Spazio pubblico
Con l'espressione spazio pubblico si intende in prima istanza quell'insieme di strade, piazze, piazzali, slarghi, parchi, giardini, parcheggi che separano edifici o gruppi di edifici nel momento stesso in cui li mettono in relazione tra di loro. Si tratta di un sistema di vuoti urbani di diverse forme e di dimensioni anch'esse variabili che rappresentano, per così dire, il negativo del costruito. Individuato per la prima volta in termini espliciti da G.B. Nolli nella sua Nuova pianta di Roma pubblicata nel 1748, questo sistema, la cui progettazione e la cui cura sono affidate di solito all'amministrazione della città, si traduce nella struttura urbana in sequenze prospettiche che conferiscono un senso preciso e conseguente alla presenza dei manufatti. Lo s. p. così definito può essere il risultato di un progetto unitario o derivare da modificazioni progressive del tracciato, in un'evoluzione quasi biologica della città risolta in una serie di continui aggiustamenti topografici e architettonici. Modificazioni che danno vita a una successione di compressioni e dilatazioni spaziali, come avviene specie nelle città di impianto storico. In questi contesti infatti l'alternanza di canali stradali dalle differenti sezioni, da quelle strette dei vicoli a quelle ampie delle strade più larghe, e di aperture discontinue, anch'esse di dimensioni non uniformi corrispondenti alle piazze, conferisce al tessuto edilizio un carattere di organica irregolarità. Al contrario nelle nuove espansioni prevale un carattere programmatico e regolare dello s. p., inverato in vani dalla geometria semplice e ripetitiva.
Considerando lo s. p. da un altro punto di vista, vale a dire non analizzandone l'essenza fisica, ma i suoi usi e i suoi significati, esso si rivela come il complesso degli ambienti urbani esterni il cui accesso è non solo aperto a tutti, ma riveste un carattere particolare, riguardante la qualità del modo con il quale questa accessibilità si dà. Con l'espressione spazio pubblico si intende in questa accezione l'esito della compresenza di più categorie tese ad assicurare una specifica tonalità ideale, iconica e comportamentale alla fruizione di strade e di piazze. Oltre la già ricordata libera accessibilità, rientra in questa categoria il senso di sicurezza. Contrastando l'impressione ancestrale di pericolo legata agli ambienti aperti e scoperti, nei quali risuona l'eco non solo della probabile etimologia latina della parola spazio, ma soprattutto della radura heideggeriana, tale senso di sicurezza, assicurato soprattutto dalla possibilità di misurare e delimitare lo s. p., fa sì che nelle città ci si senta al riparo da rischi e da imprevisti. A questa sensazione di essere protetti - una sensazione che però può venire in determinate occasioni improvvisamente smentita - fa seguito subito dopo un principio di sovranità, per il quale chi frequenta lo s. p. è in qualche modo convinto di possedere idealmente le strade e le piazze, come se esse fossero una proiezione mentale di chi le sta percorrendo e attraversando. Oltre a questa appropriazione interviene poi la capacità di rappresentare, tramite adeguate sistemazioni architettoniche degli invasi urbani e per mezzo di edifici particolarmente significativi, la comunità urbana nei valori che la istituiscono come tale. Tutto ciò in una condizione di lunga durata, nel senso che questo processo rappresentativo si definisce attraverso l'iterazione nel corso di decenni, e molte volte di secoli, di particolari momenti associativi che riguardano la vita religiosa, civile, politica. In questo modo, nel tempo, si sovrappone alle città una rete di percorsi processionali capaci di definire un sistema di assialità e di polarità. Tali percorsi, che diventano sempre più monumentali, alimentano ritualità urbane e mitologie collettive dense di simboli, dando vita a una complessa e mutevole mappa di luoghi significativi, spesso legati alla storia della città, che si iscrivono nella memoria di ciascun abitante. In poche parole lo s. p. è quello spazio dotato di permanenza che produce in chi lo fruisce la doppia e profonda impressione di appartenere alla città, ma anche che essa appartenga a chi la abita. In effetti è proprio sull'esistenza dello s. p. che si sostiene, per ciò che riguarda la struttura fisica dell'organismo urbano, il concetto di cittadinanza.
Va ricordato comunque che il sentirsi parte della città, e all'inverso il sentire la città come propria, non riguarda solo gli abitanti di una città, ma anche i suoi visitatori, come dimostra la letteratura di viaggio. Questa proprietà dello s. p. deriva non solo dal fatto che esso contiene elementi generali che si ritrovano in ogni città, ma soprattutto dal suo essere un deposito di memorie urbane espresse nelle forme di una narrazione in grado di trascendere gli elementi locali per farsi racconto universale. C'è inoltre da aggiungere che negli stessi anni in cui nasce con Nolli la coscienza moderna dello s. p. nasce anche, con G.B. Piranesi, la sua crisi. La Roma dell'incisore veneziano, nella quale campeggiano i resti ingigantiti e corrosi di un 'antico' inquieto e indecifrabile, presenta strade e piazze pervase da un'atmosfera drammatica, quasi esse siano in attesa di una catastrofe imminente. Allarmante e desolato, lo spazio urbano di Piranesi è un'entità residuale nella quale ogni dimensione pubblica viene negata a vantaggio di una fruizione solitaria e quasi involontaria della città, restituita come un labirinto di spazi non a caso tagliati da divergenti e irreali lame di luce, quasi a sottolineare la loro crescente e irreversibile instabilità.
Rispetto alle definizioni appena enunciate - lo s. p. come realtà fisica e lo s. p. relativo agli usi e ai significati che esso esprime - c'è da aggiungere qualche chiarimento. Il primo riguarda il rapporto tra lo s. p. e il suo essere tendenzialmente esterno. In effetti anche molti interni come le gallerie e le biglietterie delle stazioni o come i vasti ambienti di un aeroporto sono s. p., configurandosi come strade o piazze coperte. L'essere interno di uno s. p. aumenta la sua capacità di trasmettere un senso di sicurezza, mentre il suo invaso è di più immediata comprensione, in quanto più esattamente definito. Il secondo chiarimento concerne il fatto che nelle città esistono alcuni ambienti urbani i quali, pur non essendo costruiti e gestiti dallo Stato o dall'amministrazione comunale e quindi non rientrando, a rigore, nella categoria del pubblico, vengono vissuti come se fossero estensioni dello s. p. istituzionale. Portici alla base di edifici privati e cortili degli stessi, atri di alberghi, negozi, interni di banche e di uffici, supermercati e shopping centers sono accessibili a chiunque proponendosi come vere e proprie propaggini di strade e di piazze. Ciò implica la conseguenza che nella stratificata e molteplice fenomenologia urbana la nozione di s. p. presenta una gradualità di forme intermedie, passando da quelle che sono pubbliche in senso integrale a quelle che lo sono di fatto. I passages parigini, per es., decifrati nei loro complessi significati da W. Benjamin, sono s. p. per eccellenza, l'ambito di una autentica mitologia evocata, tra molti altri, da L.-F. Céline, pur se questi isolati introversi, organizzati da strade pedonali coperte, sono stati realizzati da operatori privati. Un altro chiarimento relativo al concetto di s. p. può scaturire dalla distinzione proposta dall'antropologo francese M. Augé tra luoghi e non luoghi. In effetti lo s. p. è costituito di luoghi e di non luoghi. Questa dualità rende costituzionalmente ambiguo lo s. p., diviso tra ambienti urbani dotati di identità, nel senso che essi sono, come si è già detto, emblemi fisici della cittadinanza, e ambienti privi di identità - per es., i parcheggi, gli shopping malls, gli aeroporti - nei quali sono del tutto assenti i valori dell'appartenenza legati all'idea di comunità, sostituiti dalla semplice sommatoria di attraversamenti individuali, incapaci di iscriversi in una estesa e radicata narrazione sovrapersonale. Un successivo elemento di riflessione sul tema dello s. p. è suggerito da quelle teorie - si pensi alle tesi di P. Virilio - che ipotizzano una trasformazione dello spazio urbano da sistema concreto di ambienti costruiti a flusso ininterrotto e plurale di informazioni, di segnali, di fenomeni visivi. Costruita sul trasferimento nella città dello scorrere infinito dei dati e delle immagini tipico dell'universo digitale, questa interpretazione dello s. p. si arresta al piano metaforico, in quanto l'analogia con la visualità del computer non riesce a superare il livello allusivo di un parallelismo virtuale per farsi concreto sistema di ambienti urbani reali. Infine, occorre chiarire che lo s. p. non è altro che lo spazio urbano assunto nelle sue coordinate architettoniche più ampie e profonde, quelle che, come si è già detto, determinano il senso della cittadinanza. C'è poi da specificare che esiste una certa differenza tra pubblico e collettivo. Nell'idea di pubblico è insito un senso di libertà d'uso, seppure all'interno delle coordinate rappresentative citate, coordinate unificanti, in quanto luogo di processi identitari costantemente riformulati; in quella di collettivo c'è senza dubbio qualcosa di più vincolante, corrispondente a un comportamento concordato da più persone e gruppi, trasformato poi in rituali comuni fortemente strutturati.
L'ultimo chiarimento ha a che fare con l'intelligenza dello spazio. Questa avviene attraverso la decifrazione subliminale dei margini che lo definiscono. Uno spazio è infatti una regione topologica, vale a dire una superficie definita da confini. Leggere uno spazio significa quindi costruire una mappa mentale - una sorta di cartografia parallela - nella quale sono trascritti questi margini, alcuni dei quali si materializzano in elementi fisici come muri, recinzioni, porte, portali ed edifici, mentre altri sono puramente virtuali, consistendo in allineamenti calcolati o casuali tra volumi edilizi e nella riverberazione nell'atmosfera della proiezione territoriale dei volumi stessi. In tale contesto problematico la nozione di proiezione territoriale indica l'ampliamento all'intorno del perimetro di un manufatto, quasi esso vibrasse nell'aria, creando una sua zona di influenza. Da questo punto di vista la spazio urbano non è altro che la sovrapposizione, con le relative interferenze, tra confini reali, confini virtuali e proiezioni territoriali. Se si pensa a piazza San Marco a Venezia è facile constatare come questo grande spazio unitario sia in realtà costituito da un certo numero di regioni quali l'area emanata dalla facciata della chiesa, quasi un sagrato esattamente delimitato; la superficie attivata dal campanile e dalla loggetta, presenze architettoniche che determinano un addensamento del contesto; il recinto ideale affacciato sulla laguna, misurato dalle due grandi colonne e chiuso tra la facciata laterale del Palazzo Ducale e quella della Biblioteca. Il tutto esaltato dalla presenza di assialità privilegiate che dinamizzano la vasta cavità urbana segnando in essa un reticolo di linee di forza che lo articolano e lo differenziano.
Quanto esposto sullo s. p., soprattutto per ciò che concerne il senso della cittadinanza che esso contribuisce a creare, è messo in discussione da una serie di nuovi usi urbani e da concezioni alternative a quelle consolidate. Proponendo la psicogeografia, una combinazione di gioco e di metodo tesa a decostruire lo spazio urbano, attraverso il concetto di deriva, ovvero un camminare a caso nel tessuto urbano adottando particolari modalità visive, G. Debord ha teorizzato, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del 20° sec., la sostituzione alla città reale di una sua rappresentazione divergente. Una rappresentazione orientata alla creazione di mappe alternative al cui interno lo s. p. acquista un significato inconsueto e straniante, denso di risonanze letterarie e di riferimenti al Simbolismo e al Surrealismo. Anche nella pratiche del graffito e del parkour si assiste a una riappropriazione dello s. p. che parte dal sovrapporre a esso un nuovo sistema di segni, pittorici nel caso dei graffiti, spaziali in quello del parkour. Quest'ultima attività estrema, a metà tra la danza e l'acrobazia, ridescrive le strade e le piazze con una esplicita volontà contestatrice dell'ordine urbano consolidato. Negando alle strade e alle piazze la loro strutturazione prospettica, il parkour sostituisce a direzioni lineari traiettorie sovrapposte e incrociate, quasi disegnando nell'atmosfera grovigli inestricabili. Attraverso questa vera e propria scrittura aerea fatta di corse, di salti e di attraversamenti pericolosi, e di approdi precari e istantanei su ringhiere, rampe e coperture, la razionalità spesso autoritaria e ripetitiva dello spazio architettonico e urbano moderno si trasforma in una imprevedibile caoticità materializzata in 'matasse topologiche', in dilatazioni e compressioni dello spazio stesso, del tutto sovvertito nei suoi fondamenti cartesiani. Nell'eterotopia di M. Foucault è possibile rintracciare accenti analoghi a quelli debordiani, seppure all'interno di una visione meno destabilizzante, rivolta più all'interpretazione degli strati nascosti della città che alla trasformazione della stessa. Altri teorici sono fautori di tesi ispirate a una maggiore concretezza, come fanno coloro i quali sono convinti che nella società contemporanea il vero s. p. non sia più quello reale, ma lo spazio dei media, soprattutto quello televisivo. Secondo i sostenitori di questa linea la piazza telematica avrebbe ormai del tutto esautorato le piazze vere e proprie diventando l'autentico centro della vita sociale. Molto vicina a tale concezione dello s. p. si colloca un'ipotesi nota nell'ambito della rivoluzione digitale. Si tratta di un'idea dello s. p. che lo vede ormai coincidente con il circuito immateriale della rete. Anche in questo caso le strade e le piazze avrebbero perduto del tutto la loro funzione di spazi di aggregazione sociale sostituita dalle autostrade informatiche, da Internet, dalle chat rooms e dai blog, luoghi virtuali ove è possibile incontrarsi potendo alterare la propria identità in un gioco di simulazioni incrociate. Lo stesso decadere entropico delle capacità dello s. p. di costruire momenti e occasioni di coesione sociale sarebbe determinato, secondo altri interpreti dei processi in atto nella città contemporanea, dalla richiesta allo s. p. di trasformarsi in qualcosa di performativo e di metamorfico. Divenuto quasi esclusivamente una macchina per comunicare, lo s. p., totalmente ripensato come una scultura all'aperto o come un dipinto plurimaterico, colonizzato in ogni suo punto da un arredo urbano sempre più complesso e sofisticato, ma anche prescrittivo, è costretto a cedere gran parte delle sue finalità istituzionali e delle proprie potenzialità associative per proporre una vasta gamma di funzioni di intrattenimento, immesse nella logica della città-spettacolo. Una città che rispecchia la propria multiforme fenomenologia prestazionale in un'autorappresentazione festosa e caotica, rivolta non più alla comunità, ma all'individuo isolato. Funzioni espresse in una pluralità di configurazioni, come avviene nella Schouwburgplein a Rotterdam, in Olanda, progettata tra il 1991 e il 1996 dal gruppo West 8. Un'ulteriore interpretazione dello s. p. contemporaneo si deve a quanti ritengono che le infrastrutture siano le occasioni e al contempo lo scenario di una nuova socialità. In questo caso è la mobilità che viene considerata come una funzione urbana capace di creare le condizioni per una nuova e più partecipata fruizione delle città. Prendendo lo spunto soprattutto dalle note teorizzazioni di K. Lynch e D. Appleyard sui fenomeni visivi determinati dalla velocità con la quale si percorrono le infrastrutture, e dalle illuminanti riflessioni di R. Banham su Los Angeles, si teorizza che il semplice uso di svincoli, di sovrappassi e di autostrade sia in grado di ricostruire un nuovo senso dello s. p., inteso sostanzialmente come uno 'spazio dell'attraversamento'. Allo stare, da sempre identificato con l'azione tipica dell'uso della piazza, si sostituisce così l'esperienza cinetica, la compressione e l'alterazione delle distanze, il prolungarsi degli oggetti nella retina causato dal movimento. Tuttavia la più radicale messa in discussione del ruolo dello s. p. è provocata dal consumo, di cui esso si fa semplice componente. Anche la riduzione della comunità all'individuo giunge, in questo processo di autentica privatizzazione dello s. p., al suo estremo. Uno s. p. divenuto astratto e impersonale, come ha scritto Z. Bauman (Liquid love, 2003; trad. it. 2004), nonché totalmente controllato, ma non tanto per aumentare il senso di sicurezza di coloro che lo frequentano quanto per sottoporre gli utenti delle strutture per il consumo a una sorveglianza totale, quasi tali strutture siano altrettanti panottici foucaultiani. In questa ottica lo s. p. si configura come uno scarto, un frammento, il residuo di un processo di funzionalizzazione estrema della città alle logiche mercantili. Uno scarto ambiguo e incerto nella sua costituzione, che non viene però del tutto abbandonato, perché è proprio la sua degradazione a semplice estensione delle aree destinate al consumo che offre a esso una parvenza, seppure terminale, di legalità istituzionale.
I concetti esposti precedentemente costituiscono nel loro insieme la premessa per un'ipotesi più ampia che li comprende e li riassume. Tale sintesi riconosce nello s. p. uno spazio del conflitto, vale a dire un ambito nel quale la cittadinanza rivela le sue contraddizioni, ma anche la sua volontà di superarle. Questa condizione conflittuale, espressa da uno strato tensionale costante, non costituisce in alcun modo un elemento negativo per la città. Essa è infatti un essenziale fattore propulsivo che si risolve in una serrata dialettica tra intenzioni e aspettative diverse. Il senso di sicurezza non sarebbe un valore se non lo fosse anche la connessione tra s. p. e privato. Le strade e le piazze sono sempre state non solo spazi dell'incontro, ma anche luoghi di eventi tragici, di manifestazioni cruente, di devastazioni, come a Genova nel 2001 in occasione del G8 o a Parigi durante la rivolta delle periferie nel 2005. La convinzione di chi frequenta lo s. p. che esso gli appartenga non è disgiunta dalla giusta sensazione di esserne espropriati, così come l'offerta di funzioni sempre più varie non nasconde il fatto che lo s. p. abbia rinunciato, anche nei centri storici, alla sua finalità di rappresentare nel modo più eloquente e diretto la comunità nei suoi valori più generali e diffusi. Per contro la trasformazione dello s. p. in una pura e quantitativa estensione dello spazio del consumo è contrastata dalla ciclica riaffermazione, a volte violenta, del suo ruolo di palcoscenico sul quale agiscono le forze che agitano la società. È proprio in questa movimentata instabilità, e nel suo contrario, che lo s. p. si fa paradigma fisico della vita urbana, ambito di una libertà di agire e di esprimersi contrattata volta per volta secondo modalità che imprimono su di esso i segni del cambiamento.
bibliografia
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Questioni della città contemporanea, a cura di M. Marcelloni, Milano 2005.
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