eccezione delle misure in materia di determinazione degli Stati i cui cittadini devono possedere il visto per l’attraversamento delle frontiere esterne e di quelle che costituiscono uno sviluppo del cd. acquis di Schengen. La Danimarca è, infatti, a differenza di Regno Unito e Irlanda, parte dell’Accordo di Schengen e della sua Convenzione di applicazione. Il coordinamento tra l’esclusione dalla applicazione della politica dell’Unione europea in materia di visti, asilo e immigrazione e la partecipazione alla Convenzione di Schengen è ottenuto con il conferimento alla Danimarca della facoltà di partecipare alle misure che costituiscono sviluppo dell’acquis di Schengen, precisando tuttavia che la Danimarca sarà vincolata a titolo di diritto internazionale. Una posizione analoga a quella degli Stati non parti dell’Unione europea ma parti della Convenzione di Schengen quali Norvegia, Islanda, Svizzera e Liechtenstein. Tuttavia lo stesso protocollo (parte IV) prevede che in qualsiasi momento la Danimarca potrà, conformemente alle proprie norme costituzionali, notificare di non avvalersi più del regime differenziato ad essa riservato, rinunciandovi del tutto o optando per un regime analogo a quello di Regno Unito e Irlanda, vale a dire della possibilità di scegliere se aderire o meno ad una proposta di atto adottato dall’Unione europea. È espressamente previsto che, nel caso in cui ciò avvenisse i vincoli già esistenti, nonché implicitamente quelli che venissero successivamente in essere, vincoleranno la Danimarca in quanto diritto dell’Unione europea.
Nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale è prevista la possibilità da parte di uno Stato membro di sospendere la procedura legislativa ordinaria in corso nel caso in cui l’atto incida su un aspetto fondamentale del proprio ordinamento giuridico penale (art. 82, par. 3 e 83, par. 3, TFUE). Contestualmente alla sospensione lo Stato può chiedere che venga investito dell’esame della direttiva il Consiglio europeo che esaminerà tale proposta per quattro mesi. Al termine o sarà raggiunto un accordo e allora la procedura legislativa ordinaria potrà riprendere, oppure la procedura si blocca del tutto. Tuttavia se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata questi possono procedere informandone il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. Si innesca quindi sulle ceneri della procedura legislativa ordinaria una procedura di cooperazione rafforzata semplificata rispetto a quanto previsto in via generale, dato che non sarà necessario ottenere l’autorizzazione con la maggioranza qualificata del Consiglio altrimenti richiesta (art. 329, par. 1, TFUE).
La valutazione circa l’impatto della proposta di direttiva su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale è di competenza primariamente dello Stato membro che invoca tale possibile evenienza, anche se dovrà adeguatamente argomentarla in modo che anche gli altri membri del Consiglio ne siano persuasi e possano ritenere legittima la sospensione della procedura legislativa ordinaria. Ovviamente nell’interpretare questa come ogni altra norma del Trattato gli Stati devono agire nel rispetto del principio di leale cooperazione e, quindi, fare uso della procedura ai sensi dell’art. 82 e 83 del TFUE solo laddove sia effettivamente necessario.
Analoga ma parzialmente diversa è la clausola prevista agli articoli 86, paragrafi 2-3, e 87, paragrafi 2-3, TFUE in relazione alla costituzione della Procura europea e all’adozione di misure sulla cooperazione tra le autorità di polizia degli Stati membri. Per l’adozione di questi atti si segue una procedura legislativa speciale con il Consiglio che delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Se non si raggiunge l’unanimità un gruppo di almeno nove Stati membri possono investire il Consiglio europeo del progetto di misure con la contemporanea sospensione della procedura in sede di Consiglio. Nel caso in cui all’interno del Consiglio europeo si riesca a raggiungere il consenso necessario la proposta viene rinviata al Consiglio per la ripresa della procedura legislativa speciale in vista dell’adozione dell’atto da parte del Consiglio. Se, invece, permane il disaccordo la procedura viene interrotta a meno che nove Stati membri desiderino procedere all’adozione delle misure proposte attraverso l’instaurazione di una cooperazione rafforzata. Tali Stati ne devono informare il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione ma non sarà necessario, anche in questo caso, la previa autorizzazione da parte del Consiglio a maggioranza qualificata.
Ai sensi dell’art. 87, punto 3, par. 4, del TFUE, la procedura non si applica agli atti che costituiscono uno sviluppo dell’acquis di Schengen: verosimilmente deve trattarsi o di misure già contemplate nella Convenzione di Schengen o di atti esecutivi anche se riformulate in atti dell’Unione.
In base all’art. 67, par. 2, TFUE l’Unione sviluppa una politica comune in materia di frontiere, visti, immigrazione e asilo. La stessa disposizione qualifica la politica come fondata sulla solidarietà tra gli Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini di Paesi terzi. Il principio di solidarietà impone l’esigenza di ripartire tra tutti gli Stati membri gli oneri della gestione delle politiche in questo settore che, come noto, rischiano di sovraccaricare di più gli Stati di frontiera esterna meridionale e orientale, rispetto a tutti gli altri Stati. Lo stesso concetto lo si trova più ampiamente espresso nell’art. 80 del TFUE dove è qualificato come principio generale dell’azione dell’Unione in questo ambito, prevedendo anche un’espressa attribuzione di competenza all’Unione ad adottare «misure appropriate ai fini dell’applicazione di tale principio» (COM(2011)835 del 2.12.2011 sul rafforzamento della solidarietà all'interno dell'UE in materia di asilo. Un programma dell'UE per una migliore ripartizione delle responsabilità e maggiore fiducia reciproca).
Gli artt. 77-79 TFUE illustrano nel dettaglio la competenza dell’Unione articolata in quattro settori: frontiere, visti, asilo, immigrazione. Quanto alle frontiere, l’Unione sviluppa una politica volta a eliminare i controlli alle frontiere interne e a garantire i controlli comuni alle frontiere esterne (art. 77, par. 1, TFUE). Agli Stati rimane la competenza esclusiva sulla delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale. L’eliminazione dei controlli alle frontiere interne è stata in gran parte realizzata grazie alla cooperazione cd. Schengen, oggi propriamente diritto dell’Unione europea (si veda il Codice Frontiere Schengen adottato con il Regolamento n. 562/2006, in GUUE L 105 del 13.4.2006, pp. 1-32). Per realizzare gli obiettivi previsti dal Trattato è stata anche istituita l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, detta FRONTEX (regolamento n. 2007/2004 del 26.10.2004).
Uno dei settori nel quale è stato raggiunto un più elevato livello di integrazione è senz’altro quello della politica dei visti, disciplinata dall’art. 77, par. 2, TFUE. La competenza attribuita concerne: la politica dei visti e altri titoli di soggiorno di breve durata; i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo; qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne.
In materia di asilo all’art. 78 TFUE è stato introdotto il concetto di «asilo europeo» e la politica di asilo è ora espressamente qualificata come comune. L’asilo europeo ricomprende tre diverse fattispecie: l’asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea, nell’obiettivo di consentire a chiunque necessiti di una protezione internazionale di vedersi riconosciuto lo status appropriato alla propria situazione. Espressamente affermato è il principio di non respingimento (ribadito anche nell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) così come è richiamata la Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 sullo status dei rifugiati. L’attuazione della politica di asilo europea come definita dal Trattato è avvenuta in due fasi, con la seconda delle quali si è voluto raggiungere un adeguato livello di armonizzazione delle normative nazionali così da contrastare il fenomeno del cd. asylum shooping (si veda la Quarta relazione annuale su immigrazione e asilo (2012), pubblicata dalla Commissione europea con la comunicazione COM(2013)422 del 17.6.2013).
Ai sensi dell’art. 79 TFUE «l’Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta». Più specificamente l’Unione può adottare misure relativamente ai seguenti settori: condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.
Due paragrafi dell’art. 79 TFUE concernono specificamente l’ingresso e l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi, marcando una differenza rispetto ai poteri che l’Unione può esercitare in questi due ambiti. Quanto all’ingresso è espressamente affermato che rimane un diritto proprio degli Stati determinare il numero degli ingressi di lavoratori provenienti da Paesi terzi (art. 79, par. 5, TFUE). Rispetto all’integrazione si prevede che siano adottate misure di incentivazione e di sostegno dell’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio (art. 79, par. 4, TFUE). L’esclusione di qualsiasi misura di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri impedisce la formazione di una politica comune in materia di integrazione. L’Unione mantiene comunque la possibilità di adottare misure che, come altri settori del diritto UE dimostrano, possono anche risultare molto efficaci pur se non dotati della forza giuridica propria degli atti di armonizzazione (art. 2, punto 5, TFUE).
Come si è detto all’inizio lo spazio europeo è concepito come luogo nel quale i cittadini possono circolare liberamente in condizioni di giustizia comparabili a quelle del proprio Paese. L’esistenza di regole omogenee in materia di accesso alla giustizia e di soluzione dei conflitti in tutte quelle situazioni che presentano profili di transnazionalità, nonché il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e sentenze pronunciate negli altri Stati membri è, infatti, considerato non solo un fattore di agevolazione della circolazione delle persone ma essenziale per lo sviluppo del mercato interno. Tant’è che la cooperazione tra Stati membri in questo settore era già prevista nel Trattato CE sebbene con il rinvio al diritto internazionale.
Impulso decisivo allo sviluppo normativo in questo settore si è avuto soprattutto con il Trattato di Amsterdam del 1999 con il quale la competenza era stata trasferita dal terzo pilastro al primo (art. 65 TCE). La Comunità era così competente ad adottare misure di cooperazione giudiziaria in materia civile che presentassero implicazioni transfrontaliere. Si è così assistito prima di tutto ad una sostituzione degli strumenti convenzionali con atti normativi dell’Unione europea. Allo stesso tempo si è definito un programma normativo volto a realizzare il principio del mutuo riconoscimento attraverso anche l’adozione di misure di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri.
Nel titolo V del TFUE la cooperazione giudiziaria in materia civile è ora disciplinata dall’art. 81 TFUE. In particolare in base all’art. 81, par. 1, TFUE la cooperazione giudiziaria è limitata «alle materie civili con implicazioni transnazionali» ed è basata sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. La limitazione è volta a circoscrivere i presupposti legittimanti l’azione dell’Unione che non può riguardare materie civili di rilevanza puramente nazionale. Si tratta, dunque, di una notevole limitazione che può tuttavia dare adito ad interpretazioni divergenti. Il discrimine, infatti, tra materie puramente interne e materie aventi, invece, implicazioni transnazionali non è sempre agevole da tracciare ed inoltre è talvolta necessario che certi aspetti del diritto civile e processuale civile di natura puramente interna rientrino nella competenza dell’Unione laddove siano ancillari e necessari per il conseguimento dell’effetto utile delle misure vertenti su materie aventi un carattere transnazionale.
Nella cooperazione giudiziaria in materia civile è inclusa anche l’adozione di misure di ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, «in particolare» se necessarie al buon funzionamento del mercato interno. Il Trattato di Lisbona ha dunque mantenuto l’espressa connessione tra misure di cooperazione giudiziaria in materia civile e il buon funzionamento del mercato interno, rendendo però tale connessione una eventualità che fonda la competenza dell’Unione all’adozione di singole misure normative, non escludendo che si possano adottare misure che tale connessione non abbiano.
Una disposizione specifica è stata introdotta in relazione all’adozione di misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali che sono stabilite dal Consiglio ma deliberando secondo una procedura legislativa speciale invece che ordinaria. In questo caso il Consiglio delibera all’unanimità con l’intervento meramente consultivo del Parlamento europeo. È tuttavia previsto che il Consiglio possa, in base alla stessa procedura legislativa speciale, su proposta della Commissione, decidere di sottoporre l’adozione di atti in questa materia alla procedura legislativa speciale. In questo caso è però stata introdotta una clausola di salvaguardia a favore degli Stati membri: i Parlamenti nazionali devono, infatti, essere informati della proposta di atto normativo ed hanno sei mesi di tempo per formulare un’eventuale opposizione, al termine del quale periodo la decisione non è adottata. Basta dunque anche solo l’opposizione di uno Stato membro per bloccare l’adozione di un atto normativo sottoposto alla procedura legislativa ordinaria. Trattandosi di un’eccezione alla regola della procedura legislativa ordinaria occorre che sia interpretata restrittivamente, così da applicarla solo ed esclusivamente a quelle misure riguardanti il diritto di famiglia. Potrebbero esservi casi di misure riguardanti il diritto di famiglia e altri aspetti del diritto civile o processuale civile: in questo caso sarà possibile l’applicazione di entrambe le procedure alle diverse parti della medesima misura normativa.
La cooperazione giudiziaria in materia penale dell’Unione europea, iniziata con l’attribuzione di competenza all’Unione per tramite del cd. terzo pilastro del Trattato sull’Unione europea, ha visto un decisivo impulso in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. Prima di allora, infatti, la cooperazione tra gli Stati membri dell’UE era basata sul rafforzamento dell’efficacia delle convenzioni concluse nell’ambito del Consiglio d’Europa, tra le quali spiccano quelle in materia di estradizione. Inoltre, nell’ambito del Trattato sull’Unione europea, erano state approvate alcune azioni istitutive di programmi di finanziamento per incentivare gli scambi e la cooperazione tra le autorità giudiziarie. Alcune misure erano poi contenute nella Convenzione di Schengen del 1990 che fino al 1999 ha mantenuto la sua natura squisitamente internazionale.
La giustificazione dell’inclusione di questa materia nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia deve rinvenirsi in una pluralità di ragioni. Prima di tutto vi è l’esigenza di rendere ottimale la persecuzione dei reati di dimensione sovranazionale o che comunque vengono a coinvolgere più Stati membri; inoltre vi è l’esigenza di evitare che lo spazio di libertà, reso effettivamente tale grazie all’eliminazione dei controlli alle frontiere interne, possa divenire uno spazio che facilita la circolazione e la clandestinità della criminalità. Infine la cooperazione penale è volta anche a proteggere interessi propri dell’Unione laddove l’individuazione di sanzioni penali sia necessaria per rendere effettive misure adottate nei diversi settori di competenza dell’Unione europea.
Dopo il Trattato di Lisbona le due norme chiave relative alla competenza in materia penale sono gli artt. 82 e 83 del TFUE. Il primo dedicato alla cooperazione in materia processuale, il secondo invece alla competenza ad armonizzare alcune fattispecie di reato.
In base all’art. 82 del TFUE e così come nella cooperazione giudiziaria in materia civile, anche in quella penale il principio considerato preminente è quello del mutuo riconoscimento delle sentenze e delle decisioni delle autorità giudiziarie. Per l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento l’Unione può adottare, in base alla procedura legislativa ordinaria, specifiche misure, così come può adottare atti per sostenere la formazione dei magistrati e degli altri operatori giudiziari, risolvere i conflitti di giurisdizione e facilitare la cooperazione tra autorità giurisdizionali competenti all’esecuzione delle decisioni e all’azione penale.
Peraltro, sempre la realizzazione del principio del mutuo riconoscimento, può richiedere anche un certo grado di ravvicinamento delle legislazioni nazionali. È espressamente previsto che tale ravvicinamento avvenga attraverso direttive da adottarsi secondo la procedura legislativa ordinaria e tenendo «conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri». Le direttive di armonizzazione minima possono essere adottate per regolare l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; i diritti della persona nella procedura penale; i diritti delle vittime della criminalità. Inoltre il Consiglio può, deliberando all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo, adottare una decisione con la quale individua altri aspetti della procedura penale dei singoli Stati membri che necessitano di una tale armonizzazione. La caratteristica di armonizzazione minima è confermata anche dalla espressa previsione della clausola di salvaguardia delle normative nazionali che prevedano un livello più elevato di tutela delle persone. Si tratta di una sorta di clausola di non regresso, varie volte previste nel Trattato soprattutto in concomitanza all’attribuzione di nuove competenze all’Unione. Tali clausole sono quasi sempre destinate ad essere rimosse nelle successive revisioni dei Trattati, poiché il loro mantenimento non può che pregiudicare l’efficacia armonizzatrice della normativa adottata, che non necessariamente implica un’armonizzazione nel progresso, ben potendo il ravvicinamento della legislazione europea comportare una diminuzione del livello di tutela dei diritti delle persone. Ciò anche a prescindere dall’esistenza di norme di rango costituzionale volte a tutelare determinati diritti. Possibili soluzioni diverse potranno in futuro emergere valorizzando il disposto dell’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dell’art. 4, par. 2, TUE, volti a valorizzare gli ordinamenti interni di fronte all’azione dell’Unione Europea.
Ai sensi dell’art. 83 del TFUE l’Unione è chiamata ad adottare norme minime relative alla definizione dei reati per alcune sfere di criminalità considerate particolarmente gravi con «una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni». Tali sfere di criminalità sono individuate nelle seguenti: terrorismo; tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori; traffico illecito di armi; riciclaggio di denaro; corruzione; contraffazione di mezzi di pagamento; criminalità informatica e criminalità organizzata. Il Consiglio potrebbe poi adottare all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo una decisione per individuare altre sfere di criminalità sulle quali legiferare e non espressamente incluse nell’art. 83 TFUE.
Ulteriore possibilità di esercizio di competenza penale da parte dell’Unione si può avere, ai sensi dell’art. 83, par. 2, TFUE laddove il ravvicinamento delle normative penali nazionali si renda necessario per completare e rendere pienamente efficace una normativa di armonizzazione adottata in un altro settore del diritto dell’Unione europea. La disposizione è innovativa del quadro normativo pre-Lisbona e codifica la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia (sentenza della Corte di giustizia del 13.9.2005, C-176/03, Commissione c. Consiglio, in Raccolta, 2005 p. I-7879). Anche queste normative penali devono essere adottate con lo strumento della direttiva e sono adottate secondo la procedura legislativa prevista per l’approvazione delle misure di armonizzazione.
Una disposizione specifica è stata aggiunta al quadro normativo previgente e volta ad attribuire competenza all’Unione per prevenire la criminalità. Poiché l’art. 84 esclude qualsiasi armonizzazione delle disposizioni normative degli Stati membri ma autorizza l’adozione di misure di incentivazione e di sostegno dell’azione degli Stati membri, la competenza così attribuita deve essere qualificata come parallela ai sensi degli artt. 2, par. 5, e 6 TUE, pur non essendo espressamente richiamata dall’art. 6 che riporta un elenco di settori che rientrano in tale categoria di competenza.
Uno dei risultati conseguiti nell’era del terzo pilastro dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia è stata la costituzione di Eurojust. Ad esso è dedicato un intero articolo del Trattato, l’art. 85, che dà ad esso «il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell’azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un’azione penale su basi comuni». Per definire il funzionamento, la struttura e i poteri di azione di Eurojust è espressamente prevista l’adozione di regolamenti da adottarsi secondo la procedura legislativa ordinaria (si veda la proposta di regolamento COM(2013)535 del 17.7.2013 istitutiva dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust)). Gli stessi regolamenti prevedono anche meccanismi di valutazione nei quali sono associati il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali.
Il Trattato di Lisbona ha anche sgomberato definitivamente il campo relativamente ai dubbi circa la possibilità di istituire una Procura europea. L’art. 86 TFUE, infatti, attribuisce al Consiglio la competenza ad adottare regolamenti secondo una procedura legislativa speciale (unanimità del Consiglio e previa approvazione del Parlamento europeo) per istituire una Procura europea a partire da Eurojust per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; una proposta è stata così presentata lo scorso 17.7.2013 (COM(2013)534 che istituisce una procura europea)Un’estensione del mandato della Procura europea ad altri reati è possibile con il Consiglio che delibera all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo e consultazione della Commissione europea. Tale estensione può tuttavia riguardare solo reati con dimensione transnazionale e per perseguire gli autori di reati gravi con ripercussioni in più Stati membri. La Procura europea avrà un vero e proprio potere di indagine e di ricerca degli autori dei reati, nonché di esercizio dell’azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri. La definizione delle regole di funzionamento – statuto, procedure, ammissibilità delle prove e controllo giurisdizionale del proprio operato – è effettuata con i regolamenti di cui all’art. 86, par. 1, TFUE.
L’art. 87 TFUE modifica quanto in precedenza disposto in materia di cooperazione di polizia. Tale cooperazione coinvolge tutte le autorità competenti nei singoli Stati membri in materia di prevenzione e individuazione dei reati e delle relative indagini. A tal fine possono essere adottati regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria nel settore dello scambio e conservazione dei dati; sostegno alla formazione e scambio di personale e attrezzature; tecniche investigative comuni. Misure specifiche, da adottarsi secondo la procedura legislativa speciale – unanimità del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo – sono previste per stabilire misure riguardanti la cooperazione operativa tra le autorità competenti degli Stati membri. Come già rilevato si applica a queste misure la procedura speciale di rinvio al Consiglio europeo da parte di almeno nove Stati membri con conseguente, possibile, avvio di una cooperazione rafforzata in caso di disaccordo confermato in seno al Consiglio europeo nei successivi quattro mesi. Tale procedura particolare non si applica agli atti che costituiscono sviluppo dell’acquis di Schengen.
Per sostenere la cooperazione di polizia tra gli Stati membri, l’art. 88 TFUE stabilisce l’istituzione di Europol la cui attività può riguardare qualsiasi misura di prevenzione e di lotta al terrorismo e alla criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che comunque leda un interesse comune oggetto di una politica dell’Unione.
Analogamente a quanto previsto per Eurojust, l’art. 88, par. 2, TFUE dispone che l’Unione possa adottare secondo la procedura legislativa ordinaria regolamenti relativi sia alla struttura sia al funzionamento di Europol. Ancora è anche qui previsto che Europol sia soggetta ad un controllo da parte del Parlamento europeo, al quale controllo sono associati i parlamenti nazionali.
La struttura di funzionamento di Europol vede questa agire d’intesa e insieme alle autorità degli Stati membri nel cui territorio si deve svolgere l’attività. Ciò è rilevante anche in relazione all’adozione di misure coercitive che rimane una prerogativa esclusiva dei singoli Stati membri. Per tutelare la medesima esigenza di rispetto della sovranità territoriale dei singoli Stati membri e le prerogative delle autorità nazionali competenti, l’art. 89 TFUE attribuisce al Consiglio che delibera all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale «la definizione delle condizioni e dei limiti entro i quali le autorità competenti degli Stati membri…possono operare nel territorio di un altro Stato membro in collegamento e d’intesa con le autorità di quest’ultimo».
Alla competenza ad adottare misure sul piano interno corrisponde la competenza a concludere accordi internazionali con Stati terzi o altre organizzazioni internazionali. Si consideri anche che la spiccata dimensione globale dei fenomeni trattati nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia impone all’Unione di instaurare un dialogo e una cooperazione con gli altri soggetti della comunità internazionale, parallelamente alla costruzione di una politica interna. Questo vale, ad esempio, per la politica di immigrazione e di asilo o per il contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo.
In tema di immigrazione l’art. 79, par. 3, TFUE attribuisce espressamente all’Unione la competenza a concludere con i Paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei Paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri. Numerosi sono gli accordi di riammissione, talvolta connessi con quelli di facilitazione dell’ottenimento dei visti, che sono stati già conclusi dall’Unione europea applicando il principio del parallelismo delle competenze. L’espressa attribuzione di competenza codifica ora quanto già emergeva dai precedenti Trattati. In mancanza di un’indicazione testuale diversa, la competenza a concludere questo genere di accordi deve essere considerata concorrente con quella degli Stati membri che rimangono liberi di concludere propri accordi bilaterali di riammissione; un esame specifico andrà compiuto quando l’Unione viene a concludere un accordo con uno Stato terzo vincolato anche da un accordo bilaterale con uno Stato membro. Eventuali profili di incompatibilità dei due trattati dovranno essere risolti alla luce delle rilevanti norme di diritto internazionale nonché dell’art. 351 TFUE. Come noto, a seconda dello sviluppo normativo di una determinata politica, si potrebbe anche determinare l’attribuzione in via esclusiva all’Unione della competenza a concludere accordi internazionali, come affermato dalla Corte in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile (Corte di giustizia, parere 1/03 del 7.2.2006, Competenza della Comunità a concludere la nuova Convenzione di Lugano concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in Raccolta 2006, p. 1145 ss.). Anche in materia di asilo l’art. 78, par. 2, lett. g), TFUE include nel sistema europeo di asilo comune il partenariato e la cooperazione con Paesi terzi per gestire i flussi di persone richiedenti qualsiasi forma di protezione internazionale.
La stessa Commissione europea nel pianificare la propria attività in materia di immigrazione ed asilo ha sviluppato un vero e proprio «Approccio globale all’immigrazione» con l’obiettivo di rendere coerente l’azione dell’Unione in materia di relazioni esterne e di politiche di sviluppo con le politiche di immigrazione (si veda da ultimo la comunicazione COM(2011)743 del 18.11.2011, L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità). Analogamente in materia di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata la Commissione ha adottato diversi documenti programmatici tra i quali si segnala la Comunicazione della Commissione sull’approccio globale al trasferimento dei dati del codice di prenotazione (Passenger Name Record, PNR) verso paesi terzi (COM(2010)492 del 21.9.2010; si veda anche la sentenza della Corte di Giustizia del 30.5.2006, Parlamento c. Consiglio, C-317/04 e 318/04, in Raccolta 2006, p. 4721 ss.).
Anche i Programmi di azione che pianificano l’attività delle istituzioni in questa materia, da ultimo il Programma di Stoccolma, hanno sempre previsto un capitolo riservato alla dimensione esterna della costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, individuando alcune priorità di azione: il contrasto dell’immigrazione irregolare e della tratta degli esseri umani; la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata e il contrasto del traffico di stupefacenti.
Art. 4, par. 2, TUE; art. 4, par. 2, lett. j) TFUE; titolo V, artt. 67-89, TFUE.
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