In senso giuridico-sociale, soggetto del contratto di lavoro che si obbliga mediante retribuzione a prestare le proprie energie di lavoro, fisiche o intellettuali, alle dipendenze dell’imprenditore (l. subordinato). Anche la persona che nel contratto d’opera si obbliga, senza vincoli di subordinazione, a prestare al committente, dietro un corrispettivo, il risultato del proprio lavoro (l. autonomo).
L. dipendenti chiamati a svolgere la propria attività in un paese estero, sia nell’Unione Europea, sia al di fuori dei confini comunitari. Il loro rapporto di lavoro può assumere varie forme e presentarsi come trasferta, distacco o trasferimento. Nel primo caso si ha mutamento solo temporaneo del luogo di lavoro, con previsione certa di rientro nel luogo di lavoro originario o di provenienza. Nel secondo, invece, il mutamento del luogo di lavoro si accompagna alla sospensione temporanea delle norme relative al contratto originario di assunzione e alla stipula di un contratto all’estero, che regola il distacco medesimo. Nel terzo caso, infine, si ha mutamento definitivo del luogo di lavoro. Se i l. sono chiamati a svolgere la propria attività in un paese comunitario, non è necessaria alcuna autorizzazione ministeriale. Questa deve essere invece richiesta e ottenuta, da parte dei datori di lavoro, quando la destinazione dei l. sia un paese extracomunitario. Inoltre, il l. disposto a svolgere la propria attività in un paese non appartenente all’UE è tenuto a iscriversi presso le apposite liste di collocamento della Direzione generale del lavoro. La disciplina in materia è dettata dalla l. 398/1987, nonché da apposite convenzioni o accordi di sicurezza sociale stipulati con i vari paesi.
Circa la copertura assicurativa, vale il principio di territorialità e quindi sorge l’obbligo di assicurare i l. secondo la normativa del paese di occupazione. In particolare, se si tratta di paese extracomunitario, i datori di lavoro sono tenuti a garantire ai propri dipendenti una pluralità di forme di previdenza e assistenza sociale.
L. dipendenti che provengono da un paese extracomunitario e sono chiamati a svolgere la propria attività in Italia. La disciplina relativa all’assunzione di stranieri extracomunitari è contenuta nel d. lgs. n. 268/1998, così come modificato e integrato dalla l. n. 189/2002, dal d.l. n. 241/2004 convertito in l. n. 27/2004 e dal d.l. n. 10/2007 convertito in l. n. 46/2007; cfr. anche l. n. 94/2009. Tale categoria di l. stranieri si distingue da quella dei l. stranieri soggiornanti in Italia, per i quali valgono le norme in vigore per la generalità dei l. italiani. La legge prevede che i l. stranieri ammessi a lavorare in Italia non superino un certo numero, definito annualmente, in termini di quote massime, all’interno di un apposito decreto del presidente del Consiglio. L’assunzione dei l., inoltre, è subordinata alla stipulazione di un apposto contratto di soggiorno e ad una complessa procedura amministrativa, sia per ragioni di ordine pubblico, sia per ragioni di regolazione del mercato del lavoro.
Condizione tipica dei l. che prestano la propria attività lavorativa nel territorio dell’Unione Europea, prevista e contemplata dall’attuale trattato CE. Istituita per la prima volta nel 1992 all’interno del Trattato di Maastricht e concepita come uno dei suoi pilastri, persegue l’obiettivo di tutelare gli individui che intendono esercitare all’interno del territorio di uno Stato membro un’attività economica e lavorativa. La normativa comunitaria è dettata indifferentemente sia per i l. subordinati, sia per quanto concerne i l. autonomi e si impernia su due principi fondamentali: il divieto di discriminazioni per motivi di nazionalità e la parità di trattamento tra cittadini nazionali. Per tutti i l. vigono determinate norme, quelle riguardanti l’ammissione, il soggiorno, l’espulsione dal territorio dello Stato, come pure quelle che limitano la libertà di circolazione delle persone per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Oltre al diritto di spostarsi liberamente all’interno del mercato comune, il Trattato prevede una serie di diritti dettati esclusivamente per i l., in particolar modo quelli di: rispondere a offerte di lavoro effettive, spostarsi liberamente sul territorio degli Stati membri, prendere dimora all’interno di uno degli Stati per svolgervi un’attività lavorativa alle medesime condizioni stabilite per i l. nazionali, rimanere sul territorio dello Stato una volta reperito un impiego. Al fine di rendere effettiva la libertà di circolazione dei l., l’UE mira a promuovere l’incontro tra domanda e offerta di lavoro attraverso un organo denominato EURES (European Employment Service), che opera per la diffusione di informazioni sulle offerte di impiego.
L’art. 10 dello Statuto dei lavoratori garantisce agevolazioni ai l. che intendano frequentare corsi e per la partecipazione agli esami. Ai sensi di tale articolo, i l. iscritti e frequentanti regolari corsi di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, hanno diritto a essere inseriti in turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami. Questi l., inoltre, non sono obbligati a prestare lavoro straordinario o durante i riposi settimanali. I l. studenti, compresi quelli universitari, possono infine fruire di permessi giornalieri retribuiti per sostenere gli esami. Al datore di lavoro è concessa la facoltà di ottenere attestazione dell’effettiva frequenza dei corsi o della partecipazione a un esame da parte del l., mediante la presentazione di idonea documentazione. Ulteriori disposizioni in materia sono contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Inoltre, l’art. 5 della l. 53/2000 riconosce ai l. studenti la possibilità di ottenere congedi finalizzati ad accrescere il loro livello formativo: i l.. con almeno 5 anni di anzianità presso la stessa azienda, che vogliano completare la scuola dell’obbligo, conseguire il titolo di studio di secondo grado o la laurea oppure frequentare attività formative, hanno diritto a un congedo pari a un massimo di 11 mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa; in secondo luogo sono previsti congedi per la formazione continua, su iniziativa sia del lavoratore sia del datore di lavoro, sulla base del monte ore indicato dalla contrattazione collettiva.
Il d. legisl. 151/2001 ha raccolto il complesso delle disposizioni vigenti in materia di maternità. La disciplina contenuta nel testo regolamenta: i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei l. connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento. Fondamentale il divieto di adibire al lavoro le donne nei 2 mesi precedenti la data presunta del parto e nei 3 mesi successivi, con la possibilità per la lavoratrice di posticipare il periodo massimo di un mese dal periodo di astensione antecedente il parto a quello successivo, previa certificazione medica specialistica, e di aggiungere ai 3 mesi di astensione dopo il parto il periodo di riposo eventualmente non goduto in seguito a parto anticipato. Circa la retribuzione, in tale periodo viene corrisposta alla lavoratrice un’indennità di maternità pari all’80% della retribuzione giornaliera, a carico degli enti previdenziali. Nel testo sono disciplinati i casi d’interdizione anticipata dal lavoro per: gravi complicanze nella gestazione; particolari condizioni di lavoro; attività gravose o pregiudizievoli.
Nella normativa specifica è previsto, a pena d’inefficacia, il diritto alla conservazione del posto di lavoro durante la gravidanza e per tutto il primo anno di vita del bambino (art. 2 della l. 1204/1971; d. legisl. 151/2001). Durante tale periodo permane in favore della donna il divieto di licenziamento, salvo che ricorrano specifiche fattispecie: chiusura dell’attività dell’azienda, in caso di mancato superamento del periodo di prova, e per ‘giusta causa’. In caso di dimissioni nel periodo di vigenza del divieto di licenziamento, queste dovranno essere convalidate dal Servizio ispezione del lavoro. Per i genitori è prevista la concessione di periodi di astensione facoltativa, continuativi o frazionati, che complessivamente non eccedano il limite di 10 mesi. Ciascun genitore può usufruire di un’astensione facoltativa di 6 mesi o 7 per il padre lavoratore qualora eserciti il diritto per un periodo non inferiore a 3 mesi. Ove sia presente solamente uno dei genitori, è possibile giungere sino a un massimo di 10 mesi. Durante i primi 3 anni di vita del neonato, i genitori hanno diritto a un numero di assenze pari alla durata delle malattie. Quando il bambino ha una età compresa tra i 3 e gli 8 anni i genitori possono assentarsi senza retribuzione fino a un massimo di 5 giorni lavorativi per anno. La lavoratrice ha inoltre diritto a 2 periodi di permessi giornalieri fintanto che il bambino non ha raggiunto un anno di età: di un’ora, se l’orario lavorativo è minore di 6 ore; e di 2 ore, ove l’orario sia pari o superiore a 6 ore.
Dal momento in cui è accertato lo stato di gravidanza fino a quando il bambino non ha raggiunto un anno di età, la lavoratrice madre non può essere adibita al lavoro nel periodo compreso tra le ore 24 e le ore 6. Non sono tenute a prestare lavoro notturno: la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a 3 anni; la lavoratrice che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore ai 12 anni. A carico del datore di lavoro è la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza delle lavoratrici gestanti.