STABILITÀ (XXXII, p. 433)
Richiamandoci a quanto detto nell'articolo citato, può essere utile porre ulteriormente in rilievo il ruolo fondamentale degli esponenti caratteristici particolarmente con riguardo alle sempre più attuali vibrazioni autoeccitate, tipiche manifestazioni di instabilità dei sistemi dinamici ed elettrici.
Com'è noto, le soluzioni ξ1 delle equazioni alle variazioni rispetto a una soluzione data xi del sistema differenziale originario di cui si cerca la stabilità, si possono scrivere nella forma
con ci, α costanti a priori indeterminate: gli esponenti caratteristici sono appunto le diverse determinazioni numeriche che si ottengono per α, il ruolo di tali esponenti manifestandosi precisamente attraverso il loro carattere aritmetico. Come numeri complessi gli esponenti caratteristici devono avere, tutti, parte reale negativa, nelle questioni tecniche specialmente, o, al limite, per una s. teorica che conceda l'inversione del tempo (quindi stabilità nel futuro come nel passato) parte reale nulla, potendosi annullare un esponente soltanto.
Criterî per la verifica di queste condizioni di s., dovuti a E. J. Routh, a A. Hurwitz, sono sempre attuali occanto ai criterî moderni (v. servosistemi, in questa App.), che si allacciano alla teoria delle funzioni attraverso una celebre formola di A. Cauchy per il computo degli zeri, noto che sia il numero dei poli, di una funzione di variabile complessa, esistenti in un dominio assegnato del suo piano.
Ma, essendo gli esponenti caratteristici radici di un'equazione algebrica, la cosiddetta equazione caratteristica i cui coefficienti sono in genere funzioni di determinati parametri che si debbono scegliere in modo opportuno proprio per conseguire la s., è chiaro come l'avvento delle calcolatrici elettroniche porti in certo senso a superare i criterî sopra accennati fornendo numericamente gli esponenti addirittura tabellarmente in funzione di quei parametri.
Notevolissime sono le questioni di s. dei sistemi di fronte a perturbazioni o modifiche intime, traducibili in termini analitici con l'aggiunta ai coefficienti eventualmente costanti delle ordinarie equazioni alle variazioni, di termini costanti o funzioni del tempo, fra le quali particolarmente importanti quelle periodiche.
Occorre allora studiare in particolare il comportamento degli esponenti che sono radici multiple dell'equazione caratteristica, la loro scomposizione in radici di molteplicità inferiore o semplici addirittura, tanto interessante, per es., per la cosiddetta struttura fine delle righe spettrali. Nel caso dei coefficienti periodici interessa lo studio della stabilità con riguardo al loro periodo T. Porta questo a riconoscere, ove si consideri T come variabile, certi spettri critici, continui a tratti, di T per i quali si ha instabilità. Il calcolo di tali spettri riesce particolarmente semplice nel caso dei coefficieriti periodici quasi-costanti, o dei coefficienti costanti a tratti; esso è invece molto difficile in generale, a meno di non ricorrere a limitazioni superiori di sicurezza che risalgono ad A. M. Ljapunov. Fra gli innumerevoli esempî di sistemi a elasticità variabile sono le trasmissioni dei locomotori elettrici, considerate insieme con i rotori dei motori e delle parti rotanti, trasmissioni la cui elasticità varia con la posizione delle bielle; sono inoltre le aste, le piastre, gli involucri soggetti a carichi pulsanti, gli alberi rotanti a sezione non assial-simmetrica e infine, nell'ambito dell'elettrotecnica, tutti i sistemi oscillanti a caratteristiche variabili.
Accanto alle variazioni periodiche vien fatto di studiare le variazioni lente asistematiche dei parametri genericamente costanti dei sistemi. Questioni di s. asintotica o, quantomeno, a lunga scadenza, sono facilmente accessibili quando riesce la costruzione di certi invarianti cosiddetti adiabatici nei quali intervengono tanto gli elementi caratteristici di moti di cui si cerca l'avvenire, quanto i parametri che si fanno variare (ad es., nel moto kepleriano ellittico i semiassi o l'eccentricità, e rispettivamente, le masse o l'energia e la costante delle aree).
Tali invarianti hanno origine nella fisica atomica della maniera di Bohr-Sommerfeld, ma costituiscono oggi, per merito di T. Levi-Civita, un capitolo a sé della meccanica analitica.
Se le variazioni dei parametri sono qualsivogliano, è possibile arrivare ancora a deduzioni concrete attraverso il metodo universale della variazione delle costanti; introducendo la lentezza delle variazioni si perviene così in taluni casi agli invarianti adiabatici e, in generale, alla conclusione importante che i moti asintotici perturbati si possono ricercare tra le soluzioni del sistema imperturbato (ad es., quando le perturbazioni implicano, attraverso azioni interne, la degradazione condizionata dell'energia, tra quelle soluzioni stazionarie di Routh e Levi-Civita che tanto interesse hanno in meccanica celeste).
Ben più difficile si presenta invece lo studio della influenza dei coefficienti additivi funzioni delle coordinate x1. Problemi della meccanica non lineare e soprattutto della moderna elettronica conducono a quest'ordine di studî costituito ormai in quel capitolo estremamente attuale dell'analisi, inaugurato da H. Poincaré, che riguarda le equazioni differenziali non lineari.
La considerazione degli equilibrî in dipendenza di un parametro riesce in certi casi assai espressiva attraverso la nozione di equilibrio di biforcazione di una serie lineare di forme d'equilibrio. Poincaré la ritrovò dapprima nello studio della stabilità delle orbite periodiche del problema ristretto dei tre corpi, il parametro potendo essere, in particolare, il rapporto μ tra le masse di due corpi S, J (il terzo corpo P, cosiddetto pianetoide, si ammette, nel problema ristretto, abbia massa trascurabile); poi, nello studio delle forme di equilibrio di una massa fluida rotante. In questo caso il parametro è evidentemente legato alla velocità angolare ω: per ω = 0 la forma è sferica, per ω crescente fino ad un certo valore ω1, si ritrovano gli stabili ellissoidi di rotazione di Mac-Laurin; in ω1 la serie si biforca in due: una che è ancora degli ellissoidi di rotazione, l'altra, degli ellissoidi triassici di Jacobi. Alla biforcazione, un teorema di Poincaré enuncia lo scambio delle stabilità tra le due serie. Seguendo la serie degli ellissoidi stabili di Jacobi, si trovano due valori ω2, ω2′ a cavallo di ω1 in cui si incontrano nuove serie lineari di figure d'equilibrio e difficili scambî di stabilità. Tali figure sono le cosiddette apioidi di Poincaré, che tanto interesse hanno, oltre che per se stesse, in cosmogonia nello studio della genesi dei sistemi binarî e della loro configurazione.
Importantissimi i collegamenti tra la s. delle soluzioni dei sistemi canonici con quella di certe trasformazioni puntuali secondo l'indirizzo inaugurato da Levi-Civita e ripreso con successo da varî Autori, da Birkhoff in particolare.
Criterî di s. cosiddetta trigonometrica interessano tutte le soluzioni per serie trigonometriche apparse nella secolare trattazione dei problemi della meccanica celeste (serie di Newcomb, di Bohlin, di Lindstedt).
1. - Le equazioni alle variazioni rispetto ad una soluzione assegnata xi = ϕi(t) [o con scrittura equivalente xi = ùi(t)] di un sistema differenziale del 1° ordine,
si ottengono ponendo, una soluzione prossima ad ùi,
con ξi piccolo del 1° ordine. Da [1] si ha
ovvero, seguendo la maniera di Peano, oggi ripresa dagli autori americani,
designando x un vettore, Φ la matrice ∥ Φik ∥.
Se le Xi sono indipendenti da t e le xi costanti, il sistema [3] si riduce ad un sistema di equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti. La posizione
con α a priori incognito, porta al sistema di equazioni algebriche lineari omogenee
con E = ∥ δki ∥ matrice unità (δki = 1 per i = ḳ; = 0 per i ≠ k). Soluzioni non nulle del sistema [5] si hanno solo e soltanto se ne è nullo il discriminante, cioè se α è radice dell'equazione algebrica di grado n
Le n radici αρ = μρ + iνρ, (ρ = 1, 2, ..., n), sono gli esponenti caratteristici. Se queste sono distinte e la caratteristica o rango r del determinante è n − 1, si hanno n nple di soluzioni ui(ρ) e l'integrale generale di [3] si scrive, cρ essendo costanti arbitrarie.
Se una radice α = ατ è multipla di molteplicità p, verrebbero a mancare p − 1 costanti arbitrarie. Ma dalla soluzione capostipite si ricavano allora ulteriori p − 1 soluzioni indipendenti
Si presentano in tal guisa soluzioni con t a fattore sino alla potenza p − 1. Per la stabilità si richiede quindi che la parte reale μτ di ατ sia 〈 0, ma per μ piccolo di fronte a ν può avvenire che le elongazioni crescano inizialmente oltre i limiti compatibili con l'ipotesi delle picçole variazioni: termini con t a fattore, cosiddetti "termini secolari", sono sempre indesiderabili. Si dà però la circostanza, non sempre messa in evidenza, rilevata da Weierstrass, che per i sistemi dinamici classici con energia cinetica T e potenziale U esprimibili in forma quadratica, la prima essendo definita (ed anzi positiva) per sua natura, la molteplicità di un esponente non comporta affatto termini secolari in t.
Infatti, in tal caso, la caratteristica r del discriminante è r = n − p. Di conseguenza vengono meno le n-ple ui(τ) soluzioni di [5] date dai minori d'ordine (n − 1) di una riga generica di D(α) (sempre la stessa riga, s'intende, per tutti i valori di i) e insieme vengono meno le [8], che attraverso le successive derivazioni comportano i minori sino all'ordine n−p+. È possibile però costruire egualmente p soluzioni indipendenti con solo eατt a fattore, quindi prive di termini secolari. Infatti, per virtù del rango (n − p) si può considerare almeno un minore d'ordine (n − p) non nullo e ordinare il sistema [5] così ch'esso risulti collocato ad es. nell'angolo superiore a sinistra della matrice ∣ Φ − αE ∣. Ne segue un sistema di n − p equazioni (poiché le altre p, atteso il valore di r, sono combinazioni lineari delle rimanenti) in n incognite. Pertanto, p di esse si possono scegliere arbitrariamente e possono darsi p sistemi di loro valori [tutti nulli salvo, ordinatamente, eguale all'unità l'(n − p + 1)mo, (n − p + 2)mo, ecc., sino all'nmo] e calcolare così, con la regola di Cramer, senz'altro applicabile, le p-ple indipendenti ui,(%τ1%)%, ui,(%τ2%)% , ..., ui,(%τp%)%da sostituire, moltiplicate per eατt alle [8].
2. - Esempî tipici di soluzioni merostatiche ùi sono costituiti dagli equilibrî, cosiddetti relativi, tra forze agenti e forze centrifughe. Ad es., tre corpi di massa m1, m2, m3 che si attraggono con legge newtoniana stanno in equilibrio con le mutue forze di attrazione se disposti sui vertici di un triangolo equilatero di lato qualunque a che ruoti nel suo piano attorno al baricentro con velocità angolare ω data dalla relazione
f essendo la costante dell'attrazione universale.
Perturbazioni di questo equilibrio sono effettivamente calcolabili se uno dei corpi P ha massa trascurabile di fronte agli altri due S e J che si muovono quindi di moto kepleriano. Due esponenti α delle equazioni alle variazioni per il moto di P risultano effettivamente immaginarî puri, e si hanno quindi due schiere di soluzioni periodiche stabili, quando sia soddisfatta una certa relazione tra le masse di S ed J, realizzata sempre se una prevale sensibilmente sull'altra, come avviene per es. per la massa del Sole (S) rispetto a quella di Giove (J). Nel sistema solare sono noti alcuni pianetoidi P che soddisfano con S ed J alla soluzione lagrangiana: i tre troianei ed il pianetino Achille che è stato scoperto per primo. Accanto alla soluzione lagrangiana triangolare esiste, come è facile constatare, una soluzione collineare in cui le mutue distanze tra i corpi sono legate alla velocità angolare di rotazione della retta nel piano invariabile del moto. Per questa soluzione, nelle condizioni sopra accennate di rapporti tra le masse esiste un solo esponente immaginario, e pertanto una sola schiera di soluzioni periodiche che di conseguenza sono labili.
3. - La verifica diretta della stabilità, cioè la verifica che tutti gli esponenti caratteristici abbiano parte reale negativa, si fa direttamente sui coefficienti dell'equazione secolare sviluppata:
Secondo Hurwitz debbono sussistere le disuguaglianze
intendendosi che tutti i coefficienti di indice > n sono nulli ma scritti egualmente nell'espressione dei determinanti suddetti per renderne evidente la formazione.
Il criterio non è di agevole applicazione particolarmente perché, se il sistema non è stabile, occorre modificarlo per stabilizzarlo variando opportunamente i parametri costruttivi e quindi i coefficienti A. Non solo, ma per avere una visione del comportamento del sistema si deve cercare per quali valori, critici, di uno o più parametri, che effettivamente possono esser variabili in esercizio, l'equilibrio diventa instabile. Tipico esempio è quello dell'ala di un velivolo, riducibile, nella più semplice schematizzazione, ad un sistema a 3 gradi di libertà: l'incidenza, l'angolo diedro, l'incidenza degli alettoni o organi di comando. Il parametro variabile è la velocità V del vento.
Si può però evitare la difficoltà dei determinanti di Hurwitz seguendo un criterio, sistematicamente applicato per primo da H. Küssner, secondo cui si cerca per quali valori dei parametri variabili un esponente risulta immaginario puro. Questi esponenti immaginari, essendo pensabili come esponenti di transizione tra quelli a parte reale negativa e quelli a parte reale positiva, costituiscono l'avviso dell'instabilità incipiente. Pertanto, ponendo nell'equazione caratteristica α = iν, con ν reale e fisso, si dà luogo a due equazioni, ricavabili annullando la parte reale e rispettivamente quella immaginaria che ne risulta. Da queste si calcola V ed un altro parametro ϕ (nel caso dell'ala, rapporto tra la flesso- e la torsiorigidezza) a partire dal valore ν = 0. Naturalmente, parametri critici sono quelli corrispondenti a radici reali. Il valore ν = 0 ha anche interesse in quanto dà eventuali condizioni di instabilità statica (nel caso dell'ala, lo svergolamento per flessione deviata secondo Prandtl-Reissner).
4. - Stabilità alle perturbazioni intime dei sistemi. Si ottengono attribuendo variazioni δΦik ai coefficienti Φik. Per tali variazioni si può affermare che gli esponenti αρ subiscono per continuità piccole variazioni tali che, se la parte reale era negativa, la stabilità permane, se era nulla e le radici erano semplici, può venir meno, e anzi certo vien meno quando tali variazioni si scelgano opportunamente. Se infine la parte reale era positiva, permane l'instabilità. Sono i casi, secondo G. Ascoli, della stabilità - stabile od instabile e dell'instabilità - stabile.
Le variazioni δΦik anziché costanti possono pensarsi funzioni della variabile indipendente t, e con riguardo ai problemi tecnici più frequenti, funzioni periodiche di periodo T:
In questi casi, T assume il carattere di parametro variabile in esercizio ed occorre cercare per quali valori, che si chiameranno critici, si ha instabilità.
Fissando per semplicità l'attenzione su un'equazione sola, quale appare nei problemi tecnici, del tipo
con
conviene introdurre la variabile
La [1] diviene allora
con
evidente funzione periodica di periodo 2π poiché per la [2] è σ(T) = σ(2T).
Si dimostra che la soluzione generale della [1] è del tipo
nella quale gli αi hanno ancora il nome di esponenti caratteristici, le ϕi(τ) = ϕi(τ + 2π) sono funzioni periodiche di periodo 2π, le ci sono costanti arbitrarie. Come si vede, riappaiono gli esponenti caratteristici e il loro carattere aritmetico rimane essenziale per la stabilità.
Poiché però il loro calcolo non è facile, si è cercato di dare criterî di stabilità più diretti con espressioni, naturalmente conseguenti a quei caratteri aritmetici sopraindicati, in certo senso corripondenti alle citate disuguaglianze di Hurwitz.
Valga qui la citazione di uno di tali criterî particolarmente efficace e di applicazione immediata. Abbia ω = ω(τ) la forma, per εωm > 0,
ω0, ωm essendo costanti, ε quantità numerica piccola del 1° ordine. Orbene, si ha stabilità quando T è esterno agli intervalli di estremi
Viene definito, come si vede, uno spettro continuo a tratti di valori critici del periodo T.
Il criterio classico generale di stabilità è il seguente: si costruiscono due soluzioni u1 ed u2 della [ia] soddisfacenti alle condizioni iniziali
Diconsi, queste soluzioni, fondamentali poiché è diverso da zero, nel caso specifico costante e uguale a 1, il corrispondente wronskiano che assicura la loro lineare indipendenza.
Calcolati i valori, evidentemente funzioni del parametro T,
si ha stabilità se
Pertanto, riportando in un diagramma (J, T) come in fig. 1, là dove la funzione J = J(T) sporge dalla striscia J = ± 1 si ha instabilità, con che resta definito, in generale, uno spettro, continuo a tratti, di valori di T, critici per la stabilità del sistema.
Se nell'espressione di
interviene oltre a T un parametro λ, occorrerà tracciare una serie di diagrammi J = J(T/λ) per una serie di valori λ1, λ2, ...; di λ e si avrà, corrispondente, una serie di spettri continui a tratti di valori critici di T. Compendiando tali diagrammi in uno, considerando il riferimento cartesiano J, T, λ si vede che, là dove J sporge dai due piani, paralleli al piano (T, λ), J = ± 1, si ha instabilità.
Risultano in tal guisa tracciate su (T, λ) le lacune critiche o lacune di instabilità (contigue con lacune di stabilità). La fig. 2 dà un esempio espressivo. Si riferisce al caso di un'asta elastica con sforzo assiale P pulsante, con periodo T, tra due valori P′ e P″ costanti a tratti come indicato in fig. 3. Che il sistema sia ad elasticità variabile risulta dal fatto che uno sforzo assiale di compressione diminuisce la flessorigidezza E J nel rapporto 1: (i − P/P1), essendo P1 il carico critico di Eulero, per un'asta incernierata agli estremi (distanti l), così come uno sforzo di trazione l'aumenta.
Nel caso specifico J è calcolabile con relativa facilità per la costanza a tratti della ω(τ) corrispondente al P(t) considerato, che consente di scrivere direttamente le due soluzioni fondamentali u1 ed u2. I due parametri x1, x2, da cui J si fa qui dipendere, sono
essendo T1 il periodo fondamentale di vibrazione dell'asta.
Per estremi snodati, se μ0 è la massa per unità di lunghezza, risulta
Naturalmente si potrebbero anche scegliere, come parametri,
Tracciando sul grafico (fig. 2) la retta x2 = λx1 si determina su questa lo spettro critico, continuo a tratti, di T costituito dai segmenti su di essa intercetti dal contorno delle lacune, tratteggiate, di instabilità.
5. - Variazioni lente dei parametri e invarianti adiabatici. - Relazioni invarianti tra un certo numero di parametri a1, a2, ..., am che si fanno variare lentamente (mentre ordinariamente si considerano costanti: masse, momenti d'inerzia, costanti di integrazione) e i dati caratteristici del moto si ottengono per varia via: generalmente, in base a considerazioni di media svolte caso per caso, in maniera sistematica per tipi ben definiti di sistemi differenziali.
Per un sistema canonico
sussista l'integrale dell'energia
Nello spazio delle fasi Φ2n definisca la [2] una ipersuperficie Σ, a 2n − 1 dimensioni, chiusa. Si ammetta la quasi ergodicità del sistema, si ammetta cioè che la traiettoria del moto invada sensibilmente tutta la Σ.
In tal caso il volume W racchiuso da Σ è (teorema di Gibbs-Hertz) un invariante adiabatico. T. Levi-Civita ha dimostrato che, se oltre all'integrale dell'energia sussistono m integrali uniformi in involuzione, cioè tali che si annullino le corrispondenti
parentesi di Poisson, si possono ricavare m ulteriori invarianti adiabatici. Questo teorema comprende il teorema di J. M. Burgers-A. Sommerfeld sull'esistenza di invarianti adiabatici per i sistemi periodici a variabili separabili.
Infatti, i sistemi a variabili separabili sono ovviamente in involuzione e gli invarianti diventano, se il sistema è periodico ed è quindi assicurata la chiusura delle superficie ridotte a cicli
In queste Wh, che hanno le dimensioni di un'azione, si ritrovano gli integrali ciclici che Sommerfeld ha eguagliato, per i miscrosistemi, a multipli interi nh del quanto d'azione h di Planck.
Per il problema dei due corpi puntiformi P1, P2, di masse rispettive m1, m2, che si muovono su orbite ellittiche con il fuoco nel loro baricentro G, poiché il moto è piano, uniche coordinate sono la mutua distanza. r=P1P2 e l'anomalia che P1P2, rotante con centro in G, forma con una direzione fissa. Calcolati i momenti cinetici pr e pϕ si trova subito, poiché ϕ risulta ignorabile, l'integrale delle aree
e dall'integrale dell'energia, eliminando pϕ con la [3], si ha
essendo M = m1 + m2, f la costante della gravitazione universale, a la distanza massima fra P1 e P2. Parametri variabili possono essere la massa totale M e la costante di integrazione c; elemento caratteristico del moto è a. Si inferisce da [4] che per M → 0, ad esempio per irraggiamento, a → 0 e si ha quindi asintoticamente la dispersione del sistema; per M crescente, ad esempio per caduta simmetrica (così da non modificare c) di meteoriti, a diminuisce. Infine, se diminuisce c, ad esempio per attrito con pulviscolo cosmico, diminuisce a. Alla [4] si può dare anche la forma, poiché E 〈 0 per le orbite ellittiche,
Questa consente deduzioni notevoli. In particolare, se si tien conto dell'energia cinetica di rotazione Δ1, Δ2 dei corpi, non più considerati puntiformi, e dei corrispondenti momenti cinetici γ1, γ2, l'invariante W si ottiene sostituendo in [4a] E − Δ1 − Δ1 ad E e c − γ1 − γ2 a c. Ove si facciano intervenire azioni dissipative interne (dovute, per es., a maree) E tende ad un valore estremo subordinatamente all'invariante [4a] così modificato. In questo estremo i moti sono circolari, i periodi di rivoluzione eguali a quelli di rotazione attorno ad assi normali al piano del moto. Ciò vale anzi qualunque sia stato il moto libero iniziale rispetto al baricentro.
6. - Variazioni arbitrarie dei parametri in funzione del tempo. - Scritti gli integrali del sistema
nella forma
che mette in evidenza le costanti arbitrarie di integrazione c1, c2, ..., cn ed i parametri a1, a2, ..., am, che si vogliono far variare con legge assegnata a = a(t) conviene, secondo il metodo della variazione delle costanti, trattare le c come funzioni incognite di t. Si ha allora
ΔXi essendo un termine perturbatore che si aggiunge per generalità ad Xi.
Le [2] saranno soluzioni di [1] per le a = a(t) variabili, se le c si identificano con le soluzioni del sistema, che si deduce da [3],
La soluzione generale dà le c in funzione di t e di n costanti arbitrarie, ch = ch(t/π1, π2, ..., πn) da introdurre nelle [2].
Da [3a], sotto la riserva che le da/dt siano piccole del 1° ordine, si possono dedurre notevoli invarianti del tipo adiabatico. Per le da/dt → 0 altrettanto avviene per le dc/dt ed il moto asintotico può ricercarsi tra le soluzioni di [1]: in particolare, tra le soluzioni stazionarie che rendono estrema l'energia subordinatamente all'esistenza invariabile di certi integrali primi. Se l'energia diminuisce conseguentemente ad azioni interne (maree, per es.) gli integrali primi invariabili sono i tre integrali del momento delle quantità di moto.
Per questa via si dimostra che per un sistema di n corpi rigidi, dotati di moto libero rispetto al baricentro, che si attraggono con legge newtoniana, tenendo conto della estensione delle masse, tanto agli effetti del calcolo dell'energia cinetica quanto agli effetti del calcolo delle attrazioni newtoniane, il moto finale è il seguente: gli assi maggiori degli ellissoidi di inerzia degli n corpi si allineano su una retta rotante uniformemente attorno al baricentro G del sistema in un piano normale all'invariante momento delle quantità di moto K, come appare in fig. 4.
Va rilevato che è dubbia la stabilità di questo moto. Va inoltre rilevato che in ogni caso l'attrazione è stata calcolata tenendo conto dei soli momenti del 2° ordine, che definiscono gli ellissoidi d'inerzia. Forzando la precisione sino a tener conto dei momenti di ordine superiore al 2°, si arriva a relazioni di stazionarietà incompatibili che non si possono comporre che in una collisione generale. Questa sarebbe inammissibile per il problema classico degli n corpi puntiformi se K ≠ 0; nel caso attuale è possibile poiché si può attribuire tutto il momento K alla massa condensata nell'urto anelastico, estesa e rotante.
7. - Variazioni intime del sistema involgenti, oltre che t, le stesse xi. - Attuale si presenta la considerazione di variazioni δΦik dei coefficienti ζik di [1], che siano funzioni, non solo della variabile indipendente t, ma anche delle stesse xi. Allora l'originario sistema diviene
o, indicando con x, b(x, t) due vettori di componenti xi, bi; con Φ una matrice, seguendo le già richiamate notazioni di Peano,
in cui il secondo termine a destra compendia la perturbazione.
Sistemi siffatti sono stati studiati da E. Cotton, O. Perron, G. Ascoli, L. Cesari, N. Levinson, con risultati di notevole efficacia.
Ad esempio, secondo Perron, se per un modulo ∣ x ∣ di x sufficientemente piccolo, C designando una costante positiva, è
e quindi
e la soluzione x = 0 di [1] per b = 0 è (cfr. n. 4) stabilmente stabile o rispettivamente instabile, tale è anche la soluzione stessa per b ≠ 0. Il caso della stabilità o instabilità si risolve però a prezzo di ulteriori limitazioni; secondo H. Weil la [2a] va sostituita con una condizione più restrittiva; precisamente:
essendo la funzione β = β(t), che si sostituisce a C, assolutamente integrabile per t0 ≤ t ≤ ∞.
Questi risultati sono stati estesi da Ascoli ai sistemi canonici
nei quali la funzione caratteristica originaria H = H0 è portata dalla perturbazione alla forma
Per questi, se p = q = 0 è, in assenza di perturbazione, cioè per ψ = 0, una soluzione di equilibrio stabile e per ψ = 0 è ancora una soluzione di equilibrio, questa rimane stabile se
con ω funzione crescente, nulla in p, q = 0, e β positiva e integrabile tra t0 e ∞.
A titolo di esempio, si consideri l'equazione studiata da R. Caccioppoli
con
Questa equazione si riporta alla forma canonica quando si ponga
Evidentemente p = o, q = o è soluzione di equilibrio stabile per ψ = 0, ed è soluzione di equilibrio anche per ψ = 0. Le condizioni a) e b) essendo qui soddisfatte, un tale equilibrio è anche stabile. Che siano soddisfatte appare chiaro: lo è infatti per definizione la a) e, avendosi
lo è anche la b) se, ad esempio, è η′ continua e assolutamente integrabile.
Sono questi i problemi tipici della stabilità asintotica delle soluzioni delle equazioni differenziali non lineari e quindi della fisica matematica non lineare in generale. Problemi, come si vede, risolubili sotto non poche riserve e precisazioni che è impossibile evitare senza incorrere nei più gravi inganni.
8. - Serie lineari di configurazioni di equilibrio in dipendenza da un parametro. - Nello studio delle soluzioni periodiche di un sistema differenziale in dipendenza di un parametro μ è apparsa forse per la prima volta la nozione di serie lineare di soluzioni, di soluzioni limiti, unite, di biforcazione, e la nozione fondamentale dello scambio delle stabilità tra due serie in un loro eventuale punto di incontro.
Nell'analisi qualitativa dell'equilibrio delle masse fluide rotanti questi concetti trovano la più espressiva applicazione. Il parametro μ si definisce con il rapporto
essendo ω la velocità angolare, f la costante dell'attrazione universale, μ la densità.
È noto che esistono figure d'equilibrio, Σ, ellissoidiche di rotazione, scoperte da Maclaurin, ed ellissoidiche a tre assi, scoperte cent'anni dopo da Jacobi. In fig. 5 si portino su coordinate cartesiane ortogonali i rapporti c/a, c/b degli assi dell'ellissoide; c è il minore dei tre ed è l'asse di rotazione. Per μ = 0, Σ è una sfera e cc/a = 1, c/b = 1. Il punto rappresentativo sta in Q. Crescendo μ, ad esempio per raffreddamento della massa racchiusa da Σ, ove la Σ, sferica o quasi, avesse ad es. una piccola velocità angolare e quindi un momento K delle quantità di moto diverso da zero, Q percorrerebbe la retta OQ verso O: è questa la retta della serie lineare degli ellissoidi di rivoluzione secondo Mac Laurin. Arrivando in Q′(μ = 0,187), si incontra la serie A Q′ B degli ellissoidi triassici di Jacobi. In Q′ si ha dunque un equilibrio di biforcazione e la serie degli ellissoidi di rotazione, stabile da Q sino a Q′, necessariamente diventa instabile proseguendo da Q′ verso O.
Gli ellissoidi di Jacobi sulla serie lineare A Q′ B sono stabili in un notevole intorno di Q′, da Q′ sino ad A′ e B′. In A′ e B′ si affacciano le apioidi di Poincaré. Queste dovrebbero risultare stabili ma, in verità, come ha dimostrato Ljapunov, sono labili. A questa labilità di una figura apioidica piriforme si collega la formazione, per scissione, di sistemi binari, quali Terra-Luna, Sirio ed il suo compagno, ecc. L'allontanamento successivo delle due masse si spiega facilmente con l'azione delle maree.
Ma figure prossime alle ellissoidali si ottengono anche dagli ellissoidi di rotazione di Maclaurin. La prima che si trova ha due linee nodali lungo due paralleli simmetrici rispetto all'equatore (fig. 6); ne segue una con tre linee nodali secondo i meridiani (fig. 7). Le figg. 8a e 8b illustrano invece figure ottenute dagli ellissoidi triassici. La prima, l'apioide piriforme, ha per linee nodali le linee di incontro dell'ellissoide con un piano di simmetria ed un iperboloide; la seconda, le linee di incontro con due iperboloidi.
Tali linee nodali sono caratteristiche delle cosiddette funzioni ellissoidali o di Lamé, che intervengono attraverso una combinazione lineare a coefficienti a priori incogniti, nella precisazione della superficie prossima all'ellissoide. L'intervento di tali funzioni è del tutto analogo a quello delle funzioni sferiche per la precisazione di una superficie prossima alla sfera.
9. - Metodo generale proposto da Levi-Civita per la trattazione delle questioni di stabilità. - Si consideri ancora il sistema differenziale,
con le Xi funzioni periodiche, di periodo T, in t:
Sia Σ una soluzione periodica. Levi-Civita ha fatto vedere che la Σ è sempre stabile o instabile assieme con una certa trasformazione puntuale Γ
biunivoca e regolare nell'intorno dell'origine O e per cui O è un punto unito.
Dicesi stabile una trasformazione puntuale quando, partendo da un punto qualunque P(x1, x2, ..., xm) abbastanza vicino ad O, le iterazioni nositive o negative di Γ non fanno mai uscire da un intorno prefissato e comunque piccolo di O.
Tutto si trova in tal modo ricondotto allo studio delle trasformazioni puntuali. Nella sua memoria fondamentale "Sopra alcuni criterî di instabilità", il Levi-Civita considera dapprima il caso generale, in cui non tutti i moltiplicatori - cioè le radici dell'equazione caratteristica spettante alla sostituzione lineare che si ottiene da Γ limitando le fi alle parti di primo ordine - sono in valore assoluto eguali all'unità e riconosce che in tal caso si ha instabilità. Il risultato corrisponde al teorema del Ljapunov per i sistemi differenziali.
Attraverso questo criterio si desumono conseguenze notevoli, quali l'instabilità di soluzioni periodiche alla prima approssimazione stabile come ad esempio quelle prossime a moti circolari uniformi del problema ristretto dei tre corpi. Non sono, a vero dire, tutte le soluzioni periodiche in discorso che il metodo abbraccia ma comunque resta assodato che nel piano del moto si hanno infinite zone di instabilità quasi contrariamente a quanto verrebbe fatto di credere dal punto di vista astronomico. Per il caso in cui tutti i moduli sono eguali all'unità rimane da dimostrare ancora che la Γ ha, ciò che sembra presumibile, carattere genericamente instabile. Sicché le condizioni restrittive della stabilità restano come fine ultimo, difficilmente accessibile in questo ambito di ricerche.
10. - Stabilità trigonometrica. - Appare, si può dire costantemente, nella secolare trattazione del moto dei sistemi planetarî, come questo si possa esprimere, a meno di termini del 2° ordine rispetto alle masse, per mezzo di serie trigonometriche costruite secondo varî metodi, quali, per es., per accennare soltanto ai più perfezionati, quelli di Lindstedt, Newcomb, Bohlin. Però, tali serie pur essendo liberate da termini secolari contenenti t linearmente, non sono esenti da certi piccoli divisori che ne rendono dubbia la convergenza. Comunque, sino a Poincaré, si aveva il convincimento di poter trarre da esse indizî sulla stabilità o, quanto meno, sull'andamento qualitativo del moto. L'illegittimità di questo convincimento fu dal Poincaré dimostrata a doppio titolo, e ciò nel senso che tali serie sono divergenti pur essendo praticamente adoperabili; non solo, ma anche se convergessero, ai problemi della stabilità non potrebbero rispondere.
La questione, che a priori sembra paradossale, sta nei termini seguenti. Le serie tipiche della meccanica celeste sono serie trigonometriche
assai diverse da quelle di Fourier; i coefficienti Am, Bm sono dati da integrali definiti estesi non ad un intervallo finito, cioè al periodo fondamentale, ma, poiché non si tratta di serie periodiche, ad un intervallo indefinitamente crescente, e gli αm non crescono all'∞ ma possono tendere a zero; e tutte queste circostanze non consentono di dedurre, dalla convergenza per tutti i valori di t, un valore finito per la loro somma. Invero la loro stessa espressione mostra che la somma è finita se i coefficienti Am, Bm sono inferiori ad un assegnato ed unico limite fisso; l'ipotesi che detti coefficienti, o taluni di essi, vadano aumentando indefinitamente non è incompatibile con la convergenza, appunto, perché gli αm tendono a zero.
Bibl.: È distribuita con riferimento ai varî paragrafi della voce:
1) T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razionale, 2ª ed., Bologna 1951, vol. II, cap. VI; E. J. Routh, Dynamics of a system of rigid bodies, Advanced Part, New York 1959. - 2) E. T. Whyttaker, Analitycal dynamics, nn. 180, 181, Cambridge 1927. - 3) J. P. Den Hartog, Vibrations mécaniques, Parigi 1960, cap. VII. - 4) H. Poincaré, Les méthodes nouvelles de la mécanique céleste, New York 1957, t. I, cap. IV; S. Timoshenko, Théorie des vibrations, Parigi e Liegi 1954; cfr. anche ad es. G. Krall, Meccanica tecnica delle vibrazioni, Bologna 1940, cap. II, dove è riportata una estesa nota bibliografica. - 5) T. Levi-Civita, Sugli invarianti adiabatici, in Atti Congr. Int. dei Fisici, Como (1927), Bologna 1928; id., Applicazioni astronomiche degli invarianti adiabatici, in Atti Congr. Int. dei Matematici, t. V, pp. 17-28, Bologna (1928); G. Krall, Intorno agli effetti asintotici delle maree sul moto dei corpi celesti, in Rend. Acc. Lincei, fasc. 5-6-11, 1931; fasc. 5-8, 1932; fasc. 11, 1933, e Rend. Acc. d'Italia fasc. 11, 1940. - 6) J. Chazy, Mécanique céleste, Parigi 1953, cap. V; cfr. in particolare H. Mineur, Les systèmes mécaniques dans lesquels figurent des paramètres, fonctions du temps, in Journal de l'École Polytecnique, 3ª s., n. 2, Parigi. - 7) G. Ascoli, Questioni asintotiche nel campo delle equazioni differenziali lineari, in Rend. Politecnico di Milano, 1951; G. Sansone e R. Conti, Equazioni differenziali non lineari, Roma 1956. - 8) H. Poincaré, Figures d'équilibre d'une masse fluide, Parigi 1902. - 9) T. Levi-Civita, Sopra alcuni criteri d'instabilità, in Ann. di Mat. 1901, s. III, vol. V, pp. 221-308. - 10) J. Hadamard, L'oeuvre mathématique de Poincaré, in Acta Mathematica, tomo XXXVIII.
Stabilità dell'equilibrio elastico.
Continuando la voce stabilità (App. II, 11, pp. 884-886) va messo in rilievo il proseguimento attivo delle ricerche classiche: in particolare si ha la trattazione sempre più sistematica di quella insidiosa instabilità trasversale delle strutture a cui si debbono imputare lunghi inganni nella storia dell'ingegneria. Infine, sempre più attenzione viene data allo studio della stabilità di strutture in profilati sottili, tirati a freddo, che, per aver poca resistenza torsionale, danno luogo ad aspetti assai diversi dei casi di instabilità tipici: di Eulero per lo sforzo assiale, di Prandtl-Michell per la flessione deviata, di Greenhill per la torsione. Appare non solo essenziale la torsiorigidezza in tutti e tre i casi (mentre per i profili ordinarî, di ferriera, questa interviene solo per la flessione deviata), ma anche la posizione, relativa al baricentro G della sezione, di quel centro del taglio o centro di scorrimento O di cui la nozione è stata per tanto tempo trascurata.
Si osserva inoltre una ripresa attiva di ricerche sulla stabilità oltre il campo lineare dove portano frequentemente i carichi critici trovati con la teoria classica, lineare, carichi che risultano pertanto del tutto illusorî. Illusorie sono infatti le celebri, bicentenarie, iperboli di Eulero dopo l'incontro con quelle rette di Tetmayer che è stato d'uopo considerare, per l'assillo di innumerevoli gravi errori ai quali ha condotto l'apparente stabilità di molte strutture che, per poca snellezza rispetto alla formola di Eulero e affini, non rientravano più nel dominio di queste.
1. - Stabilità trasversale delle strutture. In particolare, per quanto riguarda gli archi da ponte, interessa la spinta critica Hcr per flambage nel piano (antisimmetrica per due cerniere e l'incastro, simmetrica per una o tre cerniere) (e in merito cfr. App. II, 11, voce cit., p. 884 r. 162 e inoltre Addenda et Corrigenda, p. 1226). Inoltre in relazione a delicati sistemi di montaggio e costruzione di grandi arcate, ad es., è di sempre più attuale interesse la Hcr per deviazione laterale cioè fuori dal piano.
Si confrontino, per esempio. le figg. 9-10 che illustrano le centine, successive armature metalliche, di un arco in cemento armato (L = 120 m) sul Nilo Azzurro, rispettivamente (L = 100 m) sul Tagliamento a Tamariona. I limiti imposti ai pesi delle carpenterie (rispettivamente, 105 e 85 tonn) hanno richiesto varî controlli sulla stabilità qualitativa dell'equilibrio in sede di montaggio (per ribaltamento delle semicentine dalle opposte sponde) ed in sede di getto degli archi.
È notissima in merito la formula di S. Timoshenko che dà lo sforzo assiale critico Ncr in un arco circolare di raggio R, apertura 2ψ0,
con C torsiorigidezza e B1 = EJ1 flessorigidezza per flessione fuori dal piano. Tale formola è valida in rigore per N costante lungo l'asse, quindi per un carico diffuso costante agente radialmente; però, intesa come limitazione inferiore, è valida, si può dire, in ogni caso, pur che all'Ncr si raffronti l'Nmax che si ha generalmente all'imposta.
Per archi accoppiati in parallelo, con collegamenti di vario tipo [ad es. sole traverse discrete, disposte con intervallo alla Vierentleel (cfr. fig. 11, riferita ad una delle due coppie di archi-costole per il Viadotto del Gambellato (L = 130 m) sul tratto Firenze-Bologna dell'Autostrada del Sole), oppure tralicci a diagonali e montanti, oppure sole diagonali incrociate], appare l'importanza della flessorigidezza B2(t)/Δ del collegamento per flessione nel piano normale agli archi. Un collegamento piatto con B2(t)/Δ trascurabile, per quanto efficace sia la flessorigidezza B1(t)/Δ, del traliccio nel piano tangente o la sua tensiorigidezza, sempre in detto piano, non può dare mai un Ncr superiore all'inferiore dei due valori,
essendo
con
Come si vede, determinante resta sempre la torsiorigidezza C complessiva dei due archi, e interesse ha il ku(t), indipendente da R, che è evidentemente uno sforzo assiale, pensabile anzi come carico di Eulero della traversa di lunghezza
Se, invece, la flessorigidezza nel piano normale delle traverse è sensibile rispetto alla tensorigidezza dell'arco, cioè risulta dell'ordine dell'unità il coefficiente d'elasticità relativa
allora l'Ncr aumenta fortemente. Senza darne qui la complessa espressione, si rileva che, in tal caso, occorre però verificare se questo valore, che corrisponde ad una deformazione anche estensionale, non risulta, come facilmente avviene, superiore all'Ncr per una deformata priva di estensione: tipica la sinusoide con nodo centrale. Il corrispondente Ncr si ottiene subito ponendo nella [1] o nella [2] 2 κ al posto di κ. Si noti che in realtà anche quest'ultimo valore viene innalzato se il collegamento impedisce scorrimenti tangenziali relativi delle costole-arco, per virtù di collegamenti in diagonale o di traverse con flessorigidezza B1(t) non inferiore alla B2(t) conveniente.
Sicché, concludendo, traversi alti e sottili possono nascondere insidie come i traversi larghi e piatti. Senza insistere su tutta la questione che qui si apre, valga l'osservazione generale che, nei casi dubbî, conviene attenersi alla [1] o [2] e far grande C, quant'è possibile, prevedendo sezioni a cassone, chiuse (e quindi ad alta torsiorigidezza) per strutture in c. a. o tralicciatura diagonale avvolgente, possibilmente in doppio senso, per strutture metalliche.
2. - Stabilità di strutture in profilati sottili. - L'impostazione del problema per l'asta presso-inflessa, in profilato sottile, di sezioni del tipo indicato in fig. 12, si fa riferendosi anziché alla deformata u, w dell'asse dei baricentri G delle sezioni resistenti, alla deformata u, w dell'asse dei centri di scorrimento, o del taglio, O. Si ammette poi (cfr. fig. 13) che, attorno a questi abbia luogo una rotazione rigida ϕ della sezione. Con che, se x0, z0 sono le coordinate di O rispetto agli assi centrali x, z (passanti dunque per il baricentro G della sezione), gli spostamenti di G sono, non u, w, ma
La flessione si riferisce ad u, w e la si esprime con le curvature u″, w″ (l'apice designando derivazione rispetto alla coordinata y orientata lungo l'asse dei centri O), ma sarebbe forse più spontaneo riferirla ad
quindi all'asse dei baricentri, ed esprimerla con le curvature
Naturamente, con questa variante conseguono taluni divarî non del tutto trascurabili, con le deduzioni correnti, ma ritrovati però in qualche caso particolare per via più rigorosa e complessa. Sia come si vuole, per il caso dello sforzo applicato nel baricentro già la formola di Eulero, ad es., si complica alquanto.
Lo sforzo assiale critico Ncr non è più l'inferiore tra i due valori
B1 = EJ1, B2 = EJ2 essendo le flessorigidezze per flessione secondo x e secondo z, ma è l'inferiore delle tre radici della equazione in N,
con N1, N2 dati dai valori sopraindicati, N3 legato alla torsiorigidezza C del profilo e C1 delle ali, funzionanti come travi, dalla relazione
essendo
A l'area della sezione e, cfr. fig. 12, con G modulo al taglio,
La variante di impostazione cui si è accennato porta a scrivere, in questo caso, in luogo di C1 un C*1 dato da
Da un esame delle radici della [2] si constata che, se N3 è piccolo in raffronto ad N1 ed N2, il carico critico Ncr si identifica proprio con l'N3 e l'instabilità si ha per flambage con torsione (cfr. fig. 14), fatto questo mai considerato nell'impostazione euleriana ordinaria.
In generale, poi, si presentano fatti non abituali. Così, ad es., un esame del caso dello sforzo assiale eccentrico porta a riconoscere che, se esiste un piano di simmetria per la sezione resistente, si ha il massimo minimo carico critico, per N applicato, non nel baricentro G, ma nel centro del taglio O.
Atteso il crescente impiego dei profilati sottili, esiste ormai una regolamentazione particolarmente curata dell'American Iron and Steel Institute (A.I.S.I.).
Per il caso dell'asta di lunghezza l soggetta a momento torcente Mt, si ha per il valore critico Mt,cr quando sia, ad es., in condizioni di simmetria, x0 = 0, z0 ≠ 0, in condizioni di vincolo praticamente soddisfatte
e, secondo l'impostazione variante, così come per la teoria ordinaria, dove non si considera il centro del taglio,
in conformità, per B2 = B1, con una nota formula di Greenhill. Merita rilevare come per la stabilità alla torsione pura la torsiorigidezza non ha ruolo nella teoria ordinaria che trascura il centro del taglio e, nel caso specifico, quando la flessione si riferisce agli spostamenti
del baricentro, anche nella teoria qui considerata.
3. - Stabilità dell'equilibrio oltre il limite di proporzionalità. - Quando la sollecitazione critica σcr calcolata secondo la formola di Eulero
supera la sollecitazione σp limite di proporzionalità, la [1], cioè la formola di Eulero, diventa illusoria. È chiaro che ciò può avvenire per basse snellezze l/i. Quando σcr > σp, alla [1] si sostituisce la formola di Tetmayer, già in certo senso prevista da L. St. vénant. sin dal lontano 1826,
con α, β costanti, caratteristiche per ogni materiale. Per l'acciaio, Aq. 50, α = 5891, β = 38,18; kg•cm-2; σp ≃ 2100 kg•cm-2. Pertanto, sotto alla snellezza l/i = 100 la [1], formola di Eulero, diventa illusoria e ad essa si sostituisce la [2]. Si suol dire che alle iperboli di Eulero [nel piano (σcr, l/i)] si sostituiscono le rette di Tetmayer.
Come procedere per un sistema qualunque? Si può affermare, restando in uno scostamento globale minimo dalle varie teorie correnti, che, se σ(c0%r%)% è la σcr critica, almeno in un intorno saliente della struttura, calcolata per E = cost. = E0, ove sia σ(c0%r%)% > σp, effettiva non è σ(c0%r%)% ma è data da
Questa formola generale ha il pregio di riportarsi, come subito si constata, alla [2] di Tetmayer, quando la si riferisce ad un'asta soggetta a sforzo assiale e si calcola σ(c0%r%)% con la formola [1] di Eulero per E = E0 costante. Essa consente di fare, sufficientemente legittime, affermazioni anche più late. In particolare, sia λ(c0%r%)% il grado di sicurezza all'instabilità calcolato con E = E0 costante per una assegnata distribuzione di carico per la quale risulta, in un intorno notevole della struttura, una sollecitazione σ0. La σ critica nel campo lineare è, allora, σ(c0%r%)% = λ(c0%r%)% • σ0. Ove sia σ(c0%r%)% > σp la sicurezza λ(c0%r%)% è illusoria e va sostituita, in conformità con la [3], con la sicurezza λcr data da
Bibl.: 1) S. Timoshenko, Theory of elastic stability, New York 1961, pp. 279-286; G. Krall, Ueber neuere Konstruktionsmethoden im Brückenbau, in Schweizer. Archiv, n. 9, 1951 e Tecnica Ital., n. 8, 1960, n. 1, 1961, Autostrade, n. 4, aprile 1961; id., Stabilità trasversale degli archi e delle strutture da ponte; in Mem. fis. Accad. Lincei, VI. - 2) S. Timoshenko, Théorie de la flexion, torsion des barres à parois minces et à sections ouvertes, in Ossatures métalliques, nn. 7-8-9, 1947; n. 6, 1948; n. 12, 1953; F. Stüssi, Entwurf und Berechnung von Stahlbauten, Berlino-Gottinga-Heidelberg 1958, cap. VI; F. Bleich, Buckling strenght of metal structures, Mc Graw-Hill, New York 1952, cap. III. Per ulteriori precisazioni, cfr.: G. Krall, Complementi e varianti sulla nozione di stabilità delle strutture in profilati sottili, in Rend. Acc. Lincei, 1962. - 3) Cfr. 2ª op. cit. in 2), Cap. VI, i, e per la form. [3] cfr. 3ª, 4ª op. cit. in 1).