Il contributo esamina i profili di diritto internazionale privato concernenti l’istituto del matrimonio. In particolare, si concentra sulla disciplina contenuta nella legge 31.5.1995, n. 218, i cui articoli 26, 27 e 28 stabiliscono le norme di conflitto in materia di promessa di matrimonio, validità formale e validità sostanziale del matrimonio. Inoltre, vengono affrontati i profili concernenti il riconoscimento del matrimonio contratto all’estero.
La disciplina internazionalprivatistica dell’istituto del matrimonio rientra, storicamente, nei settori in cui gli Stati nazionali hanno conservato la propria sovranità, con influenze ridotte del diritto sovranazionale e, in particolare, dell’Unione europea.
Le iniziative promosse a livello eurounitario non si sono estese agli aspetti relativi alla costituzione del vincolo matrimoniale, esclusi da tutti i principali strumenti adottati nel corso degli anni nel settore del diritto di famiglia. In particolare, il regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio, del 27.11.2003, che tra le altre cose pone i titoli di giurisdizione per individuare il giudice competente in materia di separazione personale, divorzio e annullamento del matrimonio e detta regole uniformi per la circolazione delle relative decisioni, non si applica alle questioni relative alla costituzione del vincolo ed al suo riconoscimento in un altro Stato membro. Dal canto suo, il regolamento CE n. 1259/2010 del Consiglio, del 20.12.2010 ha introdotto una normativa di conflitto uniforme in materia di divorzio e separazione personale, ed esclude dal proprio ambito di applicazione materiale gli aspetti concernenti l’esistenza, la validità ed il riconoscimento di un matrimonio (art. 1, co. 2, lett. b).
Nondimeno, l’esame della normativa di conflitto in materia matrimoniale contenuta nella legge 31.5.1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) non può prescindere dallo studio delle influenze che il diritto internazionale ed europeo esercita sull’istituto in esame, soprattutto con riferimento ai profili legati alla tutela dei diritti fondamentali e al riconoscimento in Italia di matrimoni e altre forme di unione contratti all’estero.
L’art. 26 l. n. 218/1995 introduce una disciplina di conflitto specifica sulla promessa di matrimonio. La scelta del legislatore si comprende alla luce dell’atteggiamento di sfavore assunto dal nostro ordinamento nei confronti degli istituti che possano potenzialmente sacrificare il fondamentale principio della libertà matrimoniale (Querci, A., Articolo 79, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017, 63; Uccella, F., Matrimonio, I) Matrimonio civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 8). Non a caso, il codice civile sottopone la promessa matrimoniale a rigide condizioni di ammissibilità e validità e ne delimita gli effetti (Ferrando, G., Diritto di famiglia, Bologna, 2015, 39 ss.): l’atto non obbliga a contrarre matrimonio, né determina il sorgere di obbligazioni a carico del promittente (art. 79 c.c.); la rottura della promessa implica soltanto l’obbligo di restituzione dei doni (art. 80 c.c.) e l’eventuale risarcimento del danno «cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa», sempre che il rifiuto di contrarre matrimonio non sia sorretto da giusto motivo (art. 81 c.c.). Peraltro, la responsabilità di cui all’art. 81 c.c. discende solamente dalla promessa solenne, conclusa vicendevolmente dai nubendi con atto pubblico o scrittura privata autenticata, oppure risultante dalla richiesta di pubblicazioni.
La configurazione dell’istituto nella disciplina civilistica, a sua volta ispirata ai principi fondamentali in materia di libertà matrimoniale che permeano il nostro ordinamento, determina i limiti all’applicazione del diritto straniero eventualmente richiamato dall’art. 26 l. n. 218/1995 (Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale, II, Milano, 2016, 85 ss.). Quest’ultimo individua quale principale criterio di collegamento la legge nazionale comune dei nubendi: nell’eventualità in cui gli stessi siano cittadini di Stati diversi, è prevista l’applicazione della legge italiana.
Lo squilibrio a favore di quest’ultima legge è giustificato proprio dall’esigenza di garantire l’applicazione di una disciplina che garantisca il rispetto dei canoni ritenuti imprescindibili dal nostro ordinamento, che non permettono ai nubendi di vincolarsi definitivamente fino alla celebrazione del matrimonio nelle forme previste (Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale, cit., 86). Per le medesime ragioni, l’art. 26 estende espressamente l’applicazione dei citati criteri di collegamento anche alle conseguenze dell’eventuale violazione della promessa di matrimonio, sottraendo le stesse alla disciplina di conflitto prevista per la responsabilità da fatto illecito (art. 62 l. n. 218/1995).
Qualora la legge applicabile alla promessa fosse quella di un ordinamento straniero, i principi posti a tutela della libertà matrimoniale potranno giustificare l’operatività del limite dell’ordine pubblico (art. 16 l. n. 218/1995) rispetto agli effetti di tale legge, qualora essa colleghi alla promessa l’obbligo di contrarre matrimonio. Peraltro, con riferimento a questo aspetto, giova richiamare l’autorevole dottrina che qualifica l’art. 79 c.c. come norma di applicazione necessaria, a prescindere e in via preventiva rispetto all’individuazione della legge straniera richiamata dalla norma di conflitto (Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale, cit., 85).
L’art. 27 l. n. 218/1995 stabilisce che la capacità matrimoniale e le altre condizioni necessarie per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento della celebrazione (Carella, G., Articolo 27, in Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, a cura di S. Bariatti, in Nuove leggi civ., 1996, 1157 ss.; Saravalle, A., Articolo 27, in Commentario del nuovo diritto internazionale privato, a cura di F. Pocar, T. Treves, S.M. Carbone, A. Giardina, R. Luzzatto, F. Mosconi, R. Clerici, Padova, 1996, 143 ss.).
Con riferimento alla capacità matrimoniale, il richiamo della legge nazionale è coerente con la regola generale di cui agli artt. 20 e 23 in materia di capacità giuridica e di capacità di agire, con l’unica differenza che l’art. 27 individua specificamente la celebrazione del matrimonio quale momento determinante ai fini della individuazione della normativa applicabile.
Le altre condizioni necessarie per contrarre matrimonio comprendono tutti i requisiti e formalità richiesti dalla legge, nonché tutte le condizioni ostative al vincolo, compresi gli eventuali vizi del consenso (art. 122 c.c.) e la simulazione (art. 123 c.c.). Al riguardo, la disposizione deve essere coordinata con gli artt. 115 e 116 c.c., che qualificano alcune disposizioni sostanziali di capacità matrimoniale dell’ordinamento italiano come norme di applicazione necessaria (Queirolo, I., Art. 115, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017, 440 ss.; Id., Art. 116, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, cit., 462 ss.).
Più precisamente, l’art. 115 assoggetta il cittadino italiano, che contragga matrimonio all’estero, alle condizioni di età, sanità mentale, libertà di stato, di assenza di determinati vincoli di parentela, affinità o adozione previsti dagli artt. 84-87 c.c.; parimenti, trovano applicazione le ipotesi del cd. impedimentum criminis (art. 88 c.c.) e del divieto temporaneo di nuove nozze (art. 89 c.c.).
Lo straniero che intenda contrarre matrimonio in Italia, invece, deve rispettare le condizioni previste negli artt. 85, 86, 87 n. 1), 2) e 4), 88 e 99 c.c., a prescindere dal richiamo effettuato dalle norme di conflitto a qualsiasi altra legge che non sia quella italiana (art. 116 c.c.). È fatta salva l’applicazione degli eventuali, ulteriori impedimenti previsti dalla legge nazionale di ciascun nubendo: al riguardo, l’art. 116 c.c. stabilisce che lo straniero che intenda contrarre matrimonio in Italia debba presentare una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti l’assenza dei motivi ostativi previsti dalla propria legge di cittadinanza. Il rilascio del cd. “nulla osta” è talvolta disciplinato da accordi bilaterali tra gli Stati o da convenzioni internazionali multilaterali, come la Convenzione di Monaco del 1980 (resa esecutiva in Italia con l. 19.11.1984, n. 950) che prevede un modello comune di certificato matrimoniale.
La giurisprudenza ha altresì avuto occasione di pronunciarsi sull’ipotesi in cui il cittadino straniero si trovi nell’impossibilità di presentare il nulla osta. Sul punto, rileva la distinzione operata dalla Corte costituzionale (ord. 30.1.2003, n. 14) la quale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, co. 1, ha ritenuto che lo straniero possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo la propria legge nazionale, ma solamente nel caso in cui il mancato rilascio del nulla osta dipenda da disfunzioni organizzative delle autorità dello Stato estero. La prova alternativa, invece, non è ammessa qualora il mancato rilascio del nulla osta sia derivato da un vero e proprio rifiuto dell’autorità competente.
In materia, è consolidato l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale «l’ufficiale di stato civile deve procedere alle pubblicazioni matrimoniali anche in assenza del nulla osta previsto dall’art. 116 c.c. per il matrimonio tra un cittadino ed uno straniero, qualora il mancato rilascio risulti ingiustificato o sia determinato da motivi religiosi e costituisca perciò un’arbitraria o discriminatoria preclusione del diritto di contrarre matrimonio» (Trib. Piacenza, 5.5.2011, in Riv. dir. int. priv. proc., 2012, 790 ss.; Trib. Bari, 7.2.2012, ibidem; Trib. Castrovillari, 23.2.2016, in iusexplorer; Trib. Genova, 29.3.2018, ivi). Sulla base delle stesse considerazioni, la circolare del Ministero dell’Interno 11.9.2007, n. 46 ha prescritto agli ufficiali di stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio ogni volta in cui il nulla osta matrimoniale sia subordinato all’adesione alla fede musulmana di uno dei nubendi.
Peraltro, anche in assenza del nulla osta, la legge italiana consente ai nubendi di rivolgersi all’autorità giurisdizionale per fare accertare che non sussistono impedimenti al matrimonio, sia con riferimento alla legge straniera eventualmente applicabile che con riguardo alle norme di applicazione necessaria richiamate dall’art. 116 c.c. (artt. 98 e 112 c.c.).
Tra gli impedimenti qualificati come norme di applicazione necessaria dall’art. 116 c.c. rientra anche la libertà di stato, di cui all’art. 86 c.c., che impedisce di contrarre matrimonio a chi risulti già vincolato da un altro matrimonio o unione civile precedenti. Peraltro, l’art. 27 l. n. 218/1995 precisa che «resta salvo lo stato libero che uno dei nubendi abbia acquistato per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia». Di conseguenza, qualora un precedente matrimonio ostacoli il rilascio del nulla osta da parte delle competenti autorità dello Stato di cittadinanza del nubendo, è nondimeno possibile non tenere conto di tale circostanza se una sentenza italiana (o di uno Stato terzo, idonea a produrre effetti in Italia) ha determinato lo scioglimento del primo matrimonio.
Nell’applicare la disciplina di conflitto prevista dall’art. 27, occorre tenere conto dell’operatività del meccanismo del rinvio, di cui all’art. 13 della stessa l. n. 218/1995. È quindi possibile che la legge nazionale di ciascun nubendo – per effetto della normativa di diritto internazionale privato in vigore in tale ordinamento – rinvii a sua volta ad altra legge, attraverso la previsione di un diverso criterio di collegamento quale il domicilio o la residenza. Se il soggetto è domiciliato o residente in Italia, troverà applicazione la legge italiana (art. 13, co. 1, lett. b); viceversa, se il domicilio o la residenza si trovano in un terzo Stato, quest’ultimo ordinamento disciplinerà gli aspetti relativi alla validità sostanziale del matrimonio, a patto che la normativa di conflitto ivi in vigore adotti anch’essa i medesimi criteri di collegamento (art. 13, co. 1, lett. a).
La legge individuata in base all’art. 27 (eventualmente in combinato disposto con l’illustrato istituto del rinvio) è soggetta alla possibile applicazione del limite dell’ordine pubblico, di cui all’art. 16 l. n. 218/1995. Ciò può verificarsi nell’ipotesi in cui uno dei nubendi sia considerato di età troppo giovane per contrarre matrimonio, nonostante ciò gli sia consentito dalla propria legge nazionale: l’art. 116 c.c., infatti, non sottopone il cittadino straniero al limite della maggiore età sancito dall’art. 84 c.c. (eventualmente abbassato alla soglia dei sedici anni, previo decreto del Tribunale). Nondimeno, è possibile che la normativa straniera, che consenta ad un minore di età di contrarre il matrimonio, produca nel caso concreto effetti contrastanti con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano.
L’art. 28 l. n. 218/1995 stabilisce che il matrimonio è valido, quanto alla forma, se soddisfa i requisiti formali richiesti dalla legge del luogo di celebrazione, oppure dalla legge dello Stato di cui uno dei coniugi è cittadino al momento della celebrazione, oppure dalla legge dello Stato di residenza comune in quel momento (Carella, G., Articolo 28, in Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, cit., 1166 ss.; Saravalle, A., Articolo 28, in Commentario del nuovo diritto internazionale privato, cit., 147 ss.). Si tratta di un concorso alternativo di criteri di collegamento, che risponde all’esigenza di favorire, nel maggior numero di casi, la validità del matrimonio, in ossequio al cd. principio del favor validitatis.
Il riferimento alla forma, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, deve essere inteso in senso ampio e comprende tutti gli aspetti relativi alla manifestazione di volontà degli sposi, nonché tutte le formalità – anche preliminari e successive alla celebrazione – che l’ordinamento giuridico di volta in volta considerato considera necessari per ritenere validamente costituito il vincolo matrimoniale.
Anche tale disposizione deve essere letta congiuntamente agli artt. 115 e 116 c.c., che in ogni caso non pregiudicano l’applicazione della illustrata normativa di conflitto: pertanto, il richiamo operato dall’art. 115 c.c. alle forme previste dalla legge del luogo di celebrazione non impedisce che il matrimonio del cittadino italiano all’estero possa essere considerato valido secondo una delle altre leggi indicate all’art. 28 l. n. 218/1995 (Queirolo, I., Art. 115, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, cit., 443). A ciò si aggiunga che, secondo quanto previsto dall’art. 16 d.P.R. 3.11.2000, n. 396 sull’ordinamento dello stato civile, il matrimonio all’estero può essere concluso anche dinanzi all’autorità diplomatica o consolare competente, quando almeno uno dei nubendi possieda la cittadinanza italiana.
L’art. 115, nella sua versione originaria, estendeva ai matrimoni celebrati all’estero da un cittadino italiano anche l’obbligo delle pubblicazioni in Italia ai sensi dell’art. 93 c.c.: la previsione è stata abrogata dalla normativa sull’ordinamento dello stato civile (art. 110, co. 3, d.P.R. n. 396/2000), ma tale obbligo permane nel caso di matrimonio celebrato all’estero dinnanzi all’autorità consolare italiana (art. 16 d.P.R. n. 396/2000). In tutte le altre ipotesi, tutte le formalità previste per la validità del vincolo sono disciplinate dalla legge del luogo di celebrazione.
Il matrimonio contratto all’estero deve essere trascritto in Italia nei registri di stato civile, ai sensi degli artt. 17 ss. d.P.R. n. 396/2000: a tal fine è prevista la trasmissione di una copia dell’atto, a cura degli interessati, all’autorità diplomatica o consolare (a meno che il matrimonio non sia stato celebrato direttamente dinnanzi a queste ultime), la quale a sua volta trasmetterà l’atto all’ufficiale di stato civile del comune in cui l’interessato ha o dichiara di voler stabilire la propria residenza. Come precisato da consolidata giurisprudenza, la mancata trascrizione non costituisce un vizio di invalidità del matrimonio, immediatamente valido nel nostro ordinamento qualora celebrato secondo le forme previste dalla legge straniera: la trascrizione, infatti, costituisce una formalità di natura meramente certificativa e a scopo di pubblicità (si veda Cass., 13.4.2001, n. 5537).
La trascrizione assume efficacia meramente certificativa anche nell’ipotesi del matrimonio religioso contratto all’estero, qualora esso produca effetti civili nello Stato di celebrazione (Cass., 28.4.1990, n. 3599): solo nell’ipotesi opposta, e cioè quando l’ordinamento in cui l’atto è stato posto in essere non riconnetta allo stesso effetti civili, la trascrizione torna ad assumere efficacia costitutiva.
Lo straniero che intende contrarre matrimonio in Italia, invece, è soggetto all’obbligo di pubblicazioni qualora sia domiciliato o residente in tale Stato: si tratta dell’unica previsione di carattere formale contenuta nell’art. 116 c.c., che null’altro dispone sul punto.
Nei limiti appena illustrati, l’art. 28 apre la strada a forme di celebrazione estranee all’ordinamento italiano, anche qualora esse avvengano nel territorio dello Stato. Ciò fermo restando che il matrimonio civile potrà essere contratto nelle forme previste dall’ordinamento straniero soltanto se celebrato dinanzi alla competente autorità diplomatica o consolare, mentre dinanzi all’ufficiale di stato civile dovrà necessariamente trovare applicazione il rito previsto dalla legge italiana (Ferrando, G., Art. 116, in Comm. c.c. Cendon, Torino, 2009, 1323). Al contrario, è possibile celebrare in Italia il matrimonio nelle forme religiose, secondo una delle leggi richiamate dall’art. 28 l. n. 218/1995.
La legge applicabile alla validità formale del matrimonio è soggetta al limite dell’ordine pubblico di cui all’art. 16 l. n. 218/1995. Nell’individuare il contenuto dei principi fondamentali ed irrinunciabili che caratterizzano l’istituto del matrimonio nell’ordinamento italiano, la giurisprudenza ha affermato che tra essi non rientra la necessaria compresenza degli sposi al momento della cerimonia: da qui il riconoscimento della validità del matrimonio concluso per telefono o con altro mezzo telematico, dal momento in cui tale forma di celebrazione risulta ammessa dalla legge pakistana (Cass., 25.7.2016, n. 15343; Trib. Milano, 2.2.2007, in Riv. dir. int. priv. proc., 2008, 137 ss.).
La disciplina di conflitto contenuta nell’art. 28 l. n. 218/1995 non è soggetta all’applicazione del già citato meccanismo del rinvio (v. supra, §3).
Con riferimento ai matrimoni celebrati all’estero, occorre dare atto della peculiare posizione delle unioni tra persone dello stesso sesso, oggetto di un annoso dibattito giurisprudenziale e di recenti novità legislative.
Nell’ordinamento italiano la diversità di sesso rappresenta una condizione necessaria per contrarre matrimonio: pur non essendo espressamente prevista a livello normativo, tale requisito è stato ricavato dalla ratio e dai principi fondamentali che sorreggono l’intero diritto di famiglia (Ferrando, G., Diritto di famiglia, Bologna, 2015, 49 ss.).
Pertanto, non stupisce che la giurisprudenza abbia storicamente negato il diritto alla trascrizione in Italia di matrimoni tra persone dello stesso sesso, contratti all’estero in conformità con la legge straniera (per uno sguardo d’insieme Lopes Pegna, O., Effetti in Italia del matrimonio fra persone dello stesso sesso celebrato all’estero: solo una questione di ri-qualificazione?, in Dir. um. dir. int., 2016, 89 ss.). Nonostante alcune corti di merito si siano pronunciate a favore della trascrivibilità di tali unioni (Trib. Grosseto, 9.4.2014, in Fam. dir., 2014, 672 ss.), la Corte di Cassazione si è attestata sull’opinione contraria, ritenendo, da ultimo, che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano (Cass., 9.2.2015, n. 2400; Cass. 15.3.2012, n. 4184).
L’orientamento della giurisprudenza di legittimità era stato, peraltro, condiviso anche dalla stessa Corte costituzionale, la quale, nel pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis c.c., aveva affermato che tali disposizioni «non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso» (C. cost., 14.4.2010, n. 138).
La posizione assunta dall’ordinamento italiano si è dovuta tuttavia confrontare con il crescente riconoscimento delle unioni omosessuali nel contesto internazionale, con particolare riferimento ai profili legati alla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. In questo contesto, un ruolo di primo piano è stato assunto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, richiesta di stabilire se l’art. 12 della CEDU, che sancisce il diritto al matrimonio, estendesse la propria tutela anche alle coppie dello stesso sesso. La Corte ha precisato che, sebbene l’art. 12 CEDU non vieti né imponga agli Stati di garantire l’accesso al matrimonio anche a tali unioni, nondimeno gli ordinamenti nazionali hanno l’obbligo di fornire una forma di riconoscimento e protezione a tutte le relazioni stabili e durature, incluse quelle omosessuali; ciò in conformità con l’art. 8 CEDU, che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare (C. eur. dir. uomo, 24.6.2010, Schalk e Kopf c. Austria; 16.7.2014, Hamalainen c. Finlandia). Su questi presupposti, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver omesso di adottare una legislazione diretta al riconoscimento e alla protezione delle unioni tra persone dello stesso sesso (C. eur. dir. uomo, 21.7.2015, Oliari e altri c. Italia).
Proprio sulla base delle istanze provenienti dall’ordinamento internazionale, è stata quindi emanata la legge 20.5.2016, n. 76, con la quale è stato introdotto l’istituto delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso. Alla nuova normativa ha fatto seguito una specifica disciplina di diritto internazionale privato, di cui al d.lgs. 19.1.2017, n. 7, che ha modificato la l. n. 218/1995 e ha precisato, fra i diversi aspetti, le condizioni ed i limiti del riconoscimento in Italia dei matrimoni contratti all’estero da persone dello stesso sesso (Biagioni, G., Unioni same-sex e diritto internazionale privato: il quadro normativo dopo il D. Lgs. n. 7/2017, in Riv. dir. int., 2017, 497 ss.; Campiglio, C., La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 33 ss.; Pesce, F., La legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato alla prova della nuova disciplina sulle unioni civili, in GenIUS, 2017, 79 ss.).
In particolare, ai sensi del nuovo art. 32 bis l. n. 218/1995, il «matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana», con conseguente trascrivibilità nei registri dello stato civile del vincolo con tale qualificazione.
La norma fa riferimento sia all’ipotesi in cui entrambi i coniugi possiedano la cittadinanza italiana, sia a quella in cui il matrimonio sia stato concluso da un cittadino italiano con un cittadino straniero, come precisato dalla Corte di Cassazione (Cass., 14.5.2018, n. 11696). Rimane, peraltro, aperta la questione relativa agli effetti del matrimonio contratto all’estero da cittadini stranieri: secondo la citata giurisprudenza di legittimità, tale fattispecie non rientra nel campo di applicazione dell’art. 32 bis l. n. 218/1995, con la conseguenza che il «matrimonio dovrebbe essere trascritto, in questa ipotesi, come tale, senza operare alcuna conversione» (Cass. n. 11696/2018, cit.).
Fonti normative
Artt. 79-81, 84-87, 115, 116 c.c.; l. 20.5.2016, n. 76; artt. 16, 17, 110 d.P.R. 3.11.2000, n. 396; artt. 26, 27, 28, 32 bis l. 31.5.1995, n. 218
Bibliografia essenziale
Biagioni, G., Unioni same-sex e diritto internazionale privato: il quadro normativo dopo il D. Lgs. n. 7/2017, in Riv. dir. int., 2017, 497 ss.; Campiglio, C., La disciplina delle unioni civili transnazionali e dei matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 33 ss.; Carella, G., Articolo 27, in Bariatti, S. (a cura di), Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi civ., 1996, 1157 ss.; Carella, G., Articolo 28, in Bariatti, S. (a cura di), Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ibidem, 1166 ss.; Ferrando, G., Diritto di famiglia, Bologna, 2015; Lopes Pegna, O., Effetti in Italia del matrimonio fra persone dello stesso sesso celebrato all’estero: solo una questione di ri-qualificazione?, in Dir. um. dir. int., 2016, 89 ss.; Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale, II, Milano, 2016; Pesce, F., La legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato alla prova della nuova disciplina sulle unioni civili, in GenIUS, 2017, 79 ss.; Queirolo, I., Art. 115, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017, 440 ss.; Queirolo, I., Art. 116, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017, 462 ss.; Querci, A., Articolo 79, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 2017, 63; Saravalle, A., Articolo 27, in Pocar, F.-Treves, T.-Carbone, S.M.-Giardina, A.-Luzzatto, R.-Mosconi, F.-Clerici, R. (a cura di), Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, 143 ss.; Saravalle, A., Articolo 28, in Pocar, F.-Treves, T.-Carbone, S.M.-Giardina, A.-Luzzatto, R.-Mosconi, F.-Clerici, R. (a cura di), Commentario del nuovo diritto internazionale privato, Padova, 1996, 147 ss.; Uccella, F., Matrimonio, I) Matrimonio civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 8 ss.