Stato sociale
(v. welfare state, App. V, v, p. 797)
L'ambito dello stato sociale
Il termine stato sociale o protezione sociale indica un insieme di attività, prevalentemente ma non esclusivamente pubbliche, volte a fornire sostegno a chi si trova in stato di bisogno e assicurazione e copertura contro determinati rischi e necessità. Lo s. s. moderno ha origini lontane (in Gran Bretagna, prima della rivoluzione industriale) e ha raggiunto la sua fase di massimo sviluppo a partire dal secondo dopoguerra. In tutti i paesi industrializzati di mercato esso ha oggi assunto contenuti simili, e copre la quasi totalità della popolazione, mentre permangono differenze nei modelli organizzativi e amministrativi. In alcuni paesi prevale la tendenza a unificare i diversi schemi in una gestione unitaria, mentre in altri, tra cui l'Italia, opera una molteplicità di istituzioni e gestioni autonome per le diverse tipologie di intervento e categorie occupazionali e professionali. Questa voce si propone di fornire un quadro di sintesi del fenomeno, nella sua fisionomia odierna e nei suoi aspetti economici. Gli interventi della sicurezza sociale si distinguono nelle due tipologie dell'assistenza e della sicurezza sociale vera e propria. L'assistenza riguarda gli stati di bisogno dovuti a invalidità, povertà e altre tipologie di esclusione sociale. La sicurezza sociale riguarda situazioni che comportano diminuzioni di reddito o necessità di spesa dovute al verificarsi di determinati eventi rischiosi, o a determinate altre cause, alle quali la sensibilità collettiva attribuisce una particolare rilevanza sociale: malattia, vecchiaia, superstiti, famiglia e figli, disoccupazione, abitazione. I benefici comprendono trasferimenti in denaro (a destinazione libera) e in natura. La forma più diffusa di finanziamento è quella contributiva, in cui il pagamento dei contributi da parte del beneficiario è condizione necessaria per aver titolo a ricevere i benefici. A essa si affiancano quella fiscale vincolata, quella fiscale generale, e la generosità privata. La fig. 1 riporta, per l'Italia e l'Europa (paesi dell'euro), e in percentuale del PIL, l'andamento di tre aggregati rappresentativi: 1) l'ammontare della spesa sociale totale; 2) l'ammontare dei benefici sociali erogati ai destinatari - la differenza essendo costituita dalle spese di amministrazione degli schemi di protezione sociale; 3) la parte di finanziamento della spesa costituita dai contributi versati dai beneficiari.
L'assistenza
L'assistenza (invalidità, povertà, esclusione sociale) ha, per definizione, natura esclusivamente redistributiva, e la redistribuzione diretta a favore dei bisognosi è anche il suo obiettivo primario. A tale obiettivo si affianca spesso quello di favorire il reinserimento nella vita di relazione della comunità e il raggiungimento dell'autosufficienza economica. I benefici sono quasi sempre subordinati a prova dei mezzi, e vengono erogati con modalità molto varie. Tra queste vi è la cosiddetta imposta negativa sul reddito. Si ha questo tipo di imposta, che in realtà è un sussidio, qualora il reddito guadagnato dal contribuente sia inferiore a una certa soglia convenzionale di povertà. Altre modalità possono dar luogo al fenomeno noto come trappola della povertà, quando, a bassi livelli di reddito guadagnato, il guadagno di un maggior reddito lordo si combina con una perdita di benefici tale da azzerare, o rendere negativa, la variazione del reddito netto. Altre modalità ancora prevedono sussidi ai bassi salari, a forme di reddito minimo universale.
Molti studi sono stati dedicati agli effetti degli interventi assistenziali sulla povertà, sull'efficienza allocativa, sugli incentivi a certi consumi e a guadagnare attraverso il lavoro e il mercato. Gli effetti sulla povertà non sono di facile calcolo. Sebbene, infatti, la percentuale delle famiglie che, anche al lordo dei trasferimenti assistenziali, ricadrebbe sotto la soglia della povertà sia per definizione minore di quella che vi ricadrebbe al netto degli stessi, ciò non significa che essi abbiano ridotto la povertà. Per conoscere se vi sia un tale effetto occorre confrontare la prima percentuale con quella delle famiglie che ricadrebbero sotto la soglia, non al netto, bensì in assenza dei trasferimenti assistenziali. Un tale confronto richiede molte congetture, fondate su ipotesi e stime sui disincentivi all'autosostentamento insiti nelle prestazioni assistenziali e nelle soglie di 'eleggibilità' per riceverle, e sulle oggettive possibilità offerte dal mercato del lavoro. L'assistenza produce, inoltre, effetti non solo nel breve ma anche nel lungo periodo, cioè sull'intero arco di vita degli interessati e sulla loro discendenza, e, per questa via, sull'andamento della povertà ed esclusione nel tempo. Qui operano spinte contrastanti, verso una maggiore inattività e sempre minori opportunità di recupero, ma anche verso maggiori possibilità di uscire dal circolo vizioso attraverso una maggiore disponibilità dei beni essenziali e migliori possibilità di scolarizzazione per i figli.
In tema di efficienza allocativa e incentivi la teoria fornisce alcuni risultati di massima. Per ciò che riguarda i consumi, i trasferimenti in denaro (a destinazione libera) non ne distorcono le scelte perché producono solo effetti reddito. Quelli in natura (buoni, sussidi, rimborsi per determinati consumi fino a un determinato valore degli stessi) producono (limitatamente alle scelte di consumo) gli stessi effetti dei trasferimenti in denaro di uguale costo per l'erario, solo se il beneficiario consuma di fatto, dopo i benefici, di più dell'ammontare di spesa gratuita o sussidiata, perché anche in questo caso si avrebbero solo effetti di reddito. Se invece il beneficiario consuma, dopo i benefici, per un ammontare di spesa uguale a quella gratuita o sussidiata, allora è possibile che vi siano anche effetti di sostituzione e di perdita di benessere, nel senso che con un trasferimento in denaro di uguale costo egli consumerebbe di meno e, in termini delle sue preferenze, sarebbe anche più soddisfatto. In altre parole, il beneficio marginale privato delle quantità effettivamente consumate potrebbe essere inferiore al loro costo (prezzo di mercato), e sarebbe possibile dare al beneficiario lo stesso aumento di benessere con un minor costo per l'erario. Se poi il beneficiario consumasse per un ammontare di spesa inferiore a quella gratuita o sussidiata, tali effetti di sostituzione e di perdita di benessere sarebbero certi. Questo tipo di inefficienza è ovviamente ancora maggiore nel caso di fornitura diretta gratuita, senza limiti di consumo. D'altro canto per i consumi in questione, e per le famiglie povere, i buoni o sussidi spesa o la fornitura diretta gratuita hanno spesso il preciso scopo di indurle ad aumentarli oltre il livello che esse sceglierebbero con un trasferimento libero in denaro di uguale costo, e dunque ciò che da una certa angolazione costituirebbe un'inefficienza diviene, da un'altra, un effetto 'desiderato' di incentivo a specifici consumi (considerati beni di merito). Questi risultati della teoria vanno integrati con la considerazione dei costi amministrativi, che possono variare significativamente al variare della tipologia e modalità dei trasferimenti, e della possibilità che si formino mercati 'neri' per lo scambio dei buoni o dei diritti alle agevolazioni.
Per ciò che riguarda gli incentivi all'offerta di lavoro, con un'imposta negativa sul reddito (o qualsiasi combinazione trasferimenti-imposte che dia luogo a qualcosa di analogo, o al caso estremo di trappola della povertà) un individuo offrirebbe una quantità di lavoro minore di quella che offrirebbe in assenza dello schema, e potrebbe anche trovarsi alla fine con un reddito complessivo netto minore di quello che guadagnerebbe senza lo schema. Per contro, un sussidio al salario aumenterebbe sempre l'offerta di lavoro e il reddito rispetto a uno schema di imposta negativa di uguale costo per l'erario. Studi empirici ed esperimenti confermano l'esistenza di tali effetti disincentivanti sull'offerta di lavoro, anche se l'entità varia molto a seconda delle fattispecie considerate. I risultati riguardanti l'offerta vanno però integrati con la considerazione delle condizioni della domanda. Negli ambienti più esposti alla povertà e all'emarginazione la possibilità che a un'offerta di lavoro non corrisponda alcuna domanda è molto maggiore che non in quelli più qualificati. Coerentemente rientrano nell'ambito assistenziale determinati interventi di promozione dell'occupazione (formazione, rilocalizzazione e simili) specificamente destinati a mettere poveri o emarginati in condizione non solo di offrire, ma anche di trovare un lavoro sufficientemente remunerativo.
La sicurezza privata
Per quanto riguarda gli eventi rischiosi e le particolari necessità oggetto della sicurezza sociale vera e propria (sanità, vecchiaia, superstiti, famiglia e figli, disoccupazione, casa), in linea di massima un individuo razionale può proteggersi e provvedere agendo esclusivamente nel proprio interesse privato mediante il risparmio o l'indebitamento (servendosi di appositi strumenti finanziari, come risparmio assicurativo, mutui e altre forme speciali di credito) e mediante contratti assicurativi. La teoria dei fallimenti del mercato mostra però che in determinate situazioni, frequentissime e tra loro correlate, i mercati non portano verso l'efficienza allocativa delle risorse. Si tratta di situazioni in cui si trovano agenti con potere di mercato (ovvero assenza di concorrenza), esternalità, diritti privati di proprietà non ben definiti e mal tutelati, mercati incompleti, asimmetria informativa congenita tra le parti di uno scambio, inefficiente disseminazione dell'informazione ecc. Inoltre, non sempre le preferenze che un individuo manifesta nel mercato rappresentano correttamente i suoi veri interessi, e questo costituisce una tipologia tutta particolare di fallimento del mercato. Ciò avviene per ignoranza o miopia circa le prevedibili conseguenze delle sue scelte, ovvero per una vera e propria diversità sostanziale tra il giudizio individuale e quello sociale su ciò che è bene per l'individuo. Quest'ultimo si esprime attraverso i meccanismi di formazione delle scelte pubbliche (in tali casi si parla di paternalismo sociale o beni di merito).
Le scelte private in materia di risparmio e di protezione contro i rischi e le necessità oggetto della sicurezza sociale sono particolarmente esposte ad alcune specifiche forme di inefficienza rientranti in entrambe le anzidette tipologie (fallimenti in senso stretto e beni di merito). Quanto ai fallimenti in senso stretto, vi sono, da una parte, alcune forme di inefficienza, ben individuate dall'analisi economica, che sono proprie di tutti i mercati assicurativi, e sono particolarmente marcate nelle aree oggetto della sicurezza sociale. Intanto vi sono rischi non assicurabili perché manca la condizione attuariale che li rende tali (questa è una tipica fattispecie di mercato incompleto). Un rischio è assicurabile in senso attuariale quando le probabilità individuali dei soggetti esposti sono tra loro indipendenti, ed essi sono in numero sufficientemente elevato da rendere relativamente certa la frequenza dell'evento rischioso, e da consentire quindi la fissazione di un premio individuale sufficiente a coprire i costi delle prestazioni assicurative alla popolazione così costituita. Inoltre, anche quando sussistano le condizioni attuariali di assicurabilità, e quindi una potenziale offerta privata di assicurazione, l'avversione al rischio dei potenziali fruitori di un'assicurazione contro un determinato rischio può essere insufficiente a determinare una domanda capace di coprire, oltre al costo puro dell'assicurazione, gli elevati costi di transazione propri di questi mercati privati, nonché di generare normali profitti. Infine, anche quando vi sia una sufficiente domanda privata, nei mercati assicurativi agiscono due altre cause di inefficienza allocativa, note agli economisti come la selezione avversa (o informazione nascosta) e l'azzardo morale (o azione nascosta), dovute alla presenza di una congenita asimmetria informativa tra fornitori e fruitori del servizio. La prima causa risiede nel fatto che spesso, per un dato tipo di evento rischioso, la probabilità che esso si verifichi può essere significativamente diversa tra individui, o gruppi di individui, diversi (si pensi al rischio di malattia, premorienza, disoccupazione). In tal caso l'efficienza allocativa richiederebbe l'applicazione di premi individuali differenziati, commisurati ai diversi gradi del rischio. Ma nei mercati assicurativi vi è spesso una rilevante asimmetria informativa a favore del fruitore dell'assicurazione, che in genere conosce o può conoscere l'entità del proprio rischio più di quanto la possa conoscere il fornitore. Nella misura in cui il fornitore non dispone della conoscenza necessaria a differenziare correttamente i premi in proporzione al diverso grado di rischio di diverse categorie di fruitori, egli praticherà un premio commisurato a un grado medio di rischio. La teoria mostra che ciò innesca un processo, chiamato appunto di selezione avversa, di progressiva espulsione dalla copertura assicurativa di quote più o meno ampie di rischi 'buoni', cioè bassi, che in assenza di asimmetria informativa troverebbero invece copertura. La seconda causa si verifica quando l'assicurato può influenzare con il suo comportamento la probabilità e l'entità della perdita assicurata, e tale circostanza si combina con l'impossibilità dell'assicuratore di monitorare l'impegno preventivo individuale. Il livello efficiente di impegno preventivo individuale è quello in cui il suo costo marginale eguaglia il suo beneficio marginale, in termini di riduzione della perdita assicurata. L'impossibilità dell'assicuratore di monitorare l'impegno preventivo individuale lo costringe ad applicare un premio uniforme, e quindi a distribuire tra tutti gli assicurati il costo di un minor impegno del singolo. La teoria mostra che, a causa di questa esternalità dovuta ad asimmetria informativa, si tenderà ad avere, nel campo degli eventi rischiosi assicurati, un insufficiente impegno preventivo da parte dei soggetti assicurati. Questo fenomeno, chiamato appunto di azzardo morale, genererebbe quindi da un lato un'insufficiente copertura assicurativa delle perdite rischiose (il beneficio marginale della copertura sarebbe maggiore del costo marginale corrispondente alla quantità efficiente di impegno preventivo), e dall'altro un'eccessiva destinazione di risorse alla copertura stessa (il costo totale della copertura sarebbe maggiore di quello che si avrebbe con la quantità efficiente di impegno preventivo).
Quanto alla seconda tipologia di fallimenti (beni di merito), la società non può aspettarsi che tutti coloro che ne avrebbero i mezzi risparmino, investano e si assicurino liberamente in misura, e con modalità e risultati, sempre adeguati al proprio mantenimento nella vecchiaia e alle altre sopravvenute necessità. L'ignoranza, la scarsa capacità di pensare alle incerte necessità future, la bassa avversione al rischio, la rischiosità di molte scelte finanziarie individuali, la scarsa conoscenza delle potenzialità di copertura offerte da un mercato sofisticato renderebbero frequenti i casi di persone che si troverebbero in stato di bisogno senza copertura, pur avendo avuto potenzialmente i mezzi per provvedervi. La protezione contro tutti questi stati di bisogno rientra pertanto almeno in parte nella categoria dei beni di merito, per i quali le scelte private vengono sostituite, o integrate, da scelte pubbliche.
La sicurezza sociale e la solidarietà
Gli interventi pubblici e privati di sicurezza sociale in sostituzione o a integrazione delle scelte di sicurezza privata consistono nell'erogazione di benefici in denaro e in natura. I primi hanno la forma di pagamenti di un reddito e/o capitale (pensioni, liquidazioni, indennità di disoccupazione ecc.), o di vari tipi di integrazioni del reddito (come gli assegni familiari). I secondi hanno la forma di sussidi o rimborsi totali o parziali per determinate spese, o di fornitura diretta di determinate prestazioni (cure mediche, assistenza diretta agli anziani, case di riposo, servizi per l'infanzia, incentivi e attività di formazione e riconversione per facilitare la ricerca di occupazione, alloggi a basso costo ecc.). Tali interventi sono comuni a tutti i paesi industrializzati, e per le ragioni dette risultano ampiamente motivati dal perseguimento di obiettivi che possiamo definire strettamente economico-sociali, di equità e di efficienza in senso lato, cioè di correzione di determinati fallimenti del mercato. Ma essi rispondono anche a obiettivi più ampi, politico-sociali ed etico-politici. Poiché tutti gli schemi di sicurezza sociale contengono elementi più o meno marcati di solidarietà sociale, essi svolgono nel loro complesso anche la funzione di rafforzare la coesione sociale, attraverso il rafforzamento del sentimento di appartenenza dell'individuo a una collettività che è sensibile a determinate esigenze individuali socialmente rilevanti, e si organizza per soddisfarle (la fig. 2 riporta, per l'Italia e in percentuale del PIL, l'andamento delle principali voci funzionali in cui si ripartiscono i benefici sociali erogati. Le statistiche Eurostat, basate sulla metodologia ESSPROS, non distinguono tra assistenza e sicurezza sociale vera e propria).
Gli schemi di protezione sociale per la sanità vanno collocati nel quadro più ampio delle politiche pubbliche per la sanità che, al di là di particolari situazioni di bisogno dei singoli, perseguono, o dovrebbero perseguire, anche l'obiettivo generale della buona salute di tutta la popolazione, seppure sotto il vincolo ineludibile di una proporzione tra benefici e costi. Gli schemi di protezione sociale per la famiglia e i figli, per un verso perseguono l'obiettivo di promuovere la natalità e, per un altro, vanno collocati nel quadro più ampio delle politiche pubbliche verso la famiglia, i cui obiettivi possono essere i più vari: favorire l'indipendenza economica della donna, incentivare la coesione e la stabilità della famiglia tradizionale, ovvero l'indipendenza e libertà del singolo indipendentemente dal fatto che sia coniuge e/o genitore, anche con speciali agevolazioni per la famiglia atipica (con un solo genitore). Gli schemi di assistenza per portare le famiglie oltre la soglia di povertà, in particolare i sussidi ai bassi salari, e quelli di protezione sociale contro la disoccupazione volti alla riqualificazione e rilocalizzazione, vanno collocati nel quadro più ampio delle politiche pubbliche del lavoro e dell'istruzione. Oltre all'obiettivo strettamente economico di un miglior funzionamento del mercato del lavoro, esse perseguono anche quelli di promuovere la partecipazione e l'indipendenza economica dell'individuo, e l'uguaglianza delle opportunità.
Per ciò che riguarda gli effetti degli interventi di sicurezza sociale sull'economia, la società e la politica, essi sono ovviamente molti, complessi e di grande portata. Limitandoci a quelli sull'economia, se ne discutono brevemente alcuni, sia in termini generali, sia con riguardo a due aree particolari di intervento: la previdenza e la disoccupazione. In termini generali si deve dire che le regole che impongono coattivamente determinati comportamenti e allontanano i prezzi all'utente dai costi, laddove si potrebbe lasciare libertà di scelta, di mercato e di formazione dei prezzi, producono in generale perdite di benessere. Si pensi in particolare al finanziamento e ai benefici in materia di sanità (contributi sanitari obbligatori, prestazioni gratuite), di previdenza (entità e durata dei contributi obbligatori, età fissa di pensionamento, entità dei benefici), di disoccupazione (entità dei contributi obbligatori, entità e durata massima dell'indennità, condizioni per avervi diritto). D'altro canto, molte regole e obblighi hanno precisamente lo scopo di modificare quelle che sarebbero le libere scelte (incentivi esplicitamente voluti), o al fine di colmare divergenze tra benefici e costi sociali e privati dovute a esternalità, oppure per ragioni di paternalismo sociale. In particolare, in tema di inefficienza dei mercati assicurativi privati, va osservato che la sostituzione della copertura assicurativa obbligatoria a quella libera può ridurre le inefficienze dovute alla selezione avversa, ma non quelle dovute all'azzardo morale. Una protezione obbligatoria contro eventi rischiosi induce a ridurre l'impegno preventivo al pari, e forse anche più, di quanto farebbe una protezione libera.
Temi molto studiati dagli economisti sono gli effetti della previdenza pubblica sul risparmio nazionale (e per questa via, sull'accumulazione di capitale e la crescita), e le crisi di sostenibilità macroeconomica degli attuali sistemi di previdenza pubblica, indotte dalle trasformazioni demografiche (natalità e durata media di vita), sociali ed economiche da tempo in corso nei paesi industrializzati. Gli studi empirici, condotti in molti paesi, e principalmente negli Stati Uniti, non portano a risultati conclusivi. Prevalgono quelli che indicano l'esistenza di effetti negativi consistenti, anche se altri indicano effetti nulli o trascurabili. Quanto alla teoria, essa offre in sintesi tre principali impostazioni, legate a diverse congetture sul risparmio: quella del ciclo vitale, quella dinastica, e quella keynesiana o residuale. Com'è naturale queste non forniscono risposte univoche, ma solo strumenti concettuali utili per una riflessione coerente sulla crisi stessa e sulle prospettive di un suo superamento, in particolare sulle potenzialità, difficoltà e limiti nel promuovere forme di privatizzazione della previdenza, e di progressiva capitalizzazione dei regimi di previdenza pubblica, da più parti auspicata.
L'impostazione del ciclo vitale è quella che meglio si presta allo studio teorico degli effetti della sicurezza sociale (intesa nel senso limitato di previdenza pubblica obbligatoria) sul risparmio. Nella sua versione estrema (il cosiddetto modello base a generazioni sovrapposte) essa ipotizza una specie di egoismo intergenerazionale puro. Ogni individuo vive per due periodi uguali, uno da 'giovane', in cui guadagna con il lavoro e risparmia, e uno da 'vecchio', in cui non lavora più, e consuma tutto il capitale risparmiato e il relativo reddito. In ogni periodo la popolazione si divide quindi in una parte di giovani, e una parte di vecchi, in una proporzione che dipende solo dal tasso di crescita demografica (assumendosi data la durata media di vita). In questo scenario risulta decisiva la distinzione tra uno schema di previdenza pubblica a capitalizzazione ('finanziariamente coperto'), in cui i contributi che un individuo deve versare da giovane gli vengono restituiti da vecchio (capitalizzati al tasso di interesse di mercato), e uno schema a ripartizione (finanziariamente scoperto), in cui le pensioni ricevute dai vecchi in un periodo sono finanziate esattamente dai contributi versati dai giovani nello stesso periodo. Nel caso della capitalizzazione il risparmio nazionale, e quindi l'accumulazione, la crescita e l'intensità di capitale, non cambiano, perché si ha semplicemente una sostituzione del risparmio dei giovani, che diminuisce, con il risparmio dello schema (agenzia o fondo) di sicurezza sociale, che aumenta di un uguale ammontare. Un tale schema non opera per definizione alcuna ridistribuzione intergenerazionale. Nel caso della ripartizione, invece, risparmio nazionale, accumulazione, crescita e intensità di capitale diminuiscono perché alla riduzione del risparmio dei giovani non corrisponde alcun aumento di risparmio dello schema (agenzia o fondo) di sicurezza sociale, in quanto il suo bilancio è per definizione sempre in pareggio, e le sue riserve sempre nulle. Con aliquote contributive costanti e uno schema in pareggio corrente il tasso di rendimento sui contributi tende a regime a essere uguale al tasso di crescita del reddito nazionale. La riduzione del risparmio dei giovani può variare al variare del tasso di rendimento sui contributi, ma ha comunque sempre luogo. Inoltre, se i benefici pagati ai vecchi sono maggiori dei contributi pagati dai giovani, cresce il tasso di rendimento sui contributi, mentre lo schema va in disavanzo. L'azione combinata di questi due fatti accentua ulteriormente la riduzione del risparmio nazionale. La connotazione formale dello schema a ripartizione è la ridistribuzione intergenerazionale (dai giovani di oggi ai vecchi di oggi, o giovani di ieri). Ma bisogna distinguere tra la connotazione formale e la situazione di fatto. A regime, se il tasso di crescita, e quindi di rendimento sui contributi, fosse uguale a quello di interesse, la ridistribuzione intergenerazionale sarebbe per certi aspetti solo apparente. Passando all'impostazione dinastica, nella sua versione estrema (modello base a orizzonte infinito), essa ipotizza che gli individui che nascono vivano in eterno e massimizzino il loro benessere su un orizzonte temporale infinito. L'artificio analitico va interpretato nel senso di un perfetto altruismo intergenerazionale puro, dove gli individui, pur avendo una durata di vita limitata, si identificano a catena nella loro discendenza. In uno scenario di questo tipo la distinzione tra schemi a capitalizzazione e a ripartizione tende a diventare irrilevante. Uno schema a capitalizzazione continuerebbe ovviamente a rimanere neutrale rispetto al risparmio nazionale, ma anche uno schema a ripartizione, sia in pareggio sia in disavanzo, diventerebbe tendenzialmente neutrale. Infatti, data l'identificazione di ogni generazione con la catena di tutti i suoi discendenti, non è più vero che i giovani non hanno capitale e che risparmiano una parte del loro reddito disponibile, mentre i vecchi consumano tutto il loro reddito disponibile e tutto il loro capitale. Anche i giovani possono avere capitale, perché anche i vecchi possono risparmiare e lasciare ricchezza in eredità. Eventuali trasferimenti intergenerazionali forzosi verrebbero neutralizzati da contro-trasferimenti liberi, e i profili temporali dei consumi individuali e del risparmio aggregato resterebbero invariati (potrebbero invece avere effetti sul risparmio nazionale trasferimenti tra dinastie con differenti preferenze intertemporali). Infine, nell'impostazione keynesiana (o residuale estrema) si suppone che gli individui risparmino una data quota del loro reddito disponibile, definito come reddito guadagnato al netto di ogni imposta e trasferimento pubblico. Pertanto, anche in questo scenario la distinzione tra capitalizzazione e ripartizione tende a diventare irrilevante, ma per ragioni diverse dal caso precedente. Il risparmio dei giovani che pagano i contributi diminuisce, e quello dei vecchi che ricevono i benefici aumenta, secondo le rispettive propensioni a risparmiare, eventualmente diverse. L'azione combinata di queste due variazioni, unita al saldo corrente di bilancio dello schema previdenziale pubblico, determinerà l'effetto totale sul risparmio nazionale. Una propensione a risparmiare dei vecchi significativamente più bassa di quella dei giovani, unita a una gestione in disavanzo dello schema previdenziale, non potrà che deprimere il risparmio nazionale e l'accumulazione.
Altri effetti, socialmente ed economicamente rilevanti, della previdenza pubblica nella sua forma a ripartizione, che è di gran lunga la più diffusa, riguardano la ridistribuzione intragenerazionale, l'offerta di lavoro e la scelta dell'età del pensionamento. Negli schemi di previdenza pubblica la normativa contributiva, pensionistica, e sulle età minime e massime di pensionamento, prevede quasi sempre (seppure con eccezioni) che i redditi più bassi paghino contributi proporzionalmente più bassi e ricevano benefici proporzionalmente più alti dei redditi più alti, e una riduzione dei benefici corrisposti a chi continua a lavorare oltre l'età convenzionale di pensionamento. Questa situazione comporta una ridistribuzione all'interno di una stessa generazione, con possibili effetti sul risparmio aggregato (tramite differenze intragenerazionali nelle propensioni a risparmiare) e sulla composizione dell'offerta di lavoro (tramite la discriminazione a favore dei lavori a basso salario), una riduzione dell'offerta di lavoro di chi ha superato l'età pensionabile, e in generale un possibile incentivo ad anticipare la data di pensionamento rispetto a quella che verrebbe scelta con un regime di previdenza privata pura (soprattutto nel caso di benefici pensionistici comparativamente generosi).
Quanto alla disoccupazione, gli interventi di protezione sociale sono molto vari, perseguono diversi obiettivi e vanno considerati nel quadro più ampio delle politiche pubbliche verso il lavoro. Un sistema di assicurazione privata contro la disoccupazione, ovviamente, non potrebbe che avere un compito molto limitato: quello di assicurare in misura attuariale il singolo lavoratore occupato contro il rischio di rimanere disoccupato, involontariamente e molto temporaneamente. Una forma di copertura assicurativa contro temporanee o cicliche sospensioni dal lavoro potrebbe anche essere, e talora è, incorporata dal datore di lavoro nel contratto di lavoro. Ma anche entro questi limiti, e al di fuori di casi e forme molto particolari, il mercato assicurativo privato difficilmente potrebbe ben funzionare, perché i rischi individuali di disoccupazione sono quasi sempre correlati tra loro, e anche là dove non lo fossero si avrebbero comunque fenomeni molto rilevanti di selezione avversa e azzardo morale. Inoltre, indipendentemente da queste ragioni 'tecniche', la sicurezza privata risulterebbe particolarmente carente in due casi di disoccupazione socialmente molto rilevanti: quello delle persone in cerca di prima occupazione, e quello dei disoccupati di lunga durata. Quanto agli effetti degli schemi di protezione sociale contro la disoccupazione, quelli più importanti e più studiati riguardano la proporzione tra offerte di lavori diversamente esposti al rischio di disoccupazione, la frequenza dei licenziamenti e dei cambiamenti di occupazione (tra imprese e tra settori), la durata della ricerca di un altro lavoro, o del primo lavoro, la ridistribuzione intersettoriale, dai lavoratori dei settori meno soggetti a quelli dei settori più soggetti alla disoccupazione.
I limiti dello stato sociale e i fallimenti dello Stato
I sistemi di protezione sociale che si sono venuti consolidando nelle forme sopra delineate costituiscono una realizzazione civile dei moderni paesi industrializzati di mercato, i cui fondamenti non possono essere contestati se non aderendo a concezioni sociali sostanzialmente estremistiche. Ciò non significa però che singoli istituti, e l'impianto e le dimensioni complessive di tali sistemi non debbano continuamente essere sottoposti a critica per verificare in che misura essi si mantengano compatibili con il buon funzionamento dell'economia sottostante (che è condizione necessaria per la loro sopravvivenza), e continuino a realizzare senza eccessivi sprechi di risorse gli obiettivi principali loro assegnati da un genuino consenso collettivo. Questo tema è divenuto, specie nell'ultimo decennio del Novecento, uno dei più dibattuti in tutti i paesi, sia negli ambienti accademici sia in quelli politici, sollecitato dalle pressioni provenienti dai cambiamenti demografici, sociali, economici e tecnologici, dalla globalizzazione della competizione, dalla mobilità internazionale del capitale umano, dai movimenti migratori. A titolo orientativo se ne menzionano due momenti, distinti e cruciali.
Da un punto di vista strettamente economico le dimensioni e l'ampiezza della copertura fornita da un sistema di protezione sociale incontrano limiti che non si possono superare senza condannare il sistema stesso a una più o meno rapida autodistruzione. La protezione sociale è fatta di interventi pubblici e privati, con un alto contenuto di coattività e/o ridistribuzione. In breve, è necessario che le entrate e uscite relative ai singoli schemi finanziati su base contributiva, in particolare quelli previdenziali a ripartizione, si mantengano in pareggio, perché i disavanzi fanno perdere ai beneficiari, e in generale alla collettività, la percezione dei costi della protezione, e nel lungo periodo producono i noti, indubitabili, effetti negativi sull'accumulazione e la crescita. D'altra parte il carico fiscale e contributivo per finanziarli in pareggio deve restare compatibile con la capacità e disponibilità dei lavoratori, delle imprese, e dei contribuenti in generale di sopportarlo, con un costo tollerabile in termini di distorsione, evasione, elusione, scivolamento nel sommerso e disincentivi. Infine, anche la necessità di provvedere ai veri e propri bisogni primari insiti nelle incertezze della vita e del lavoro, e la ricerca di maggiori guadagni attraverso più impegno lavorativo e più rischio d'impresa, costituiscono incentivi essenziali per la creazione di ricchezza nelle economie di mercato. Una protezione sociale che li attenui oltre una certa soglia diviene per definizione insostenibile.
Da un altro punto di vista si deve osservare che i sistemi di protezione sociale costituiscono una delle maggiori componenti della presenza dello Stato nell'economia e nella società. Intorno a essi si sono andate consolidando situazioni di rendita, e interessi politici, burocratici ed elettorali. È naturale che questi possano condizionare i contenuti e la dinamica dei sistemi di protezione sociale secondo logiche estranee ai loro obiettivi dichiarati. A ciò si devono aggiungere le inefficienze specifiche della burocrazia pubblica in quanto tale. Ogni discussione su crisi e riforme, anche radicali, degli attuali sistemi di protezione sociale deve basarsi su una considerazione spregiudicata non solo dei 'fallimenti del mercato', ma anche dei 'fallimenti dello Stato o della politica', cioè dei fattori che fanno divergere in maniera sistematica le scelte pubbliche dagli interessi pubblici che esse dovrebbero servire.
bibliografia
Per quel che riguarda concetti e teoria si segnalano:
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A.B. Atkinson, Public economics in action. The basic income/flat tax proposal, Oxford 1995 (trad. it. Per un nuovo welfare state. La proposta reddito minimo/imposta unica, Roma-Bari 1998).
Sulla contabilità generazionale e la redistribuzione intergenerazionale, si veda:
L.J. Kotlikoff, Generational accounting. Knowing who pays, and when, for what we spend, New York 1992; mentre per quel che riguarda la crisi contemporanea e le proposte di riforma del welfare si vedano:
E.S. Phelps, Rewarding work. How to restore participation and self-support to free enterprise, Cambridge (Mass.) 1997.
Social security in the twenty-first century, ed. E.R. Kingson, J.H. Schulz, Oxford-New York 1997; R.M. Solow, Work and welfare, Princeton (N.J.) 1998.
Per quel che riguarda statistiche e istituzioni, si segnalano infine per l'Europa:
Comunità europee, Ufficio statistico, ESSPROS Manual 1996 (European System of integrated Social Protection Statistics), Luxembourg 1996.
Commissione europea, Direzione generale per l'occupazione, Social protection in Europe 1998, Luxembourg 1998.
Comunità europee, Ufficio statistico, Social protection expenditure and receipts 1980-96, Luxembourg 1999; per l'Italia: Presidenza del Consiglio dei ministri, Commissione per lo studio delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale (Commissione Onofri), Relazione finale, Roma 1997; Presidenza del Consiglio dei ministri, Commissione di indagine sulla povertà e l'emarginazione, Rapporto sulla povertà in Italia nel 1997, Roma 1998; ISTAT, Annuario statistico italiano 1998, cap. 5°, Roma 1999.