Spazio, organizzazione sociale dello
Il rapporto con lo spazio e il tempo sono costitutivi del modo di essere della società. Gli uomini costruiscono case, fabbriche e templi, fondano Stati e città, e in ogni caso ne fissano i confini, ricorrendo a porte, sbarre, mura, valli: ma questa organizzazione sociale dello spazio è soltanto la traccia visibile di una realtà più profonda ed essenziale, ossia l'organizzazione sociale nello spazio. La società si organizza - nel senso che 'prende forma' - nello spazio e nel fare questo organizza, modifica, dà forma allo spazio stesso. Le due forme di organizzazione si implicano a vicenda.La sociologia contemporanea si fa carico del problema dell'organizzazione sociale nello spazio distinguendo due fondamentali condizioni di interdipendenza fra le persone, definite rispettivamente dalla compresenza e dalla separazione fisica. Luhmann separa analiticamente interazione e società come sistemi sociali con proprietà distinte, riservando per l'interazione "il criterio delimitativo della presenza fisica" (v. Luhmann, 1984; tr. it., p. 635). Boudon distingue i sistemi di interazione, che riguardano proprietà emergenti dall'interazione diretta di attori compresenti, dai sistemi di interdipendenza, nei quali le azioni di ciascun individuo si riflettono sugli altri senza interazione diretta (v. Boudon, 1991). Giddens distingue a sua volta l'integrazione sociale - che riguarda le interconnessioni, ovvero la reciprocità di pratiche fra attori compresenti - dall'integrazione sistemica, che riguarda la reciprocità di pratiche fra persone fisicamente assenti, basate su meccanismi e legami sociali diversi. A suo giudizio, ciò che ha reso possibile, al di là delle società tribali, una maggiore ampiezza dell'organizzazione spazio-temporale delle società è stato soprattutto lo sviluppo delle città (v. Giddens, 1984).
La struttura del presente articolo si ispira ai concetti appena richiamati. Il cap. 2 sarà dedicato agli spazi dell'interazione e si articolerà in due paragrafi per così dire speculari: il primo dedicato alle proprietà delle forme di interazione in rapporto allo spazio, il secondo agli spazi organizzati per l'interazione. Il successivo capitolo tratterà invece il passaggio dall'interazione all'organizzazione di spazi sociali più estesi, vale a dire alle città, mentre l'ultimo capitolo si occuperà degli spazi della società.
L'interazione sociale è il processo nel quale due o più persone agiscono orientando reciprocamente e in sequenza le loro azioni. Nell'interazione si coordinano le attività, si scambiano informazioni e si influenzano aspettative e comportamenti. L'interazione in situazioni di compresenza - l'interazione in senso stretto, definita anche diretta o situata - ha proprietà particolari, collegate anzitutto alle risorse di comunicazione a disposizione di chi interagisce e dunque indirettamente allo spazio. La comunicazione infatti può essere veloce e può rapidamente riorientarsi; è affidata alla parola, ma anche ai gesti, agli accenti, agli sguardi. Proprio per questo è meno precisa, ma più densa e duttile di quella indiretta fra persone che interagiscono fra loro, ma comunicando a distanza, per lettera ad esempio, o anche per telefono.I caratteri indicati (come altri ugualmente collegati al corpo e alla sua presenza nello spazio) derivano, come si è detto, da proprietà fisiche e sono condizioni importanti della strutturazione dell'interazione. Quest'ultima, tuttavia, per essere descritta e compresa richiede altri e specifici strumenti analitici. Al riguardo, la sociologia mette anzitutto a disposizione i concetti di gruppo e di ruolo. Ruolo è l'insieme di comportamenti che coloro i quali occupano una determinata posizione sociale tipicamente si aspettano da parte di coloro i quali ne occupano un'altra (v. Linton, 1936). Un gruppo è un insieme di persone che interagiscono continuativamente, cooperando fra di loro in riferimento a un sistema di ruoli che le collega. L'interazione nei gruppi, in particolare nei piccoli gruppi, può essere descritta con riferimento ai ruoli, che saranno anche un tramite per riportare l'interazione ai caratteri e al funzionamento del sistema sociale complessivo: il comportamento atteso corrisponde infatti, nel modello funzionalista, a norme introiettate nel processo di socializzazione, che a loro volta fanno riferimento a valori istituzionalizzati nella società (v. Parsons, 1951). In alcuni casi la comprensione di un'interazione in un gruppo sarà estremamente facilitata dall'adozione di un'analisi condotta in termini di ruoli degli attori, specie se si tratta di contesti per i quali valgono regole molto chiare e fortemente condivise. Non va dimenticato, tuttavia, che l'uso del concetto di ruolo risulta utile a patto di tenere presente che gli individui si riferiscono generalmente in modo differente agli stessi valori e che entrano in interazione con scopi diversi, il che li spinge a contrattare o a confliggere con gli altri. In sostanza: nell'interazione gli attori utilizzano i ruoli per loro scopi e strategie. Un grande gruppo - un'azienda, per esempio, o un'organizzazione amministrativa - stabilisce un sistema di relazioni per l'interazione diretta di una persona con il piccolo gruppo dei colleghi di reparto o di ufficio, e indiretta con il resto dell'organizzazione. In questo senso, il ruolo organizzativo fa da tramite fra interazione diretta e indiretta, ovvero fra interazione e società.
Non tutte le interazioni si svolgono in gruppi. Al riguardo, lo studio dell'organizzazione sociale nello spazio può fare riferimento a tre altri oggetti analitici: i comportamenti collettivi, le reti di relazioni e gli incontri. Comportamento collettivo è il comportamento di un insieme di persone sottoposte allo stesso stimolo, che reagiscono interagendo fra loro senza avere a disposizione - come nei gruppi - uno schema di ruoli predefinito. Le reazioni della folla e le manifestazioni di panico sono due esempi di comportamento collettivo che prendono forma spesso e tipicamente in luoghi pubblici (v. Turner 1964). Il panico, come reazione a un pericolo grave e immediato, scatena una specie di regressione sociale che conduce gli individui a reagire violentemente e comunque irrazionalmente nel tentativo di non subire danni: come tale è un fenomeno di disorganizzazione sociale. Una folla invece reagisce a uno stimolo sviluppando sentimenti comuni, e a volte intraprendendo azioni collettive. Si distingue da quello della folla un altro comportamento collettivo, quello del pubblico, dove si formano in modo più ordinato opinioni diverse. Nella folla e nel pubblico sono tipicamente in atto due diversi meccanismi dell'interazione faccia-a-faccia: rispettivamente la reazione circolare per cui una reazione osservata anche negli altri risulta rafforzata, e la interazione interpretativa, per cui un messaggio riceve una risposta diversa che può modificare l'opinione di partenza.Le reti (social networks) costituiscono ulteriori forme di relazione per l'interazione diretta (v. Piselli 1995). Rovesciando il punto di vista rispetto all'idea di ruolo, l'attenzione è posta sugli individui e non sul sistema. Si osserva allora che ogni individuo dispone di - e continuamente tesse - una sua rete di relazioni, che lo mette in contatto con ambiti sociali diversi. La rete permette di osservare non come gli individui obbediscono ai loro ruoli, ma come utilizzano i loro repertori di ruoli, e come perseguono le loro strategie, non all'interno di un gruppo, ma muovendosi fra gruppi: così, l'individuo può far valere nell'interazione all'interno di un gruppo risorse che trova in un altro, può fare da mediatore fra due diverse reti, tenendole separate, può stabilire relazioni fra persone prima appartenenti a reti diverse: le reti di relazione stabiliscono dunque, nel senso indicato, altri contesti strutturati di interazione. Osservare l'interazione di rete è particolarmente utile nelle società complesse e in mutamento, dove le aspettative di ruolo non sono ben definite e non ci si trova di fronte a una cultura omogenea. La possibilità di 'pendolare' fra una società urbana in formazione e la società tribale di origine, lontana nella campagna, utilizzando reti di relazione tenute distinte, è stata per esempio osservata dagli antropologi come una risorsa di integrazione nel nuovo contesto (v. Mitchell, 1969). Come i ruoli in un gruppo, anche le reti mettono in connessione interazioni dirette e indirette dispiegandosi nello spazio. Considerare l'estensione delle reti di relazioni nello spazio può condurre a osservazioni sorprendenti sull'organizzazione sociale. Una ricerca ha selezionato alcune persone nell'area di Boston e ha chiesto ad altre scelte a caso nel resto degli Stati Uniti di provare a stabilire un contatto con le prime utilizzando solamente una catena di individui, che a due a due si conoscevano fra loro: in media sono stati necessari solo 5,5 intermediari (v. Milgram 1969).
Un incontro (encounter) è una unità elementare di interazione focalizzata. Questa "si verifica quando le persone si mettono effettivamente d'accordo per dirigere momentaneamente l'attenzione su un unico fuoco conoscitivo e visivo, come in una conversazione, in una partita a scacchi, e nel caso di un compito eseguito in comune in una cerchia ristretta di collaboratori faccia-a-faccia" (Goffman, 1961; tr.it., pp.34). Gli incontri sono microstrutture sociali, analizzabili in quanto tali esclusivamente per le loro proprietà collegate alla compresenza. Si potrebbe anche dire che sono le unità formali elementari dell'ordine dell'interazione. Gruppi e reti individuano strutture di relazioni sociali che possono costituire contesti di interazione. Gli incontri, invece, sono in essenza interazioni situate, in questo essendo anche, per il rapporto con lo spazio, relativamente più simili a molti tipici comportamenti collettivi. Un gruppo persiste nel tempo, mentre un incontro si apre e si chiude. Le relazioni sociali riguardano il 'posizionamento' degli individui in uno spazio sociale, l'interazione situata degli incontri riguarda il 'posizionamento' in contesti spazio-temporali di attività. L'interazione situata richiede disciplina delle emozioni e un relativo disimpegno dalle attività che esulano dal quadro dell'incontro nel quale si generano identità e ruoli situati ( il ruolo per esempio di presidente di una riunione, o di un mediatore che si offre in un litigio per strada), validati nella stessa interazione da una rappresentazione espressiva coerente. Le determinazioni strutturali esterne sono filtrate negli incontri attraverso 'regole di trasformazione', le quali consentono un coinvolgimento e un accordo spontanei che si realizzano secondo modalità in parte sottratte al controllo cosciente. Negli incontri le persone tendono a esprimere tatto (vale a dire consenso latente) e fiducia reciproca, che consentono le routines della vita quotidiana, alla base della riproduzione sociale e del senso di sicurezza individuale. L'interazione della vita quotidiana attraverso incontri è dunque cruciale per l'organizzazione sociale complessiva. Le sue regole e i suoi rituali (ordine nel prendere la parola, modi di aprire e chiudere un incontro, forme per compensare un esito sgradevole per un partecipante, strategie per evitare di far 'perdere la faccia' e così via) esprimono attenzione agli altri e rispetto nei loro confronti; per loro mezzo si realizza un continuo monitoraggio reciproco, si riparano i guasti del tessuto sociale e si conserva la fiducia fra le persone. Si tratta della "meccanica più intima della riproduzione sociale" (v. Giddens, 1984; tr.it., p. 70).
Gruppi, comportamenti collettivi, incontri, reti individuano contesti o forme dell'interazione diretta, modi della microorganizzazione sociale nello spazio. Passeremo ora a considerare - in modo altrettanto generale e astratto - la speculare organizzazione dello spazio per l'interazione.
L'osservazione mostra facilmente che l'attività umana è regionalizzata, vale a dire si organizza a seconda dei suoi contenuti in porzioni diverse di spazio. La società stessa appare dunque regionalizzata in differenti ambiti locali, zone dedicate a specifici tipi di interazione (v. Giddens, 1984). La più elementare e generalizzata forma di regionalizzazione deriva dal fatto che, per una corretta gestione dell'interazione, le persone distinguono luoghi e momenti in cui si espongono ad altri da luoghi e momenti di vita privata, nei quali si isolano. Questa proprietà dell'interazione è probabilmente un universale culturale, che si ritrova in tutte le società. La metafora teatrale, che distingue attività e luoghi di ribalta e di retroscena, costituisce dunque un modo fondamentale di analisi dell'organizzazione sociale nello spazio, ma anche dello spazio (v. Goffman, 1959).
Sulla ribalta ci si rappresenta agli altri, interpretando ruoli, fornendo ma anche lasciando trasparire involontariamente informazioni su noi stessi e le nostre intenzioni. Si tratta per quanto possibile di azioni controllate e formali, che corrispondono ad attese reciproche di etichetta e appropriatezza socialmente definite. Al retroscena il pubblico non ha accesso; qui l'attore si toglie la maschera del ruolo e il suo comportamento diventa informale, si prepara alla rappresentazione del sé e ricostituisce le risorse psicologiche e di altro tipo per la rappresentazione. La casa è nel suo insieme e tipicamente luogo di retroscena, ma al suo interno possiamo distinguere ulteriori regionalizzazioni. La camera da letto, il bagno, la cucina sono luoghi di retroscena; la stanza di soggiorno o la sala da pranzo sono invece luoghi di ribalta. Utilizzare modelli di interazione tipici del retroscena in un luogo di ribalta, o scegliere come ribalta un tipico luogo di retroscena compromette la rappresentazione del sé nell'interazione, ma in certi casi può far parte di una strategia non convenzionale che, per esempio, rischia una apertura più familiare con una persona: invitare a pranzo in cucina può avere questo significato. Altre volte, mostrare il retroscena può voler significare che non si nasconde niente. Lo studio attento della rappresentazione del sé nelle dinamiche di ribalta e retroscena, così come delle tecniche per uscire di scena senza compromettere future interazioni o gestire complesse rappresentazioni di una 'compagnia', mette in luce condizioni dell'interazione tanto decisive quanto spesso non adeguatamente valutate. La loro importanza emerge con lo studio delle situazioni in cui la distinzione fra ribalta e retroscena è negata, come nelle istituzioni totali: un ospedale psichiatrico o un carcere. Molte patologie del sé e molti comportamenti reattivi degli internati sono interpretabili proprio come difficoltà e tentativi di ricostituire un retroscena da parte di chi è costantemente obbligato ad una ribalta (v. Goffman, 1961).
La differenziazione funzionale delle attività a seconda dei diversi ambiti istituzionali implica anche, di solito, una differenziazione spaziale, e costituisce un secondo principio di regionalizzazione: la casa è distinta dalla fabbrica, la scuola dal tribunale, e così via. Differenziazione funzionale e spaziale si sono affermate progressivamente come parte del processo di modernizzazione. Un luogo è un ambito locale con funzioni specializzate che organizzano l'interazione, il quale incorpora ordinariamente anche elementi simbolici. In un luogo, in presenza di elementi simbolici condivisi, le persone si orientano su interpretazioni sintonizzate e la loro interazione può esprimere significativi livelli di integrazione (v. Mela, 1996).
In contrapposizione ai luoghi, sono stati definiti non luoghi particolari e caratteristici ambiti locali, presenti nelle città contemporanee, come le stazioni, gli aeroporti, i supermercati. Ambiti anonimi di interazione funzionale, essi sono "uno spazio che non crea identità né singola né relazionale, che [...] non integra nulla, autorizza solo [...] la coesistenza di individualità distinte, simili e indifferenti le une alle altre" (v. Augé, 1992; tr.it., p.101). I non luoghi sono in realtà ambiti non residuali della regionalizzazione attuale, forse non ancora sufficientemente esplorati per se stessi. Il termine individuerebbe comunque i connotati spaziali delle condizioni di esistenza nella postmodernità.
Se i non luoghi appaiono come una relativa novità, un altro tipo di luoghi è presente in tutte le società: in forme diverse, queste sembrano avere bisogno di definire e realizzare luoghi per così dire esterni all'organizzazione sociale e alle sue regioni. Foucault (v., 1967) usa il termine luoghi altri (eterotopie) per indicare ambiti locali e pratiche ad essi correlate, che sembrano nuovamente riferirsi a una specie di universale culturale. Si tratta di luoghi fuori da tutti i luoghi, i quali tuttavia, a differenza dei luoghi altri delle utopie, esistono effettivamente e stanno in rapporto con tutti gli altri luoghi, in un modo che insieme li rappresenta, contesta e rovescia. Nelle società primitive i luoghi altri prendono la forma di eterotopie di crisi, luoghi privilegiati, sacri o vietati, riservati a persone in situazione appunto critica rispetto alla società in cui vivono: adolescenti, donne nel periodo mestruale, partorienti, vecchi. Queste forme sussistono, anche se vanno scomparendo: un esempio era in passato il viaggio di nozze, il quale permetteva che la deflorazione di una ragazza avvenisse 'in nessun luogo', in un luogo altro per esempio una camera d'albergo. Oggi si sono piuttosto sostituite le eterotopie di deviazione, dove sono isolate le persone devianti rispetto alla media: case di riposo, cliniche psichiatriche, prigioni.
L'organizzazione sociale dello spazio comprende un'altra divisione ricorrente e rilevante fra luoghi pubblici e luoghi privati. I primi - come le piazze, le strade, i parchi - assicurano una possibilità di accesso e di fruizione in linea di principio eguali per tutti, oppure vincolate al pagamento di un servizio (cinematografi, musei, bar) ma in modo formalmente non discriminante. Negare la possibilità di accesso a un luogo pubblico a una categoria di persone richiede sempre una difficile giustificazione, e spesso è attaccabile come violazione di un diritto fondamentale. I luoghi privati come le abitazioni, al contrario, sono definiti proprio dal diritto dei proprietari di regolarne l'accesso degli altri in modo discrezionale. Il rapporto fra luoghi pubblici e privati cambia nel tempo, così come le condizioni della loro esistenza e fruibilità.
Un'ultima distinzione permette di scorgere un limite alla definizione dei luoghi come organizzatori dell'interazione sociale. Si tratta della dinamica che agisce in direzione della sostituzione di uno spazio di luoghi con uno spazio di flussi (v. Castells, 1989; v. Mela, 1996, p.158). In certa misura, per alcune funzioni la localizzazione è diventata indifferente e i mezzi di comunicazione consentono reti di relazione che connettono in tempo reale persone fisicamente distanti. L'allargamento di uno spazio di flussi è certo una realtà. Tuttavia, flussi crescenti di persone, di merci, di messaggi non escludono la condensazione di interazioni in punti specifici dello spazio. Sfidati dai flussi, i luoghi permangono. Cruciali per l'organizzazione sociale restano, a questo riguardo, le città, luoghi nello spazio fisico dove si stabilisce la connessione fra interazione diretta e indiretta, e ora anche fra spazio dei luoghi e spazio dei flussi.
L'organizzazione di una società di ampie dimensioni ha comportato la formazione di città - forse si potrebbe dire che ha richiesto la formazione di città - e queste hanno poi continuato a essere nuclei decisivi di organizzazione anche in società a loro volta più vaste e complesse, come imperi o Stati nazionali.
Una città è, in un certo senso, una società tutta intera. Deve essere pensata non come un sottosistema sociale - la politica, per esempio - ma come società locale. Una città riunisce in modo relativamente stabile su un territorio un grande numero di persone, che in modi diversi interagiscono fra loro con continuità; quanto più l'interazione è orientata reciprocamente nello stesso ambito locale, tanto più la società locale è strutturata, con caratteri economici, politici, culturali relativamente congruenti. La differenziazione sociale porta con sé anche lo sviluppo dell'interazione e della cooperazione a distanza fra persone interdipendenti. Differenziazione sociale significa infatti al tempo stesso divisione specializzata delle attività e differenziazione spaziale della loro organizzazione. La città moderna - lo abbiamo già detto - si organizza dunque in spazi funzionali differenziati: i luoghi della produzione, separati da quelli della residenza, del tempo libero, e così via.
Dopo l'epoca delle società agricole, quando le città vivevano dell'economia delle campagne, è nelle città che si organizzano la produzione e gli scambi del capitalismo: le funzioni economiche delle città crescono. Nelle città continuano poi a concentrarsi - con vicende alterne - anche potere politico e funzioni amministrative. Sono appunto risorse economiche e risorse di autorità concentrate che permettono di coordinare a distanza un numero elevato di persone in condizioni di alta divisione funzionale delle attività, collegando integrazione sociale e integrazione sistemica. Da un punto di vista sociologico, la crisi drammatica delle grandi metropoli dei paesi arretrati o in via di sviluppo, e in parte minore delle grandi metropoli dei paesi sviluppati, può essere anche interpretata come difficoltà o impossibilità di organizzazione delle interdipendenze e di un efficace collegamento fra integrazione sociale e integrazione sistemica in aggregati umani troppo cresciuti e con risorse limitate.
L'appropriazione e l'uso dello spazio urbano sembrano rispondere a due processi fra loro connessi, ma che è opportuno tenere analiticamente distinti. Il primo è quello di cui si è detto, visibile dall'alto come effetto delle dinamiche proprie della società, che riguarda gli spazi funzionali e la loro organizzazione sociale; il secondo è visibile osservando dal basso le conseguenze aggregate, in parte inattese, dell'interazione: questo processo riguarda le cosiddette aree naturali.Nelle città del capitalismo sviluppato sono principalmente i grandi interessi economici che orientano l'uso funzionale del suolo, a seconda di possibilità di rendita e profitto che mutano nel tempo (v. Harvey, 1985; v. Logan e Molotch, 1987). Questa azione è bilanciata da interventi pubblici regolativi o compensativi, espressione di una politica orientata da gruppi di interesse che si strutturano con riferimento a cleavages sociali, in particolare quello di classe. Il ruolo rispettivo di mercato e politica è diverso in società diverse: tradizionalmente si riscontra una maggiore regolazione di mercato negli Stati Uniti, per esempio, e una maggiore presenza di intervento politico in Europa.
L'individuazione delle 'aree naturali', quartieri dove si concentrano popolazioni con caratteri simili, attraverso processi di attrazione-esclusione, di 'invasione' di territori già occupati, e di 'successione' nel tempo, osservabili come effetto emergente di scelte personali e di interazione, risale ai lavori della human ecology del primo Novecento (v. Park, 1926). Piuttosto che di aree naturali oggi si parla di segregazione spaziale, con riferimento sia alla residenza che alla localizzazione di attività, e come esito di processi relativi sia al livello della società che dell'interazione. La segregazione esprime così, spazialmente, "la rottura di un sistema di solidarietà e l'emergere di un sistema di intolleranze: igieniche, acustiche, religiose, etniche, tra stili di vita, tra livelli di reddito, abitudini di consumo, preferenze nei confronti dell'abitazione" (v. Secchi, 2000, p.177). La dialettica accesso-separazione è insita nei processi tanto di interazione quanto funzionali. Si tratta di una costante dell'organizzazione sociale e non sempre risulta facile decidere quando i suoi esiti corrispondano a scelte, ovvero rivelino una patologia sociale, vale a dire siano imposti alle persone dalle loro possibilità oggettive. Nelle grandi metropoli contemporanee la soglia della patologia è in modo evidente spesso superata, con l'accumulo di condizioni di vita favorevoli e sfavorevoli in quartieri differenziati. Le ricerche disponibili sulla segregazione spaziale - su base di classe o etnica - rivelano somiglianze di tendenza, ma anche differenze significative a seconda dei paesi, che corrispondono al gioco complesso di determinazioni strutturali e strategie individuali. La segregazione etnica è in Europa molto inferiore a quella delle città americane, mentre quella delle classi sociali è più simile; ovunque la segregazione maggiore non riguarda le categorie sociali inferiori, bensì quelle superiori (v. Preteceille, 2000).
Se spostiamo l'attenzione dalle condizioni di vita ai caratteri della città nel loro insieme, troviamo più in generale un rischio che deriva da un aumento delle strategie di segregazione e chiusura, si potrebbe dire per la natura stessa della città. Tale rischio riguarda la limitazione degli spazi pubblici, che da sempre la città ha apprestato come luoghi dell'interazione allargata. Condizioni di pericolo, costi di gestione crescenti in rapporto alle risorse fiscali, estensione del mercato, contribuiscono a diminuire gli spazi pubblici, in particolare quelli gestiti dalle istituzioni pubbliche. Non è chiaro cosa questo potrà significare per la vita della città: lo spazio pubblico è infatti lo spazio della polis, vale a dire dell'uguaglianza e dell'esercizio della libertà.
Le città sono dispositivi per sviluppare e organizzare l'interazione a distanza. Per vederle all'opera, come parti di grandi sistemi economici e politici, è necessario un punto di vista che lasci più spazio alla storia e alla sociologia storica. Il campo limitato di osservazione sarà nel prossimo paragrafo principalmente quello dell'Europa.
Per la nascita del mercato sono decisivi i grandi spazi. Dopo le economie nomadi di raccoglitori e cacciatori del paleolitico, la rivoluzione agricola rende stanziali gli uomini, dando luogo a economie familiari e di villaggio. La comparsa delle città permette anche una maggiore differenziazione delle attività e il formarsi di una gerarchia sociale, consentita dal surplus agricolo. Le città-Stato e gli Imperi, le due forme antiche di organizzazione politica territoriale, promuovono razzie e commerci con spedizioni. Sono i commerci a distanza che suggeriscono i principî del baratto e dello scambio di mercato (v. Cameron, v.1989). Su impulso delle città, gli spazi dell'organizzazione economica si allargano.In epoca cretese-micenea, nel Mediterraneo orientale esiste già una rilevante circolazione di ceramiche, vino, olio. Il racconto mitico della guerra di Troia nasconde probabilmente un conflitto commerciale per l'accesso al Mar Nero. Arabi e Fenici sono popolazioni specializzate nel commercio a distanza. I Fenici - marinai al servizio dell'Impero egiziano - fondano colonie in tutto il Mediterraneo e si spingono sino in Cornovaglia, sull'Atlantico, per procurarsi lo stagno. Gli insediamenti a distanza di popoli diversi si moltiplicano, e insieme cresce la circolazione di uomini, materie prime, manufatti. Nel bacino del Mediterraneo si forma una importante economia-mondo. Le economie-mondo sono sistemi di densa interazione economica a distanza che occupano uno spazio geografico in modo stabile per lunghi periodi e che sono dotate di un centro, di zone intermedie e di periferie subordinate e dipendenti (v. Wallerstein, 1974; v. Braudel, 1967). All'Impero romano corrisponde una economia centrata ancora sul Mediterraneo; la lunga via della seta la collega alla lontana economia-mondo cinese, dalla quale giungono metalli preziosi e lana.Dal Medioevo - controllata la forza espansiva dell'Islam - l'economia-mondo europea vede successivi recentrages: sino al 1380 circa Genova e Venezia si contendono il predomino, poi sarà Venezia ad avere il sopravvento. Nel Cinquecento Genova tornerà ad essere il baricentro, dopo che per qualche decennio lo era diventata più a nord Anversa. Successivamente esso si sposterà definitivamente più a nord: ad Amsterdam e poi a Londra. Ma sono intervenuti fatti nuovi e decisivi: gli spazi si sono allargati con la scoperta del Nuovo Mondo, il capitalismo e poi la rivoluzione industriale hanno accelerato con ritmi mai visti la crescita, le città-Stato hanno lasciato il passo agli Stati nazionali come forme fondamentali dell'organizzazione spaziale della politica. Si tratta di processi e forme dell'organizzazione spaziale della società assai rilevanti, che mette conto esaminare con qualche dettaglio.
La scoperta dell'America è stata una condizione fondamentale per il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Lo riconosce Marx, con una interpretazione che verrà ripresa da Keynes: l'argento americano fornisce ai commerci la massa monetaria di cui avevano bisogno per svilupparsi, permettendo alla nuova borghesia di ampliare i suoi poteri, mentre i signori della rendita fondiaria sono rovinati dall'inflazione. Il processo di trasformazione era però già iniziato da tempo. Fra Medioevo e Rinascimento due paralleli processi di accumulazione sono in corso in Europa. Le città sono la culla del primo capitalismo, e accumulano capitale che viene investito nella produzione e nei traffici. Mercanti, finanzieri, artigiani costituiscono una borghesia che cerca autonomia, libertà di movimento, nuove regole. Signori feudali e Stati in formazione sono dunque sfidati dalle città e insieme ne hanno bisogno per procurarsi risorse. All'epoca di questo primo capitalismo, la linea principale dei traffici si sposta dal Mediterraneo, e corre da Sud a Nord, lungo una fascia centrale dell'Europa, dall'Italia alla Renania, alle Fiandre fino al Baltico. Una rete di città legate tra loro da rapporti commerciali, e che acquistano autonomia politica, si sviluppa appunto in questa "Europa delle città-Stato" (v. Rokkan, 1975). Se le città-Stato accumulano e concentrano capitale, esse tuttavia non riescono a fare lo stesso con il potere politico, ovvero con i mezzi di coercizione e organizzazione. Questo secondo processo si svolge in parallelo nelle due zone esterne, a destra e a sinistra del 'corridoio' delle città; qui compaiono presto le nuove grandi organizzazioni politiche che chiamiamo Stati moderni: Inghilterra, Francia, Spagna, Prussia (v. Tilly, 1990).
Niente meglio dell'osservazione dei flussi dell'argento spagnolo (coniato nella più diffusa moneta dell'epoca, il Real de a ocho: v. Cipolla, 1996) riesce a documentare in sintesi la forza politica unita alla debolezza economica dei grandi Stati, la speculare forza finanziaria delle città, le strette interconnessioni dell'economia-mondo dell'Europa moderna in formazione, e insieme i suoi collegamenti con altre economie-mondo. Arrivato in Spagna passando da Siviglia, che godeva del monopolio del commercio con le Indie, l'argento in pani o già coniato non rimaneva se non in piccola parte in Spagna. La Corona era infatti perennemente indebitata, soprattutto per le spese militari, e l'argento finiva per riaffiorare nelle zone di guerra: in Fiandra, per esempio, e lungo la strada per arrivarci, in Francia; ma anche a Milano, dove si coniano monete per i bisogni dell'esercito, per essere poi inviate a Genova. Nel Cinquecento Genova, come abbiamo già ricordato, torna ad essere il baricentro economico europeo perché controlla le finanze di Filippo II. Ma c'è un'altra ragione che spiega la 'fuga' dell'argento: una massa monetaria in crescita e un aumento della domanda senza crescita della produttività economica provocano l'aumento dei prezzi. La Spagna finisce per comprare sempre di più all'estero (in particolare nella nemica Francia) i beni da spedire alle colonie da cui arriva l'argento. D'altro canto, tutte le economie europee hanno bisogno d'argento, perché è in pratica l'unica merce di scambio con le economie dell'Oriente, che non apprezzano i prodotti occidentali. La prima tappa dell'argento spagnolo è l'Impero turco, il quale è tuttavia solo luogo di passaggio, attraverso il quale il metallo prezioso si dirige verso la Persia, l' India e infine la Cina, dove si ferma e accumula; in Cina, dove si battevano monete di rame per il piccolo commercio, l'argento è utilizzato per i grandi pagamenti e per le tasse. Solo molto tempo dopo, nell'Ottocento, l'argento comincerà a rifluire verso Occidente. Sarà quando gli Inglesi, preoccupati del costante indebitamento commerciale, invaderanno la Cina con l'oppio indiano, creando una delle più drammatiche fratture geopolitiche dell'epoca contemporanea.Il capitalismo è completato dalla rivoluzione industriale, a partire dall'Inghilterra. Trainata da continue innovazioni tecniche, la crescita della produzione diventa rapida e sicura con il passaggio da scarse, costose e inaffidabili fonti energetiche di tipo organico - forza umana e animale, fonti idriche e eoliche, legno - a fonti ricavate da minerali, in particolare il carbone (v. Wrigley, 1988). Con la rivoluzione industriale si diffondono anche i nuovi luoghi moderni della produzione, le fabbriche. In precedenza, la produzione si basava sul "sistema della manifattura decentrata" (putting-out system), che vincolava artigiani e contadini ai commercianti capitalisti. La concentrazione di mezzi di produzione e operai in fabbriche si trova peraltro già nel Medioevo - a Firenze o nelle Fiandre, per esempio - e comincia a diffondersi ovunque dopo il 1500, diventando poi con la rivoluzione industriale la tipica forma moderna di organizzazione della produzione (v. Kellenbenz, 1977). L'elettricità applicata a impianti fissi - una energia a buon mercato, trasportabile a distanza, che si presta a vari usi - segna nel secolo XIX una certa inversione di tendenza: rende di nuovo conveniente il ricorso all'industria a domicilio e nei piccoli laboratori, con una nuova divisione del lavoro fra grandi e piccole imprese (v. Landes, 1965). La città comunque, non più la campagna, è il luogo della produzione economica, e compare anche un nuovo tipo di insediamento urbano: la città industriale.
Nell'Ottocento si completa la formazione e la diffusione dello Stato nazionale, un processo durato mille anni. Tendenzialmente, questo modello organizza una società su un territorio, con un uguale raggio per quanto riguarda sia la politica che l'economia e la cultura. Quanto alle dimensioni, come scrive Tilly (v., 1990, p. 60) "è come se gli Europei avessero scoperto che nelle condizioni predominanti dal 1790 in poi uno Stato vitale richiedesse un raggio di almeno 100 miglia, ma avesse difficoltà a estendere il suo dominio oltre le 250". In forme e anche dimensioni diverse, gli Stati si diffondono nel mondo.Le logiche spaziali della politica e quelle dell'economia sono in tensione tra loro. Lo spazio dell'organizzazione politica risponde alla necessità di radicamento, di permanenza, di continuità del controllo. Lo spazio dell'economia è mutevole, è piuttosto lo spazio dei flussi, pensato in funzione degli scambi (v. Moreau Defarges, 1994). Con la creazione di grandi e omogenei mercati nazionali, lo Stato moderno stabilisce un equilibrio, ma i confini sono sempre valicati dalle diverse economie; politica e economia possono di nuovo coordinare le loro logiche sorreggendosi a vicenda in progetti di espansione territoriale, che possono arrivare a guerre e alla creazione di nuovi imperi commerciali. Dopo la seconda guerra mondiale si stabilizzano due grandi economie-mondo avanzate, alle quali corrispondono due aree di influenza politica. A Est il sistema dei paesi e delle economie socialiste; a Ovest, il capitalismo industriale al punto del suo massimo sviluppo. La storia più recente registra cambiamenti radicali.
I primi tre decenni del secondo dopoguerra costituiscono una lunga fase di crescita delle economie industriali avanzate. Con riferimento alle forme di organizzazione economica e ai meccanismi di regolazione si parla in genere di modello fordista-keynesiano, che assume forme più tipiche e accentuate nell'Europa continentale. Al centro dell'economia sono le grandi industrie di produzione di massa, perno anche della strutturazione sociale; tipi diversi e diversamente importanti di concertazione degli interessi, con un ruolo rilevante dello Stato, costituiscono i caratteri distintivi di un modello di regolazione economico-sociale (v. Trigilia, 1998) Tale modello registra in Europa i tassi di crescita più sostenuti, insieme a effetti di redistribuzione importanti, attraverso in particolare lo sviluppo del Welfare State.
Il quadro descritto cambia avvicinandosi la fine del secolo. Due processi collegati innescano il cambiamento. Il primo è il passaggio in economia dal 'paradigma industriale' al 'paradigma dell'informazione'. La produzione di beni immateriali diventa trainante rispetto a quella di beni materiali, e anche nella produzione di questi ultimi le nuove tecnologie dell'informazione sconvolgono l'organizzazione precedente. Un nuovo mondo sociale prende forma, in un passaggio forse paragonabile come vastità di implicazioni a quello dall'economia agricola all'industrializzazione (v. Rifkin, 2000). Il nuovo capitalismo accelera i tempi, favorisce i settori meno legati alla necessità di impianti fissi ingombranti (che richiedono rigidi impieghi di capitale a redditività differita), vuole flessibilità e adattabilità di strutture, mansioni, persone.Il secondo processo riguarda le difficoltà del vecchio modello di regolazione dell'economia. Ciò è collegato al cambiamento di paradigma di cui si è detto, ma anche ad altri fenomeni come i nuovi assetti geopolitici dopo il crollo dei sistemi comunisti, o le rigidità interne accumulate in un lungo periodo. Diminuisce la regolazione politica, e si estende quella di mercato. L'economia torna a crescere, con i paesi di tradizione più liberista ora in vantaggio, ma si affacciano delicati problemi di regolazione, come l'accentuarsi degli scompensi fra aree, l'aumento delle disuguaglianze sociali, o il rischio ricorrente di crisi finanziarie. Dahrendorf (v., 1995) ha indicato in sintesi il problema che ne è derivato: come tenere insieme efficienza economica, coesione sociale e libertà politica. I contratti sociali del dopoguerra (il modello fordista-keynesiano) erano riusciti a ottenere buone combinazioni delle tre dimensioni, ma l'equilibrio è di nuovo sfidato: secondo Dahrendorf, per esempio, il modello tedesco sembra combinare coesione sociale e libertà politica, ma minor efficienza economica; al contrario, il modello asiatico dei cosiddetti 'piccoli dragoni' combina coesione sociale e efficienza economica, ma non sufficiente libertà politica.Possiamo considerare, in termini analitici generali, le conseguenze dei cambiamenti ora ricordati sull'organizzazione spaziale della società. Che questi siano rilevanti è già implicito nel fatto che il termine globalizzazione è il più usato per definire il cambiamento in corso. Con esso si intende l'intensificarsi delle interdipendenze economiche e sociali su scala mondiale (v. Lafay, 1996). Dal punto di vista economico, in particolare, si è accelerata l'internazionalizzazione dei mercati di beni e servizi, così come quella dei mercati finanziari, mentre cresce il numero delle imprese multinazionali. Il termine evoca poi uno spazio di reti, nel quale si stabiliscono relazioni mutevoli fra attori lontani e diversi a seconda dei momenti e delle circostanze, e accresciute circolazioni di beni, persone, idee.
Quale che sia lo stato di avanzamento del processo - una questione su cui non c'è uniformità di giudizio (v. Hirst e Thompson, 1996) - un aspetto è chiaro: globalizzazione non significa tendenza a una società uguale in tutti i suoi punti fisici. Al contrario, esiste l'evidenza che la globalizzazione incorpora un processo di nuova regionalizzazione. Non soltanto persistono e si accentuano differenze locali di grado di sviluppo, ma su basi tradizionali e nuove si strutturano e diventano molto visibili società locali con loro particolarità politiche e culturali oltre che di organizzazione economica.Il nuovo panorama della regionalizzazione deriva anzitutto da un ridimensionamento delle funzioni e delle capacità di azione degli Stati nazionali. Se la tesi della loro fine sembra eccessiva, è chiaro però che questi perdono capacità di identificazione culturale e capacità di regolazione politica di un'economia che supera con facilità i loro confini, resi 'porosi' dalla deregolazione dei mercati. Città e regioni - nel senso corrente del termine, con il quale identifichiamo per esempio una regione italiana, o aggregati storici o più recenti di analoghe dimensioni, o loro parti - acquistano invece importanza, come ambiti di strutturazione e organizzazione della società, e come attori in certa misura unitari e visibili nel contesto nazionale e internazionale. Poche 'città globali' sono i nodi delle reti di interazioni strategiche per il controllo e il governo dei processi economici, dove si addensano le sedi delle imprese, delle banche, delle società finanziarie, di consulenza e di telecomunicazioni, i grandi studi legali che agiscono su scala mondiale (v. Sassen, 1994). Molte capitali regionali, specialmente in Europa, e molti centri minori entrano a loro volta nel gioco in concorrenza/collaborazione fra loro, cercando di costruirsi un'immagine in grado di attirare investimenti e persone qualificate, e di legare in progetti condivisi sul lungo periodo attori complementari non più radicati necessariamente in una località.
Una maggiore importanza delle città e dei contesti regionali e locali corrisponde a reali possibilità di sinergie economiche efficienti nel nuovo contesto: paradigmatico e anticipatore delle nuove tendenze al riguardo è il caso dei distretti industriali basati sulle piccole imprese in alcune regioni dell'Italia (v Becattini, 2000); ma bisogna anche riconoscere che i nuovi contesti di regionalizzazione offrono risorse di identificazione culturale e partecipazione politica riconosciute dal principio di sussidiarietà, non a caso ritornato con forza come tema politico. È necessario tuttavia fare attenzione alle possibili illusioni del localismo. La crescita di un tessuto vitale di società locali su scala minore non supplisce alla perdita di capacità politica degli Stati nazionali nei confronti di un'economia libera da legami sulla scena planetaria. Gli scompensi e i rischi che ne derivano non sono oggi affrontati da efficaci istituzioni sovranazionali, dotate di un grado sufficiente di potere politico. Ne consegue, in termini generali che "piuttosto che a iniziative e a intraprese globali, il nuovo termine [globalizzazione] si riferisce principalmente a effetti globali - che non sono né voluti, né anticipati" (v. Bauman, 1998, tr. it. p.68).
L'idea di un processo non controllato, trainato dai meccanismi dell'economia di mercato, suggerisce l'immagine delle conseguenze sulle persone, sui loro modi di vita e di pensare. L'immagine è usata e ha una sua pregnanza, ma può essere fuorviante se riporta a un'idea di determinismo economico. Alcuni - con riferimento alla debolezza della politica o ai condizionamenti dei consumi - considerano in effetti il processo di globalizzazione essenzialmente come un prodotto del capitalismo (v. Harvey, 1989), ma l'orientamento prevalente è piuttosto quello di considerarlo come un processo complesso e multidimensionale.
Flessibilità, capacità di assumersi rischi, autonomia d'azione sono le parole d'ordine della nuova economia. Ma a un "capitalismo rigenerato" sembra corrispondere una "società degradata" (v. Boltanski e Chiapello, 1999) L'aumento della disoccupazione (in Europa) o delle disuguaglianze sociali (negli Stati Uniti) sono aspetti di tale degrado. Nel vecchio modello industriale, il progetto politico consisteva nell'estendere all'insieme della popolazione una condizione di ceto medio, con salari più alti, più elevati consumi e relativa sicurezza di un posto di lavoro dipendente e subordinato. Oggi, a una maggiore autonomia e in molti casi a un lavoro formalmente indipendente, corrisponde perdita di sicurezza o anche 'precarizzazione'. Mantenere una carriera lavorativa coerente e un percorso di vita ragionevolmente controllato è più difficile, mentre la mobilità da una situazione all'altra impoverisce le relazioni sociali (v. Sennett, 1998); spesso sono infatti i "legami deboli" che favoriscono oggi il gioco sul mercato (v. Granovetter, 1973). Quella globalizzata è una società del rischio e dell'incertezza: il tipo umano che la popola non può più essere immaginato come un pellegrino, che percorre un sentiero in vista di una meta, ma piuttosto come un 'flâneur', un 'vagabondo', un 'turista', figure allegoriche di condizioni che tendono a promuovere "una distanza tra l'individuo e l'Altro, e considerano l'Altro come oggetto di valutazione estetica, non morale" (v. Bauman,1999, p. 50). Anche un nuovo criterio di stratificazione si affaccia, legato allo spazio: la divaricazione fra chi ottiene mezzi e occasioni di facile mobilità e chi resta intrappolato in luoghi marginali, con una "nuova classe media" fra gli estremi (v. Bauman 1998).
Con la fine della grande contrapposizione politica seguita al crollo del blocco comunista e la diffusione quasi ovunque dell'economia di mercato, ridiventano evidenti e attive le differenze culturali, nella forma di localismi 'comunitari', o di fondamentalismi religiosi anche su grande scala. C'è chi sostiene che dobbiamo in futuro aspettarci veri e propri "scontri fra civiltà", legati all'identità occidentale, islamica, confuciana, indù e così via (v. Huntington, 1993). Si può discutere se l'interazione fra civiltà debba essere necessariamente conflittuale; inoltre, il semplice riferimento a matrici culturali storiche non lascia spazio all'osservazione del processo continuo di elaborazione culturale. L'attenzione alle pratiche del confronto interculturale richiede comunque schemi concettuali ampi e insieme capaci di penetrazione analitica. Un esempio è l'approccio dei global scapes (v. Appadurai, 1990; v. anche Nash, 2000), secondo il quale la globalizzazione è un processo multidimensionale, che comprende flussi di beni, capitali, persone, informazioni, idee, immagini e rischi che oltrepassano i confini degli Stati nazionali, mettendo in crisi la loro capacità di funzionare come coordinatori di diverse dimensioni sociali; i flussi operano inoltre in modi fra loro disgiunti, pur condizionandosi a vicenda, il che rende imprevedibili i processi. Per l'analisi della società contemporanea, più che a strutture o sistemi sociali è meglio comunque prestare attenzione a flussi. Appadurai indica cinque punti di vista dai quali guardare al confuso fluire globale, dove si mescolano correnti che è possibile distinguere analiticamente se si utilizzano prospettive diverse: ethnoscape, il flusso di immigranti, turisti, rifugiati, che creano effetti di spiazzamento delle vecchie culture degli Stati nazionali; technoscape, le tecnologie meccaniche e dell'informazione e il loro impiego in reti planetarie; finanscapes, i flussi di capitale speculativo incontrollabili dagli Stati; mediascapes, diffusione di narrazioni e immagini del mondo; ideoscapes, circolazione di ideologie politiche e di movimenti.
Un approccio di political economy della cultura come questo permette di esplorare le nuove costruzioni di significati in rapporto alle possibilità politiche della loro espressione. Nonostante la forza degli automatismi economici, queste pratiche e possibilità non devono essere sottovalutate. Il carattere fondamentale della modernità, specie nella sua fase di radicalizzazione, è costituito dalla riflessività, un atteggiamento che dalla constatazione dei rischi e dalla difficoltà di individuare le conseguenze inattese delle azioni sviluppa una pretesa di moralizzazione sociale (v. Beck, 1986). Nuovi movimenti sociali si fanno interpreti delle possibilità politiche e culturali di pervenire a forme di democrazia adeguate a una società complessa (v. Melucci, 1982). D'altro canto, se è vero che istituzioni di governo globale hanno difficoltà a stabilirsi, è altrettanto vero che si sta sperimentando un modello di governance dei processi, al quale partecipano istituzioni governative e organizzazioni non governative, in modi solo parzialmente formalizzati.Lo sviluppo della nuova economia globalizzata e l'insieme del processo di globalizzazione stanno producendo un profondo cambiamento sociale, ma non è facile distinguere quali caratteri appartengano solo alla congiuntura di trasformazione, e quali siano già sicuri componenti della nuova società. Anche per questo motivo bisogna fare attenzione alle interpretazioni profetiche. In ogni caso, l'annuncio della fine della storia, come conseguenza di un mondo unificato dal mercato, sembra quanto meno prematuro.
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