STALINGRADO (XXXII, p. 460)
Con lo sviluppo dei campi petroliferi caucasici - specialmente dopo il 1936 - l'importanza di Stalingrado come porto di transito è notevolmente aumentata (30 milioni di t. nel 1938, in buona parte rappresentati da petrolio diretto al nord e da legname scendente il Volga). Ne ebbe naturalmente un riflesso anche l'incremento demografico: nel 1939 la città era al quarto posto tra quelle della repubblica russa con 445.475 ab. All'inizio della seconda Guerra mondiale, la produzione delle sue fabbriche metallurgiche si stimava a 4000 t. annue di acciaio puro e laminato. Nel corso della guerra la città fu teatro (estate-autunno 1942) di una accanita battaglia che, per le circostanze in cui si svolse e per le sue conseguenze nel corso generale della guerra, può considerarsi uno degli episodi salienti di essa.
Con l'attestamento delle armate tedesche alla grande ansa del Don (agosto 1942) la città assumeva un alto valore strategico per entrambi i belligeranti: per i Tedeschi significava il dominio della maggiore via acquea di rifornimento dell'intera Russia e la base per le operazioni in corso in Caucasia e nel Kuban, integratrici di quella ucraina. Per i Russi, la perdita di Stalingrado avrebbe non soltanto compromesso i rifornimenti di grano e di petrolio, ma resa possibile quella manovra di accerchiamento di Mosca, che rappresentava insieme alla conquista del paese del grano e del petrolio, l'obiettivo fondamentale dell'offensiva tedesca dell'estate 1942. Né va dimenticato il contributo che le sue fabbriche avevano dato e continuavano a dare all'armamento russo (i noti stabilimenti per trattori erano stati trasformati nel 1941 in fabbriche per tanks e ne produssero fino all'agosto del 1942).
La minaccia tedesca sulla città si delineò ai primi di agosto, quando la 1ª armata corazzata tedesca, e poi la 6ª armata del gen. von Paulus, sboccando dall'ansa del Don si irradiarono ad est ed a sud-est della città puntando al Volga. Divenne certezza il 23 agosto, quando una colonna corazzata tedesca, oltrepassando il varco tra le due anse contrapposte del Don e del Volga, arrivò a questo fiume poco a nord della estremità settentrionale di Stalingrado. Il pericolo imminente fu avvertito dal Timosenko, che tentò con ripetuti contrattacchi, durati sino all'8 settembre, di obbligare quella colonna a ripiegare sul Don; ma non vi riuscì e da allora il cerchio tedesco avvicinandosi all'obiettivo andò sempre più stringendosi. Alla metà di settembre Stalingrado era completamente investita e s'iniziava la battaglia che doveva ridurla ad un mucchio di rovine attraverso mesi di lotta distinta dall'impressionante accanimento di ambo le parti.
La città, per la sua ubicazione e conformazione speciali, si prestava ad essere difesa per lungo tempo. Appoggiata al grande fiume sulla sua sponda destra per una lunghezza di circa 40 chilometri, è fiancheggiata dalla parte opposta al Volga da un cordone di alture, che, spingendo degli speroni fin sulla riva destra del fiume, dividono la città in compartimenti sia in senso meridiano, sia nel senso dei paralleli. Su queste alture i Sovietici avevano costruito un sistema di fortificazioni formidabili, a compartimenti stagni, nei quali la difesa s'integrava con la sistemazione a ridotti dei grandi stabilimenti industriali.
Occupati i rioni settentrionale e meridionale, il 15 settembre i Tedeschi con un potente attacco riuscirono a penetrare verso la parte centrale della città ed a occupare la stazione ferroviaria. Tre giorni dopo il contrattacco lanciato a nord di Stalingrado, combinato con l'offensiva nell'ansa del Don contro l'8ª armata italiana (11 e 12 settembre), non ottenne il risultato sperato di respingere i Tedeschi. I combattimenti casa per casa durarono per tutto il mese; le grandi fabbriche furono assalite e smantellate una per una: è rimasta leggendaria la lotta furiosa durata qualche settimana per la conquista di una barricata, appellata "rossa", nella parte nord della città e l'attacco alle officine metallurgiche dette "Ottobre rosso", trasformate in una vera fortezza. Occupata Orlovkia, quartiere di abitazioni operaie, la lotta subisce un tempo di sosta; la difesa è rifornita via Volga di forze e di viveri. Il 14 ottobre la lotta riprende con immutata violenza; il 15 cadono le officine Zeržinskij, il 17 la Barricata rossa; ma i Sovietici restano e resteranno padroni dei nuclei di abitazioni più settentrionali e due rioni della parte centrale, ove resistono per tutto il mese di novembre; sino, cioè, all'inizio della controffensiva del Timošenko, iniziata dalla steppa dei Calmucchi. La situazione, allora, si capovolge: da assedianti i Tedeschi del gen. von Paulus diventano assediati per effetto della congiunzione a Kalač delle masse di riserva entrate in azione da sud e da nord, combinata con la violenta e riuscita offensiva contro il gruppo di eserciti del von Bock schierato sull'ansa del Don. Nella città, trasformata in un mucchio di informi macerie, von Paulus resiste disperatamente sino al 2 febbraio 1943, giorno in cui si arrende con 91.000 dei suoi uomini.
La battaglia segnò con la fine dell'impulso offensivo tedesco, l'inizio del tracollo militare della Germania.