George, Stefan
Poeta tedesco (Büdesheim, presso Bingen sul Reno, 1868 - Locarno 1933); uno dei maggiori simbolisti europei. Imparò l'italiano al liceo per leggere, seguendo la tradizione dei romantici tedeschi, Petrarca e il Tasso. Fu sullo scorcio del secolo che il G., che già fin dal 1890 adoperava la terzina dantesca, andò scoprendo la sua affinità con D., in ciò incoraggiato dai suoi discepoli; uscì da una crisi spirituale avendo conosciuto il giovane cui egli diede il nome poetico di Maximin, ed egli stesso paragonò questa esperienza all'amore di D. per Beatrice. Nel Teppich des Lebens (1899) il G. afferma che " il Fiorentino " gli è conforto e modello (" Trost und Beispiel "). D. poi divenne per G. il modello del poeta vate ed educatore di un popolo. Così egli raffigura D. al principio della silloge Der siebente Ring (1907), il cui titolo allude alla " settima cerchia " dell'Inferno. Riecheggiano D. varie immagini nelle poesie di Der Stern des Bundens (1913), e alla poesia Der Krieg egli antepone una lunga citazione da Pd XVII 124-132, per sottolineare l'identità del compito da lui assunto di ammonitore. Essendo evidente che il concetto che il G. si fece di D. influì profondamente sulla sua condotta e la sua poesia, non sorprende che il G. fin dagli anni '90 si fosse messo a tradurre Dante. I primi saggi apparvero nei Blätter für die Kunst nel 1901. Occorre però sottolineare che il G. non tradusse D. a scopo di volgarizzamento (L. Bianchi); ciò lo distingue da tutti gli altri numerosi traduttori tedeschi che hanno tradotto D. per renderlo noto in Germania, molti con l'intenzione di darne un equivalente congeniale in veste tedesca. Il G. tradusse D. come traduceva Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud, D'Annunzio, cioè per il piacere di riaffermarsi poeta ricreando la poesia altrui. Perciò le traduzioni del G. vanno considerate come opere autonome, parte della poesia georgiana.
Bisogna inoltre tenere presente che il G. leggeva D. al modo suo: traducendo solo i brani che gli parevano validi poeticamente, e vedendo in D. un poeta oscuro, ermetico, la cui lingua fosse lontana da quella della plebe ignara e profana. In Tage und Taten (1903) metteva sullo stesso piano Pindaro, Goethe e D. per " la sonora oscurità " del loro linguaggio poetico (L. Bianchi). Con questo modo di concepire la poesia di D. si spiega come il G. traducesse antologicamente circa 3000 versi, tralasciando tutto ciò che pareva mera struttura e dottrina e, inoltre, staccando i brani prescelti dal loro contesto spirituale; così si spiega, anche come il G. abbia dato al suo testo, mediante singolarità sintattiche e ricercatezze e stranezze di vocabolario, un'arcana e arcaica tonalità stilistica. È evidente che il G. leggeva D. senza la necessaria preparazione, il che spiega le numerose sviste e i fraintendimenti, anzi errori banali (L. Bianchi; C. Di San Lazzaro; Bassermann, Vezin, Vossler); e talvolta si scosta tanto dal testo che è difficile identificare l'edizione di cui si è servito. Ma grazie ai titoli dati dal G., il Michels ha stabilito che si tratta dell'edizione hoepliana di L. Polacco. Per quanto sia giustificata la critica negativa da parte di coloro che esigono la fedeltà al testo originale, ciò non toglie che, con tutti i suoi errori, nel testo del G. sentiamo la voce di un poeta. Ma anche sotto questo aspetto non mancano gli avversari; se da un lato si collocano i discepoli del G. con lodi iperboliche, dall'altro stanno coloro che gli rimproverano di avere fatto " rime pure con congiuntivi sbagliati " (H. von Elbertzhagen; similmente K. Vossler) e ne condannano la lingua contorta, artificiosa (Vossler), la pretenziosità estetizzante unita all'imprecisione dilettantesca (" gespreiztes Ästhetenmachwerk ", A. Vezin). Più equo il giudizio del Curtius (che fu della cerchia del G.), il quale, tralasciato il paragone con l'originale, apprezza il lavoro del G. come opera poetica autonoma e lo giudica una " magnifica e unica assimilazione parziale da parte di un grande poeta moderno ".
Bibl. - G.P. Landmann, S. G. und sein Kreis, eine Bibliographie, Amburgo 1960; F. Schulz, S.G. (Die grossen Deutschen, IV), Berlino 1936; C. David, S. G. et son oeuvre poétique, Lione 1952; K. Hildebrandt, Das Werk S.G., Amburgo 1960; L. Vincenti, S.G., in " Il Baretti " (1928); I. Maione, S. G., in Contemporanei in Germania, Torino 1931; M. Pensa, S. G. - Saggio critico, Bologna 1935. Sulle traduzioni si veda specialmente G. Michels, Die Dante-Ubertragungen Stefan Georges. Studien zur Uhersetzungstechnik Stefan Georges, Monaco 1967; L. Bianchi, D. und S. G. - Einführung in ein Problem, Bologna 1936; C. Di San Lazzaro, S. G., Imola 1935; ID., S. G. als Ubersetzer, in " Germanisch-Romanische Monatsschrift " XXIX (1941) 203-211, su cui cfr. anche F. Schneider, in " Deutsches Dante-Jahrbuch " XVIII (1936) 214 ss.; G.L. Luzzato, S. G. traduttore di D., in " Cenobio " II (1953) 31-43; P.G. Klussmann, D. und S. G., in " Mitteilungsblatt der Deutschen Dante-Gesellschaft " I (1968) 10-13.